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Gli eredi di Tullio Seppilli. L’antropologia medica distillata dalle discipline demoetnoantropologiche.

28 Mag 19

Di Sergio-Mellina
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura…

Giacomo Leopardi L’infinito
 
Avevamo già pubblicato su POL.IT psychiatry on line Italia una lezione magistrale di Tullio Seppilli (1928-2017), intitolata da Francesco Bollorino Curanderos made in Italy? [001] che mi pare abbia incontrato il favore dei lettori. Per chi non lo avesse conosciuto di persona, com’è capitato a me, che ho goduto anche della sua stima e della sua amicizia, Tullio Seppilli era in fama di delizioso conferenziere, oltre che di facondo narratore. Esattamente il contrario che per la scrittura in cui era nota la sua parsimonia o se vogliamo una sobria contenutezza, da potersi fare una proporzione da uno a dieci tra parola scritta e parola detta. Senza richiamare la faccenda dei “neuroni specchio” che ora vanno, giustamente, di gran moda, penso di poter immaginare c’entrino molto le sue personali vicende adolescenziali e le leggi razziali del 1938 emanate in Italia dal fascismo, per scimmiottare i nazisti di Hitler giunti al potere nel 1933. Tullio, nato a Padova fu costretto ad espatriare coi genitori in Brasile quando aveva 10 anni all’incirca [002]. Laggiu, lontano dalla sua città dei “tre senza” [003] mentre isuoi nuovi compagni delle “medie” probabilmente pensavano di diventare tutti Pelè, Tullio apprese precocemente ad adattare i propri parametri linguistici e comunicativi, oltre a scoprire le varietà e le diversità culturali, nonchè, naturalmente, a viverle.
 
Il pezzo richiamato all’inizio, è uscito telematicamente da Bollorino solo perchè recuperato fortunosamente dopo molto tempo. Registrato nella cassettina del dittafono il 22.03.1996, durante un biennio di lezioni particolari  alla “ASL di Roma B”, fu sbobinato e ripassato al computer a un dipresso dall’evento. Poi, dopo aver dormito in uno scatolone per oltre vent’anni, con vecchi ricordi, oggetti disparati, libri, estratti di lavori a stampa, carte, documenti e testi vari, è saltato finalmente fuori per la pubblicazione, e così è stato. In verità c’erano stati diversi tentativi, da parte mia, con Tullio, per fargli vedere la luce. Ogni volta che c’incontravamo o ci sentivamo al telefono, finivo per ricordargli: «Ah! Tullio, guarda che quella tua famosa lezione del ’96, “sulle streghe in Val Nerina” ed altro materiale sull’antropologia medica e sulla medicina popolare, l’ho sbobinata tutta, è qui pronta che aspetta per la pubblicazione. Quando e dove te la mando?» Le sue risposte erano sempre dilatorie. Ci fu anche un periodo che si documentò sul lavoro etnopsichiatrico che stavo facendo col mio gruppo [004], ma sulla pubblicazione della sua conferenza niente da fare.
 
Fra gli studiosi che si riconoscevano nella figura e nell’insegnamento di Seppilli, ve n’era un gruppo che ha curato la presentazione di un piccolo testo storico, di Jean-Martin Charcot, titolato La fede che guarisce, (La fois qui guérit) con introduzione del medesimo Tullio Seppilli. Prefazione di Désiré-Magloire Bourneville. Traduzione e cura di Yamina Oudai. Edizioni MEFISTO classic 4, ETS, Pisa, 2018.  Basterà dare un’occhiata alle date per rendersi conto che il libro è uscito postumo e, si deve dar atto alla tenacia di alcuni estimatori di Tullio, se l’impresa di giungere in libreria, per niente facile, mi pare di aver intuito, sia stata coronata da successo. Se ho ben compreso, il libro di Charcot, è stato più che altro un pretesto per parlare di Tullio e ricordarlo nella prestigiosa Facoltà di Lettere de La Sapienza di Roma, dove iniziò la sua carriera [005].
L’appuntamento per la presentazione di “Charcot” era stato fissato per Mercoledì 10 aprile 2019, ore 17-19, all’Aula “A” di Storia medievale (II piano) presso la Facoltà di Lettere e Filosofia “La Sapienza” – Università di Roma. Mi era venuta a prendere Chiara, la prima delle mie tre figlie femmine, quasi con la forza. Era riuscita a vincere la mia pigrizia, sapendo, però, di farmi cosa gradita e di recarmi tra gente che avevo conosciuto in passato. Lei si trovava nel suo habitat naturale di 25 anni prima. Era demoetnoantropologa della Scuola Romana. Si era laureata con Gilberto Mazzoleni ricevendo i complimenti di Ugo Bianchi.
 
Riprendo in mano il testo di Charcot per completare i riferimenti. La “MEFISTO classic” è una Collana di studi di Storia, Filosofia e Studi Sociali della Medicina e della Biologia. La dirige un filosofo della scienza che è stato allievo di Paolo Rossi Monti (1923-2012) di Urbino, il grande studioso di Bacone e Galileo, il quale si chiama Alessandro Pagnini. Egli, attualmente guida una pattuglia di studiosi di scienze umane e della vita. Interessante il “razionale” della Collana che trascriviamo interamente dalla prima pagina del libro, perchè ci pare un manifesto condivisibile universalmete. «La medicina è storia degli individui e dell’umanità. È storia di concetti, di metafore, di “sguardi”. Le biocoscenze e le biotecnologie sono lo scenario dove oggi si ripensano la vita, il corpo, i limiti. Una riflessione umanistica – storica, epistemologica, etica o sociologica – diventa imprescindibile quando si vogliano comprendere a fondo il divenire delle scienze della vita, le vicende della nostra lotta al male come del nostro sentirsi “normali”, del nostro relazionarsi nella cura, del nostro errare tra speranze e paure». Sulla quarta di copertina si può anche leggere. «Destinato a comparire nella celebre «Bibliothèque Diabolique», ideata e diretta dal neurologo Desiré Bourneville, nonché espressamente dedicata al tema dei rapporti tra stregoneria, isteria e trattamento clinico dei cosiddetti “indemoniati”, questo breve scritto di Charcot propone un’analisi puramente scientifica e psicopatologica di credenze, ritualità e pratiche religiose connesse al fenomeno delle guarigioni miracolose, per la prima volta sottoposte ad uno sguardo così esplicitamente disincantato e demistificante da rappresentare un’autentica novità nel panorama della storia della psichiatria tardo-ottocentesca. Impossibile non rilevare le evidenti affinità tra le riflessioni metodologiche e cliniche qui contenute e alcune delle pagine più note dell’opera freudiana L’avvenire di un’illusione (1927)».
 
Questa citazione freudiana [006] ci sembra un po’ la chiave di volta che sorregge l’intera operazione editoriale. La psicoanalisi è da presumere che interessasse Seppilli non tanto come curiosità in sé e non oltre l’esito concreto e diretto degli iniziali tentativi terapeutici atraverso l’ipnosi effettuati dal maestro viennese come tentativo di cura. Chi lo ha frequentato ed ha conosciuto l’accuratezza, un’acribia storica, del suo metodo di lavoro, può legittimamente supporre che Tullio vedesse piuttosto in Sigmund Freud, in un certo senso, anche una sorta di “storico delle religioni”, o meglio uno psicologo delle religioni. Proprio le tematizzazioni che interessavano Seppilli, tra l’altro anche lui di origini ebraiche. Tutte le persone di buona cultura sanno che Sigmund Freud è stato un medico neuro-psichiatra, ebreo, di origine ucraina, nato in Moravia. Nondimeno, per comodità del lettore ci pare utile richiamare brevemente qualche nota bio-bibliografica. Freud non è mai stato credente, nè  religioso. Egli distinse tra illusione e falsa credenza. L’ignoranza non era una buona scusa per desistere dal cercare una spiegazione migliore. La religione era per lui «l'incarnazione dei più antichi, forti e profondi desideri del genere umano». Il suo libro Die Zukunft einer Illusion del 1927 – Il futuro di un’illusione – era un libro che trattava della natura psicologica della religione, dunque il suo progresso risiedeva nella cultura. Fu una bella presa di posizione, la sua. Non fu certo il primo ateo a farsi sul proscenio delle scienze con un pensiero scientista, ma la capacità di gettare sul campo della discussione uno strumento così ingombrante come la psicoanalisi, non è cosa da poco. A suo modo di vedere, le cose di cui abbiamo bisogno per stare al mondo sono soltanto necessità psicologiche, non religiose. Freud, fu in opposizione anche alla tradizione ebraica. Imparò bene la medicina in una Vienna Imperiale all’apice di un funambolico miracolo asburgico di unificazione di popoli culture e religioni che durerà fino al 1918. Apprese, ciò che gli serviva per il suo lavoro di medico, da maestri come il fisiologo darwinista antivitalista berlinese Ernst Wilhelm Ritter von Brücke (1819-1892) e la clinica neuro-psichiatrica da Theodor Herbert Meynert (1833-1892) carattere spigoloso, ma celebrità assoluta di Dresda, col quale poi entrò in conflitto, all’ Ospedale Generale di Vienna. Tanto, inizialmente, gli bastò. La curiosità, lo spirito di osservazione e l’acume erano un dono biologico dei suoi genitori. Esercitò la libera professione perchè le sue condizioni economiche non gli consentirono la carriera universitaria. Nel 1885 a 29 anni, con una borsa di studio si reca a Parigi alla Salpetrière per studiare da Charcot il suo metodo di curare l’isteria mediante l’ipnosi. Vi resterà complessivamente 4 mesi tornando a vienna nel febbraio 1886 [007].
 
Il libro è composto di tre capitoli l’introduzione di Tullio Seppilli, la prefazione di Desirè-Magloire Bourneville e il saggio breve di Charcot. Si rimanda alla lettura del testo, interamente, per il ripasso degli ultimi due, fin troppo noti ai lettori di POL.IT, mentre si desidera commentare il primo che è anche l’ultimo di Seppilli, come ci ricorda Giovanni Pizza uno dei suoi prestigiosi collaboratori più vicini e affezionati. C’è appunto una sua nota, all’inizio dell’Introduzione di Seppilli, che richiama le sofferte vicende dell’ultimo scritto del maestro che vale la pena citare. «Questa Introduzione costituisce l’ultimo lavoro di Tullio Seppilli… Steso di suo pugno per i primi due paragrafi, i restanti sono stati concordati da Seppilli con Giovanni Pizza che si è occupato di portare a chiusura il testo su precisa indicazione dell’Autore aggiungendo alcune parti pertinenti rivedute e corrette da Seppilli a seguito della intervista La questione dell’efficacia delle terapie sacrali e lo stato della ricerca nelle scienze umane. Dialogo con Pino Schirripa, apparsa sulla rivista “Religioni e Società”, n. 48, 2004, pp. 75-85».
Trascriviamo direttamente il primo capoverso dell’Introduzione (20 pagine in tutto) denso d’interrogativi, come sempre, profondi e mai disgiunti dai temi dell’intersoggettività sociale.
«Il breve testo di Jean-Martin Charcot che l’amico e collega Alessandro Pagnini mi ha cortesemente proposto di introdurre – pubblicato originariamente nel 1892 – può considerarsi un momento chiave, forse il momento chiave di un lungo dibattito occidentale che ha radici assai lontane ma si è avviato nella sua forma moderna già in epoca pre-illuministica e illuministica. E solo ora, dopo oltre tre secoli, sembra trovare una soluzione adeguata e sostanzialmente unitaria.
Il problema, in sostanza concerne complessivamente la medicina e l’insieme delle scienze umane e, all’osso, può essere così formulato: lo psichismo – cioè la soggettività umana, gli effetti psichici delle esperienze di vita, e anche i suoi strati profondi – incide sul normale funzionamento dell’Organismo? Più precisamente, può avere effetti patogeni o anche, di contro, effetti terapeutici? E questi effetti possono essere socialmente manipolati? A scopo “malefico” come nelle “fatture”? O invece a scopo “medico”, cioè preventivo e curativo?
Per certi versi, come vedremo, la questione è anche più complessa perchè essa si intreccia con altre due, niente affatto semplici e tuttora aperte: (1) il problema della eterogeneità degli stati di coscienza e della loro varia incidenza sui processi di cui stiamo parlando, e (2) il problema della possibile comunicazione a distanza, fra gli psichismi di differenti persone» [008].
Nel mondo sanitario odierno la questione appare risibile, ma in effetti si tratterebbe di capire, risalendo, a livello storico, come sia nata la credenza medioevale che i re francesi e quelli inglesi avessero il potere di guarire un’adenite tubercolare come la “scrofola”, con la semplice imposizione delle mani, senza penicillina, nè streptomicina [009].
 
Come detto all’inizio, quest’incontro del 10 aprile 2019 per ricordare Seppilli e presentare l’ultimo suo scritto, anche se limitatamente all’Introduzione del libro in questione, è stato fortemente voluto da quattro suoi colleghi, professori universitari di Roma e di Perugia, nei vari ruoli di storia delle religioni, demologia, etnologia, antropologia culturale, antropologia medica, ecc., che in vari modi e in varie circostanze ne sono stati allievi. A quanto credo di aver capito, oggi sono presenti, qui alla Facoltà di Lettere di Roma, ma domani saranno a Bologna per un’altra presentazione e poi, non so dov’altro. Si tratta di Alessandro Lupo [010], Massimiliano Minelli [011], Pino Schirripa [0012] e Gianni Pizza [0013], citati nell’ordine in cui sono intervennuti.
Alessandro Lupo, di Clara Gallini, cita Il miracolo e la sua prova. Un etnologo a Lourdes. Liguori, Napoli, 1998, la sua ricerca a proposito dell’effetto ”placebo”, che ritiene non esaustiva, forse incompiuta. A vero dire, l’effetto placebo, quello nocebo e il disturbo funzionale, sono alcuni dei temi che mettono anche noi, eredi di Charcot, fortemente in imbarazzo. Lo fu anche Agostino Gemelli (1878-1959) chiamato dalla Santa Sede ad effettuare una expertise sulle stigmate di Padre Pio da Pietralcina. Ricorda anche il lavoro e la ricerca di Amalia Signorelli (1934-2017), scomparsa il 25 ottobre, appena due  mesi dopo quella di Seppilli, mancato il 23 agosto, sottolinando il fatto che entrabi crebbero alla scuola di Ernesto de Martino. Richiama la potenza della “massa”, del “gruppo”, anche in funzione terapeutica, dal punto di vista sociale. Noi “Psi” conosciamo e sfruttiamo, potenziandole,  queste dinamiche per cui è facile il discorso di corrispondenza e interscambio. Problematico, ma di grande interesse, è il suo richiamo ad un antropologo medico americano Arthur Kleinman (NY. 1941) della scuola di Medicina Sociale di Harvard di cui cita la descrizione di un paraplegico sine materia “castrato” dalla forte personalità del padre per autosuggestione, che riacuista la deambulazione con la cessazione del potere paterno. Un trauma, ci ricorda Lupo, simile allo “scantu”, spavento [0014]. Questo caso Richiama quello clinico di “Claudio” illustrato da Aldo Giannini al Congresso SIP di Milano 1968 [015].
Massimiliano Minelli esordisce ricordando la clamorosa bocciatura al CNR di un progetto di ricerca sulla “fattura” di Tullio Seppilli, di cui successivamente mi ha inviato ampia ed esaustiva documentazione [016] della quale lo ringrazio. Mi rimase impressa perchè citava un vecchia ricerca di Pierre Saintyive (pseudonimo di Émile Nourry un libraio editore, medico ed esperto di folklore di Autun del 1870 morto a Parigi nel 1935) del 1913 intitolata La guarigione delle verruche. Dalla magia medica alla psicoterapia (Là guérison des verrues. De là magie médicale a là psychothérapie). Poi si pone (poneondoceli) alcuni interrogativi, se ho ben inteso. Che rapporti intercorrono tra lo storico sociale ed il farsi storico del collettivo sociale? In che misura Pierre Janet ha influenzato Sigmund Freud nella formulazione del termine “abreazione”, coniato dal medesimo S. Freud insieme a J. Breuer (1895), per indicare un processo (spontaneo o indotto) di scarica emozionale che il soggetto lega ad un proprio evento traumatico nel momento in cui lo rievoca? Io aggiungerei anche che lo stesso meccanismo emozionale (naturalismo psicologico) era utilizzato da Konstantin Sergeevič Stanislawskij (1863-1938) come una delle tecniche fondamentali per il “lavoro sugli attori” presso il celeberrimo Teatro d’arte di Mosca. Dobbiamo ancora a Minelli uno straordinario ricordo: Amalia Signorelli negli studi in Lucania con de Martino si raccomandava di occuparsi particolarmente delle accompagnatrici delle “tarantate”. Straordinaria questa anticipazione assoluta della nozione anglosassone di “caregiver“, entrato ormai stabilmente nell'uso comune, per indicare “colui che si prende cura”, “chi si fa carico” del sofferente. Tutti i familiari, in primis, ma anche chi, fra i vicini, partecipa alla pregnanza-contagio di un disturbo psichico. Una vera miniera di suggerimenti, Massimiliano Minelli, quando continuando sulla tonalità di questi contorni di dettaglio che diventano invece strategicamente centrali, si domanda: “Vogliamo provare a definire cosa intendiamo veramente col termine dis-agio?”
Pino Schirripa, cita l’esperienza di nonno, di Cesare Musatti (1897-1989). La sua scoperta di un linguaggio particolare con il nipote, che non aveva mai usato con nessun altro prima di quel contatto, suggerisce a Schirripa che esista una forza trasformativa della immaginazione che si trasmette dal nonno al nipote e scorre empaticamente tra i due. La stessa precisa esperienza è capitata anche a Bruno Callieri di cui ne abbiamo parlato su POL.IT [Weggenossen. Le parole dell’amicizia, quelle della follia e i compagni di strada della psicopatologia fenomenologica per ricordare Bruno Callieri (1923-2012). 3 luglio 2018] ed a me che soltanto da nonno ho scoperto che il nipote neonato, ce li ha da subito, i “neuroni specchio”, per interagire empaticamente ancor prima di parlare. Schirripa ha ipotizzato inoltre che tra curante e curato, oltre all’azione terapeutica si costruisca anche un linguaggio speciale che veicola messaggi extralinguistici profondi: ciò che il sofferente si attende e ciò che il guaritore ritiene di dover corrispondere nel gesto di cura.
Gianni Pizza ci ha raccontato della sua intervista a Seppilli, l’ultimo dialogo col maestro. Ci ha detto brevemente di essersi convinto e di avere raccolto prove evidenti di una “vocazione italiana alla ricerca antropologica”. Chi se non Ernesto de Martino ha inventato il lavoro di ricerca sul campo organizzato in equipe? Ci ha accennato anche al suo stimolante indirizzo di ritenere “l’etnografia un punto di vista”. Di questo autore, sull’antropologia medica, si suggerisce un testo particolarmente utile a chi lavora nei DSM di grandi città metropolitane con inurbati dalle campagne ed immigrati da altri continenti [017]. Pizza ha parlato altresì del suo fecondo incontro, durante la stesura della famosa intervista, con Alessandro Pagnini, un pistoiese del 1949 che insegna Storia della Filosofia Contemporanea presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze. Egli fa parte, di quel gruppo di filosofi della scienza cresciuti alla scuola di Paolo Rossi Monti (1923-2012), grande filosofo e storico della scienza che ha reinterpretato la “Rivoluzione scientifica" del Seicento, inaugurata da Bacon e da Galileo.
Ripensando al fatto che  Paolo Rossi Monti venne chiamato all’Università di Cagliari nel biennio 1961-62, non  posso non andare col pensiero ad una celebrità cagliaritana della filosofia, allora ventitreenne, che è Remo Bodei, una vera star che a me piace particolarmente per molti motivi, non ultimi quelli legati alla Sardegna ed a Cagliari in particolare. Splendido conferenziere, Remo Bodei, capace di affascinare uditorii, sia che parli dei Greci antichi (Socrate, Platone, Aristotele) sia che parli di Hegel, Marx, Husserl, sia che parli di “schiavitù salariata” marxiana, sia che parli di “sogni appassiti”, richiamandosi alla rivoluzione tecnologica del 1964 (non del 1968) invocata a Berkley come liberatoria, e partita dai garage di giovani profeti della rivoluzione liberatoria della macchina per contestare la guerra del Vietnam, come Steve Jobs (Apple)  e Bill Gates (Microsoft), ai quali, però, dopo l’ingresso di fiumi di denaro (oltre i mille miliardi di dollari, cui ora si è allineato superandoli, Jeff Bezos, con Amazon)  è rimasta solo l’ideologia. Sia ancora che parli di schiavismo e robotica [018]. Ma Remo Bodei non si sottrae se deve parlare di vicende minute ma importanti di storia  popolare, sia che debba intonare canzoncine come “Quel mazzolin di fiori”, sia che debba raccontare della “Vespa” della Piaggio, quando gli italiani ne avevano fatto un prezioso mezzo di locomozione e di “sprovincializzazione”.
 
E purtuttavia vivo resta, in fondo, l’amaro gusto di finitudine leopardiana col quale abbiamo aperto in esergo, codesti ricordi e voli pindarici della mente, sicché «Così tra questa / Immensità s'annega il pensier mio: / E il naufragar m'è dolce in questo mare».
 
Invece no! A conclusione di questo ricordo di Tullio Seppilli, perchè in fondo di questo si tratta, voglio chiudere con una nota di tono leggero e scherzoso. Non posso fare a meno di frenar la mia memoria che mi spinge ottimisticamente alle dita che battono sui tasti del computer una vecchia storiellina campana raccontata da un controllore FS, tale Liguori, se la memoria non m’inganna, persona spiritosa, vivace e sensibile, soprannominato “’a Bellezza”, che frequentava casa nostra a Bologna, dove sono nato, quand’ero bambino e mio padre vi dirigeva il Personale del Compartimento FS, inizi anni Trenta. Quel tal Liguori, faceva parte di quella popolazione eterogena e girovaga, ma compatta, di ferrovieri di un tempo, che ci aveva seguito da Sapri, la sede precedente anche per lui, come per i miei genitori. Un figlio suo frequentava la Facoltà di Lettere a Bologna. Tutto quello che diceva, aveva il sapore di un racconto brillante, un fatterello minuto, un dettaglio di vita quotidiana, insomma, un teatrino improvvisato. Quando ci veniva a visitare era una festa per tutti. Quello che mi viene in mente ora, a proposito della fama di scrittura parsimoniosa di Tullio Seppilli, citata all’inizio, peraltro tutta da dimostrare, è un aneddoto che, “’a Bellezza”, attribuiva a Benedetto Croce, anche se tra i due autori correva ura distanza siderale su tutto. In breve, Croce amava il pesce, pare anche il suo inseparabile Fausto Nicolini, che lo seguiva sempre come un’ombra, e il loro pescivendolo, certo Vincenzo, voleva che il filosofo gli approvasse un’insegna adeguata alla sua rivendita: “Che ve ne pare Mae’? “Quì si vende pesce fresco” – Rispose prontamente Croce “Vedi che non lo vendi , Vince’, lo vendi quì, toglilo, è superfluo“. – Il pesciaiolo cassò la parola e tornò subito dal Croce: “Va Bene ora Professo’?” – E il suo mentore come una saetta “E che lo regali ‘sto  pesce, Vincé?” – “No”! Fu la rispota immediata del mercante. “Allora togli pure si vende”, e così fu fatto immediatamente, ma quando Vincenzo tornò soddisfatto solo con le parole superstiti “Pesce fresco” mostrandole al Croce, il, maestro, andandosene, con Nicolini, gli disse di non mettere niente… “Tanto la puzza si sente abbascio ‘o vicolo!” Ma è solo una storiellina dello spassosissimo controllore ferroviario Liguori, “’a Bellezza”.
 
 
Note.  Eredi Seppilli
[001]. Cfr. Curanderos made in Italy. I guaritori popolari in italia… Tullio Seppilli, introduzione di Sergio Mellina. POL.IT  3 gennaio 2019.
[002]. Lui stesso scrive di sé: «Tullio Seppilli è nato a Padova il 16 ottobre 1928. Ha tuttavia compiuto quasi tutta la sua carriera scolastica, dal concludersi della scuola elementare fino agli inizi dell’università a Sāo Paulo, in Brasile, dove ha maturato la sua “scelta antropologica”, ha seguito le lezioni universitarie di Roger Bastide e Georges Gurvitch e ha avuto le sue prime esperienze di ricerca empirica. Tornato in Italia alla fine del ’47, in assenza di curricula socio-antropologici si è iscritto all’università nel corso di laurea di scienze naturali, prima a Modena e poi a Roma, dove si è laureato nel 1952 con una tesi di antropologia (fisica). Sempre nell’Università di Roma, dopo la laurea, ha sostenuto tutti gli esami nella Scuola di specializzazione in scienze etnologiche diretta da Raffaele Pettazzoni, ed è stato assistente nell’Istituto per le civiltà primitive e poi nell’istituto di antropologia. È di fine ’52 il suo incontro con Ernesto de Martino, che nell’istituto per le civiltà primitive iniziava allora il suo primo corso (“pareggiato”) presso la Facoltà di lettere e filosofia, in parallelo a quello del paleontologo Alberto Carlo Blanc. Ernesto de Martino, di cui fu appunto il primo assistente, rappresentò il suo “vero maestro”, e con lui continuò in varia forma a collaborare, anche nella costituzione di nuovi luoghi di riflessione e ricerca come il Centro etnologico italiano e il Centro italiano per il film etnografico e sociologico (1953), fino alla prematura morte del maestro, nel 1965». Si veda Tullio Seppilli. L’antropologia medica “at home”: un quadro concettuale e la esperienza italiana. Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica, nn. 15/16, ottobre 2003, p. 26.
[003]. Il Caffè senza porte, il Pedrocchi, il prato senza erba, Della Valle, il santo senza nome S. Antonio.
[004]. Cfr. Tullio Seppilli. L’antropologia medica “at home”: un quadro concettuale e la esperienza italiana. AM. Op cit., Note «Sul terreno di questa etnopsichiatria italiana “at home” di influenza demartiniana si sono via via mossi numerosi ricercatori: da una matrice antropologica, ad esempio, Vittorio Lanternari, Alfonso Maria Di Nola, Mariella Pandolfi, Donatella Cozzi, e da una matrice psichiatrica Giovanni Jervis, Michele Risso, Sergio Mellina, Piero Coppo, Roberto Beneduce, Giuseppe Cardamone, Salvatore Inglese, Virginia De Micco…», p. 24.
[005]. Di tradizioni democratiche, questa Universita della “Sapienza”, ogni tanto finisce sulle cronache per essere oggetto di assalti neofascisti com’è avvenuto di recente (maggio 2019). Era stato invitato il sindaco di Riace (RC), Mimmo Lucano, a parlare della sua esperienza d’integrazione, repressa dal ministro di polizia. Personalmente ricordo di essere stato testimone, molti anni fa, perchè ero di guardia alla “Neuro”, di un altro assalto di estremisti di destra a “Lettere” che esitò nella morte dello studente di Lettere ex scout, Paolo Rossi, di 19 anni per un pugno ricevuto. Era il 27 aprile 1966 e osservavo le scorrerie antidemocratiche per i viali dell’università dalla “Radiologia della Neuro”. Stavo guardando delle lastre col Collega Pasquale Silipo, neuroradiologo, quando fummo richiamati dagli schiamazzi. «Ma guarda cosa si deve vedere dopo 20 anni di fine del regime!», fu il suo commento che ancor mi torna alla mente.
[006]. Cfr. Sigmund Freud: Die Zukunft einer Illusion. Leipzig, Wien und Zürich: Internationaler Psychoanalytischer Verlag 1927. In italiano Sigmund Freud. L'avvenire di un'illusione. Curatore Stefano Mistura. traduttore Enrico Ganni. Einaudi 2015. Si veda anche Sigmund Freud e Oskar Pfister, L'avvenire di un'illusione. L'illusione di un avvenire, traduzione di Sandro Candreva, collana Temi, Bollati Boringhieri, 1990.
[007]. L’idea di avvicinarsi all’ipnosi come cura delle psiconevrosi, ce l’aveva in testa fin da quando aveva riflettuto sul magnetismo animale e sui prodigi parigini intorno al baquet del medico tedesco di Moos (Baden-Württemberg), vicino al lago di Costanza, il dott. Franz Anton Mesmer (1734-1815), ottimo suonatore di glassarmonica e rabdomante, generalmente ritenuto il precursore dell’ipnosi. Freud pensa a un metodo clinico da applicare alla cura dell’isteria quando rientra a Vienna, e nell’autunno del 1886 aprendo il suo studio privato, inizia a dare suggerimenti a Josep Breuer che sta trattando il celebre caso conosciuto come “Anna O.”, nome fittizio attribuito a Bertha Pappenheim. Nell’estate del 1889, per quella sua natura scrupolosa, andò anche a Nancy per documentarsi sulle esperienze ipnotiche di Ambroise-Auguste Liébeault (1840-1904), un medico della Mosella ed Hippolyte Bernheim (1840-1919), un alsaziano di Mulhouse, ma non cambiò idea. Intuì però che la sfera incoscia dell’Es o Id celava istanze intrapsichiche ossia "processi mentali" d’incalcolabile potenza che andavano raggiunti e liberati assolutamente senza l’ipnosi, la quale rimuoveva tutto al risveglio. Per completare il minirichiamo storico, aggiungeremo che, a partire dal 1902 nella sua casa viennese (Berggasse 19) si effettuano le “riunioni del mercoledì” che, pian piano, raccolgono un gruppetto di seguaci, tra cui Jung, Jones, Abraham, Ferenczi. Ha così inizio il processo di diffusione mondiale della psicoanalisi, per la cura delle psico-nevrosi.
[008]. Jean-Martin Charcot. La fede che guarisce op. cit. pp. 6-7.
[009]. Id. Nella nota 2 a p. 6 leggiamo «Su questa significativa pratica esercitata dai re di Francia e d’Inghilterra, nata nel Medioevo e durata fino almeno al ‘700, è da vedere il classico testo di Marc Bloch Les rois thaumaturges. Études sur les caractères surnaturel attribué a la puissance royale particulièrement en France et en Angleterre. Istra Paris 1924 [ed. it.: I re taumaturghi. Studi sul carattere sovrannaturale attribuita alla potenza dei re particolarmente in Francia e in Inghilterra, trad. dal francese di Silvestro Lega prefazione di Carlo Ginzburg, con un Ricordo di Marc Bloc di Lucien Febvre, Torino 1973]».
[010]. Alessandro Lupo (Roma, 1958). Dipartimento di Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo, docente di discipline Demoetnoantropologiche, Facoltà di lettere e filosofia di Roma “La Sapienza”. Ha iniziato le sue ricerche con Italo Signorini (1935-1994) che lo portò con sé, giovanissimo, in spedizioni sul campo in Messico.
[011]. Massimiliano Minelli (Perugia, 1966). Professore Associato di Antropologia Culturale Università degli studi di Perugia Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione. Di questo autore si veda: Santi in laboratorio. Pratiche collettive di trasformazione e politiche della sanità in un centro di salute mentale. Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica, nn. 15/16, ottobre 2003, pp. 127-204.
[012]. Pino Schirripa (Martone, RC, 1960). Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo, docente Discipline demoetnoantropologiche. Facoltà di lettere e filosofia di Roma “La Sapienza”. Ha iniziato le sue ricerche con Vittorio Lanternari. Di Pino Schirripa si veda: Profeti in città. Etnografia di quattro chiese indipendenti del Ghana. Editoriale Progetto 2000, Cosenza, 1992.
[013]. Giovanni Pizza. (Nola, Na, 1963). Dipartimento di filosofia,scienze sociali, umane e della formazione. Scuola di specializzazione in beni demoetnoantropologici, Università di Perugia. Iter formativo: Laurea all’Orientale di Napoli con Alfonso Maria Di Nola. Diploma presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales, Parigi (D.E.A.). Dottorato di ricerca con tesi Saperi sul corpo ed esperienze culturali della malattia. Una ricerca in Campania (Vallo di Lauro AV) Tutor Cristina Papa, coordinatore Alberto Maria Cirese. Commissione Tullio Seppilli, Pier Giorgio Solinas, Mariano Pavanello (1994).
[014]. “Tagghiari lu scantu”, togliere lo spaveno traumatico. A Castellamare del Golfo (San Vito lo Capo) si esercitava un cerimoniale popolare del tutto particolare che si trova a metà strada tra la pratica  medica, la magia e l’esorcismo. Si veda l’opera del famoso medico palermitano, antropologo e scrittore Giuseppe Pitrè (1841-1916). Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane.
[0015]. Si rinvia ad Aldo Giannini. Modalità esistenziali e situazioni prepsicotiche schizofreniche. POL.IT  23 marzo 2019, introduzione di Sergio Mellina.
[016]. Si veda in Biblioteca di “LARES” Nuova Serie ▪ vol LXII ▪ Monografie Tullio Seppilli Scritti di Antropologia Culturale II La festa, la protezione magica, il potere. A cura di Massimiliano Minelli, Cristina Papa. Leo S. Olschki, Editore, Firenze, 2008, pp 641-646: «Nota sulla fattura come sindrome psicosomatica. Da un documento presentato al Consiglio Nazionale delle Ricerche il 28 settembre 1966, “Universita` degli Studi di Perugia. Annali della Facolta` di Lettere e Filosofia. 2. Studi Storico-Antropologici», vol. XVI-XVII, nuova serie vol. II-III, 1978-1979/1979-1980 [1985], pp. 101-110. Il documento che qui si pubblica con lievissimi ritocchi formali faceva parte, in origine, del materiale informativo scientifico allegato in appendice alla «richiesta di contratto per lo svolgimento di un programma di ricerca» (titolo: Ricerca sulla collezione Bellucci di amuleti e altri strumenti magici). La richiesta – insieme al progetto scientifico e finanziario della ricerca, all’appendice informativa e al resto dei documenti di rito – venne inviata al Comitato per le scienze storiche filosofiche e filologiche del Consiglio nazionale delle ricerche il 28 settembre 1966. Essa ebbe tuttavia esito negativo (comunicazione del CNR del 28 giugno 1967)”.
[017]. Pizza Giovanni. Antropologia Medica, saperi pratiche e politiche del corpo, Carocci, Roma, 2005. Questo libro oltre ad avere funzione didattica per neofiti di Facoltà umanistiche e scienze antropologiche, si rivolge a dirigenti e operatori di salute mentale che lavorano in aree dove soggiornano immigrati esteri e soggetti rom, con finalità di formazione medico-professionale e assistenziale. È un testo di base, che intende fornire elementi introduttivi per lo studio e la comprensione dell'antropologia medica. Contribuisce anche ad una giusta e adeguata circolazione di strumenti e idee per affrontare la complessità dei processi politico-culturali che coinvolgono i corpi e le istituzioni, il rapporto fra salute/malattia, ineguaglianza sociale, esperienza del dolore, processi terapeutici, strategie di cura.
[018]. Ci si riferisce alla serie di lezioni "Dallo schiavo al robot Lavoro, macchine, automazione" prima giornata, iniziate dal Prof. Remo Bodei a Napoli il 25.06.2018 all’Istituto Italiano di Studi Filosofici, Palazzo Serra di Cassano, attualmente diretto da Massimiliano Marotta che lo ha brevemente introdotto, ricordandone la cordiale accoglienza ricevuta a Bruxelles in occasione di una sua pubblicazione sull’europeismo di Luigi Einaudi che doveva effettuare frettolosamente con Arturo Martorelli. Rammenta, tra l’altro, che Remo Bodei in quella occasione gli fece anche da chaperon, gourmet  e sommelier.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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