Nell’ambito dello sviluppo ed implementazione dei processi di umanizzazione dei percorsi assistenziali, l’inserimento della figura dello psicologo nei reparti ad alta criticità si configura come componente fondamentale.
Il modello biopsicosociale di cura che prevede la presa in carico globale del paziente, in linea con la definizione di salute secondo l’OMS (“La salute è uno stato di completo benessere fisico, psicologico e sociale e non mera assenza di malattia o infermità”, 1948), promuove l’“umanizzazione” dell’assistenza riconoscendo al paziente il diritto di avere risposte non solo ai bisogni organici ma anche a quelli psicologici, rappresentando inoltre un valore aggiunto all’azienda ospedaliera.
Uno degli obiettivi principali è finalizzato al miglioramento della qualità globale dei processi di cure e care e di assistenza dei pazienti, dei familiari e del personale sanitario.
Oggigiorno il clinico si trova ad affrontare la patologia di un paziente confrontandosi non soltanto con il dato biologico, ma con l’insieme delle dimensioni e delle caratteristiche del soggetto che comprendono anche il suo contesto emotivo – affettivo, culturale e sociale. Accogliere la sofferenza emotiva dei pazienti affetti da una patologia organica, talvolta fortemente invalidante, dovrebbe richiedere l’intervento coordinato di una équipe multidisciplinare, in grado di attuare interventi sanitari, psicologici e sociali.
Nello specifico, l’attività diagnostica di una U.O.C. di Nefrologia e Dialisi è finalizzata all’accertamento di malattie renali. A tale scopo vengono eseguiti esami ematochimici e strumentali ed in caso di necessità si ricorre alla biopsia renale. A questa unità operativa afferiscono tutti quei pazienti che presentano eventi acuti correlati con patologie nefrologiche; le principali patologie di competenza sono: l’insufficienza renale acuta e cronica, le glomerulonefriti, le nefropatie ereditarie (malattia policistica) e in corso di malattie sistemiche (lupus, neoplasie etc..), gravi alterazioni elettrolitiche, la nefropatia diabetica, l’ipertensione arteriosa associata a insufficienza renale, le complicanze acute in corso d'insufficienza renale cronica in trattamento conservativo o sostitutivo (dialisi o trapianto renale), le complicanze vascolari del paziente emodializzato.
DALLA INSUFFICIENZA RENALE ALLA DIALISI
L’insufficienza renale cronica (IRC) rappresenta una condizione caratterizzata da una perdita permanente e progressiva della funzione renale. Le uniche alternative percorribili sono: la terapia dialitica e il trapianto, ove ve ne siano le condizioni. Entrambe le metodiche sostitutive, l'emodialisi e la dialisi peritoneale, portano inevitabilmente ad uno scadimento della vita del paziente, non solo da un punto di vista fisico, ma anche da quello emotivo – affettivo.
Altra alternativa alla IRC è il trapianto di rene, possibile solo qualora vengano soddisfatti tutti i criteri di idoneità; esistono due tipi di trapianto: da donatore vivente e da donatore deceduto. Essendo la richiesta di organi molto superiore all’offerta di reni da donatore deceduto, l’unica possibilità alternativa è rappresentata dalla donazione da vivente. In questa modalità di trapianto il primo passo da effettuare consiste nel sottoporre ad un iter valutativo piuttosto complesso donatore e ricevente da parte di équipe multidisciplinari. Entrambi devono essere informati dei rischi e dei benefici relativi a tale forma di intervento.
IMPLICAZIONI PSICOLOGICHE DEL PAZIENTE NEFROPATICO CRONICO
Il paziente affetto da IRC richiede una presa in carico globale e a lungo termine (OMS, 1948); si tratta di un paziente costretto a modificare profondamente il proprio stile di vita e a ridefinire i concetti di spazio, ma soprattutto di tempo: il tempo infinito della seduta dialitica con la consapevolezza che non costituisce semplicemente una cura, ma un trattamento indispensabile, conditio sine qua non per sopravvivere, con l’aggravante che va ripetuta all’infinito. Il paziente avverte la discontinuità dal suo status sociale, familiare e lavorativo precedente e comincia a dipendere dal trattamento emodialitico; alla condizione di insufficienza renale si affiancano enormi fattori di stress come il regime alimentare, che deve essere rigidamente adattato ad una terapia dietetica, le limitazioni funzionali, la difficoltà nella gestione del proprio lavoro, la dipendenza da familiari ed operatori sanitari, gli effetti collaterali delle terapie e la paura della morte. La presenza di tali fattori concorre allo sviluppo e al mantenimento di un quadro depressivo. La progettualità è infranta e diventa necessario intraprendere una riformulazione dell’immagine di sé i cui tempi sono scanditi dalla dialisi e che comporta una perdita della propria autonomia. Il paziente organizza e pianifica i propri programmi adeguandosi ai tempi istituzionali delle cure, in una costante ricerca di equilibrio e avendo come leitmotiv il tema della perdita. Oltre a gestire complessi vissuti emozionali, come rabbia e paura, e dinamiche relazionali alterate, il paziente si trova a sperimentare una significativa deflessione del tono dell’umore legata a frustrazione e senso di impotenza. La percezione di non avere alcun controllo sul proprio stato di salute porta il paziente ad abbandonare qualsiasi possibilità di gestire attivamente la malattia aggravando ulteriormente il quadro depressivo ed incrementando così anche la sintomatologia ansiosa.
IL RUOLO DELLO PSICOLOGO PRESSO L’U.O.C. DI NEFROLOGIA E DIALISI
La figura dello psicologo all’interno dell’U.O.C. di Nefrologia e Dialisi scaturisce dalla possibilità di implementare un passaggio dal modello di cura “to cure” a quello di “to care” nell’ottica del concetto di “umanizzazione” dell’assistenza, individuando la possibilità che ci si possa “prendere cura” del paziente dalla dimensione cognitiva a quella sociale ed emotivo – affettiva, oltre che organica. Tale condizione garantirebbe quindi lo sviluppo di un programma assistenziale secondo un “modello integrato” che agisce in modo simultaneo e coordinato su più livelli, mirando al miglioramento del clima complessivo del reparto, della qualità di vita dei pazienti, della relazione medico/infermiere-paziente, delle dinamiche relazionali all’interno dell’équipe, alla riduzione del burn-out negli operatori e al miglioramento dell’efficienza delle attività svolte dal Servizio Dialisi.
Una delle problematiche più frequenti nel paziente dializzato è relativa alla gestione disfunzionale delle emozioni: preoccupazione rispetto al proprio stato di salute, impossibilità ad accettare le limitazioni della propria autonomia personale, alterazioni improvvise del tono dell’umore etc..
Quale è il ruolo rivestito dallo psicologo clinico all’interno di questa U.O.C.? favorire l’adattamento ad una nuova condizione esistenziale, favorire l’espressività dei propri vissuti per promuovere il processo di accettazione e adattamento alla patologia, favorire la metabolizzazione delle emozioni e supportare il paziente nel riconoscimento e nella consapevolezza della sua ambivalenza rispetto alla dialisi, accettazione degli aspetti positivi e negativi. Non sottovalutare il ruolo prognostico di ansia e depressione nella patologia nefrologica, laddove un appropriato e tempestivo intervento psicologico può permettere la riduzione del distress emotivo e favorire la diminuzione dei livelli di ansia e depressione, innescare un adattamento virtuoso alle cure e migliorare la compliance terapeutica.
Il ruolo dello psicologo clinico assume grande rilevanza perché un accurato e corretto screening psico sociale preventivo permette di fornire al nefrologo quelle informazioni utili per adattare al paziente il trattamento sostitutivo più idoneo.
L’intervento psicologico non si pone come un protocollo standardizzato adattabile a tutti i pazienti nefropatici, ma data la variabilità individuale, va configurato come un trattamento psicoeducativo personalizzato con la finalità di facilitare anche comportamenti di self – care e modulare adeguatamente le proprie emozioni negative; l’intervento psicologico talvolta comprende anche farsi carico dei familiari. I familiari (caregivers) si trovano a gestire fisicamente ed emotivamente il proprio congiunto per garantirne la sopravvivenza. Ansia, deflessione del tono dell’umore, timore per il futuro sono solo alcuni degli aspetti che condiscono i vissuti dei familiari e non sempre hanno la possibilità di riconoscere e condividere il peso di queste emozioni che spesso sfociano in un vero e proprio disagio.
Lo specialista psicologo si fa carico anche dell’équipe curante che si trova, non solo molto spesso a confrontarsi con situazioni di grande sofferenza, ma a causa del ridotto personale a fare turni inumani e che rischia in certi casi di scivolare in veri e propri casi di burn out. Offrire la possibilità agli operatori sanitari di dare voce ai propri disagi permette di ridurre conflitti e depersonalizzazioni.
Il paziente usufruisce di un supporto specifico e professionale nelle diverse fasi che caratterizzano la patologia nefrologica, dalla predialisi all’inizio del trattamento sostitutivo, fino a tutti i momenti di difficoltà successivi.
In passato occuparsi degli aspetti psicologici, relazionali e comportamentali del paziente in trattamento dialitico era ritenuto secondario rispetto alla sua sopravvivenza; oggi si guarda anche alla qualità della vita. Negli ultimi anni è emersa una maggiore attenzione rivolta alla figura dello psicologo nel settore ospedaliero, in quanto si comprende quanto sia necessario per il paziente associare ad un benessere “fisico” un benessere “psicologico” al fine di migliorarne le sue condizioni
La letteratura offre spunti importanti per rilevare come sia indispensabile un approccio multidisciplinare e multiprofessionale.
Dato l’impatto che i fattori psicologici rivestono sul decorso dell’insufficienza renale cronica sarebbe opportuno per i pazienti che presentano tale patologia, nonché ai suoi familiari e al personale sanitario stesso, avere la possibilità di ricevere un valido intervento supportivo di tipo psicologico che li aiuti ad accettare la presenza di una malattia cronica, a migliorare le strategie di coping per meglio adattarsi ai cambiamenti che essa comporta nella loro esistenza e a ridurre gli effetti di distress emotivo.
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