Dialogo con Sarantis Thanopulos
Bollorino: “Cominciamo dalla psicoanalisi come pratica clinica e istituzione: sedute disdette, terapie via skype, convegni saltati, esami da ordinario e didatta saltati come cambia la psicoanalisi all’epoca del contagio?”
Thanopulos: “La Società Psicoanalitica Italiana come istituzione deve rispettare l’ordinanza, quindi non può mantenere le date di alcuni eventi (che rischierebbero peraltro una scarsa affluenza). Per il resto, cioè seminari, esami, discussioni scientifiche ecc., bisogna trovare delle soluzioni straordinarie, per via telematica, ma non è facile approntarle in questa situazione di emergenza che, diciamolo pure, complica ogni cosa. Ma si lavora in questa direzione.
Per quello che riguarda il lavoro di noi analisti è inevitabile che dobbiamo adattare le condizioni del loro lavoro alle circostanze attuali che impediscono, o rendono molto difficile, a una parte dei nostri analizzandi di raggiungere i nostri studi. Persone che sono in quarantena per essere venuti a contatto con soggetti contagiati, donne incinte, persone anziane, persone immunodepresse o che hanno familiari in condizioni molto precarie di salute. Ci sono poi analizzandi fobici che non riescono a affrontare la paura e non possono essere lasciati a se stessi perché è abbastanza evidente che l’emergenza si protrarrà. L’uso di Skype, videochiamate wattsapp, sedute telefoniche (a seconda di quello che l’analizzando preferisce o anche l’analista) non sostituisce certo l’analisi, e se la situazione attuale andasse molto per le lunghe, ci sarebbero delle difficoltà innegabili. Consente la prosecuzione transitoria di un lavoro che altrimenti potrebbe deragliare e la possibilità di un sostegno psichico indispensabile.
La cosa importante è che l’analista non scambi l’intervento eccezionale con la normalità, non interiorizzi la logica dell’emergenza. Non scambi, in altre parole, lo stato d’eccezione con la vita vera. Per questo è importante che per tutti coloro che in seduta possono venire l’analista resti al suo posto e li accolga, prendendo le precauzioni necessarie. Nella misura in cui accoglie più persone in un giorno, l’analista è più a rischio del singolo analizzando, per cui capisco perfettamente i colleghi, soprattutto quelli che obiettivamente sono più vulnerabili alle conseguenze del contagio, che preferiscono limitare il loro lavoro alle sedute fatte a distanza. Personalmente preferisco vedere da vicino tutti i miei analizzandi in grado di venire (al momento la maggioranza), non perché mi senta invulnerabile, la mia età (68 anni) non me lo consente, ma perché penso che pur nella sua pericolosità, nella battaglia dei nostri corpi contro il virus le probabilità restano parecchio dalla nostra parte. Siccome potremmo tutti ammalarsi è meglio non concentrarci solo sul contenimento del virus (che malauguratamente potrebbe riuscire parzialmente) ma anche prepararci psichicamente a affrontare una potenziale malattia.”
Bollorino: “Passiamo ai vissuti: cosa portano in seduta i pazienti?”
Thanopulos: “Naturalmente, da vicino o nelle sedute a distanza, tutti parlano del Coronavirus. Chi perché ne ha paura, chi perché inevitabilmente invade la sua vita, come la vita di tutti. Gli atteggiamenti variano: eccesso di paura, preoccupazione ma con una certa serenità, fatalismo, insofferenza verso il clima di paura e di limitazioni delle proprie relazioni, ma senza negazione del pericolo. Nell’insieme il rapporto con l’analisi regge bene ed è valorizzato nella sua funzione. Pochi i sogni direttamente collegati al tema del virus (presente nel testo ‘manifesto’), molti quelli in cui esso è presente nel testo “latente” o quelli che lo usano come “residuo diurno”. In generale è molto attivo il tema del “coinvolgimento”erotico e affettivo inconsciamente vissuto come sinonimo di contagio: la paura di trasmettere il proprio coinvolgimento all’altro o di esserne coinvolti.” Il “virus” psichico vero è proprio la difesa dal coinvolgimento che invade il mondo interno diffondendo inerzia.”
Bollorino: “Le persone in giro sembrano muoversi tra negazione e paura che deraglia verso la fobia, perché salta il Test di realtà in situazioni come queste?”
Thanopulos: “È proprio così, ma questo accade tutte le volte che le misure profilattiche, contenitive di qualsiasi tipo vengono imposte in modo improvviso, troppo drastico, rigido e censorio e non lasciano alcuno spazio all’interpretazione soggettiva. Sono controproducenti. Creano negli uni una paura irrazionale nei confronti di un’unzione che supera ogni pericolo reale e imprimono negli altri lo stigma, a cui si ribellano, di essere untori.
La campagna “Io resto a casa, se non per andare a fare la spesa” non solo è di fatto inapplicabile (crollerebbe il sistema del nostro paese), ma è tutta centrata sulla sopravvivenza fisica, come se la serenità psichica e il mantenimento dei legami affettivi fossero un lusso superfluo a cui si può impunemente rinunciare o da coltivare solo in famiglia. Se si tiene conto del fatto che lo stato di emergenza non è definito nella sua durata, che resta nell’incertezza, e della precarietà creata dalla crisi socioeconomica in cui siamo immersi, e quindi del grado di fragilità emotiva in cui vivono i cittadini, si può ben capire che la solidarietà a cui si fa appello, e di cui abbiamo bisogno come dell’acqua, è vulnerabile e che l’invocazione della responsabilità non ci rende responsabili automaticamente.
Si impone, peraltro, come scientifica e per di più come verità inesorabile e implacabile (di cui nessuna scienza, per fortuna, è capace), attribuendole un carattere quasi mistico, la necessità di puro buon senso di applicare una politica di restrizione dei contatti sociali che potrebbe però funzionare solo in parte (perché la diffusione del virus non è tanto prevedibile). Non mi sembra questo il miglior modo di preparare i cittadini a una eventuale manifestazione della malattia su larga scala, quando i nervi saldi e la fiducia nella possibilità di combatterla, e non solo contenerla, avranno un ruolo decisivo.
Credo che le misure sarebbero più efficaci se si tenesse conto della psicologia collettiva, non nel senso strumentale e manipolativo in cui il populismo ci ha abituati, ma nel senso di un adeguato ascolto del desiderio di tutti di non smettere di vivere, di mantenere un minimo necessario di vita sociale (quando non ci sono controindicazioni specifiche) che ci aiuti a non deprimerci o aggrapparsi all’invocazione di un ordine a tutti i costi. Per motivi che riguardano il futuro della democrazia i paesi democratici non possono usare metodi cinesi (che, a dire il vero, non sappiamo che cosa hanno effettivamente prodotto).
Penso che le misure cautelari siano necessarie, ma se producono un assetto psichico collettivo fobico, come a tutti è evidente, da sempre attratto dai poteri forti, e a cui un assetto trasgressivo non pone rimedio, peggiora solo le cose, c’è qualcosa che non sta funzionando bene.
Bollorino: “La maschera della Morte Rossa” di E. A. Poe sembra la metafora delle movide che si cerca di bloccare. Cosa serve per creare consapevolezza matura nelle persone specie nei giovani?”
Thanopulos: “I giovani sono stati da anni abbandonati all’eccitazione come modo antidepressivo di vivere, alla precarietà del futuro e al bisogno di distrazione. Come fa una parte di loro a essere consapevole e responsabile quando sono stati spinti nella direzione opposta? La negazione è stata la loro unica possibilità contro la sottrazione del loro avvenire. Eppure i giovani possono essere la nostra risorsa più importante se parallelamente al contenimento del contagio, che non può affidarsi al coprifuoco oltre un limite, ci preparassimo a fronteggiare al meglio possibile la malattia stessa.”
Bollorino: “Sembra un film di fantascienza ma la realtà è che non siamo preparati al contagio che ne pensi?”
Thanopulos: “È proprio così. E dobbiamo prepararci, Abbiamo concentrato quasi tutti i nostri sforzi nel contenimento del contagio (il cui costo sarà altissimo), ma ora dobbiamo combattere la malattia. Con tutti i mezzi provvisori a nostra disposizione e costruendo mezzi più validi, al tempo stesso. Sono convinto che pur con dolorose perdite, a cui tutti siamo esposti, ce la faremo.”
Bollorino: “Cosa potrebbe lasciarci di positivo questa esperienza che obtorto collo ci tocca di vivere?”
Thanopulos: “La solidarietà vera, autentica tra di noi, se eviteremo la strumentalizzazione delle paure e gli atteggiamenti retorici o moraleggianti, e la determinazione di affrontare i problemi strutturali del nostro paese e del mondo che sono stati lasciati a se stessi a incancrenire. A partire, per fare un solo esempio, dalla comprensione che il sistema sanitario non è sistema di profitto, o una qualsiasi voce del bilancio, ma un pilastro della nostra civiltà. Il nostro personale medico sanitario è generalmente eccellente e quando occorre eroico (i giovani precari sono al tempo stesso motivo di orgoglio e l’evidenza vivente di un sfruttamento vergognoso), ma le carenze di organico sono macroscopiche e la riduzione drastica delle strutture ospedaliere un errore che, se non corriamo subito ai ripari, pagheremo molto caro.”
Bollorino: “La peste del 1300 ci ha “regalato“ il Decameron cosa potrebbe regalarci in positivo questa guerra al CoronaVirus?”
Thanopulos: “La peste è stata molto più distruttiva del Coronavirus e questo conviene ricordarlo. Tuttavia il Coronavirus è il sintomo di una malattia del nostro vivere ben più temibile della peste: l’estremo degrado ambientale, le condizioni disumane in cui vive la grande maggioranza della popolazione mondiale, la spersonalizzazione crescente delle nostre esperienze e la desolazione in cui la distruzione degli spazi reali di incontro tra di noi ci spinge. Se questa malattia progredirà, le emergenze, non solo sotto forma di pandemie, diventeranno la nostra vita normale e il Coronavirus ci sembrerà una semplice irritazione nasale. Il Coronavirus potrebbe regalarci il “mai più”, la ferrea volontà di vivere con intensità e dignità, non vivere per morire già morti. Ma il regalo ce lo dobbiamo meritare e saranno i giovani a chiamarci, e già ci chiamano, a una vera consapevolezza e responsabilità perché essi non vivono solo nelle movide. Sempre di più rivendicano un mondo a misura, e non dismisura, d’uomo. L’altro regalo che potremmo avere è la fiducia nel pensiero critico senza il quale non si vive”
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