Titolando il presente breve ricordo “la mia alleanza con Tullio Seppilli”, ho preso a prestito l’intestazione di un vecchio lavoro di Vittorio Lanternari nei confronti di Ernesto de Martino [01]. Premesso che non sono un antropologo culturale, strictu sensu, pur essendomi appassionato a quelle tematizzazioni per aver lungamente coltivato e praticato l’etnopsichiatria [02], una sorta di specializzazione della scienze umane applicate alle culture della salute, anche a livello accademico (“Ca Foscari”, Venezia), ne dirò brevemente le ragioni. Intanto le affinità di una ricerca antropologica storico-culturale, affatto particolare, riconoscendo a Ernesto de Martino l’originalità del precursore e del corifeo, per essere stato il primo a nascere e a pensare certe cose e, purtroppo, anche il primo a lasciarci precocemente, dopo una vita breve, febbrile, geniale, intensa, di lavoro rivoluzionario, durato appena 57 anni. Indagini, quelle (le loro), meticolose e dettagliate sull’area salute/malattia/ritualità apotropaiche, nelle popolazioni del Mezzogiorno italiano. Studi, attenti alla comparazione con le antiche tradizioni popolari e alla persistenza di residui delle stesse, mescolati, anzi attorcigliati, meglio ancora, strettamente interconnessi in una sincretica complicità con la tradizione cattolica. Dove la tolleranza – apparentemente reciproca – è stata in realtà asimmetrica, ovvero “subalterna”, finché è durato quel dato periodo storico, ora completamente deviato verso altre crudeli derive di subalternità [03]. Su tutto, ha sempre dominato l’interesse del ricercatore per le condizioni di vita dei soggetti sui quali ha sempre poggiato quella che comunemente chiamiamo scala sociale. Le dure condizioni dell’esistenza che si svolgono tra la vita e la morte, dove aleggia – ubiquitario e immanente – il potere della magia, come pane quotidiano della certezza e della speranza degli ultimi, quella condizione che de Martino ha indicato lucidamente come “crisi della presenza e destorificazione del negativo”.
Il presente scritto per Seppilli, come ritengo fosse quello di Lanternari per de Martino (di cui entrambi furono allievi), vuole essere una testimonianza della profonda stima, peraltro reciproca, e della lunga amicizia col grande maestro padovano, per quelle due o tre cose che so di lui, che mi ha insegnato, e non ho mai smesso di ricordare. Un maestro-compagno di strada, apparentemente bonario e tranquillo, ma tenace e risoluto nelle convinzioni. Un fratello maggiore, in salsa carioca, come l’ho sempre pensato, per la terribile esperienza patita quando aveva 10 anni. L’espatrio in Brasile, infatti, che mise a profitto per arricchire la sua particolare disponibilità ai sincretismi culturali, con grande vantaggio per noi tutti e la sua scuola, fu causato dal crimine di quelle leggi razziali, perpetrato in Germania dal “caporale” Hitler, nel 1935 e, in Italia dal “bersagliere” Mussolini e dal “re soldato” Vittorio Emanuele III di Savoia, nel 1938.
Ho voluto sottolineare, precisare, rimarcare, additare tutti i protagonisti di questa incredibile storia di morte (Todesgeschichte) scritta a partire da 85 anni fa, perchè io la ricordo perfettamente, ma si tende a dissipare pericolosamente la memoria nelle più recenti generazioni, o peggio, a negare che l’Olocausto sia mai avvenuto, e questo è semplicemente indecente. Tengo a ribadire questa mia alleanza con Seppilli anche perchè un turbinio di fosche nubi si vanno addensando sui cieli presenti.
Basterebbe citare i commenti carichi d'odio rivolti sui social a Liliana Segre, la senatrice a vita superstite dell'Olocausto e attiva testimone della Shoah italiana o le pubbliche offese rivòltele all’inaugurazione dell’anno accademico 2019-202 alla “Sapienza”, dinanzi al capo dello Stato Sergio Mattarella. Ma anche l’anacronistica richiesta di abolizione della “legge salica", per la dinastia Savoia, avanzata dal principe Emanuele Filiberto. D’accordo, sono dettagli che, nondimeno, marcano l’insieme, ma l’insieme, che non è un dettaglio, ripropone tragedie antiche, solo che si pensi alla fresca strage di febbraio del “suprematista” germanico ad Hanau, nell’Assia tedesca [04].
Un altro fatto recente mi ha fatto tornare alla mente la mia alleanza con Tullio Seppilli: il teatro, il famoso teatro di Torre Spaccata del Corso biennale [05] dove lui tenne la lezione magistrale pubblicata da Bollorino su Pol.It. on line [06], ma anche Vittorio Lanternari, Alfonso Maria Di Nola, Enrico Pugliese e molti altri protagonisti di una ricca stagione di antropologia socio-culturale le cui voci (e commenti) ancora giacciono imprigionate nei nastri delle cassettine di registrazione. Sempre in febbraio di questo 2020, hanno mandato in onda (RAI Tg3) un servizio su una Onlus romana [07] che si occupa di “ultimi”. Un centro di cure primarie e di accoglienza per minori stranieri non accompagnati e romani vulnerabili. Un centro comunale antiviolenza per donne gestito da sole donne. L’ospitalità era possibile anche per anziani bisognosi di assistenza. La struttura che rendeva possibile anche un eventuale ricovero era la Casa di Riposo “Bruno Buozzi” [08]. Ho fatto un balzo sulla sedia per la famigliarità dei luoghi. Ho riconosciuto immediatamente la vasta area dell’ex Collegio ENAOLI in Via di Torre Spaccata 157. Oltre sette ettari di territorio nella zona di Roma ora chiamata il Municipio Roma VI delle Torri (ex VIII). Vi ho lavorato per vent’anni, dedicandoli pressoché interamente alla costruzione dei sevizi territoriali della salute mentale, dopo (e senza) il manicomio [09]. La cosa che mi ha colpito maggiormente è stato vedere la compresenza dei quattro livelli classici di assistenza territoriale: a) strutture residenziali, b) semiresidenziali, c) ambulatoriali d) documentazione, certificazione, assistenza e difesa sociale. La mitica globalità dei servizi alla persona con problemi mentali (dalla neonatalità alla vecchiaia) – che oltre 40 anni fa – per noi della “180”, quelli della prevenzione, tutela, cura presa in carico e riabilitazione della salute mentale era stato un mito, poi logorato e forse oggi definitivamente tramontato. Lì sembrava realizzato, e io ricordo di averci visto lavorare, in un lontano passato, quelli della comunità “Emmaus Roma”. Mi pare che ora, gli attuali operatori sanitari di cui si diceva nel servizio, facciano tutti capo alla “Onlus Sulla Strada. Intersos 24”. Essa dovrebbe rappresentare la sinergia positiva tra il pubblico, la Regione Lazio, proprietaria dell’immobile, e il privato-sociale “Intersos”. Mi auguro per loro e anche per noi, che tutto, al fiorire del primo ventennio del secolo XXI, funzioni e senza eccessivi intoppi.
Con Tullio Seppilli ci eravamo conosciuti nel 1956 all’EUR, presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (attuale sede del Palazzo delle tradizioni popolari) che mutava intestazione. Abbandonava quello di "etnografia" per meglio illustrare sinteticamente, in dieci sezioni, gli usi, i costumi, le credenze, le manifestazioni e gli aspetti più significativi e caratteristici delle tradizioni popolari italiane. Successivamente, nel 1981, in quella sede si tenne, per iniziativa di un gruppo di studiosi della materia fra i quali Fabio Troncarelli e Guglielmo Lützenkirchen (prevalentemente storici, antropologi, demologi, etnografi, sociologi e medici), una Mostra intitola “Mal di Luna”, dedicata alle malattie nervose e mentali nella società contadina italiana. Non c’era soltanto la possibilità di osservare oggetti di lavoro e foto del lavoro rurale, ma anche la partecipazione ad una serie d’incontri su argomenti a tema, di medicina popolare e trattamenti tradizionali, come “l’immagine della follia”, “la cura dell’epilessia”, “le possessioni demoniache”, ed altre manifestazioni terapeutiche del mondo contadino. L’evento interessò molto anche mia figlia Chiara, già allieva della scuola romana di storia delle religioni, che mi trascinò fin là e ancora glie ne sono grato. Conservo ancora un volume con la pubblicazione di vari saggi, intitolato Mal di Luna. Folli, indemoniati, lupi mannari: malattie nervose e mentali nella tradizione popolare. Roma, Newton Compton, 1981, curato da Guglielmo Lützenkirchen, con un saggio introduttivo di Alfonso M. di Nola. Di quest’ultimo autore, POL.It Psychiatry on line Italia ha pubblicato un saggio curato da chi scrive [10].
Con Tullio, le nostre frequentazioni non erano nè assidue nè frequenti, ma avvenivano nei momenti strategici per le mie necessità didattico-formative nei confronti del personale del DSM. Tra l’altro seguiva ed era sempre molto bene informato sulle cose “rivoluzionarie” (soprattutto storiche) della psichiatria umbra, fin dall’epoca di maggiore notorietà dei “basagliani”. Come autorità indiscussa (anche accademica) di “antropologia medica”, Tullio Seppilli, era particolarmente appassionato – oltre che critico lucidissimo – alle vicende della contestazione della psichiatria asilare e al lavoro nei Centri d’Igiene Mentale (CIM), quello sul territorio. Non solo nel centro Italia (praticamente, per lui, sotto casa, a Perugia), a settentrione e a mezzogiorno [11], ma anche all’estero. Il movimento antimanicomiale pre-settantottino, del Novecento, era molto affollato e molto eterogeneo, con protagonisti europei e statunitensi, carismatici clamorosi, ed altri meno. In Italia, una citazione a parte, merita l’originale contestazione del palmese Sergio Piro (1927-2009) durante la stagione di lotte per la chiusura dei manicomi; a tal punto vivace da portarlo al licenziamento dal “Materdomini” – succursale nocerina della ex “Real Casa dei Matti” di Aversa – non senza aver segnalato, però, la sua micidiale provocazione culturale Il linguaggio schizofrenico, Feltrinelli, Milano, 1967. Tutto ciò premesso – anzi – epochizzato Piro, spesso lasciato in ombra, a scontare le sue vampate narcisistiche individuali che non gli furono mai perdonate e lo condussero all’isolamento – possiamo dire che c’erano fondamentalmente due orientamenti uno più presente nel dibattito nazionale e internazionale, l’altro meno. Il primo, per intenderci, quello animato da Franco Basaglia, “Gionni” Jervis, Agostino Pirella, Antonio Slavich, ecc. Il secondo formato da un collettivo tenace e compatto, quello detto dei “perugini”, anch’esso estremamente rissoso (non meno del precedente), che pur molto e assiduamente presente nella popolazione del territorio, compariva meno nell’editoria nazionale, internazionale e nel mondo mediatico. Fu proprio Tullio Seppilli a suggerirmi di sfrondare i problemi di indirizzo nel superamento dei manicomi, pur nella loro eterogeneità, riducendoli fondamentalmente a due tattiche: quella iniziata dai “goriziani” negando l’istituzione (basagliocentrica) e quella attuata dai “perugini” costellando il territorio della Provincia di CIM (territorial-decentrata). Anche se i due gruppi erano al loro interno per nulla pacifici e concordi, anzi ferocemente polemici tra loro, nondimeno concorsero entrambi nell’intento di chiudere i manicomi e, di fatto, lo fecero. La linea vincente non era univoca e, praticamente, ogni regione dette il proprio contributo per giungere alla legge 13 maggio 1978, n. 180.
Ebbene, Tullio Seppilli ha conosciuto, frequentato, discusso, pubblicato e firmato inchieste, con il gruppo che stava rivoluzionando l’antico complesso del “Santa Margherita”, il manicomio di Perugia e il suo territorio. Le loro strategie furono molto diverse da quella basagliana di Gorizia, Colorno e Trieste, ch’ebbe maggior risonanza e s’intestò, popolarmente, la legge di abrogazione dei manicomi. Citiamo un po’ di nomi e riferimenti bibliografici di quella stagione molto particolare e socialmente partecipata anche da Tullio come antropologo medico, accademico e non solo. I “perugini” (come per celia erano nominati in giro, ai tempi delle contestazioni manicomiali) più conosciuti sono stati Carlo Manuali, Francesco Sediari, Ferruccio Giacanelli, Carlo Brutti, Francesco Scotti, ecc. Seppilli, era un punto di riferimento costante con gli psichiatri e con gli amministratori provinciali (Ilvano Rasimelli 1924-2015) del manicomio di Perugia. Praticamente un feudo della famiglia Agostini, i vecchi direttori dal 1904. Il temperamento di Seppilli e la sua vena narrativa erano per me ideali in assoluto, sia dal punto di vista didattico, che da quello di impostazione della metodologia di ricerca. Talmente rigorosa, come si trovasse di fronte ad un puzzle carsico di storie orali della narrazione popolare, o da sembrare un “meccano” – il giocattolo intelligente di Frank Hornby – che andava rimontato pezzo per pezzo con precisione e pazienza.
Ha detto di lui un combattivo ambientalista, Lamberto Briziarelli, igienista e accademico ternano, per ricordarlo, dopo la sua scomparsa, nel 2018 [12] «Non è facile scrivere di e su Tullio Seppilli, protagonista di una storia complessa; un uomo difficile da inquadrare, con molte sfaccettature, fortemente coerente tuttavia, sino all’ultimo dei suoi giorni. In occasione della sua morte è stato scritto di Lui in grande abbondanza anche sulla stampa nazionale, illustrando soprattutto lo studioso e di Lui dirà anche qualcuno dei suoi allievi su questa stessa rivista. Con questo mio contributo vorrei tracciare un ritratto di Tullio, un esquis a tutto tondo dell’uomo, risultante sia dalla nostra collaborazione di universitari che dalla realtà quotidiana, con una frequentazione durata diversi decenni che ha coinvolto anche le nostre famiglie. Senza dubbio Egli va ricordato anzitutto per essere un grande studioso, intellettuale aristocratico ma persona gentile e garbata nel tratto, che in prima battuta poteva sembrare umile, remissivo mentre era certissimo nelle sue convinzioni, forte nella polemica e nella critica, dotato di un’acribia quasi ossessiva».
Con Tullio Seppilli, c’incontrammo ancora, dopo l’evento del teatro di Torre Spaccata 157, di cui s’è detto sopra. Lui seguiva il mio lavoro, io seguivo le sue conferenze, in particolare quelle che teneva a Roma. Divenni socio della Società Italiana di Antropologia Medica (SIAM) e mi abbonai ad “AM”, la rivista ufficiale della Società Italiana di Antropologia Medica, pubblicazione periodica della Fondazione “Angelo Celli” per una Cultura della Salute, Perugia. Praticamente una delle creature più rilevanti (come periodico a stampa) cui Tullio era molto legato, anche per rispondere coi fatti ad una larvata critica di chi andava mormorando che i “perugini” parlassero molto più di quanto non scrivevano. Sapevo, infatti, che segnalava tutte le iniziative più importanti che si tenevano sul territorio nazionale, classificabili come etno-psichiatriche. In merito alla Rivista gli va dato atto di una impresa titanica di carattere enciclopedico alla cui direzione oggi siede Giovanni Pizza, uno dei suoi più meritevoli e prestigiosi eredi [13]. Anche questo, secondo Tullio Seppilli, era un modo di osservare, catalogare e registrare, in Italia, forme di medicina antropologica “at home”. Dunque il mio ambulatorio per gli stranieri (“Michele Risso”) e il mio Corso biennale (“Capire il disturbo mentale della persona immigrata…), a Torre Spaccata, erano tra queste. Un’ampia e dettagliata descrizione di quest’ultimo rilevante avvenimento è stata data da Giuseppe Cardamone, comparsa, a suo tempo, su AM, che riteniamo utile riportare in appendice. Non solo per essere stato tra i pionieri di questo genere di studi nel panorama culturale italiano del settore, ma anche per la sua clamorosa attualità in questo clima afasico, tetraparetico, autistico e di sconcertante autocattività imposteci dal dilagare mondiale del coronavirus.
Tullio Seppilli era un narratore formidabile, ironico e divertente. Le sue lezioni, di cui se ne annunciava il titolo, piuttosto generico, non si sapeva mai nè come sarebbero iniziate nè tanto meno come e quando si sarebbero concluse. Sta di fatto che erano affascinanti e si desiderava durassero all’infinito. Almeno per me. Da noi era venuto con la promessa che ci avrebbe parlato delle streghe della Val Nerina. Poi il titolo provvisorio fu “I guaritori popolari in Italia”, ma quando arrivò al teatro ENAOLI di Torrespaccata, cominciò la lunga mattinata con una domanda inaspettata. Riassumo approssimativamente le sue parole, sull’àlea del ricordo. “Sono sicuro che sareste curiosi di sapere cosa sono le statistiche. Bene! Non sono la conta delle galline che si sono mangiate tre persone quando ce n’erano cinque affamate! E non sono neppure le cifre che dà la polizia ad una manifestazioni di protesta rispetto ai partecipanti effettivi che si presentano con le bandiere. No! Sono le scienze dello Stato! Questa almeno era la convinzione delle truppe napoleoniche inviate ad occupare e comandare l’Italia, al seguito dei suoi numerosi parenti (di Napoleone). Più informazioni si hanno meglio si governa lo Stato. Ma più informazioni il nemico ha del tuo Stato più facilmente ti può combattere e vincere. Quello che risultava chiaro, anzi la novità rivoluzionaria più evidentemente giacobina, è stato il fatto che, codeste Scienze della Stato Repubblicano e moderno, dovessero essere studiate. In quanto alla loro divulgazione, prevaleva la tesi contraria. Chi le possedeva doveva tenersele per sé, quelle del nemico, invece, era tutta un’altra storia”.
Eppoi, dopo qualche scambio di battute salaci con l’uditorio attento, divertito, reattivo, la rigorosità della metodologia della ricerca. Vado sempre a memoria. “Di recente abbiamo fatto una indagine sulle vaccinazioni antivaiolose in Campania nel periodo di Gioacchino Murat. L’informazione raccolta dal nostro gruppo di studio in un ristretto nucleo di parrocchie napoletane, è esemplare e ricca di dettagli curiosi. In ogni modo il materiale raccolto era cospicuo, e per ogni registrazione di vaccinazione c’erano diverse schede contenute in numerosi faldoni” [14]
Nell’intervallo per il caffé un paio di uditori gli s’erano fatti d’attorno. “Professore, ci scusi, ma la faccenda delle Streghe della Val Nerina… le formule magiche” …” Guardate ragazzi che i pregiudizi sono sempre stati molto forti. Ma spesso non diminuivano neppure salendo di livello nella gerarchia accademica. Ci sono dei dettagli divertenti che rivelano il totale rifiuto alla discussione, anche per timore, penso io, camuffato dietro l’apparenza della non serietà scientifica. Pensate che qualche tempo fa, una volta, una “fattucchiera” della Val Nerina, mi regalò una bella bistecca di carne fresca. Ebbene, la donna, giurava di averla tagliata da un mese, nondimeno si era conservata in quelle condizioni di apparente freschezza, grazie ai suoi poteri magici. Potete anche non credermi, ma io la presi e la portai in Facoltà, a Perugia, pregando i colleghi del Dipartimento di chimica e merceologia di sottoporla ad analisi di laboratorio. Tutti si rifiutarono di farlo, prendendo la mia richiesta per una burlonata, ma il sottinteso, il non detto, era che fossi matto o giù di li. La magia è irrazionale e la scienza razionale rifiutava di studiarla. È una perdita di tempo! I Colleghi rifiutavano la «verifica» sperimentale, la «prova regina» della scienza”. Questo era anche Seppilli e molto di più, per quelle due o tre cose che so di lui – come ho già detto sopra – e mi sono rimaste nelle orecchie e impresse nella mente.
Lo ricordo un’altra volta a Roma ad una conferenza da lui tenuta all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in Viale Regina Elena. Vi si svolgeva, allora, un ciclo di seminari sul tema “Salute scienza ed epistemologia della complessità: un viaggio nei campi del sapere”. Così la locandina del giorno stabilito. All’Istituto Superiore di Sanità – Il giorno 5 aprile 2005 il Prof Tullio Seppilli dell’Università di Perugia terrà la seguente conferenza: “L’antropologia tra individuo e contesto”. Aula Pocchiari – ore 15-17 – C’erano due giovani antropologi Alessandro Lupo e Andrea Caprara.
Tullio Seppilli inizia il suo discorso citando il fatto che le molecole dell’acqua – chimicamente H2O – sono altra cosa da idrogeno e ossigeno. Prosegue parlando dell’ominazione che ha circa 4 milioni di anni e osserva che gli uomini, per sopravvivere, hanno dovuto organizzarsi. Meno la società è complessa più si serve della forza muscolare. Al contrario, più è organizzata, si dota di sistemi specializzati, suddivide i compiti, meno ha bisogno di muscolarità. Ricorda alla platea, attenta e interessata, che quando lui iniziò a studiare antropologia, a Roma, andava nell’edificio intitolato a Giuseppe Sergi nel 1994. La sede si trova dentro la “Città universitaria”, l’imponente costruzione fascista di marmi bianchi, la creatura razionalista di Marcello Piacentini, terminata nuova di zecca, nel 1935. L’istituto di “Antropologia-Psicologia”, s’incontra, entrando a destra da Via Regina Elena, dopo aver percorso pochi metri di viale verso il Rettorato. La cattedra – che tutt’ora mantiene la stessa sede – vi fu trasferita nel 1928 dall'antico palazzo del Collegio Romano, l'ex-convento dei Gesuiti, a due passi da piazza Venezia. Quella che s’insegnava allora – spiega Seppilli al pubblico sempre più curioso e divertito – era antropologia archeologica, statica, comunque fisica (soprattutto misurazione dei crani) e l’istituto, cupo e tenebroso, era pieno di scheletri, ossa lunghe e crani. Lui, invece, poi è approdato ad un’antropologia diversa, dinamica, più consona alle sue inclinazioni, quelle storico-sociali. Successivamente, ha rilevato come l’evoluzione biologica dell’individuo fosse differente dall’evoluzione storico-sociale dei gruppi di individui, aggregati da una cultura condivisa. La conversazione segue chiara, agevole, spedita, per oltre due ore, con battute, colpi di scena e osservazioni acutissime, veri e propri coup de théatre, di cui i miei appunti, cavati fuori dagli “scatoloni” famosi (per chi ha la bontà di leggermi), sono pieni zeppi. Qualche esempio? «Ci sono certi etnologi che hanno il “complesso” di Salgari!». Aveva incontrato lo psicoanalista Emilio Servadio, famoso per essersi interessato anche di telepatia. «Sapete cosa diceva Servadio? Raccontava di una donna che parlava a distanza col marito. Richiesta di spiegare come, rispose “Sa, noi siamo poveri, non abbiamo il telefono”». Non solo divertente, perfino comico talvolta, senza mai venir meno al profondo impegno civico e senza mai far smettere l’interlocutore di pensare, riflettere, farsi domande. «I sistemi di viventi organizzati in comunità complesse (non solo l’uomo), dispongono di modelli cognitivi, valutativi, operativi. A un livello superiore Foucault parla di sistemi di pensiero».
A mio avviso Tullio Seppilli era sempre brillante nel dialogo, nella conversazione, ma l’esercizio acrobatico in cui rifulgevano le sue migliori qualità didattiche, erano la conferenza, il simposio, il seminario. Stare nella mischia, confrontarsi con tutti, senza mai un velo di sapienza tracotante. Dunque, non volendo andare oltre per ragioni di spazio, mi limiterò a chiudere questa sua vecchia lectio magistralis accennando soltanto ad un paio di questioni, fra le più importanti. La necessità di conciliare il mondo razionale, scientifico, sperimentale, galileiano, cartesiano, ossia misurabile fisicamente, matematicamente, chimicamente – mondo poi ufficializzato dall’Illuminismo e dal Positivismo – con quello irrazionale, il mondo dei fenomeni non scientificamente dimostrabili ma che pure sono esperiti come autentici e degni di considerazione in molte culture, il primo. La necessità di confrontarsi col mondo magico, quello iniziato coraggiosamente da Ernesto de Martino, per continuare a farlo con strumenti socio e storico-culturali sempre più efficaci, il secondo. [15].
Seppilli ha insistito molto e ripetutamente con meticolose puntualizzazioni sulla definizione di antropologia “at home” e “abroad” [16]. Su cosa si dovesse esattamente intendere per “osservazioni domestiche“e “osservazioni altrove, se così si può tradurre, di antropologia medica della salute, della prevenzione, della tutela e della cura, è stato sempre molto esplicito. Finché ha vissuto, non ha mai perduto occasione per ridefinirne i luoghi, i soggetti, le contestualizzazioni storiche e gli obbiettivi che si proponevano gli osservatori rispetto agli osservati. Se, come, dove e quando il rapporto si poteva cogliere palesemente asimmetrico. Chi scriveva le osservazioni, in che lingua e su quali riviste internazionali venivano riportate. Chi dominava e chi era dominato. Se gli osservati conoscevano la lingua degli osservatori. E via osservando. Ne scaturiva una netta partizione fra il vecchio e il nuovo campo di osservazione, quello “antico” dei popoli cosiddetti “primitivi” e quello “nuovo” dei popoli cosiddetti “moderni”, della catena di montaggio, dello sfruttamento delle braccia, per l’agricoltura, ecc. Me ne aveva parlato, perchè glielo avevo chiesto, giacché mi sembrava il nodo centrale dell’evoluzione dell’antropologia medica “at home”. Erano bastate poche parole, a lui, e tutto mi era apparso subito molto chiaro, anche a me che antropologo non ero, pur lavorando nel campo delle scienze umane e sociali. Di corrispondere ci furono, invece, minori occasioni. Per esempio, questa mia lettera, restò inevasa. «Caro Tullio, Come d'accordo t'invio il testo della tua lezione al mio corso, da me sbobinata personalmente. Penso, inoltre, di farti cosa gradita accludendo, per l'occasione, anche il testo della mia relazione al Congresso della SIP di Torino, che uscirà a breve per il Centro Scientifico Editore, Torino. Vivissime cordialità. Sergio Mellina. (13 febbraio 2001). Aveva da fare, lo so, ma “AM” era pieno di segnalazioni sulle mie attività (“at home”, appunto).
Infatti: «Sul terreno di questa etnopsichiatria italiana “at home” di influenza demartiniana si sono via via mossi numerosi ricercatori: da una matrice antropologica, ad esempio, Vittorio Lanternari, Alfonso Maria Di Nola, Mariella Pandolfi, Donatella Cozzi, e da una matrice psichiatrica Giovanni Jervis, Michele Risso, Sergio Mellina, Piero Coppo, Roberto Beneduce, Giuseppe Cardamone, Salvatore Inglese, Virginia De Micco…» [17]
APPENDICE.
[Il presente testo è gia comparso, in forma sostanzialmente analoga, come Recensione di Giuseppe Cardamone su: AM – Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica, nn. 5/6, ottobre 1998, pp. 285-288, nella sezione 03. Resoconti. «… Osservatorio (dove) vengono pubblicati, sotto forma di resoconti, brevi quadri informativi su manifestazioni di diverso tipo che hanno avuto luogo recentemente in riferimento più o meno diretto a questioni di antropologia medica: congressi e convegni, tavole rotonde o seminari, corsi speciali, cicli di conferenze, mostre o rassegne di materiali audio-visuali»]
Giuseppe Cardamone. Problemi psicologico-psichiatrici delle popolazioni migranti.
“Capire il disturbo mentale della persona immigrata. Osservazione di un fenomeno emergente attraverso modelli teorici, istituzionali, operativi”. Corso di formazione e di aggiornamento per operatori della salute mentale della Regione Lazio relativo ai problemi psicologico-psichiatrici delle popolazioni migranti. Roma, 1995-1996 – Organizzazione: Dipartimento di salute mentale, Azienda Unità sanitaria locale Roma B della Regione Lazio.
Nel corso del biennio 1995-1996 si è svolto il Corso di formazione e di aggiornamento per operatori della salute mentale della Regione Lazio relativo ai problemi psicologico-psichiatrici delle popolazioni migranti. Di certo è la prima volta che in Italia si realizza un corso di formazione sui rapporti tra salute mentale e migrazione rivolto agli operatori dei servizi pubblici, in particolare del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda sanitaria locale Roma B della Regione Lazio. L’ideatore e direttore del corso “Capire il disturbo mentale della persona immigrata. Osservazione di un fenomeno emergente attraverso modelli teorici, istituzionali, operativi” è Sergio Mellina, primario psichiatra da anni impegnato su tali problematiche sia sul versante della produzione scientifica che su quello della pratica assistenziale. Mellina è riuscito a riunire e a coinvolgere attivamente in questo itinerario formativo i principali gruppi italiani di ricercatori. Clinici e operatori esperti, formati direttamente sul campo, nel corso di questi anni che hanno visto l’emergere del fenomeno immigrazione, senza che vi sia stata una effettiva capacità di risposta da parte della società nel suo complesso. Lo sforzo di Mellina è stato notevole e il successo incontrato sta ripagando l’intrapresa formativa con una buona ricaduta sul piano nazionale, che ha spinto il gruppo di lavoro costituitosi intorno a Sergio Mellina a costituire una iniziale rete informativa fra tutte le realtà italiane che operano nell’assistenza psicologico-psichiatrica ai migranti. Parte dei lavori presentati durante il corso sono confluiti nel ponderoso e coraggioso volume curato da Sergio Mellina, Medici e sciamani fratelli separati. Arte del curare tra cielo e terra: Etnomedicina, Etnopsichiatria, Antropologia della salute, con contributi di Giuseppe Cardamone – Piero Coppo – Salvatore F. Inglese – Chiara Mellina – Enrico Pugliese – Pino Schirripa (Lombardo Editore, Roma, 1997, XVI+390 pp.).
Storicamente nel nostro paese esiste una tradizione emigratoria di grande rilievo, che però non ha consentito di arginare le inefficienze e le impreparazioni determinate dalle ondate, peraltro mai contenute rispetto agli altri paesi europei, di più recenti immigrazioni extra-comunitarie, creando un clima emergenziale. Ciò ha dettato soluzioni legislative, politiche d’accoglienza e interventi sanitari inadeguati e disarticolati, anche per una particolare carenza di presidi formativi. Di fatto, un corso come quello organizzato da Mellina tenta di rispondere a quest’ultimo aspetto, certamente decisivo per i futuri sviluppi di una prospettiva di cambiamento. Entriamo, perciò, nel merito dei temi e dei processi affrontati nel corso. Concretamente esso ha innescato sia la possibilità del confronto fra realtà regionali diverse sia l’attuazione della messa in rete di rapporti, collaborazioni, informazioni, scambi, progetti, i cui frutti, di certo, non tarderanno ad emergere. La creazione di questa rete ci risulta essere tra gli obiettivi che una tale operazione vuole perseguire, dal momento che è oramai diventata quasi una necessità per i servizi sociosanitari tentare di dare una risposta alla domanda di cura proveniente da alcuni settori della popolazione, la cui provenienza etnica è differente da quella del gruppo maggioritario e dominante.
Nel nostro paese il fenomeno dell’immigrazione ha trovato impreparate gran parte delle agenzie di assistenza statale e ha fatto emergere l’attività di supplenza, limitata ma visibile, svolta dalle organizzazioni del volontariato sociale, che sembra caratterizzarsi come una specificità tutta italiana. Va comunque sottolineato, inoltre, che da più parti si riconosce come la progressiva eterogeneità etnica dei gruppi sociali richieda cambiamenti e modifiche che vanno dalla programmazione dei servizi alla modalità di erogazione degli stessi. Questo corso, fatto e pensato all’interno dei pubblici servizi, si inserisce in un momento storico del nostro paese caratterizzato da forti reazioni emotive e sociali intorno alla questione immigrazione e per tale ragione assume un valore, formativo e politico, che trascende il mero ambito disciplinare per qualificarsi come operazione di elevato significato culturale.
I temi che il corso ha proposto hanno spaziato dalle implicazioni socio-antropologiche che segnano le differenti tipologie di immigrazione alle complesse ricadute sociosanitarie delle stesse, cercando di far luce sugli aspetti delle specificità culturali e sul possibile ruolo che può svolgere in questo settore il servizio pubblico. Si è inoltre configurata l’occasione per presentare e discutere le più aggiornate revisioni degli studi e delle attività svolte nel campo della salute mentale della migrazione, dalle ricerche di Frighi e della Cattedra di igiene mentale dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” alle recenti Consensus Conferences degli anni Novanta, svoltesi a Palermo. A questo proposito è forse opportuno, in questa sede, soltanto rammentare come le più accreditate revisioni critiche della letteratura internazionale in tema di salute mentale del migrante segnalino, con una sostanziale convergenza, quanto poco o nulla si conosca sul “che fare” e “che sapere” della condizione sanitaria del migrante se si perde di vista l’insieme dei processi socioeconomici e culturali che ne costituiscono le premesse strutturali. Altro punto di convergenza è rappresentato dal ritenere che i bisogni relativi alla salute fisica e mentale del migrante non possano essere ridotti soltanto a bisogni di cure mediche o psichiatriche, per quanto sensibili e adattate alle specificità culturali esse siano.
Ciò detto va sottolineato che a livello europeo la migrazione sta disvelando l’insufficienza e l’inadeguatezza dei progetti di intervento comunitario a carattere monoculturale (da cui traspare il fondamentale etnocentrismo dei dispositivi di cura psichiatrica). L’esperienza migratoria, trasformandosi da evento individuale a imponente fenomeno collettivo, favorisce la costituzione di “gruppi a rischio” psicopatologico (circa 10 milioni di individui fra cui un impressionante numero di bambini). Tali gruppi si allineano a quelli sopravvissuti a guerre o esposti a torture. Uno scenario, questo, che richiede la messa in atto di risposte e programmi adeguati all’emergere di nuovi e più differenziati bisogni.
Queste riflessioni possono aiutare a cogliere nel giusto rilievo la tempestività del corso romano e situarlo all’interno dei discorsi e delle priorità formative nell’ambito dei rari progetti di prevenzione della e nella salute mentale. Entrando negli aspetti organizzativi e didattici, il corso si è articolato in due annualità, ognuna suddivisa in due semestri. Questo in concreto il calendario degli incontri:
Prima annualità – Primo semestre:
Luigi Di Liegro, Gilberto Mazzoleni, Luigi Frighi, Presentazione e inaugurazione del corso (12.12.1994) / Nicola Gasbarro, Giorgio Villa, Mahmudi Mansoubi, L’importanza del fattore religioso nei recenti flussi migratori in Italia (10.1.1995) / Vittorio Lanternari, Dalla critica antietnocentrica alla rivalutazione delle terapie tradizionali presso gruppi immigrati (24.1.1995) / M. Immacolata Macioti, Nicoletta Salvi, Chiara Mellina, Alfredo Ancora, Problemi di coabitazione in una società multiculturale. Esempi clinici (14.2.1995) / Gianfranco Ausili, Mauro Ferrara, Albertina Dellungo, Ugo Sabatello, Minori immigrati: aspetti psicopatologici, legislativi e assistenziali (28.2.1995) / Sergio Mellina, Aspetti clinici e terapeutici della psichiatria transculturale (14.3.1995) / Luigi Frighi, La dimensione culturale della psichiatria (31.3.1995) / Pompeo Martelli, Khosrovi Ramat, Marzouk Weib, Perché si emigra oggi. Le ragioni dell’economia, quelle della miseria, quelle della libertà: riflessi sulla salute mentale (4.4.1995) / Alessandro Fischetti, Giuseppe Cardamone, L’impatto migratorio: conflitto, diversità, identità. La situazione psicopatologica vista in accettazione psichiatrica (24.4.1995) / Piero Coppo, Pino Schirripa, Salute ed etiologia delle malattie presso culture tradizionali occidentali e non occidentali (2.5.1995) / Gilberto Mazzoleni, Antropologia della salute. La medicina tradizionale: principi generali ed esemplificazioni (16.5.1995) / Luigi Di Liegro, Salvatore Geraci, Tommaso Esposito, Immigrati in Italia: dall’accoglienza all’integrazione. L’accoglienza che non c’è: accesso e fruibilità dei servizi sanitari. Quali politiche sanitarie (26.5.1995) / Alfonso Maria Di Nola, Il senso del pudore e dell’osceno nelle varie culture (2.6.1995) / Sergio Piro, Antonio Scala, Salvatore Inglese, Giuseppe Cardamone, La migrazione come esperienza sociale a rischio e come cambio di campo antropico (20.6.1995).
Prima annualità – Secondo semestre
Enrico Pugliese, Domenica Albanese, Quanti sono gli immigrati, da dove vengono, chi li chiama, chi li sfrutta, chi li cura (29.9.1995) / Riccardo Colasanti, Luigi De Franco, Giorgio Villa, Ascoltare, capire, comunicare con l’immigrato in ambito sanitario (6.10.1995) / Chiara Mellina, Pino Schirripa, Il percorso del soggetto migrante nel mondo occidentale tra adattamento e rifiuto, tra contenimento ed esplosione del sintomo (20.10.1995) / Clara Gallini, Stereotipi etnici nella cultura popolare e di massa (7.11.1995) / Chiara Mellina, Analisi transculturale: uso e conoscenza dei servizi con particolare riguardo alle donne (24.11.1995) / Roberto Beneduce, Mara Tognetti Contesto e discussione etnopsicoterapeutica nell’approccio al paziente immigrato (14.12.1995) / Mara Tognetti, Rosalba Terranova Cecchini, Analisi transculturale: uso e conoscenza dei servizi con particolare riguardo alle donne (15.12.1995) / Pino Schirripa, Salvatore F. Inglese, Etnopsichiatria e creolizzazione delle culture. Tra globalizzazione e resistenze (19.12.1995).
Seconda annualità – Primo semestre:
Salvatore Geraci, Chiara Mellina, Approccio al paziente immigrato in ambulatorio medico (13.2.1996) / Alfredo Ancora, Pino Schirripa, Giancarlo Santone, Un viaggio al contrario (1.3.1996) / Tullio Seppilli, I guaritori popolari in Italia (22.3.1996) / Gilberto Mazzoleni, Nicoletta Salvi, Crisi psichiatrica e perdita degli appoggi culturali: due casi brasiliani (19.4.1996) / Salvatore Inglese, Vincenzo Padiglione, Concezione del male e della malattia in Calabria (30.4.1996) / Mauro Ferrara, Ugo Sabatello, Dino Bosi, Psicopatologia dell’adolescente immigrato: presentazione di due casi (14.5.1996) / Alfonso Maria Di Nola, Patrizia Fiorellino, Una strana malattia della Nigeria: “hypertityse” (29.5.1996) / Giorgio Villa, Pino Schirripa, Confusione di identità: un caso clinico “disperato” (21.6.1996).
Seconda annualità – Secondo semestre
Salvatore Geraci, Chiara Mellina, Senza fissa dimora. Ma i nomadi non sono immigrati (20.9.1996) / Enrico Pugliese, Gli immigrati tra lavoro e devianza (15.10.1996) / Delia Frigessi Castelnuovo, Virginia De Micco, Immigrati, operatori, servizi. L’intersoggettività in ambiente istituzionale. Torino, Caserta: due realtà emblematiche (22.10.1996) / Alfredo Ancora, Vincenzo Padiglione, Gli sciamani e la costruzione della realtà (13.11.1996) / Sergio Mellina, Pino Schirripa, Alfredo Ancora, Conclusione del corso: bilancio e prospettive ulteriori (10.12.1996).
(Alcuni di questi Autori e di questi titoli sono stati pubblicati da Francesco Bollorino in Pol. It. Psychiatry on line Italia)
In conclusione ci si può augurare che l’occasione del corso sul disturbo mentale della persona immigrata favorisca, in ambito più allargato, un reale collegamento operativo tra chi lavora nella ricerca e chi è impegnato nel quotidiano lavoro dell’assistenza; e che ciò si traduca, poi, in un aggiornamento critico dei modelli interpretativi e dell’impianto epistemologico delle discipline psicologico-psichiatriche e, di riflesso, dei comportamenti che esse legittimano. Ciò si potrà ancora meglio realizzare se l’approccio transculturale ed etnopsichiatrico non venga proposto e considerato come un ulteriore strumento tecnico a disposizione dell’operatore della salute mentale, ma possa piuttosto costituirsi come un segmento importante di una riflessione sul senso complessivo su ciò che significa attività di salute mentale in una prospettiva intonata ai principi e ai profili applicativi della salute pubblica.
Giuseppe Cardamone
Note
01. Vittorio Lanternari. La mia alleanza con Ernesto De Martino e altri saggi post-demartiniani. Liguori Editore, Napoli. Collana: Anthropos, 1997.
02. Chi scrive ha ideato e diretto in Via di Torre Spaccata 157 presso la ex ASL RMB il «Progetto-obiettivo triennale ”Michele Risso”. Tutela Salute Mentale Stranieri Immigrati». Cfr. Mellina Sergio. La tutela della salute mentale degli immigrati e il progetto “Michele Risso” nell’ASL Roma B. in Anna Rotondo e Marco Mazzetti “Etnopsichiatria e psicoterapie transculturali. Il carro dalle molte ruote”, pp. 13-45. Ibidem Dibattito con Sergio Mellina. pp. 47-64, L’Harmattan, Torino, 2001.
03. Per rendersi conto dell’attuale sfruttamento mondiale del lavoro basterebbe indicare le condizioni di vita dei “riders”, i fattorini in bicicletta delle consegne del cibo a domicilio, un’icona perfetta, ma vogliamo andare oltre, indicando gli ultimi due film di Ken Loach: Io, Daniel Blake (2016) e Sorry We Missed You (2020), girati col cuore, il sangue e la rabbia della protesta per la nuova truffa del lavoro “autonomo” sulla working class inglese.
04. Le cronache hanno riportato
05. “Capire il disturbo mentale della persona immigrata. Osservazione di un fenomeno emergente attraverso modelli teorici, istituzionali, operativi". Corso biennale (1995/1996) inter-USL della Regione Lazio diretto da Sergio Mellina. Dipartimento di Salute Mentale dell'Azienda Sanitaria Locale B di Roma, Via di Torrespaccata 157.
06. Si veda Pol.It. Curanderos made in Italy? I guaritori popolari in Italia… (3 gennaio, 2019) di Tullio Seppilli e Sergio Mellina.
07. Trattavasi della Cooperativa Sociale “In Meta”, per il segretariato e la consulenza sociale, i servizi al cittadino, la tutela della loro salute socio-sanitaria, problemi di esclusione e di fragilità sociale, disabili, ecc… Mi era familiare per averla incrociata varie volte e in vari modi essendo stata fondata nel 1980 – cioè due anni dopo che ero arrivato io – in via di Torre spaccata 157, non so se proprio con quel nome di sapore decisamente sportivo e tanto rugbistico.
08. L’edificio, che in passato aveva ospitato i convittori dell’ex Collegio ENAOLI per gli orfani dei lavoratori e i loro educatori, è proprio l’attuale casa di riposo “Bruno Buozzi” in via di Torre Spaccata, 157. L’accesso al servizio è regolato dal Dipartimento delle Politiche Sociali, Sussidiarità e Salute di Roma Capitale. Il Centro Antiviolenza per donne del Comune di Roma intitolato "Donatella Colasanti e Maria Rosaria Lopez” (Massacro del Circeo, 1975) gestito da sole donne (Cooperativa sociale Bee Free), ha 14 posti letto, con possibilità di occultamento della persona perseguitata dal marito. Della ospitalità e dell’assistenza sociale degli altri se na fa carico “In Meta”, la Cooperativa sociale.
09. Per quanto riguarda la storia della “occupazione”, da parte di che scrive, del territorio della VIII ASL del Comune di Roma per l’organizzazione del Servizio dipartimentale di Salute Mentale, si rimanda a Pol.It. dove si possono leggere i quattro resoconti intitolati rispettivamente Le ricordanze. Prima parte. (9 agosto, 2018). Seconda parte. Primi passi nel territorio (20 agosto, 2018). Terza parte. Costruire i servizi di salute mentale nel territorio (7 settembre, 2018). Quarta parte. SDSM Progetto impossibile but “Yes we came” (22 ottobre, 2018) di Sergio Mellina.
10 Il senso del pudore e dell’osceno nelle varie culture. 11 luglio, 2019.
11 Per la storia del movimento antimanicomiale in Umbria si vedano: Tullio Seppilli. Per un breve profilo del movimento antimanicomiale italiano negli anni ’60 – ’70, pp. 91-95, in Paolo Lupattelli (ed,), I basagliati. Percorsi di libertà, Editore Crace (Centro Ricerche Ambiente Cultura Economia), Perugia, 2009, pp. 222. Tullio Seppilli. Ernesto de Martino e la nascita dell’etnopsichiatria italiana, “Storia, Antropologia e Scienze del Linguaggio” (Roma), anno X, fasc. 3, settembre-dicembre 1995, pp. 147-156. Sabrina Flamini, Chiara Polcri, Tullio Seppilli. Umbria: un percorso fuori dal manicomio, pp. 9-14, in AA.VV., Oltre questo muro. Fotografie dell’ex manicomio di Foligno, (ed) Massimo Stefanetti – Fausto Gentili – Simona Bonini, Nuova Eliografica Spoleto, Spoleto, 2008, pp 95. Sabrina Flamini, Chiara Polcri, Tullio Seppilli. Umbria: un percorso fuori dal manicomio, in AA.VV., Oltre questo muro. Fotografie nell’ex manicomio di Foligno, “I quaderni de L’Officina della memoria”, Nuova Eliografica Spoleto, maggio 2008, pp. 9-14. Sabrina Flamini, Chiara Polcri, Tullio Seppilli, Le fortezze espugnate, in Paolo Lupattelli (curatore), I Basagliati. Crace (Centro ricerche ambiente cultura economia), Perugia, 2009, pp. 17 – 20 “AM. Rivista della Società italiana di antropologia medica” (Lecce – Perugia), n. 21-26, ottobre 2006-2008 [2010], pp. 53-80, 20.
12. Cfr. Lamberto Briziarelli. Tullio Seppilli un modello di lavoro e di impegno. AUR & S semestrale agenzia umbra ricerche, 15. 2018. p. 125.
13. Si veda in Pol.It. Gli eredi di Tullio Seppilli. L’antropologia medica distillata dalle discipline demoetnoantropologiche., di Sergio Mellina 28 maggio, 2019.
14. In proposito si veda l’opera di Giovanni Pizza. La vergine e il ragno. Etnografia della possessione europea. (Q 98) Rivista Abruzzese, Lanciano (CH), 2012.
15. Seppilli Tullio. Scritti di antropologia culturale. Massimiliano Minelli e Cristina Papa (curatori), Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2008, 2 volumi. Seppilli Tullio. Etnomedicina e Antropologia medica: un approccio storico-critico, “AM. Rivista della Società italiana di antropologia medica”, nn. 21-26, ottobre 2006 – ottobre 2008.
16. Seppilli Tullio. L’antropologia medica “at home”: un quadro concettuale e la esperienza italiana*..Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica, nn. 15/16, ottobre 2003, pp. 11-32. *Il testo che qui si presenta, inedito in italiano, ha costituito la relazione introduttiva tenuta al Secondo convegno internazionale “Medical anthropology at home” svoltosi a Tarragona (Catalogna Spagna) nei giorni 19-21 aprile 2001. Una versione in inglese di questo testo, sostanzialmente identica, è comparsa in questa stessa rivista nel primo dei due volumi degli atti del Convegno (Medical anthropology “at home”: a conceptual framework and the italian experience. “AM Rivista della Società italiana di antropologia medica” n°11-12, ottobre 2001 [Medical Athropology and Anthropology. Contribution of medical anthropology at home to anthropological theories and health debates, a cura di Els van Dongen & Josep M. Comelles, 431 pp.]), alle pp. 23-36.
17. Ibid. Questo è il tono della nota 7 a pag. 24. Ibid AM 1-2 ottobre 1996 Argo, Perugia. Una nota iniziale su fondo grigio – a p. 377 – intitolata «04. Segnalazioni. È una sezione dell’osservatorio in cui viene data notizia di manifestazioni di diverso tipo che hanno avuto luogo recentemente in riferimento più o meno diretto a questioni di antropologia medica. La notazione avvertiva che nella impossibilità materiale di fornire resoconti di tutte le manifestazioni di tal genere o in attesa, per talune, di poterlo fare si è ritenuto opportuno integrare l’informazione fornita attraverso i Resoconti con queste Segnalazioni di altre manifestazioni, spesso altrettanto importanti, che vengono perciò ugualmente proposte all’attenzione del lettore. In questa sezione peraltro potranno venir segnalati anche altri tipi di avvenimenti connessi comunque agli sviluppi dell’antropologia medica: costituzione di nuovi centri di attività […] vicende connesse allo status universitario […] Anno di riferimento 1994. […] sezione Corsi […] Corso biennale inter-USL di aggiornamento e formazione per operatori dei servizi dipartimentali di salute mentale Anni 1995-1996 Roma. Organizzazione Servizio di salute mentale ex RM 5, Azienda Unità Sanitaria Locale Roma “B”-ex RM 5 / direzione Sergio Mellina., pag. 388.
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