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CORONAVIRUS: Al di là del principio del piacere L’umanità continua ad avere bisogno delle sue guerre e delle sue malattie.

17 Mar 20

Di Gemma-Brandi e iannucci.mario29

[L’articolo originale è stato pubblicato il 2 marzo 2020. I dati riportati sono quelli che a quella data erano disponibili]

 

Da quando è scoppiata la pandemia causata dal nuovo Coronavirus (SARS-Cov-2), ci si è imbattuti nel preoccupante dilettantismo di gran parte di coloro che sono responsabili delle nostre vite e del nostro destino. A partire da quanti dovrebbero (meglio: avrebbero dovuto) impartire disposizioni vincolanti su come ritardare al massimo il contagio, in tutti i Paesi ma specialmente in quelli densamente popolati e con alta età media, indicando prontamente come “zone rosse” i luoghi “esposti” in maniera speciale: residenze per anziani e disabili, treni, metropolitane e autobus, aerei, luoghi pubblici, carceri, teatri, palestre, sale da ballo etc. Tutto questo però non è stato fatto, oppure è stato fatto solo con grandissimo ritardo e in maniera molto parziale, soprattutto in Italia.

 

La crisi che ne è derivata provocherà, inevitabilmente, effetti profondi sugli equilibri sociali e politici. Si tratta di una crisi che il SARS-Cov-2 ha avuto solo la “colpa” (o forse, chissà, il “merito”) di evidenziare. Una crisi che ovunque, ma in Italia in modo particolare, ci siamo provocati e continuiamo a provocarci “con le nostre mani”. Un amico giurista, poche settimane or sono, titolava così una sua riflessione non banale sul diritto penale: Sentinella, a che punto è la notte?1 (la citazione è da Isaia, 21-11). Sarebbe bene estendere questa domanda a tutto l’andamento attuale della nostra società, senza temere il rischio di essere risucchiati all’interno del profondo buio della notte attuale. Abbiamo passato altre notti e altre “guerre”, eppure, com’è inevitabile considerando l’inesorabile entropia che ci spinge verso il nulla e verso il buio, l’insegnamento che era bene trarne l’abbiamo presto dimenticato.

 

Negli ultimi decenni, in Italia, si è proceduto a una costante mortificazione delle competenze, retrocedendo in maniera sistematica coloro che erano veri portatori di una conoscenza, quelli che non sacrificavano la loro indipendenza al facile esercizio dell’asservimento al potere. Con i potenti che hanno costruito le loro fortune percorrendo le strade maestre che si disegnano attraverso la ricerca del più facile “consenso popolare”. La spartizione del potere è avvenuta attraverso la medesima logica.

 

Ci siamo messi tutti, come ad Hamelin, nelle mani di molti pifferai magici. E, al posto dei topi dell’epidemia della Bassa Sassonia nella favola, noi tutti rischiamo di morire annegati nell’incompetenza di chi ci governa.

 

Attualmente sono ormai pochi coloro che credono ancora che la Salute Pubblica, bene preziosissimo (oppure no: c’è un piacere nel ricercare la morte), non debba essere gestita da qualcuno che non ha alcuna competenza specifica per farlo: una persona, ad esempio, che abbia solo un diploma di liceo classico o una laurea in scienze politiche. Sono pochi coloro che, colpiti da COVID-19, andrebbero a farsi curare da un terapeuta con quei titoli professionali e curriculari. Eppure l’Italia lo ha fatto per lungo tempo e continua a farlo, nonostante gli esiti non proprio incoraggianti di detto trend.

 

Anche tutti gli altri settori di importanza strategica per la gestione della res publica, in questa Italia molto impoverita, hanno seguito le stesse logiche nello strutturarsi. Prendiamo l’informazione. Pochi giorni or sono ho mandato un primo articolo al Direttore di una testata “sanitaria” di grande diffusione fra gli addetti ai lavori2. In quel primo articolo segnalavo i dati scientifici relativi alla elevata letalità dell’attuale malattia COVID-19 (Corona Virus Disease-2019). Ad oggi, con i dati molto parziali e artatamente ridotti forniti da quasi tutti i governanti mondiali alla WHO/OMS (è mai possibile che qualche scienziato possa credere che in Germania, a fronte di 1.224 casi di malattia confermati, non si sia registrata nemmeno una morte? Che in Svizzera vi siano state solo due decessi su 374 casi confermati? Mentre in Italia vi sarebbero 463 morti su 9.172 casi confermati3), si può facilmente calcolare che il tasso di letalità, calcolato sugli esiti delle persone confermate come affette da COVID-19, è ad oggi del 5,91 % (nel mondo, cioè, sono finora morte almeno 6 persone su cento di quelle che si sono ammalate di COVID-19 e che dalla malattia sono uscite)4. Il tasso di letalità della precedente SARS del 2002, fra l’altro, variava con l’età: per una età media come quella italiana (46 anni circa), ad esempio, possiamo valutare che si aggiri sull’11%5. Il tasso attuale italiano di letalità da COVID-19 è molto più alto (calcolatelo voi: ad oggi, 10 marzo 2020, fra coloro che hanno contratto sicuramente la malattia, 724 sono guariti e 463 sono deceduti; il tasso di letalità si calcola così: percentuale dei decessi sul numero totale degli esiti). Il tasso di letalità, In Italia, è destinato a calare, poiché l’esito infausto, fra i primi contagiati, si manifesta assai più precocemente di quanto non si manifesti la guarigione completa.

 

Gli epidemiologi ci diranno, una volta che la malattia avrà arrestato il suo corso, quale sarà il tasso di letalità definitivo. L’INPS e i rottamatori professionisti tireranno alla “fine dei conti” un sospiro di sollievo, visto che, due giorni or sono, l’età media dei pazienti italiani deceduti e positivi al virus SARS-Cov-2 risultava essere di 81 anni6. Eppure, quel Direttore della testata sanitaria si ostinava a dire che, nella popolazione italiana, la “mortalità” da COVID-19 (che fra l’altro è un concetto statistico diverso da quello di letalità per una determinata malattia in un certo momento) è del 2,1%!

 

Se la letalità fosse così bassa (che scenderebbe dunque sotto lo 0,5 % per i più giovani), perché non consentire ai diciottenni di andare a bere i loro spritz sui Navigli? Perché dovrebbero preoccuparsi degli ultrasessantacinquenni che, nel corso della precedente epidemia di SARS del 2002, morirono nel 55% dei casi?

 

Abbiamo l’impressione, ad ogni buon conto, che siano stati soprattutto gli ultrasessantacinquenni ad avere consentito il diffondersi dell’epidemia degli incompetenti che regolano i nostri attuali destini: l’impoverimento dell’Italia, sotto molti profili, non risale certo agli ultimi lustri. Non sarà quindi un gran male se toglieremo “l’ossigeno”, come dicono di fare i rianimatori in caso di eccesso di domanda 7, agli anziani che non solo non sono più granché produttivi, non solo non sono più belli e attraenti, ma hanno contribuito non poco a generare questo malsano clima istituzionale. Le logiche di un narcisismo perverso coincidono con quelle della “massima produttività”: quanti ne sono guariti di quelli che hai ammesso nel Reparto di Rianimazione? Più sono giovani e più guariscono. Ma se viene ricoverato un Trump, cosa accade allora delle scelte previste dalle raccomandazioni?

 

Dunque, non rammarichiamoci troppo. Ciascuno troverà, in questa pandemia che ci trascina in un clima bellico, il sottile piacere della “fine”.

1 L. Santa Maria, Sentinella, a che punto è la notte? Il diritto penale attraversa il deserto del nichilismo, in Diritto Penale e Uomo (DPU) – Criminal Law and Human Condition, 12 febbraio 2020.

2 L’articolo è stato quindi pubblicato il 2 marzo 2020 da Persona e Danno.

Iannucci M., L’amore (per la verità) ai tempi del Coronavirus.

https://www.personaedanno.it/articolo/l-amore-per-la-verit-ai-tempi-del-coronavirus

3 I dati sono quelli che, al 10 marzo 2020, riporta il sito Coronavirus COVID-19 Global Cases by the Center for Systems Science and Engineering (CSSE) at Johns Hopkins University (JHU). Il sito è, secondo noi, quello più attendibile e più aggiornato.

https://gisanddata.maps.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html#/bda7594740fd40299423467b48e9ecf6

4 Ibidem.

Il tasso di letalità va calcolato sugli esiti della malattia accertata. L’esito può essere la guarigione o la morte del paziente affetto da COVID-19.

Attualmente, nel mondo, su un totale di 68.040 persone che sono uscite (in un modo o in un altro) dalla malattia (4.026 morti + 64.014 guariti), il tasso globale di letalità (% dei morti sul totale degli esiti: 4.026 x 100 / 68.040) risulta essere 5,91 %.

5 I dati sulla letalità in funzione dell’età sono tratti dal Dossier che la FNOMCEO ha dedicato alla FAD (Formazione A Distanza) di tutti i medici. Il Dossier, che contiene informazioni che i medici dovrebbero conoscere e fornire a tutta la cittadinanza, è stato redatto dal Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano (tel. 02 7526131), Direttore: Pietro Dri; Revisore: Fabrizio Pregliasco.

Si veda il Dossier sulla piattaforma FadInMed (Formazione a distanza In Medicina).

A proposito della SARS 2002, i dati sulla letalità in funzione dell’età riportati dal Dossier –Dossier sintetico ma secondo noi molto ben fatto- sono i seguenti: fino a 24 anni letalità dell’1%; dai 25 ai 44 anni letalità del 6%; dai 45 ai 64 anni letalità del 15%; sopra i 65 anni letalità del 55%.

Per una età media come quella italiana, di 46 anni, abbiamo stimato di abbassare verso il basso il tasso di letalità (15%) stimato per la fascia di età compresa fra 45 e 64 anni.

6 Si veda la pubblicazione Studio dell'Istituto superiore di sanità su Covid-19, sul sito del Ministero della Salute, 6 marzo 2020.

7 Il 6 marzo 2020, la Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, ha emanato le “Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili”. Alla raccomandazione n. 3 si legge: «può rendersi necessario porre un limite di età all'ingresso in TI e non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata».

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