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Almeno qualche motivo per cui ringraziare finora la Protezione Civile italiana

19 Mar 20

Di iannucci.mario29

[L’articolo originale è stato pubblicato il 14 marzo 2020. I dati riportati sono quelli che a quella data erano disponibili] 

 

Virologi ed epidemiologi, spesso molto improvvisati, continuano a fornire dati discordanti relativi alla pandemia della COVID-19. E’ la discordanza dei dati che sarebbe bene facesse riflettere tutti, virologi ed epidemiologi in testa. Proviamo a sottolineare taluni di questi dati discordanti, a partire da alcune acquisizioni epidemiologiche assodate. 

Il mondo scientifico ci informa che la precedente epidemia di SARS (quella del 2002-2003, che rimase confinata in Cina) ebbe una letalità che si aggirò, a seconda dei Centri che se ne occuparono, tra il 4 e il 14 %2Sempre a proposito della SARS 2002, i dati sulla letalità in funzione dell’età riportati dal Dossier –Dossier sintetico ma secondo noi molto ben fatto- sono i seguenti: fino a 24 anni letalità dell’1%; dai 25 ai 44 anni letalità del 6%; dai 45 ai 64 anni letalità del 15%; sopra i 65 anni letalità del 55%3. Sarebbe quindi logico prevedere che, per Paesi densamente popolati e con una età media assai più anziana degli atri, il tasso di letalità sia decisamente superiore a quello di altri Paesi, meno densamente popolati e con una età media più bassa. 

Il tasso di letalità, spesso indicato semplicemente come letalità, è una misura di incidenza utilizzata in epidemiologia, che indica il numero totale di decessi per una determinata malattia in rapporto al numero totale di soggetti affetti da tale malattia4. La letalità si calcola facilmente: sul totale di malati di COVID-19 che sono transitati attraverso la malattia, guarendo o morendo, qual è la percentuale dei decessi? Qualora, per l’attuale pandemia di COVID-19, avessimo dati certi relativamente ai dati forniti dai vari Servizi Sanitari nazionali alla WHO (OMS), potremmo già ottenere dati attendibili sulla letalità della malattia. Dati che sarebbe stato necessario fornire a tutta la cittadinanza, non per generare panico, ma per ispirare una indispensabile prudenza e far comprendere l’assoluta necessità di misure restrittive, che debbono indubbiamente essere di natura marziale. 

I dati dunque. Li trarremo da quelli riportati su un sito attendibilissimo, quello del Center for System Science and Engineering (CSSE) at Johns Hopkins5Fra l’altro, i dati locali italiani, forniti dal Dipartimento della Protezione Civile, sono gli stessi, per l’Italia, di quelli registrati dal CSSE e seguono anche la stessa grafica6. I casi totali di COVID-19 finora confermati nel mondo risultano essere 136.860. Si presume che 136.860 siano le persone alle quali è stata diagnosticata la malattia COVID-19 (poiché il report del CSSE parla esplicitamente di COVID-19, che è la malattia). In questa fase della pandemia, noi speriamo che, il numero totale di 136. 860 casi confermati si riferisca alle persone ammalate di COVID-19, da quelle paucisintomatiche a quelle gravi. Speriamo, cioè, che non si riferisca al totale delle persone che vengono trovate infette dal SARS-Cov-2 quando sottoposte al tampone: non tutte le persone positive al test specifico, infatti, ammalano di COVID-19. C’è comunque da mettere nel conto, al momento, una certa confusione fra il numero totale degli infetti da SARS-Cov-2 e il numero totale di coloro che si sono ammalate di COVID-19. Diamo per scontato, comunque, che il numero totale dei casi confermati nel mondo (136.860) si riferisca alle persone ammalate di COVID-19. Il CSSE ci dice che, fra tutti coloro che si sono ammalati nel mondo, finora sono guarite 69.598 persone, mentre ne sono morte 5.089, con un totale di 74.687 persone che sono uscite dalla malattia, guarendo o morendo. La letalità attuale della malattia a livello mondiale è presto calcolata: 5.089 x 100/74.687 = 6,8 %. E’, questa, una letalità mondiale che si sovrappone a quella riscontrata a livello cinese per la precedente SARS locale del 2002-2003. C’è da dire che la letalità mondiale da SARS-Cov-2, fino a qualche giorno addietro, era un po’ più bassa (circa 5,9 % fino alla scorsa settimana). Poi i dati relativi alle morti per COVID-19 fuori dalla Cina, specie in Italia, hanno fatto alzare di alcuni decimali il tasso di letalità mondiale. La speranza è che la letalità finale della COVID-19, “alla fine dei conti”, vale a dire quando la pandemia sarà esaurita, risulti essere più bassa del 6,8% attuale. La speranza è inoltre che gli epidemiologi e gli infettivologi esperti in previsioni ci dicano, in proposito, qualcosa di ragionevole. Finora non è stato così.  

Guardiamo infatti i dati della letalità attuale italiana. La Protezione Civile sembra fornire soltanto i dati delle persone positive al test sul SARS-Cov-2 e non solo degli ammalati (magari solo paucisintomatici) di COVID-19. La Protezione Civile parla infatti di “totali positivi” e di “attualmente positivi”7. I “totali positivi”, in Italia, risultano essere 15.113, mentre gli “attualmente positivi” sono 12.839. Cerchiamo allora di capire quale sia la letalità attuale in Italia da COVID-19. Occorre premettere che i dati della letalità di una malattia infettiva sono evidentemente più alti all’inizio di una epidemia: le persone già malate e/o anziane, se infettate da SARS-Cov-2, bisogna presumere che ammalino con maggiore facilità, che sviluppino sintomi più gravi e che muoiano dunque piuttosto in fretta e con molta maggiore frequenza (ricordiamo che, per la SARS del 2002-2003, la letalità degli ultrasessantacinquenni risultò essere del 55%). In Italia dunque, fra tutti i positivi, dalla COVID-19 sono uscite 2.274 persone, 1.258 guarendo e 1.016 morendo. Il tasso attuale di letalità in Italia, che si calcola sugli esiti (vale a dire fra coloro che sono usciti dalla malattia) di “tutti i positivi”,  risulta essere molto alto: 1.016 x 100 / 2.274 = 44,6 %. Egualmente altissimo e non significativo è in Francia, che ancora più di noi è all’inizio dell’epidemia. Il tasso italiano, pur con la compensazione dovuta alla fase iniziale dell’epidemia in Italia, pur considerando che l’età media italiana è di dieci anni superiore a quella cinese (46 anni contro 36), risulta assolutamente spropositato e non riconducibile a qualsiasi ragionamento logico/clinico/epidemiologico. Risulta incomprensibile specie alla luce dei dati che vengono forniti da altri Paesi (esclusa la Francia), con densità di popolazione e con età medie simili a quella italiana. Solo alcuni esempi (ancora una volta con dati tratti dal CSSE8). 

 

Paese 

Casi confermati 

Guariti 

Deceduti 

Letalità 

Mondo 

136.860 

69.598 

5.089 

6,8 % 

Italia 

15.113 

1.045 

1.016 

44,6 % 

Regione di Hubei (Cina) 

67.786 

51.553 

3.062 

5,6 % 

Francia* 

2.282 

12 

61 

83,5 % 

Germania 

3.156 

46 

6 

11,5 % 

Sud Corea 

7.979 

333 

66 

16,5 % 

*I dati francesi sono iniziali e non significativi. Li riportiamo solo per indicare quanto la fase iniziale di una infezione come la COVID-19, che può causare celermente la morte di soggetti fragili (mentre la guarigione avviene dopo molto più tempo), incida sulla letalità.  

 

  Potremmo andare avanti moltissimo nell’elencare dati discordanti. Ma non avrebbe senso. Gli unici dati inconfutabili di questa malattia COVID-19 sono i seguenti: essa si diffonde con grande facilità e l’infezione colpisce persone di ogni età; la malattia si sviluppa però, soprattutto, nelle persone anziane o già fragili fisicamente; la letalità della malattia è alta (circa il 6% nel mondo, attualmente) e cresce di molto con l’età, in particolare dopo i sessanta anni. Cosa vogliamo comunque evidenziare con raffronti esemplificati in tabella? Che i dati epidemiologici sulla diffusione della COVID-19 dovrebbero essere raccolti, in tutti i Paesi del mondo, con criteri standardizzati. I casi “confirmed”, ad esempio, sono quelli di coloro che presentano sintomi (anche lievi) di malattia, ovvero quelli che risultano positivi ai test di laboratorio (tampone in genere)? E’ vero che qui in Italia i tamponi vengono in genere effettuati su coloro che presentano qualche sintomo della COVID-19, ma sembra che invece in Sud Corea i tamponi vengano effettuati a tappeto nelle zone a rischio. E’ inoltre molto diverso dire che una persona è morta per l’infezione da SARS-Cov-2 o con l’infezione da SARS-Cov-2. 

Una donna che conosco ha un giovane figlio che lavora in Germania. Questo giovane, più di una volta, dai tedeschi ha sentito dire che, in Italia, starebbero gonfiando il numero dei casi di COVID-19 per ottenere dall’Europa un aumento proporzionale degli aiuti economici. Non voglio nemmeno commentare questi discorsi da birrerie teutoniche. So infatti quali siano le scelte, che immagino pesantissime da un punto di vista morale, che i Colleghi dei Reparti di Terapia Intensiva della Lombardia sono costretti a compiere nell’ammettere e nel dimettere i pazienti in ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome, complicanza non infrequente della SARS). Bisognerebbe capire cosa significa assistere persone che muoiono per COVID-19! 

Per qualcosa sono dunque grato alla Protezione Civile Italiana: perché ho l’impressione che non abbia alterato i dati relativi ai casi di positività accertata al SARS-Cov-2; perché non ha artatamente distinto i casi dei deceduti con COVID-19 da quelli deceduti per COVID-19; perché ora, seppure con grandissimo ritardo, sta cercando di far disporre misure sanitarie e di ordine pubblico un po’ più adeguate alla grave malattia pandemica che ha colpito l’umanità. 

Dal momento che ho l’impressione che gli italiani si riconoscano abbastanza in una superficialità un po’ troppo arrogante (che piacere pensare di essere tutti, impuniti, dalla parte di “Napule è na carta sporca e nisciuno se ne importa”), occorre applicare misure marziali per contenere il contagio (ormai diffuso ovunque nel nostro Paese) e limitare i danni. Nella provincia di Hubei ci stanno riuscendo e io, da medico, spero che “non allentino la presa”. Stento a credere che in Italia si proceda con analogo rigore. Siamo gente assai ridanciana e, tutto sommato, siamo anche disposti a “morire di risate”. 

 

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