Innanzi tutto questo:
-
Non sono pedofilo, né sono attratto da adolescenti di uno o di ambo i sessi.
-
Penso che gli atti pedofili nei confronti di bambini pre-puberi o all’inizio della pubertà vadano penalmente sanzionati.
Mi scuso per questo modo alquanto inusuale di cominciare un testo che intende essere nel campo scientifico. Ma sento di doverlo fare in questo caso perché da una ventina d’anni è diventato difficile, se non pericoloso, parlare della pedofilia in modo non dico scientifico – perché psichiatria e psicoanalisi non sono scienze – ma semplicemente con il distacco, la protocollare neutralità, l’obiettività che dovrebbe caratterizzare un’indagine clinica che voglia capire prima di giudicare. Che ricalchi l’atteggiamento che aveva Freud, per esempio, nei confronti delle perversioni e di tutto il resto. Oggi invece, se non si ripete che si aborrisce la pedofilia, che è un flagello sociale e che bisogna reprimerla di più, tutto quel che uno può dire o scriverne per spiegarne la dinamica rischia di essere preso come una legittimazione della pedofilia1.
Questo atteggiamento censorio pervade anche molti psicoterapeuti e psicoanalisti, a leggere le loro ricostruzioni cliniche di casi di pedofilia. Molti di loro non nascondono il livore che sentono nei confronti dei loro pazienti pedofili, il che non manca di innescare un transfert negativo persecutorio da parte dei pazienti nei confronti del terapeuta, ovviamente. È come se questi terapeuti dicessero tra le righe ai lettori: “Non pensate che perché io abbia in cura dei pedofili io simpatizz per loro! Mi fanno schifo quanto a voi.” Spesso in effetti le psicoterapie di pedofili sono imposte per via giudiziaria. Non sono tra quelli che pensano che un’analisi si fondi essenzialmente sull’empatia nei confronti dei propri analizzanti, credo che si possa fare un ottimo lavoro anche con analizzanti che ci sono alquanto antipatici. Non c’è bisogno quindi di empatizzare con un pedofilo per poterlo prendere in carico. Ma c’è un limite. Se tanti analisti o psicoterapeuti aborriscono talmente i pazienti pedofili – come ripetono – perché li prendono in cura?
In particolare, molti shrinks – mi si permetta questo termine entrato nel linguaggio comune – sono sdegnati perché i loro pazienti per lo più non mostrano sensi di colpa. Al contrario, spesso costoro dicono “non sono pedofilo” e giurano di amare sinceramente i bambini, soprattutto quelli che appaiono infelici o afflitti. È vero, per fortuna i pedofili non sono per lo più stupratori, sadici o violenti, sono uomini o donne che “capiscono” i bambini, che riescono a sedurli con la parola e la gentilezza, e che ricevono da loro spesso una risposta complice. Del resto, veniamo a conoscenza solo di una parte degli atti pedofili, perché i bambini di solito non parlano (ne hanno vergogna, e bisognerebbe chiedersi perché) di quel che gli adulti hanno fatto loro. Dopo, molti analizzanti adulti dicono quel che hanno subito da piccoli, e precisano di non averlo mai detto a nessuno, spesso l’analista è il primo essere umano con cui ne parlano. Questo anche perché ci fu da parte loro, da piccoli, una forma di complicità.
In sostanza, la maggior parte dei pedofili – i quali si esprimono anche con pubblicazioni2 – si sentono ingiustamente perseguitati. Ed è questo che li distingue dagli altri perversi in senso psichiatrico3: di solito un perverso ammette la stranezza e anche l’illegittimità dei propri atti, ma più raramente il pedofilo.
I pedofili si assimilano agli omosessuali, in particolare maschi. Fino a pochi decenni fa l’omosessualità – dicono – era un reato grave in molti paesi ed era classificata come patologia dalla psichiatria, oggi invece in Occidente l’omosessualità è pienamente accettata, molti paesi prevedono le unioni civili e il matrimonio tra omosessuali. Pensano che un processo storico simile avverrà per la pedofilia: col tempo, si riconoscerà che essi amano – non solo quindi desiderano sensualmente – i bambini. Sono le leggi degli stati le leggi sbagliate, non i loro sentimenti, che si basano su quelle che chiamerò “le leggi del cuore”. E in effetti la pedofilia – come ogni perversione o parafilia – ci porta a interrogarci sulla Legge, che non è soltanto una serie di codici scritti.
Di fronte a questa auto-assoluzione dei pedofili, gli shrinks reagiscono come le persone comuni: sono indignati. E pensano che il loro compito sia quello di portare il pedofilo ad ammettere che lui è colpevole di fronte alla legge morale, o che è un malato, o entrambe le cose insieme. La psicoterapia si risolve allora in una tortura soft, dato che come la tortura di un tempo serve a ottenere una piena confessione – non dell’atto in sé, che di solito il pedofilo ammette, ma della propria colpevolezza morale.
Quanto a me, facendo appello sia alla storiografia che alle testimonianze cliniche, cercherò di comprendere la pedofilia e ciò che rappresenta per chi non è pedofilo.
Non ho mai avuto in cura un pedofilo adulto, ed è raro che i miei colleghi ne abbiano avuti, per le ragioni che abbiamo detto. È comune invece avere in studio pazienti, per lo più donne, che lamentano di essere state usate sessualmente da adulti, per lo più dal padre o da altri parenti stretti, o da amici di famiglia. Nella pratica degli psicoanalisti, la pedofilia si lega insomma strettamente all’incesto. È noto come il sospetto di pedofilia incestuosa sia alla base stessa dell’invenzione della psicoanalisi, attraverso la cura delle isteriche da parte di Breuer e Freud. Occuparsi di pedofilia significa ipso facto occuparsi di incesti familiari, e dell’origine stessa – origine non solo storica – della psicoanalisi.
1.
Chi scrive è abbastanza anziano per sapere che l’orrore per la pedofilia è relativamente recente nei nostri paesi cristiani e più-industrializzati. Una ricerca fatta sia negli Stati Uniti che in Francia mostra che il termine pedophile appare raramente in quotidiani come The New York Times e Le Monde prima del 19964.
È nota ormai la campagna nel 2002 del Boston Globe sui vari casi di pedofilia a opera di preti cattolici e della copertura fornita dalle gerarchie ecclesiastiche dell’Archidiocesi di Boston5, e da lì poi il dilagare di questa campagna in tutti gli Stati Uniti. Ma ci si deve chiedere perché un’inchiesta del genere non sia stata fatta venti o trent’anni prima. In effetti, la Crociata contro la pedofilia – non solo tra i preti, anche nelle famiglie – ha origine soprattutto in America negli anni 1990, e solo successivamente ha investito l’Europa e altri paesi. Ho vissuto spesso negli Stati Uniti negli anni 1990, e ho visto come la denuncia di parenti stretti – padri, madri, nonne e nonni, zie e zii… – per aver abusato sessualmente di loro stessi nell’infanzia fosse diventata una vera e propria epidemia: nella maggior parte delle famiglie che frequentavo, era venuto alla luce almeno uno di questi casi. Tanti adulti “ricordavano” episodi della loro infanzia e accusavano, talvolta anche per vie legali, loro parenti.
Forse molti ricorderanno che nei film americani a cavallo del 2000, se un personaggio adulto mostrava qualche segno di disagio o squilibrio mentale, quasi sempre si scopriva che la causa risaliva a qualche abuso sessuale nell’infanzia. Talvolta qualche film o romanzo ha provato a rovesciare il cliché, e a dare un’immagine sostanzialmente positiva dell’incesto tra genitori e figli, come nel romanzo The Cider House Rules di John Irving del 1985 (divenuto poi film nel 1999 con la regia di Lasse Hallström). Ricordo tante conferenze americane su famosi scrittori, scrittrici, o artisti dove l’origine dei problemi di questi autori o della loro ispirazione veniva trovata dai biografi sempre nello stesso luogo: in qualche abuso sessuale nell’infanzia. Un delirio collettivo. Che col tempo, poi, sembra essersi diradato.
Questo vento di denuncia fu però preceduto da vari strani processi degli anni 1980 in America. Il più famoso è il processo contro membri della famiglia McMartin, che gestivano un asilo infantile in Manhattan Beach, California. L’istruttoria e il processo durarono sette anni (dal 1983 al 1990) ed è il più lungo e più costoso processo penale dell’intera storia americana. I McMartin vennero accusati di aver abusato sessualmente di 360 bambini a loro affidati, nel quadro di riti satanici. Alla fine tutti gli imputati furono assolti6. In quegli anni ci furono varie denunce di riti satanici che avevano per vittime i bambini, così oggi gli storici parlano di day care sex abuse hysteria.
Ci fu qualche tentativo di importazione di questa “isteria” in Italia. In particolare nel 2006, tre maestre e una bidella della scuola materna di Rignano Flaminio (Roma) furono denunciate per aver abusato sessualmente di 21 bambini a loro affidati. Gli imputati furono tutti assolti anni dopo.
Negli anni 1990 negli Stati Uniti si diffusero accuse di mutilazioni rituali di esseri umani, di stupro e assassinio di bambini di cui si beveva il sangue, di cannibalismo. Basti pensare che in un ciclo di seminari organizzati nel 1992 dalla polizia nello Utah (lo stato mormone), all’uditorio fu comunicato che ogni anno nei culti satanici cannibalici venivano sacrificati tra i 50.000 e i 60.000 bambini (i loro corpi non si trovavano perché erano stati divorati dai loro assassini). Gli osservatori parlarono all’epoca di caccia alle streghe, dato che alcune delle accuse rivolte a queste persone (per lo più insegnanti) ricalcavano le classiche accuse rivolte alle streghe nei processi del XVI° e XVII° secolo7.
Da notare comunque il fatto che quando oggi negli Stati Uniti si parla di pedofilia, la prima cosa che si pensa è agli incesti all’interno della famiglia. Mentre in Europa si pensa subito, piuttosto, al pedofilo estraneo che accalappia bambini nel parco, o ai preti. Diciamo che in Europa si tende, più che in America, a risparmiare la famiglia. In particolare i padri di famiglia.
A partire dagli anni 1990 la pedofilia è divenuta un problema allarmante per il pubblico generale a dispetto del fatto che le denunce per abuso sessuale nei confronti dei bambini diminuiscano costantemente nei paesi industrializzati.
Non approfondirò la distinzione, a che a me sembra fondamentale, tra pedofilia (atti sessuali con pre-puberi) e pederastia (atti sessuali con adolescenti). Metterli sullo stesso piano è quanto mai abusivo, perché la maturazione sessuale di un adolescente è un processo continuo, per cui un bambino di 14 o 15 anni è del tutto diverso da uno di 12. Non a caso in certi stati americani ci sono alcune leggi dette “Romeo and Juliet”, che permettono atti sessuali tra minorenni e con minorenni a certe condizioni (nel dramma di Shakespeare Juliet ha 14 anni, e Romeo intorno ai 16). In certi stati gli atti sessuali tra minorenni sono vietati (leggi alquanto derisorie, se è vero che, secondo un’inchiesta del 1995 negli USA, il 50% dei giovani che compiono 16 anni hanno già avuto rapporti sessuali completi). L’intrico delle norme e delle eccezioni sui teen-agers è la prova che il sesso con minorenni puberi non ha lo stesso senso che con bambini pre-preburi.
Alla fine degli anni 1960 la Francia fu molto impressionata dalla storia di Gabrielle Russier. Era una professoressa di lettere di Marsiglia di 31 anni che si era innamorata di un suo allievo sedicenne, Christian, con cui aveva avuto una relazione. I genitori di Christian la denunciarono e ottennero la sua condanna, anche se con la pena sospesa. Gabrielle si suicidò nel 1969 a Marsiglia, a 32 anni. Oggi diremmo che Gabrielle era una pedofila, e oggi sarebbe condannata più duramente di allora. All’epoca la cosa creò invece una vasta eco in senso inverso, Gabrielle divenne una martire dell’amore, vennero girati sulla vicenda film di grande successo, alcuni cantautori famosi le dedicarono canzoni (Charles Aznavour, Serge Reggiani, Triangle, Anne Sylvestre), una petizione – con la firma di tre premi Nobel – venne indirizzata al ministro della Giustizia di allora per denunciare la persecuzione giudiziaria di Gabrielle. Persino il presidente della Repubblica francese di allora, Georges Pompidou, ammise di essersi commosso per la storia. Quando nel 2017 Emmanuel Macron fu eletto presidente della Francia, emerse che lui aveva iniziato a 15 anni una storia amorosa con la sua insegnante Brigitte Trogneux di 25 anni più grande: per la legislazione franncese, la première dame è una pedofila.
2.
Porto la mia esperienza di adolescente a Napoli all’inizio degli anni 1960. Mio padre, filosofo cattolico, mi mandò per due anni in una scuola di barnabiti, dove – si diceva – i ragazzi (tutti maschi) erano più seguiti (!) che nelle scuole pubbliche. Mio padre stesso da ragazzo aveva studiato dai barnabiti, e sapeva sicuramente che tra loro c’erano alcuni pederasti (li chiamo così perché gli studenti erano tutti adolescenti). Mio padre era perfettamente al corrente – come lo erano tutti – dei tropismi pederastici di tanti ecclesiastici, dato che ogni tanto ne faceva cenno, anche in modo sardonico. Con la mentalità di oggi, dovrei quindi concludere che, mandandomi dai barnabiti, mio padre era tacitamente complice delle perversioni clericali e non si curava dello sviluppo sessuale del figlio. In effetti, subii un tentativo di seduzione da parte di un giovane barnabita che si referenziava come esperto consigliere spirituale dei giovani, tentativo vischioso a cui mi sottrassi. La verità è che i genitori mettevano sul conto il fatto che un adolescente fosse oggetto delle attenzioni di preti pederasti (come tutti sapevano che nei collegi femminili alcune monache erano lesbiche e intrecciavano relazioni con le bimbe). Era parte delle esperienze che un maschio doveva fare nella vita, come andare con prostitute o fare il servizio militare o fare almeno una volta a botte con coetanei.
Lo si vede nel dramma Doubt: A Parable (2004) di John Patrick Shanley (portato sullo schermo dallo stesso Shanley nel 2008), che si svolge in una scuola cattolica del Bronx di New York nel 1964. Una monaca molto supponente e ostinata si convince che un prete della parrocchia, affascinante predicatore, ha una relazione con un ragazzino appena pubere, di umili origini sociali. Ma non ne ha le prove, ragion per cui imbastisce una sorta di persecuzione del prete. Tra le altre cose, parla alla madre del ragazzino per avvertirla del pericolo, ma la madre le dice chiaramente che non sono fatti propri, e che anzi, è contenta che un prete abbia preso a cuore suo figlio, un ragazzino isolato. La reazione di quella madre era tipica all’epoca.
(Si tratta di una fiction, ma la storia è in gran parte autobiografica. Shanley, l’autore, nato nel 1950, apparteneva a una famiglia cattolica di origine irlandese e aveva fatto gli studi proprio nella scuola ecclesiastica del Bronx che appare nel suo dramma. Shanley sa bene di chi e di che cosa sta parlando.)
Bisogna ricordare che all’epoca i genitori non davano mai la pur minima educazione sessuale ai figli, nemmeno alle figlie femmine, e tanto meno la dava la scuola. Allora si imparava l’essenziale sulla sessualità grazie ai discorsi di amici più grandicelli. Oggi questo rifiuto di istruire sessualmente i figli ci appare oscurantista, ma all’epoca – e nelle epoche precedenti – aveva la sua psico-logica. I genitori erano imbarazzati nel dare le informazioni sul sesso perché questo significava entrare nella vita intima, sessuale, dei loro figli, cosa che doveva apparire loro come un’intrusione eccessiva. La regola era “io mi occupo del figlio-bambino, del figlio-adulto se ne occupa l’entourage”. In questo quadro, anche eventuali avventure dei figli con pedofili venivano considerate “cose del figlio adulto”, esperienze maturative. Oggi presupposti del genere appaiono inaccettabili, ma nel 1979 la famosa psicoanalista infantile e pedagogista francese Françoise Dolto, molto popolare all’epoca, dette un’intervista8 – che le è stata rinfacciata post mortem di recente – in cui sfatava la paura dei pedofili. Dolto portava ad esempio gli adolescenti di Rio de Janeiro che riuscivano a sopravvivere e a maturare andando anche con pedofili… L’idea di fondo era sempre che la pederastia (non la pedofilia, che la stessa Dolto condannava) sia un’esperienza per cui un giovane deve passare.
3.
Quando nacque la sessuologia medica, alla fine del XIX° secolo, con Krafft-Ebing, Havelock Ellis, quindi Freud, e fu introdotto il concetto di “perversioni sessuali” (oggi ribattezzate parafilie dalla psichiatria dominante), la pedofilia non occupava il ruolo che essa occupa nella mentalità comune oggi. Non era oggetto di grandi preoccupazioni medico-pedagogiche. Piuttosto la perversione princeps era l’omosessualità9, e anche la masturbazione, soprattutto infantile – tutte cose che ormai la psichiatria ufficiale non considera più perversioni10. Freud, che ha parlato di incesto, feticismo, omosessualità, sadismo, masochismo, impotenza, non ha mai parlato di pedofilia. Se ne occupò invece Ferenczi, in un saggio oggi stracitato, “Confusione delle lingue tra adulti e bambini”11.
Dobbiamo chiederci perché il senso di orrore – e quindi l’interesse clinico speciale – per la pedofilia cominci più o meno solo negli anni 1990. Credo che a partire da questa epoca si affermi il principio che chiamerei del puer sacer, del bambino sacro nel senso di intoccabile. Gli adulti, genitori inclusi, non devono toccare fisicamente i bambini, né per picchiarli né per accarezzarli sensualmente. Oggi anche il classico ceffone, somministrato occasionalmente al bambino, viene considerato “abuso sui bambini” e proibito anche legalmente. Baci, carezze, abbracci che un tempo erano considerati gesti comuni tra adulti e bambini, oggi cadono sotto il sospetto di abuso pedofilico. E in effetti è difficile stabilire un limite netto a partire dal quale la carezza o l’abbraccio diventano “abusi”.
L’idea dominante è che l’atto è pedofilo non appena vengano messi in gioco i genitali, o del bambino o dell’adulto, o di entrambi. Il genitale è la barriera a partire dalla quale scatta l’atto criminoso se la si supera, anche se dolcemente. Ma sappiamo bene che ci sono molti altri modi di suscitare emozioni sessuali in un bambino, anche senza toccargli i genitali. Ad esempio, se un uomo mostra a distanza la propria erezione a un bambino, è questo atto pedofilo? E se una coppia ha un coito lasciandosi guardare da un bambino, è atto pedofilo? Bisogna vedere come la giurisprudenza dei vari paesi tratta situazioni ambigue di questo tipo.
Alcuni pensano che la pedofilia consista essenzialmente nel desiderio sessuale adulto per un bambino. Se un uomo o una donna si spogliano di fronte a un bambino, o se non interrompono un coito se un bambino entra nella stanza, non sarebbe un problema se non godono nel mostrarsi al bambino. Invece se facendo questo c’è godimento, allora c’è perversione. Ma come fare a distinguere con tanta accuratezza l’atto erotico che si mostra con nonchalance a un bambino, e l’atto fatto apposta per impressionarlo?
La psicoanalisi sin dall’inizio ha parlato di desideri inconsci, rendendo quindi il concetto stesso di “desiderio erotico” quanto mai incerto e fluttuante. Per esempio, una signora con vari problemi psichiatrici dice che sua madre l’ha sempre lavata interamente lei stessa, quasi ogni giorno, fino all’età di 26 anni – parti intime incluse. Possiamo considerare questo un rapporto incestuoso, e pedofilico quando la figlia era piccola? In casi del genere possiamo parlare tutt’al più di paleo-pedofilia e di proto-incesto, in quanto rapporti pedofili e incestuosi esigono una netta separazione tra i protagonisti, mentre qui siamo a uno stadio che molti chiamano simbiotico madre-figlia, che produce di solito disastri psichici in entrambe ben più gravi del comune incesto pedofilo. Porto questo esempio, tra i tantissimi che potrei portare, per mostrare che la nozione stessa di desiderio pedofilo è problematica.
Oggi comunque si aborrisce il desiderio pedofilo anche quando il pedofilo non commette reati né passa ad atti pedofili.12 Quindi oggi è il solo supposto desiderio pedofilo – senza atti – che si tende a perseguire penalmente. Un po’ come accadeva secoli fa con il reato di eresia: si poteva essere portati di fronte a un tribunale per eresia anche se non si era scritto o detto nulla di eretico, era il pensare ereticamente che era perseguibile.
Una mia analizzante andava qualche giorno al mese dal padre dopo che questi si era separato dalla madre quando lei aveva cinque anni. In queste occasioni, dormiva nel letto del padre e lei stessa – a suo dire – si spogliava del tutto. Il padre le accarezzava la schiena e le gambe accarezzandole le natiche… Pratica che interruppe con la pubertà della ragazza. L’analizzante non ricorda che il padre sia andato oltre. Ma c’è sempre il sospetto che sia caduta una rimozione tra l’evento e il ricordo. Accarezzare le natiche della figlia nuda nello stesso letto è atto pedofilo?
Un mio analizzante ricorda che da piccolo aveva una nonna che viveva in casa. Era una donna timida e riservata. Ma spesso, quando i genitori andavano al lavoro e restava solo con lei, la nonna faceva cose che mai avrebbe fatto davanti agli altri: lo abbracciava, lo baciava anche sulla bocca, lo cullava (aveva sei o sette anni)… e non ricorda altro. Se fosse stato americano, e se la nonna fosse stata viva, la avrebbe denunciata.
Molti alùtri esempi del genere potrebbero essere portati.
È importante notare che la filosofia del puer sacer non censura la sessualità infantile, tutt’altro. L’essenziale è che essa avvenga tra bambini, mai tra bambini e adulti. La masturbazione dei bambini non è più combattuta, il “gioco del dottore” è visto dagli adulti con una certa accondiscendenza. Fino a pochi decenni fa invece i giochi sessuali tra bambini venivano puniti anche con severità. Allora era il contrario di oggi: non si sopportava il sesso tra bambini, e si mettevano tranquillamente gli stessi in mano a preti o parenti pedofili.
Alcuni si meravigliano di questo orrore per la pedofilia un secolo dopo che Freud ha scoperto il segreto di Pulcinella, ovvero la sessualità infantile. “Come si può ancora negare che tanti bambini siano allettati da giochi sessuali, anche con adulti?” Per molti intellettuali, soprattutto di sinistra, la criminalizzazione di ogni forma di pedofilia è una “reazione” culturale contro una visione rivoluzionaria che ammette la sessualità infantile. Credo invece che il tabù della pedofilia sia proprio una deriva della “scoperta” freudiana della sessualità infantile.
Prima, quando non si dava importanza ai giochi sessuali che degli adulti potevano fare con bambini, si pensava che per i bambini la sessualità non avesse alcun significato; che insomma i loro genitali fossero organi come gli altri, con cui giocare13. Non a caso, spesso un genitore pedofilo cessa di avere giochi sessuali col figlio o con la figlia solo quando questi entra nella pubertà. Oggi, invece, proprio perché riconosciamo che i bambini hanno emozioni sessuali del tutto simili a quelle adulte, diamo per scontato che manifestazioni erotiche adulte possano avere un impatto traumatico. Quel che oggi viene rigettato, non è il fatto che l’adulto si serva del bambino per esprimere una sessualità solo adulta, ma il fatto che l’adulto si serva della sessualità del bambino per soddisfare la propria. Se un bambino è scosso da un pene in erezione che gli si accosta, per esempio, non è perché “non capisce” che cosa significhi quel pene, ma perché lo capisce fin troppo bene.
4.
Prima degli anni 1990, soprattutto in Europa, il vento andava in senso contrario. Erano gli anni della “rivoluzione sessuale”, del trionfo delle idee di Wilhelm Reich e di altri profeti della liberazione da ogni tabù, per cui si creò un movimento di sdoganamento, come si dice oggi, della pedofilia.
Questa campagna fu particolarmente vivace in Francia. Il famoso scrittore Gabriel Matzneff nel 1974 pubblica Les Moins de seize ans, un pamphlet – come si dice in Francia – di esaltazione dell’amore adulto per gli adolescenti. Lui stesso fa riferimento a sue storie amorose con dodicenni maschi. Nell’aprile 1975, il simbolo del Maggio 68 francese, Daniel Cohn-Bendit, pubblica il libro Le Grand Bazar nel quale un capitolo ( « Little big men ») è consacrato alla “sessualità dei bambini” nei confronti degli adulti.
Nel 1976, René Schérer et Guy Hocquenghem, due intellettuali omosessuali di estrema sinistra molto noti, dirigono un numero dell’importante rivista Recherches sull’infanzia e l’educazione, in cui si esalta la sessualità infantile anche con adulti40. Questo progetto è sostenuto tra gli altri da Michel Foucault e dal celeberrimo filosofo François Châtelet. Nel 1977, Pascal Bruckner e Alain Finkielkraut (oggi accademico di Francia, il livello più alto di riconoscimento culturale in quel paese) nel saggio « Il Nuovo disordine amoroso » difendono un libro di elogio della pedofilia di Tony Duvert.
Nel 1978, invitato con Guy Hocquenghem a una trasmissione televisiva, Foucault denuncia il quadro giuridico che « mira a proteggere i bambini affidandoli al sapere psicoanalitico » e a negare l’esistenza del desiderio sessuale infantile, postulando come pericolosa la sessualità con gli adulti. L’intervento di Dolto nel 1979, a cui abbiamo accennato. si situa quindi nella scia di questa campagna che tende in qualche modo a decriminalizzare la pedofilia. All’epoca questa campagna non creò particolare scandalo, direi anzi che passò quasi inosservata, anche perché in quegli anni, soprattutto in Francia, si era abituati a prese di posizioni radicali in quasi tutti i campi.
Non mi risulta che in altri paesi si sia avuta all’epoca una campagna pro-pedofili così ramificata, con interventi delle figure intellettuali tra le più prestigiose della nazione, come in Francia. Eppure in Italia avevamo il caso ben noto di Pasolini, che aveva rapporti sessuali con ragazzini anche di 14 o 15 anni, tutti lo sapevano. Ma è interessante che allora Pasolini era detestato dai benpensanti per la sua omosessualità, non specificamente per andare con i giovanissimi. Del resto all’epoca non faceva molta impressione che un uomo andasse a letto con una ragazza quindicenne.
Alla metà degli anni 1980 partecipai a un seminario con Cesare Musatti, decano della psicoanalisi italiana, che era anche amico di Pasolini. Musatti evocò l’abitudine di Pasolini di avere rapporti sessuali con ragazzi più o meno quindicenni, di solito nelle periferie degradate. Una donna nel pubblico intervenne allora per denunciare la pratica di Pasolini come criminosa, manifestando una virtuosa indignazione, che mise Musatti a disagio. Gran parte del pubblico deplorò la denuncia della signora, e qualcuno intervenne per dire “ci sono atteggiamenti intolleranti di cui abbiamo avuto esempio anche qui” riscuotendo l’applauso generale. Oggi una scena del genere non potrebbe ripetersi, nessuno oserebbe parlare in difesa di Pasolini.
5.
Diamo per scontato che ogni esperienza pedofila sia traumatica per un bambino. Per lo più lo è, ma non sempre. Gli analizzanti degli analisti sembrano reagire in modo molto diverso a esperienze subite di pedofilia.
Sappiamo che certi traumi sono parte integrante dello sviluppo psichico di ogni essere umano. È un trauma lo svezzamento dal seno materno, ma anche, per molti bambini, i primi giorni di scuola. È traumatica la pubertà per quasi qualunque ragazzo o ragazza, può essere traumatica l’entrata nella vita lavorativa. Come è certamente traumatica l’esperienza dolorosa di un divorzio, il sapersi sterile o la menopausa per una donna, l’impotenza per vecchiaia per un maschio… In molte società, compresa la nostra fino a non molto tempo fa, si trova che i maschi soprattutto debbano passare per esperienze particolarmente dure per “diventare uomini”. (Nella Napoli della mia infanzia si diceva: “Per diventare un vero uomo, devi essere passato per tre cose: essere stato con una puttana, aver fatto il servizio militate, aver passato almeno un giorno in galera…”) Basti pensare ai vari riti di passaggio all’età adulta in molte culture, riti che troviamo spesso crudeli ed eccessivi14. Il servizio militare obbligatorio per i maschi è stato mantenuto così a lungo nei nostri paesi non tanto, credo, per ragioni militari, ma come modo per “far crescere” i giovani, staccarli dalle gonne materne attraverso il trauma della naja (in effetti, ho visto casi in cui il servizio militare ha prodotto nei soggetti vari squilibri mentali e anche la psicosi). Una vita senza traumi sarebbe una vita posticcia, come quella imposta dal re Suddodhana al figlio Siddharta Gautama (noto poi come Buddha): una vita tutta piaceri e lusso da cui il dolore e la miseria del mondo sono banditi dalla vista. È questo il paradosso della vita umana: che da una parte essa tende sempre a evitare traumi, ma è solo grazie a traumi che l’essere umano entra pienamente nel mondo. La vita è rischiosa, perché un trauma può fiaccare un soggetto, ma la mancanza di traumi può essere non meno fiaccante.
Non basta quindi dire che l’esperienza con un pedofilo è traumatica per condannare questa esperienza. Ci vuole dell’altro oltre al trauma. E in effetti molti studi cercano di quantificare i danni, per chiamarli così, dell’esperienza pedofila per un bambino. A questo proposito, dobbiamo citare l’appassionata controversia tra specialisti del CSA (Children Sexual Abuse) negli Stati Uniti attorno a quella nota come Rind et al. controversy. È un dibattito – nella letteratura scientifica ma anche nei mass media – nata nel 1998 a seguito di una ricerca da parte dello psicologo Bruce Rind e collaboratori. Questa ricerca gettava dubbi sul fatto che esperienze di sesso con adulti nell’infanzia provocassero danni psichici permanenti che si protraevano anche in età adulta. Il dibattito fece tanto scalpore che intervenne persino il parlamento americano per condannare la ricerca (un intervento veramente unico nella storia legislativa americana: mai il potere politico era entrato in una disputa scientifica!). Non c’è qui lo spazio per documentare la controversia. La evoco solo per dire che non c’è un consenso universale tra gli specialisti sugli effetti psichici del sesso precoce con adulti.
Credo comunque che fare ricerche empiriche sugli effetti del CSA è molto difficile, perché tanti non dicono di aver subito attenzioni da parte di pedofili nell’infanzia, e poi perché ogni caso è diverso. Se la pedofilia va condannata, non è perché abbiamo prove schiaccianti che sia un’esperienza traumatica più grave di altre, ma perché essa cozza con l’assetto etico della nostra società, che prescrive in modo sempre più forte la castità con i bambini. Molto spesso le inchieste epidemiologiche sono solo pezze d’appoggio, per dir così, di una condanna squisitamente morale.
Credo che, se si è psicoanalisti, quando si parla di effetti traumatici della pedofilia non si possa fare a meno del concetto fondamentale di Nachträglichkeit, après-coup in francese15. Senza entrare nella complessa disquisizione su cosa sia l’après-coup, diremo che un’esperienza nell’infanzia può non avere un effetto traumatico immediato, ma può averlo molto dopo, per esempio in età adulta, grazie a un evento recente che assomiglia a quello iniziale, ma che non è traumatico di per sé. In altre parole, l’effetto di senso che ha qualche evento posteriore rende traumatico quello antecedente. Per illustrarlo nel caso della pedofilia, mi riferirò al film Grâce à Dieu (Grazie a Dio) di François Ozon, del 2018.
Quest’opera di fiction documenta con esattezza un fatto reale, anche i nomi dei protagonisti sono quelli reali. Tre ex-allievi boy scouts francesi di un prete si ritrovano da adulti per perseguirlo in giustizia in quanto pesantemente molestati da lui da bambini. Essi denunciano anche l’arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin (è il nome vero), per aver coperto il prete pedofilo per anni e per aver continuato ad affidargli bambini pur conoscendo le sue tendenze pedofile. Nella realtà, i due sacerdoti sono stati condannati ma la procedura penale è ancora in corso. Il film si basa sulle testimonianze degli adulti un tempo molestati.
Ora, quel che colpisce è che la prima reazione di due protagonisti, quando risentono parlare del prete pedofilo, è di indifferenza, si dicono “è acqua passata, me ne sono quasi dimenticato”. Ma poi, poco a poco, si sentono sempre più marcati da quegli eventi dell’infanzia, e sempre più matureranno una risposta appassionata, ostinata, insistente, a quell’esperienza chiedendo giustizia. Due dei protagonisti non sono persone fragili – il terzo ha crisi che sembrano epilettiche, ma è difficile stabilire la loro relazione con le molestie – appaiono persone del tutto integrate nella vita adulta normale. Allora, trauma c’è stato oppure no? Man mano che il film avanza, sentiamo che se trauma c’è stato, esso è avvenuto après-coup.
Da piccoli, le vittime hanno potuto reagire in vari modi psichici alle molestie del prete, quel che conta è che quel che hanno vissuto sia stato reinscritto dopo, quando l’evento è entrato in un altro registro, quello della Legge. Non mi riferisco qui al semplice codice penale, perché possiamo considerare ingiuste certe leggi del nostro paese, ma alla Legge come giustizia in quanto al di là della legalità. Sulla scia di Lacan, propongo di chiamare questa legge la Legge dell’Altro. Dell’Altro con la A maiuscola. Non è quindi la legge dello stato, ma nemmeno quella “legge del cuore” a cui fa ricorso molto spesso il pedofilo – “amo i bambini, non voglio far loro del male”. È una Legge che la stessa psicoanalisi ha difficoltà ad articolare, perché si riferisce a qualcosa che non è né una norma privata, personale, né una legge scritta dello stato in cui si vive. È nella prospettiva della Legge dell’Altro che i protagonisti di Grazie a Dio sentono di essere stati traumatizzati. In questo caso, non è il trauma che il bambino reale ha subito quel che conta per legittimare la legge contro la pedofilia, ma è la Legge che impone agli adulti la castità con i bambini quel che crea il trauma.
6.
Il saggio di Ferenczi del 1932 a cui abbiamo fatto riferimento (secondo gli storici Ferenczi stesso da bambino avrebbe subito molestie pedofile) si incentra su questa idea: il bambino manifesta talvolta una tenerezza tinta di erotismo nei confronti di qualche adulto, però poi l’adulto fraintende questa tenerezza, prendendola per una richiesta di amore sessuale, anzi genitale, e passando quindi all’atto pedofilo.
Certamente però questa confusione delle lingue tra adulti e bambini – come tra adulti stessi, spesso – si produce anche nel senso contrario. Credo che molti adulti abbiano avuto esperienza di questo: in certi casi, dopo aver mostrato un’attenzione benevola e affettuosa a un bambino, maschio o femmina, lui o lei “fraintende” questa attenzione e si innamora, più o meno letteralmente, dell’adulto. In molti casi sono i bambini a passare a “vie di fatto” con gli adulti, ma ovviamente, se gli adulti non sono pedofili, non stanno al gioco.
Un mio analizzante è convinto di aver avuto il primo amore nel senso adulto del termine a dodici anni, nei confronti di un uomo che doveva averne circa trenta. In una vacanza estiva quest’uomo aveva mostrato un particolare interesse per l’intelligenza e la sagacia del bambino, lo portava spesso in giro con sé e ne decantava le doti agli amici – ma senza che questo, a dire dell’analizzante, portasse a un pur minimo approccio “ambiguo” da parte dell’uomo. Il ragazzo aveva avuto già la prima eiaculazione e si masturbava, ma non sapeva nulla della meccanica del sesso. Fatto sta che dichiarò di essersi innamorato di quel signore e, tornato a casa, visse le tipiche ambasce della separazione dall’amoroso che poi avrebbe vissuto da adulto. Ricorda di aver avuto fantasie non di sesso esplicito con quell’uomo, ma alquanto vicine ad atti propriamente sessuali. Bisogna aggiungere che quel bambino ebbe uno sviluppo adulto eterosessuale, non omosessuale.
Per un bambino ricevere un’attenzione speciale da parte di un adulto è un’esperienza importante, questa attenzione suscita spesso nel piccolo un senso di orgoglio che può assumere tonalità chiaramente sessuali. Mi scuso se evoco ancora un episodio personale.
Quando avevo circa 40 anni, ero a New York con la mia compagna. Andammo a trovare una coppia di suoi amici a Long Island, che aveva una bambina di nove-dieci anni. Mi piaceva giocare con i bambini – per esprimere le mie istanze infantili, certamente – per cui sulla spiaggia, mentre la mia compagna parlava con la madre della bimba, preferii dare la stura a gran parte dei giochetti e scherzi che conoscevo con questa bimba. L’aver preferito giocare con lei anziché parlare con gli adulti fu interpretato da lei come un corteggiamento. Così a cena da questi amici la bimba espresse appieno il suo “malinteso”. Si mise sotto la tavola, e prese a dire ascoltata da tutti che mi amava, che si voleva sposare con me, che voleva stare con me nuda nel letto… e mi accarezzava le gambe. Questo con grande imbarazzo dei genitori, i quali non sapevano se reprimere quelle esternazioni oppure – come fecero – ridere benevolmente della situazione.
Non è affetto vero che i bambini conoscano solo il linguaggio della tenerezza con gli adulti, spesso conoscono anche quello della sessualità, tanto più oggi che sono bombardati da immagini esplicitamente sessuali dai media (cosa che sembra provocare nelle ragazze dei nostri paesi una netta tendenza ad anticipare sempre più la prima mestruazione).
L’inverso di quello che dice Ferenczi è descritto nel film The Hunt (distribuito in Italia col titolo annacquato Il sospetto) di Thomas Vinterberg, del 2012. In un piccolo centro danese un uomo, Lucas, fa l’insegnante in un kindergarten. Una bambina di cinque anni si affeziona a lui, perché Lucas le mostra una speciale benevolenza. Un giorno infila un cuoricino di metallo nella tasca del suo cappotto e lo bacia sulle labbra, ma Lucas bonariamente la respinge. La bimba si sente offesa, per cui dice a una maestra di aver visto il pene in erezione di Lucas (in realtà, aveva visto alcune foto porno in una rivista mostratele dal fratello maggiore)… Ben presto si diffonde nel paese la convinzione che Lucas sia pedofilo, viene denunciato, la sua famiglia perseguitata. La bimba si rende conto di aver sollevato qualcosa di troppo grande e cerca di smentire le proprie insinuazioni, ma troppo tardi, “la poverina cerca di rimuovere il trauma che ha subito!” Alla fine l’innocenza di Lucas viene accertata dal tribunale, ma l’ombra della sua pedofilia continuerà ad aleggiargli attorno. La caccia al pedofilo non ha veramente fine.
7.
Vorrei contribuire alla comprensione della pedofilia riprendendo alcune tesi che ho già esposto da tempo sulla perversione in generale16. Sempre ammettendo che la pedofilia sia una perversione e che le perversioni esistano, ovvero che quelle che la psichiatria chiama parafilie abbiano davvero qualcosa che le unisce in un’eziologia coerente.
Secondo me l’atto perverso trasforma in strumento di godimento – anzi, di plus-godimento – la ripetizione teatralizzata di un trauma originario, che è per lo più un trauma di umiliazione o di esclusione. Per fare un esempio, il masochista nel suo gioco erotico – farsi frustare o calpestare da una donna – mette in scena qualcosa che originariamente lo aveva umiliato e offeso da parte di una donna. Ma ora è lui a comandare il gioco, da qui il godimento.
Questa tesi si adatta bene alla pedofilia, se è vero che gran parte dei pedofili furono a loro volta vittime di pedofili. Essi ripetono l’esperienza che hanno subito passivamente, questa volta svolgendo però la parte attiva. Si dice che si “identificano all’aggressore”, nel senso che imitano l’aggressore per rivivere la stessa esperienza traumatica, a parti invertite.
Ma questa ripetizione avviene all’insegna di ciò che Freud chiamò Verleugnung, sconfessione o diniego, un tipo di negazione. Ne parlò nel caso del feticismo: il feticista ha due saperi, uno conscio secondo il quale le donne non hanno un pene, e uno inconscio – un sapere desiderante direi – secondo cui la donna ha un fallo, anche se il suo fallo è l’aggeggio feticistico. In generale, il perverso ha due saperi scissi: uno oggettivo, l’altro soggettivo che alimenta il suo desiderio. Qualcosa di simile sembra accadere con il pedofilo.
Anch’egli ha due saperi. In uno egli sa bene che le emozioni sessuali infantili, che certo esistono, non giungono al confronto genitale, perché questo travalica la capacità del bambino di dominare un’emozione genitale. Ma hanno un altro sapere di desiderio, secondo il quale invece i bambini sono dei partner quasi adulti capaci di rispondere alla genitalità adulta. Sono scissi, come tutti i perversi: da una parte sanno che sono solo bambini, dall’altra pensano che i bambini gradiscano uno scambio sessuale a livello genitale.
Quindi, anche se l’esperienza originaria di essere stuprati da un adulto non comportava piacere, il pedofilo ripete quest’esperienza originaria supponendo che il bambino ne tragga invece piacere. Se il bambino non ci sta e protesta, il pedofilo penserà che egli ha commesso qualche errore di seduzione, che il bambino sia stato vittima di un malinteso, ecc.
Ma perché il pedofilo desidera i bambini e non solo uomini o donne adulti? Dico “non solo” perché di solito il pedofilo ha una vita sessuale anche con persone adulte. Non sempre è stato oggetto da bambino di molestie sessuali da parte di adulti, quindi la ripetizione del trauma in una posizione dominante non basta a render conto dell’attrazione così specifica per il pre-pubere. Ho avanzato quindi un’ipotesi aggiuntiva, che ho elaborato riflettendo sulla pederastia antica17. Per dirla in breve, ho ipotizzato che non a caso la pederastia maschile, volta a efebi maschi (mai femmine), fosse la conseguenza dell’impossibilità di stimare l’oggetto sessuale femminile. La donna greca, ho cercato di dimostrare, era sostanzialmente disprezzata dall’uomo libero greco, per cui, anche se l’uomo era eterosessuale e gradiva il coito con le donne, da erastes trovava un plus-godimento, un piacere tutto speciale, non ordinario, nell’amare i ragazzini e sodomizzarli. Gli eromenoi, gli amasi – mai schiavi, ma sempre giovani per lo più appartenenti alle fasce sociali più alte – prendevano il posto delle donne come oggetti idealizzati di desiderio, dato che le donne non erano idealizzabili. Insomma, la benzina della pederastia sarebbe la misoginia. Più una società è misogina, più la donna è spregiata, più è probabile che fioriscano forme di pederastia tra gli uomini.
Anche oggi molti uomini nel fondo desiderano che la donna non sia “sessuale”, che essa non abbia un desiderio sessuale esplicito, che non aspiri a ricevere il pene. Ma questo è difficile da sostenere, soprattutto in una cultura come la nostra, dove la sessualità femminile non è più celata e viene sbandierata attraverso tutti i media. Il modello femminile di oggi è quello di una donna direi impudica. Da qui un sostanziale rigetto della donna da parte del pedofilo.
Mi chiedevo perciò – commentando una serie di casi clinici abbastanza espliciti – se la scelta pedofila non sia un corollario di un rapporto catastrofico con la donna, nei cui confronti il pedofilo accumula rancore e delusione. Il bambino assume quei caratteri “angelicati” della donna del fin amor medievale: ingenuità, bontà, innocenza, forme tonde che ricordano quelle della donna. Il bambino viene amato – anche in modo platonico, ci sono pedofili platonici – come una femmina deprivata della sua degradata lussuria.
8.
Tra i tanti esempi clinici presenti nella letteratura, ne scelgo uno che proviene da un analista italiano, e che illustra bene, a mio parere, quel che voglio sostenere18.
Un maître d’hotel, G., di cui l’autore non dice l’età, finisce nei guai con la giustizia per aver toccato i genitali di una bambina di otto anni adescata in un parco, e “conquistata” con regalini e belle favole. Inizia quindi una psicoterapia analitica, probabilmente imposta per via giudiziaria.
A sei anni G. viene staccato dalla famiglia perché muore il padre in un incidente di lavoro e la madre, che lavora in una sartoria, lo manda a vivere dai nonni (si suppone materni). Vivrà il resto dell’infanzia con questi nonni in una casa isolata in campagna, mentre la madre si eclisserà sempre più dalla sua vita, si risposerà e avrà altri figli. A undici anni G. subisce uno stupro, viene sodomizzato da quello che considerava il suo unico amico, un ragazzo di campagna di diciotto anni. (Da notare che per il DSM-5 quel ragazzo era pedofilo, in quanto aveva più di sedici anni e data la differenza di età.)19
G. frequenta poi un istituto alberghiero e scopre in sé stesso una vocazione culinaria, diventa cuoco in un ristorante. Non ha amici, visita di rado i nonni e ancor più raramente la madre. Preciso, inappuntabile, ordinato nel lavoro di chef, nel privato vive invece nel disordine e nella sporcizia. Inoltre (è un tratto che si ritrova in molti cuochi) mentre è creativo come cuoco, a casa mangia solo cibo in scatola e preconfezionato. La sua vita sessuale si limita ad avere sesso con prostitute di infima categoria, o nell’andare con travestiti o transessuali che gli piace soprattutto sodomizzare. Insomma, la sua vita appare scissa tra una faccia pubblica – conformista, rispettabile, ma anche artistica a suo modo – e una faccia privata in cui sembra abbandonarsi a una sorta di pigro degrado.
Il primo vero innamoramento lo prova per un adolescente (di cui l’analista non dice l’età, probabilmente quindicenne) che lavorava come sguattero nel suo ristorante. Come l’erastès greco, G. gioca il ruolo del maestro, in questo caso di arte culinaria: gli fa lunghe lezioni di cucina, dove poco a poco il ragazzo opera nudo ai fornelli mentre lui, il docente, resta alle sue spalle. Ma non ripete lo stupro che subì a undici anni: si limita ad accarezzare le natiche del ragazzo e a masturbarlo da dietro. Il ragazzo lo compiace per un po’, ma poi sparisce. G. soffre allora i tipici dolori dell’innamorato abbandonato, si deprime, pensa anche al suicidio.
G. afferma di non aver mai desiderato prima i pre-puberi, a parte quella bambina nel parco. Intuisce “che quella bambina non doveva essere felice, che si trattava di una bambina solitaria e che lui si sarebbe occupato dei suoi problemi e li avrebbe risolti” (p. 232). Conquistatasi la fiducia della madre e della bambinaia, si apparta con la bambina e le mostra le figure di un libro, comincia ad accarezzarle le gambe, quindi mette le mani sotto le mutandine, le accarezza la vagina. La bambina non protesta, anzi in un primo momento sembra gradire la cosa, poi, d’un tratto, comincia a piangere e a gridare forte, interviene la baby sitter, quindi il vigile del parco… G. dichiara unico questo tentativo di seduzione di un infante.
All’analista non mostra sensi di colpa, dice anzi “so solo che ero molto affezionato a quella bambina, che non sono un mostro pedofilo e che addirittura stavo scrivendo per lei una favola.”
Mentre la tentata seduzione del ragazzo sembra ripetere lo stupro da lui subito, anche se in forma attenuata e non violenta, il tentativo di seduzione della bambina sembra situarsi in un altro registro. Come abbiamo visto, G. ha rapporti sessuali con donne solo se sono prostitute degradate: evidentemente è attratto dalla donna in quanto vile, spregevole. Nella bambina vede invece d’un tratto qualcosa di fragile, che di solito gli uomini vedono nelle donne (una certa fragilità femminile per molti uomini è sexy), non nelle bambine. La sua misoginia erotica cede solo di fronte a un infante, nei cui confronti avverte sentimenti paterni (ma molti uomini sentono spesso sentimenti paterni nei confronti di certe donne, che amano per il loro apparire inermi; sono pedofili psichici). È come se G. si concedesse di idealizzare la femminilità solo nella forma di una bambina che sente infelice, sola, come lui era da bambino, orfano del padre, abbandonato dalla madre, lasciato alla mercé della libidine di un ragazzo grande. G. sembra identificarsi narcisisticamente a questa bimba, nei cui confronti però fa confluire impulsi genitali che non sono ammessi nei rapporti con bambini. Paradossalmente, è con una bimba che egli riesce a far confluire quelle due correnti che, secondo Freud, rendono possibile l’amore coniugale: la corrente della sensualità e quella della tenerezza20. G. fa confluire sensualità e tenerezza, abbandonando l’oggetto-specchio dell’adolescente sodomizzato, sulla persona sbagliata, e qui è tutto il problema.
L’analista parla del suo paziente come di un personaggio piatto, bidimensionale, riferendosi soprattutto al suo conformismo di facciata, a cui si accompagna, come abbiamo visto, un privato degradato.
L’analista legge l’abitudine di mangiare cibi in scatola come una negazione della dipendenza umana – ovvero da una persona che nutre e ama – e un volersi cibare di materiale metallico, non carnale. Io vi trovo la ripetizione dell’abbandono materno a nonni che probabilmente non avevano alcuna voglia di adottarlo, a un rapporto col cibo ridotto quindi a mero atto nutritivo, che si accompagna a una sua vita domestica destrutturata, esclusa da ogni rapporto sociale. In termini lacaniani, diremmo che G. manca di ogni relazione diretta con l’Altro, con la A maiuscola.
G. appare scisso in due persone: una facciata sociale accettabile ma in fondo non partecipata, e un risvolto privato privo di ogni partecipazione dell’altro. O vita tutta per gli altri (vita pubblica anonima, il “man [si]” heideggeriano) o vita senza traccia di Altro (vita privata). O tutto per gli altri, o tutto per sé. Ovvero, o segue la norma sociale esteriore, o, nel privato, è privo di ogni norma, abbandonato all’anomia. In entrambi i casi, manca quella che ho chiamato legge dell’Altro.
Le sue avventure pederastica e pedofila sembrano il tentativo – evidentemente fallito – di superare questa scissione tra normativa conformista e anomia privata: da qui l’emergere di quella che ho chiamato la legge del Cuore. Finalmente l’amore lo tocca, ma con persone che la legge interdice. Tra la norma tutta esteriore, “piatta” come la chiama l’analista, e una non-legge nella sua intimità, accede a una “legge del cuore”, che però è in aperto conflitto con la legge dei propri concittadini.
L’analista legge le difficoltà di G. a stabilire un transfert con lui come il rifiuto di una dipendenza affettiva dall’altro. Ed è impressionato dal fatto che G. gli porti una scultura di un museo d’arte contemporanea: è una vecchia auto distrutta e poi compattata, che all’analista fa orrore (si vede che non ama l’arte contemporanea). Probabilmente si tratta di una delle famose sculture di César Baldaccini. Ed è interessante che l’analista contrapponga a questa scultura che trova disgustosa una riproduzione de La città ideale (suppongo sia quella di Piero della Francesca a Urbino) che il paziente ha visto nel suo studio. L’analista contrappone una visione idealizzata, armonica, geometrica della vita (la propria probabilmente) a quella caotica, distrutta, rabberciata del paziente. In fondo, è la contrapposizione tra una idealità super-egoica (di cui l’analista si fa interprete) e l’inconscio, che è come le auto di César.
L’analista è irritato da quella che chiamerei una confessione (mostrargli il tipo di scultura che gli piace) perché avviene quando la seduta è già conclusa. Evidentemente le idealità quattrocentesche dell’analista cozzano con la farragine inorganica che il paziente gli mostra. Questa trasgressione di setting è un episodio singolo in un comportamento molto, troppo corretto da parte del paziente: obbediente, puntuale, sottomesso, non polemico, disposto a recepire quel che gli dice l’analista. Evidentemente G. vede la relazione analitica come un’appendice della sua vita pubblica, improntata a una normatività conforme. Tra analista e paziente non si stabilirà mai il transfert, che implica l’accesso alla Legge dell’Altro.
Un sogno ricorrente di G. è di vedersi come un templare bardato di tutto punto e protetto da una corazza. G. però ha una pessima opinione dei templari, che considera dei mafiosi che approfittavano delle guerre sante per arricchirsi. In sostanza, egli si sogna come un personaggio spregevole ma potente perché ben protetto. A mio avviso la corazza del sogno corrisponde alla sua irreprensibile vita pubblica come maître (in francese significa padrone) che difende e nasconde quel mascalzone che egli sente di essere dietro la facciata. Ma credo che il mascalzone non sia il pedofilo, è quel G. privato caotico, solitario, anomico, che non fa coccole a sé stesso. La mia impressione è che le due esperienze amorose – coll’adolescente e la bambina – siano state il tentativo di uscire dalla corazza del templare, di accedere alle leggi del cuore, che possono però espletarsi solo in un cozzo radicale con l’etica della società in cui vive. E in entrambi i casi la sua seduzione fallisce, probabilmente perché lascia emergere quel fondo aggressivo, vendicativo, rivendicativo del bambino abbandonato e violentato, un rancore di fondo che l’altro (l’adolescente, la bambina) avverte per cui non partecipa alla sua richiesta di sesso-amore.
Il pedofilo, come ogni perverso, mette al primo posto la legge del Cuore, cosa che ha precedenti illustri, come Romeo e Juliet, che si amano contro la legge sociale che contrappone le loro famiglie. Ma la Legge dell’Altro è diversa da quella del cuore. Ora, per Lacan la Legge non è ciò che si oppone al desiderio – “voglio sodomizzare un ragazzino, ma la legge me lo impedisce” – piuttosto è qualcosa che lo costituisce. Ora, il paziente di Schinaia desidera-ama solo ciò che trasgredisce la Legge. Non che sia contro il codice penale, ma è contro quella “legge sociale” che lui assume come propria maschera, e di cui l’arte culinaria è parte. Cucinando, egli fa godere gli altri, ma non l’Altro, che può emergere solo nell’esperienza dell’amore. La sua sessualità “proibita” inverte la maschera sociale. Non è vero che lui sia attratto da un quindicenne con delle belle natiche, da una bambina triste, ma dalla trasgressione che questo implica. Ciò che dovrebbe riconoscere, non è di essere un delinquente e di fare autocritica, ma che il proprio desiderio si basi sulla trasgressione di una legge che non è solo la legge del codice penale, ma quella della morale comune che egli assume in modo esteriore. Ha bisogno di essere un piatto conformista per introdurre la terza dimensione della trasgressione. Egli ripete la doppia trasgressione della madre che l’ha abbandonato e del ragazzo che l’ha violentato, ma dandogli la legittimità della legge del Cuore.
1 Rimando a miei interventi precedenti sul tema. S. Benvenuto, “Pedofilia”, Doppiozero, http://www.doppiozero.com/materiali/pedofilia, 11 maggio 2017. “Pederastia antica, pedofilia moderna. Un’ipotesi”, Psychiatry On Line, 8 novembre 2018, http://www.psychiatryonline.it/node/7729
2 Per esempio NAMBLA (North American Man/Boy Love Association) e HeartProgress negli Stati Uniti, o Vereniging Martijn in Olanda. Di solito queste organizzazioni puntano a rendere legale il consenso dei minorenni ad atti sessuali; oggi nella maggior parte dei paesi il consenso del minore al rapporto intimo con l’adulto non è motivo valido per decriminalizzare l’adulto.
3 La classificazione delle perversioni è straordinariamente stabile dalla fine dell’Ottocento (quando cominciò la sessuologia psichiatrica) fino a oggi, fino al DSM-5 (2013). Sostanzialmente, delle perversioni è cambiato quasi solo il nome: oggi si chiamano parafilie.
4 M. Neuillya, K. Zgobab (2006). "Assessing the Possibility of a Pedophilia Panic and Contagion Effect Between France and the United States". Victims & Offenders. 1 (3): 225–254.
5 Anche grazie al film Spotlight di Tom McCarthy del 2015.
6 Paul Eberle, Shirley Eberle (1993) The Abuse of Innocence: The McMartin Preschool Trial, Prometheus Books, Buffalo (NY).
7 Lawrence Wright (1994). Remembering Satan, Vintage, New York.
8 « Choisir la cause des femmes », n. 44.
9 Elisabeth Roudinesco (2007) La parte oscura di noi stessi. Una storia dei perversi, Colla, Novara 2008.
10 Questo non smentisce quel che ho detto prima, che in un secolo e mezzo la valutazione delle perversioni da parte della psichiatria non è cambiata. In effetti omosessualità e gerontofilia non sono più annoverate tra le parafilie, ma tutte le altre sono rimaste le stesse.
11 Sprachverwirrungzwischen den Erwachsenen und dem Kind”, settembre 1932. Tr.it. in S. Ferenczi, Confusione delle lingue tra adulti e bambini, in Fondamenti di psicoanalisi, Guaraldi, Rimini, 1974, vol. 3.
12 S. Jahnke, R. Imhoff, J. Hoyer (2015). "Stigmatization of People with Pedophilia: Two Comparative Surveys". Archives of Sexual Behavior. 44 (1): 21–34.
13 Si veda quel che dice a questo proposito Philippe Ariès nella sua storia dell’infanzia: Ariès, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Roma-Bari, Laterza 1999.
14 Tra i tanti esempi, si veda la spaventosa (per noi) iniziazione rituale dei giovani maschi tra i Sambia, una popolazione che vive nelle South-Eastern Highlands della Papua New Guinea. Graham E. Bull, “A Re-interpretation of a Male Initiation Ritual: Back to Freud via Lacan”, Journal of European Psychoanalysis, nn. 3-4, 1996-1997, http://www.psychomedia.it/jep/number3-4/bull.ht
15 Per una ricostruzione di questo concetto freudiano, vedi J. Laplanche, Problematiche vol. 6. L’après-coup, La Biblioteca by ASPPI, Bari 2007. S. Benvenuto, “L’après-coup, après coup”, POL.it, 3-IX-2018, http://www.psychiatryonline.it/node/7583.
16 S. Benvenuto, Perversioni. Sessualità etica psicoanalisi, Bollati-Boringhieri, Torino, 2005. What are Perversions?, Karnac, London, 2016.
17 Cfr. “Pederastia antica, pedofilia moderna. Un’ipotesi”, cit.
18 C. Schinaia, “Un caso di perversione pedofila”, Pedofilia pedofilie, Bollati-Boringhieri, Torino 2001, pp. 228-242.
19 Per il DSM-5 in effetti c’è pedofilia quando una persona di almeno 16 anni ha rapporti sessuali con bambini meno di 13 anni, e se è di almeno cinque anni più anziano del bambino. American Psychiatric Association, DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione, Raffaele Cortina, Milano 2014, p. 810.
20 S. Freud, “Contributi alla psicologia della vita amorosa. Primo contributo”, Opere di Sigmund Freud, vol. 6, Boringhieri, Torino, pp. 411-420.
Grazie per la splendida
Grazie per la splendida lezione.
Premetto che sono gay e conformista. I minori desiderano sicuramente sessualità anche con adulti ma gli adulti se sono tali non possono cedere ad una richiesta incongrua.
Lei stesso cede, è un refuso, a chiamare lesbiche le suore pedofile.
I termini per l’orientamento sessuale tra adulti, nella reciprocità sessuale tra maschi, tra donne, con l’altro sesso o con persone transgender, ovviamente sono sovrapposte a quelle con o tra minori, che supponiamo di due ulteriori fattispecie sulla base dell’età anagrafica, ma soprattutto anatomica.
Mi ricordo di come mi torturavo da adolescente tra Essere un Maschio o Avere un Maschio…
Mi ricordo di come, leggendo Bateson da una parte e Darwin dall’altra, mi sia venuta in mente la possibilità che la pedofilia sia un tratto comportamentale necessario alla sopravvivenza della specie, quando dispersa in piccole tribù, in assenza di femmine (perché morte di parto) o di maschi (perché uccisi da tribù rivali). Solo i minori della tribù erano subito presenti per il piacere sessuale e la necessità di continuità della specie.
A vederla così si capisce anche come la lenta costruzione della società abbia progressivamente allontanato con tabù l’idea di incesto e solo di recente la pedofilia tra estranei, perdendo comunque di fronte alla normativa scritta nel codice almeno epigenetico, sviluppato in centinaia di migliaia di anni fin dai nostri parenti primati.
Il tabù è debole rispetto al potere dell’istinto.
La costruzione sociale moderna che pone il Puer al centro di una salubrità innaturale e lo priva di traumi formativi e regole frustranti, produce ovviamente meccaniche e dinamiche relazionali diverse da quella citata da Verga in Rosso Malpelo o subita e descritta da Busi in Seminario sulla Gioventù , dalle mitologie greche alle persecuzioni odierne alla Comunità LGBTI.
Ecco….
Siamo più volte vittime di pedofilia, perché essere nati maschi ed essere LGBTI tiene conto di maggior vittimizzazione, minore capacità di denuncia e accusa ingiustificata di essere noi stessi pedofili per negarci il diritto alla genitorialità e alla riproduzione, che sono invece alla base della esistenza stessa di una specie. Il folle paradosso ci accusa di non procreare in quanto LGBTI e ci accusa se procreiamo o adottiamo prole.
E DECIDETEVI…
La tesi da lei stesso riportata, d’altra parte, ci perseguita una ulteriore volta. Essere stati vittime di pedofilia, più spesso se LGBTI, purtroppo è provato per i nati maschi, sarebbe anche secondo lei causa di comportamento pedofilo da adulti.
Non fanno statistica le vittime di pedofilia che conosco io… Tuttavia non esiste altro che un pregiudizio nel merito e nessuno studio epidemiologico. Fosse vero, siccome la maggior parte delle vittime denuncianti è comunque nata donna, sarebbero le donne le maggiori carnefici. Sappiamo invece che è l’opposto, con una quota di prevalenza maschile enorme!!
Le ragioni del narcisismo dello psicanalista che si vanta di ragionamenti indimostrabili ma affascinanti, di fatto uccide o meglio perseguita le persone LGBTI e le vittime di pedofilia.
FATENE A MENO.
Un’ultima considerazione è sulla terapia possibile.
L’adulto può tollerare frustrazioni d’amore…
Seguire la natura del pedofilo non impedisce di fargli accettare questa norma banale trasformando in eroe chi è oggi vituperato più dei migranti o dei terroristi (ma meno degli omosessuali…).
Rendere l’amore spontaneo dei pedofili un atto eroico attraverso la rinuncia o meglio la sublimazione dell’istinto, che mi compiaccio col mio narcisismo di chiamare, banalizzando, naturale, potrebbe ridurre il numero effettivo delle vittime.
Immagino anche degli spot.
Essere pedofili sarebbe un orientamento sessuale che nega la libertà ai partner perché da minori il consenso anche se sincero non può essere considerato valido (adesso che non abbiamo più bisogno di fare sopravvivere la tribù umana).
I pedofili, se amano sinceramente, possono rinunciare all’amore per il bene superiore della persona amata?
E per le vittime d’amore pedofilo???
La loro frustrazione permetterà loro di essere adulti migliori grazie al sacrificio dell’amato.
Discorso ipocrita ma più realistico di altri…
Spero che qualcuno noti come la difesa dell’obiezione di coscienza verso minori stuprate negli anti abortisti o i comportamenti pedofili con matrimoni nelle tribù arabe o africane o indiane o nelle periferie urbane anche occidentali, rispondano tutti a dinamiche di salvaguardia della specie più che del predatore alfa…