Percorso: Home 9 Clinica 9 “Tutte le strade portano alla psicoanalisi”. Il debito della psicologia cognitiva

“Tutte le strade portano alla psicoanalisi”. Il debito della psicologia cognitiva

15 Mag 21

Di pa.califano

"Chi accoglie un beneficio con animo grato paga la prima rata del suo debito" 

(Lucio Anneo Seneca) 

 

1.Breve introduzione 

 

In un'intervista rilasciata non molto tempo fa al Centro di psicoanalisi Romano, Otto Kernberg, psicoanalista e professore di psichiatria al Weill Cornell Medical  College, alla domanda dell’intervistatore riguardo alle sorti della psicoanalisi risponde: 

”   […] la  psicoanalisi ha avuto un impatto culturale che rimarrà ma sparirà come scienza e sparirà come  professione o piuttosto le tecniche psicoanalitiche che sono state sviluppate saranno assorbite da altri orientamenti . Già oggi i terapeuti cognitivo comportamentali utilizzano tecniche orientate psicoanaliticamente, al posto dell’interpretazione parlano di mindfulness , al posto del transfert parlano della relazione , ma c’è un lento assorbimento e i dati potrebbero essere che la natura centripeta della psicoanalisi potrebbe ritrovarsi più in ciò cui ha contribuito professionalmente ma sarebbe diluita e questo è un peccato perché la psicoanalisi ha un enorme concezione tecnica quindi anche pratica . Le conseguenze pratiche sono molto importanti . Ricopre un ruolo unico , è una scienza unica . Deve essere sviluppata,  è emozionante e importante , ma abbiamo un grande obiettivo [….]”  

 

Aristide Ronconi, nel suo contributo edito su “ Psychiatry on line italia”, rivista diretta da Francesco Bollorino, dal titolo “COGNITIVISMO E PSICOANALISI” cita A. Roth e P. Fonagy, (1997): “Attualmente c'è una certa convergenza tra i clinici che hanno avuto una formazione psicoanalitica e quelli i cui interessi riguardano principalmente le tecniche cognitivo comportamentali. Mentre questi ultimi vanno sempre più interessandosi ai processi non coscienti e all'impatto della relazione terapeutica, gli psicoanalisti si interessano alla natura delle rappresentazioni della conoscenza e al significato di fattori cognitivi che potrebbero render conto del lento progresso in psicoterapia".  

 

In questo articolo, il dottor Tronconi, traccia sinteticamente gli sviluppi della psicologia cognitivista a partire dai suoi primi passi in italia intorno agli anni ‘70. Indica l’evoluzione di questo approccio che ha radici nel comportamentismo e tenderebbe inevitabilmente, a mio avviso, verso la psicoanalisi. Tronconi, parla di convergenze con la psicoanalisi, mentre pare più corretto considerare uno sbocco quasi naturale in essa, cosa che in questo breve lavoro cercherò di dimostrare, in linea con la “profetica visione“ di Otto Kernberg 

(Cit.) S. Bianco, V.F. Guidano, M.A. Reda, (1990).“  Nel 1972 veniva fondata a Roma, con sede presso l'Istituto di clinica psichiatrica diretta dal Prof. G. Reda, la Società italiana di terapia del comportamento. Due anni dopo, nel 1974, in occasione del Congresso di Londra della European Association of Behavior Therapy, la Sitc era ammessa a questa prestigiosa associazione europea. In occasione del primo Congresso nazionale del giugno del 1981 venivano apportate una serie di modifiche allo statuto e la denominazione diventava quella attuale: Società italiana di terapia comportamentale e cognitiva. Questo cambiamento nasceva dalla consapevolezza da parte di molti soci di un'evoluzione scientifica verso un approccio cognitivo […] Così è nato il cognitivismo clinico in Italia: come un'evoluzione del comportamentismo” 

 

Il dottor Tronconi, indica inoltre le motivazione di tale scelta, utilizzando le parole di chi ha vissuto quel periodo storico – alcuni dei quali fondatori della Società Italiana di Terapia Cognitiva e Comportamentale (S.I.T.C.C.) – S. Bianco, V.F. Guidano, M.A. Reda, (1990) : 

 Per quanto riguarda la nostra personale evoluzione, in una prima fase scientifica e clinica, i principi del corpus dottrinale della behavior therapy (Bandura 1969) sembravano soddisfare la dimensione metodologica che andavamo cercando, in quanto ci mettevano a disposizione metodi di osservazione e rilevazione dei dati clinici e di intervento terapeutico alternativi a quelli psicoanalitici o, in genere, a quelli tradizionalmente in uso negli ambienti accademici. Ci rivolgevamo all'individuo in termini di principi dell'apprendimento classico e operante, e consideravamo il comportamentismo umano alla stregua di un congegno di precisione regolato, passo dopo passo, dal gioco delle contingenze che le azioni acquistavano con l'ambiente circostante. Nonostante avessimo in breve tempo dei miglioramenti, ad un certo punto cominciammo ad avvertire uno spiacevole senso di discrepanza allorché tentavamo, usando la medesima impostazione teorica, di arrivare ad una spiegazione esauriente di quanto si era avuto modo di osservare durante la terapia. Inoltre, spesso, appariva chiaro che il miglioramento prodottosi era il risultato di atteggiamenti terapeutici non intenzionali o, comunque, non direttamente connessi con la strategia che si stava portando avanti; avevamo la sensazione di operare con modalità che non conoscevamo, su meccanismi cruciali del paziente che non eravamo in grado di descrivere. Mettendo a fuoco il nostro disagio dovuto alla discrepanza fra i risultati ottenuti e il limitato potere esplicativo dei principi dell'apprendimento, diventava sempre più chiaro che attività cognitive quali le aspettative, la memoria, il pensiero, ecc… dovevano svolgere un ruolo cruciale nel mediare la risposta comportamentale allo stimolo ambientale"  

 

Infine, sempre nel medesimo articolo, sono riportate le parole di B. Bara (1996) tratte dal “  secondo capitolo del Manuale di psicoterapia cognitiva, dedicato al terapeuta cognitivo”, e prospetta,  l’inevitabile impostazione psicoanalitica nell’orientamento cognitivista "Considereremo come psicoterapia un'integrazione di cognizioni ed emozioni, rivolta all'obiettivo di raggiungere e mantenere un consapevole equilibrio dinamico, e ottenuta grazie alla relazione fra terapeuta e paziente[…]Gran parte del cambiamento interno consiste in quella che possiamo chiamare accettazione di sé, che ancora una volta coinvolge sia la sfera cognitiva che quella emotiva. Il paziente tende a vivere la parte di sé sofferente, o malata, come una sorta di orrore da dimenticare, o di nemico da eliminare, possibilmente in modo definitivo […] Si tratta di riuscire a cogliere come ogni nostro aspetto ci appartenga, ogni nostro diverso Sé sia costitutivo della nostra persona, al di là della sua attuale adeguatezza[…] Un terapeuta troppo desideroso di guarire gli altri può penalizzare i pazienti che insistono nel loro star male, perché non migliorano in modo corrispondente ai suoi sforzi e alle sue aspettative. Così facendo li priva della possibilità di vivere un affetto incondizionato, esperienza di infinito valore umano che i figli sempre donano ai genitori, e i genitori solo talvolta concedono ai figli: ti amo al di là di quel che fai, solo per quel che sei. Per un paziente è prezioso sentire che il suo terapeuta non lo allontana, colpevolizzandosi e colpevolizzandolo, se la sua sofferenza perdura o peggiora, ma gli permette invece di essere com'è. Una buona psicoterapia comporta piena accettazione dell'altro nell'interezza della sua persona […] Va sottolineato il fatto che l'organizzazione del paziente si è strutturata intorno a eventi in primo luogo emotivi, quali sono le condizioni di attaccamento-accudimento in cui si è trovato a vivere. Perché tali strutture emozionali profonde e antiche possano modificarsi, la persona deve trovarsi in una situazione di mobilizzazione emotiva[…] Un ragionevole livello di indefinitezza della figura del terapeuta permette al paziente di esprimere più compiutamente i propri schemi, sia quelli irrigiditi dalla nevrosi che quelli man mano più elastici della guarigione […] Il paziente può così attribuire al terapeuta credenze ed emozioni caratteristiche di un ruolo usuale all'interno di un proprio gioco[…] Al paziente è quindi consentito essere aggressivo o seduttivo, ma il terapeuta non può mai lasciarsi andare a simili aperture emotive. Un eccellente strumento è ancora una volta l'interpretazione relazionale, che permette di non prendere alla lettera aggressioni o seduzioni, ma di rileggerle come aventi un altro significato, relativo ai ruoli giocati[…] C'è una fatica emotiva caratteristica, e consiste nell'entrare in relazione genuina con ciascun paziente, ogni volta esponendo se stesso a un contatto che si può rivelare improvvisamente doloroso[…] Una certa quantità di fatica psichica è comunque indissolubile dall'essere terapeuta: eliminandola si elimina la qualità profonda di una psicoterapia". 

 

Questi brevi stralci riportati sopra e le parole di Kernberg con ragionevole certezza indicano gli sviluppi o la via che la psicologia cognitiva ha intrapreso,  facendone  presagire, anche se in modo neppur tanto velato, che le operazioni di "assorbimento" siamo già in atto, che siano ancora più profonde e per lo più inconsce. La psicoanalisi pare che non riesca a sottrarsi, oggi più che mai, ad una condizione che definirei "Teodosiana". Teodosio  II nel novembre del 435 comanda che, se c’è ancora un solo tempio pagano non distrutto, sia trasformato in chiesa cristiana. Secondo alcune fonti storiche, la spesa costosissima per lo Stato che doveva pagare il trasporto e il lavoro di centinaia di operai impiegati per lo smantellamento degli edifici pagani, così come non era una decisione saggia lasciare chiusi locali, spesso grandissimi (templi, atri, abitazioni dei sacerdoti, boschetti sacri) senza trarne alcun beneficio pubblico, si decise dunque, che sarebbero stati adattati, con qualche ritocco architettonico, ad una nuova destinazione: così si trasformarono i templi antichi in chiese per il nuovo culto cristiano, soltanto dopo, però, essere stati purificati e liberati da presenze demoniache. Tuttavia, ad un'analisi più approfondita, c'è da concludere che  il culto cristiano aveva assorbito molti delle cerimonie pagane e quindi ne  risultava solamente un'operazione di superficie.  

  

L'incipit teodosiano, indica la direzione di questo scritto che ha prevalentemente  lo scopo di ristabilire la paternità di alcuni concetti teorici e clinici della psicoanalisi,  soppiantati,   anche un po' impropriamente ( e ancora non propriamente riconosciuti) da quelli cognitivisti. Svolgere un'opera di “svelamento”, attraverso un'operazione fenomenologica, rendendo visibile ‘un impianto metapsicologico' comune ad entrambi gli indirizzi,   che dimostri che l'edificio della psicologia cognitiva è stato eretto sul "tempio" della psicoanalisi. Tuttavia, poiché, non è possibile in questa sede prendere in considerazione tutti i differenti approcci della psicologia cognitiva, che sono circa una ventina, mi limiterò a porre l'attenzione su uno di essi.  

È mia intenzione, pertanto, prima, tentare di descrivere succintamente e poi riflettere su un nucleo comune tanto alla psicoanalisi quanto alla psicologia cognitivo- evoluzionista, partendo proprio da quest’ultima, poiché è un orientamento che appare dotato di un forte potere integrativo  rispetto alle diverse teorie – cognitiviste, relazionali, psicoanalitiche – della psicopatologia e della psicoterapia ( Bowlby, 1969; Edelman, 1992; Liotti, 1994), e più precisamente  ponendo particolare attenzione su tre aspetti da me ritenuti cardine che costituiscono “l'ossatura o l’impianto comune” ( o struttura): 1. L’impianto che caratterizza la comunicazione: 2. L’impianto che media la relazione  interpersonale e che  caratterizza l’esperienza soggettiva; 3. L’impianto che consente lo sviluppo della mente.  
 

2. Breve disamina della teoria cognitivo – evoluzionista: comunicazione, mediazione e sviluppo della mente 
 

La psicologia evoluzionista sviluppa le sue teorie tenendo conto di un presupposto fondamentale e cioè che la struttura essenziale della mente umana è  un prodotto della natura,  frutto di un lungo  processo evolutivo. Da questo processo evolutivo, la mente umana ha sviluppato sia la capacità e forme basilari di relazione affettiva (Bowlby, 1969) sia la capacità e forme basilari  di elaborazione cognitiva e linguistica della conoscenza ( Baron – Cohen, 1995). Tuttavia, la psicologia evoluzionista non afferma che la mente umana sia determinata da vie innate – poiché ciò la ingabbierebbe in modello medico – genetico –  ma da disposizioni innate che consentono che essa sia modificabile  dai processi di apprendimento.  Alcune di queste disposizioni innate sono alla base di ogni relazione umana ( Liotti, 1994). Le forme fondamentali  in base alle quali ogni relazione umana può costituirsi –  inclusa quella terapeutica – sono state studiate dagli etologi attraverso l’osservazione comparata del comportamento sociale nelle più diverse specie animali e possono essere così elencate: 

  1. Interazioni  definite dalla richiesta – offerta di cura, protezione e conforto – (attaccamento – accadimento); 

  1. Interazioni il cui fine è la definizione del rango sociale di dominanza o di sottomissione (interazioni competitive o agonistiche); 

  1. Interazioni di corteggiamento e accoppiamento sessuale; 

  1. Interazioni cooperative in vista del conseguimento di un obiettivo congiunto. 

Secondo il modello evoluzionista per ciascuna  forma basilare di interazione esiste un sistema di regolazione o controllo,  su base innata che organizza sia l’esperienza soggettiva sia il comportamento osservabile in rapporto ad una precisa meta relazionale. Essendo i sistemi di regolazione o controllo interpersonali  equiparabili, per funzioni,  a sistemi fisiologici – come ad esempio la pressione arteriosa, la temperatura corporea ecc.- è possibile identificare  le condizioni che attivano e disattivano ciascun sistema e le varie fasi di tale attività, considerate in funzione delle vicissitudine della relazione. Quindi, facendo qualche esempio: a. il sistema di attaccamento è attivato da stati mentali di sofferenza, fatica e pericolo e cessa quando l’individuo consegue una vicinanza protettiva di un conspecifico (figura d’attaccamento) capace di fornire conforto e aiuto. Nelle varie fasi di questa attività, il sistema d’attaccamento genera ed organizza  emozioni  e condotte in funzione alle diverse modalità di interazioni: quando la figura di attaccamento si allontana o non risponde alla richiesta, il soggetto reagisce con protesta, collera, tristezza ed ansia di separazione; mentre quando c’è risposta, l’individuo reagisce con  gioia e sicurezza attraverso il ricongiungimento ad essa per il conseguimento dell’obiettivo; b.  Il sistema agonistico tende ad attivarsi di fronte ad una risorsa e ad un bene limitato ( ad esempio due fratelli che rivendicano attenzione dal genitore, percepita come una risorsa limitata) con segnali iniziali visibili come la postura aggressiva, l’ espressione mimiche minacciose, tanto da attivare nell’altro un sistema antagonista. Nelle varie fasi di attività si succedono diverse emozioni: collera, competitività, paura di essere danneggiati, vergogna ed umiliazione che si presentano durante l’emissione di segnali di resa, tristezza per la sconfitta o viceversa sentimento d’orgoglioso trionfo nel caso di una vittoria.  Entrambi gli esempi mostrano un aspetto molto interessante e cioè un “incastro interagente strutturale”: all’operare di un sistema in un individuo si attiva lo stesso sistema nel soggetto interagente. In definitiva, si può constatare che i sistemi motivazionali interpersonali tendono, per ragione innate, a sintonizzarsi  tra gli individui interagenti. Questa ipotesi  risulta assai interessante sia da un punto di vista teorico -clinico sia perché essa è capace  di accostarsi ad  elementi comuni tra i diversi modelli teorici. Infatti, questo “incastro strutturale” corrisponde sia alle classiche operazioni di ricerca dell’empatia che trova conferma anche nell’ambito delle neuroscienze con i neuroni specchio, sia a quei fenomeni che nella letteratura psicoanalitica kleniana e bioniana sono descritti come aspetti dell’identificazione proiettiva. Oltre all’esistenza di sistemi motivazionale interpersonale, la psicologia cognitivo – evoluzionista  introduce nelle sua architettura teorica un concetto mutuato dalla teoria dell’attaccamento: i modelli operativi interni. I modelli operativi interni  o schemi cognitivi interpersonali  sono costruiti da ciascun individuo nel corso di precedenti interazioni regolate dal sistema motivazionale interpersonale in quel momento attivo. Gli schemi cognitivi interpersonali derivanti dalle esperienze di attaccamento si formano per primi, rispetto agli altri derivanti da esperienze di competizione, cooperazione e sessualità. Quest’ ultimi entrano in funzione successivamente quando la maturazione lo permette e dovranno essere assimilati almeno parzialmente dagli schemi cognitivi interpersonali relativi all’attaccamento: il sistema motivazionale sessuale, pur essendo come gli altri innato, dovrà attendere addirittura l’adolescenza per divenire pienamente operativo. In un'ottica evoluzionista, la psicopatologia sembra essere definita tenendo conto sia del primato organizzativo degli schemi cognitivi interpersonali e sia dalla qualità della relazione interpersonale che sta alla base della costruzione dei modelli operativi interni. La psicologia evoluzionista, infatti,  è in pieno accordo con studi che dimostrerebbero che i bambini che crescono all’interno di  relazioni interpersonali caratterizzate dall’attaccamento sicuro riescono a superare il test della << della falsa credenza >> prima di quelli che si sviluppano all’interno di attaccamenti insicuri ( Fonagy, 1997). Secondo Baron- Cohen ( 1995), il superamento del test della falsa credenza indica che il bambino ha sviluppato una << teoria della mente>> e cioè la capacità  di immaginare cosa stia avvenendo nella mente di un altro essere umano .   Lo sviluppo della << teoria della mente>> dell’altro è pressoché sinonimo di sviluppo della coscienza dato che è opera di quest’ultima immaginare i contenuti dell’esperienza soggettiva di un altro essere umano.  

Ciò che emerge da questa prima parte, e che io volutamente ho messo in risalto e  che la psicologia cognitivo – evoluzionista organizza il suo apparato teorico  aderendo, anche  se con un linguaggio diverso,  ai tre “impianti“ sopra citati, che è possiamo così  tradurre  e schematizzare :  

  1. La sincronicità di sistemi motivazionali interpersonali interagenti tra soggetti; 

  1. I modelli operativi interni quale realtà interna soggettiva; 

  1. Una teoria della mente alla base dello sviluppo  e della salute mentale. 

In che modo questi tre costrutti sono equiparabili ai concetti psicoanalitici?  

Vorrei adesso tentare di trovare aspetti similari che mettono a confronto i tre costrutti sopraindicati con alcuni concetti psicoanalitici.
    
 

3. Analogie tra << l’incastro interagente strutturarle>> in psicologia cognitivo evoluzionista e la sensibilità e il rispecchiamento materno in psicoanalisi 
 

Nelle formulazioni psicoanalitiche la sensibilità è di solito considerata nei termini delle conseguenze che ha, del suo impatto organizzativo sullo sviluppo del Sé del bambino. Tra queste concettualizzazioni c’è anche una considerevole eterogeneità. Nelle formulazioni kleniana e post- kleniana l’accudimento  sensibile fa riferimento ad un genitore capace di assorbire e ritrasmettere in una forma “ metabolizzata” ( Bion, 1976b) l’esperienza psicologica dell’infante. L’infante può accettare e reinteriorizzare ciò che è stato proiettato e quindi trasformato, creandosi così una rappresentazione tollerabile di questi momenti interni d’interazione con il caregiver. Il meccanismo che permette questa sofisticata forma di comunicazione tra l’infante e la madre è definito, come già ho indicato sopra, identificazione proiettiva. La natura non-verbale di questo processo implica che la vicinanza fisica del caregiver è essenziale. Winnicott (1956), in un modo leggermente diverso da Bion, afferma che il bambino, quando guarda il volto della madre che rispecchia il suo stato, scopre il suo Sé. Di conseguenza, la funzione di specchio della madre è ritenuta indispensabile per lo stabilirsi della rappresentazione di sé nell’infante.  In “Infanzia e società “ (1950), Erikson ritiene che ci sia bisogno di un bilanciamento tra il positivo e il negativo e che se la bilancia pende di più verso il positivo allora si può sperare di affrontare le crisi successive del bambino con maggiori possibilità di uno sviluppo sano. Allo stesso modo, la non intrusività del genitore è considerata da Erikson come la capacità della madre di non avere un controllo eccessivo sull’interazione. La sincronia interattiva è probabilmente equivalente alla descrizione di Erikson della << reciprocità o regolazione reciproca >>. In definitiva, sono molti a sostenere che una relazione ben regolata con il caregiver, in altre parole un “ incastro interagente strutturale “ – parafrasando i teorici della psicologia cognitivo evoluzionista – determina un senso del Sé autonomo e robusto.
    
 

4.Quali similitudini tra i modelli operativi interni e il << mondo interno>>? 
 

Se  la psicologia cognitivo – evoluzionista da un valore teorico e clinico ai modelli operativi interni, mutuati dalla teoria dell’attaccamento, allora  deve inevitabilmente presupporre che essi siano in qualche modo equiparabili al mondo interno descritto e spiegato dalla psicoanalisi  o perlomeno da molto delle sue correnti. Nel 1976 Kernberg criticò apertamente Bowlby  , perché secondo lui, non aveva considerato il << mondo interno>> e che in certo qual modo aveva trascurato “ gli istinti come sviluppi intrapsichici e le relazione oggettuali interiorizzate come fondamentali organizzatori strutturali della realtà psichica”. Questa critica qualche anno dopo fu considerata del tutto ingiustificata da Fonagy che sostenne che sarebbe stato più corretto da parte di  kernberg se avesse detto che   Bowlby aveva una concezione del <<mondo interno >> differente dalla propria. Infatti, per fare qualche esempio, Bowlby, come lo stesso Freud, riconosce che l’angoscia è un esperienza epifenomenica, biologicamente determinata, connessa alle esperienze di pericoli tanto interni quanto esterni, il prototipo psicologico dei quali è la perdita dell’oggetto.  Forse,  Bowlby, è stato frainteso perché ha posto l’ attenzione  sui fattori patogeni interpersonali più che su quelli intrapsichici, cosa che fu fatta, tra l’altro, anche dallo psicoanalista ungherese Ferenczi (1933) che si concentrò sulla natura potenzialmente traumatica del fallimento degli adulti nel comprendere i significati del mondo psicologico del bambino, anticipando i rischi associati a una mancanza di sensibilità da parte degli oggetti primari.  Studi recenti  danno ragione a Fonagy : << più recentemente, abbiamo tentato di dimostrare che le costanti transgenerazionali nella classificazione dell’attaccamento possono essere comprese come interiorizzazione delle difese mobilitate nel caregiver dall’angoscia dell’infante >> ( Fonagy et al., 1995°).  In definitiva, possiamo dire che tanto la teoria dell’attaccamento quanto la psicoanalisi moderna hanno come fondamentale obiettivo epistemico la descrizione dei meccanismi interni responsabili della  discrepanza fra realtà materiale e realtà psichica, così come il principio fondamentale di entrambe è quello per cui la percezione e l’esperienza sociale sono distorte da aspettative sia consce che inconsce.   

    

5. L’importanza della mentalizzazione o metacognizione nella psicologia cognitivo – evoluzionista, nella teoria dell’attaccamento e nella psicoanalisi 
 

Il contributo più interessante che l’orientamento evoluzionista ha dato alla psicologia, secondo Liotti,  è l’aver formulato un insieme di argomenti che suggeriscono come la coscienza si sia evoluta con la funzione di mantenere e sviluppare ulteriormente la comunicazione sociale una volta che questa aveva raggiunto la notevole complessità osservabile nei gruppi di primati  ( Liotti, 1994, 1996 c) . Liotti si esprime in questo modo: “  se questo asserto della psicologia evoluzionista è corretto, dovrebbe essere possibile definire quali caratteristiche qualitative delle relazioni interpersonali siano correlati a quei livelli ottimali di prestazioni coscienti che, nel processo psicoterapeutico, sono stati descritti come insight, abilità di decentramento o distancing, capacità di assumere il punto di vista dell’altro, e libertà di richiamare alla coscienza episodi del passato anche dolorosi”.  In questo brevissimo stralcio, l’autore sostiene che esiste uno strettissimo collegamento, ormai più che provato, tra qualità della relazione interpersonale e prestazioni coscienti. Infatti, oggi sappiamo che l’attaccamento sicuro è un buon predittore della capacità matacognitiva nell’ambito della memoria, della comprensione e della comunicazione. Sappiamo anche che la comprensione che il caregiver ha della mente del bambino incoraggia l’attaccamento sicuro, così come l’accurata lettura che il caregiver fa dello stato mentale dell’infante, favorisce in quest’ultimo la simbolizzazione del proprio stato interiore, determinando una migliore regolazione affettiva.  Facendo un’attenta analisi dei testi freudiani, scopriamo che la nozione di funzione riflessiva o mentalizzazione è presente nel corpus freudiano già dal 1911 con il termine Bindung o legame che si riferisce al passaggio o meglio a un mutamento qualitativo da un tipo di legame fisico (immediato) a uno di tipo psicologico (associativo). In seguito, Melanie Klein nel descrivere la posizione depressiva sottolinea come essa necessariamente implichi il riconoscimento del danno e della sofferenza presente nell’altro, che è poi consapevolezza di uno stato mentale. In Bion, invece, è cruciale la capacità materna di contenere il bambino e rispondergli, in termine di cure fisiche, in un modo, però, che dimostri la sua consapevolezza dello stato mentale del piccolo, ma anche capace di farvi fronte con la riflessione: un rispecchiamento dell’angoscia mentre si comunica uno stato affettivo incompatibile con essa. Infine, Winnicott si è avvicinato molto alle idee della teoria dell’attaccamento e in particolar modo quando afferma che la comprensione che il caregiver ha dell’infante e d’importanza fondamentale per far emergere il vero Sé.  Così, anticipando le idee della psicologia evoluzionista e della teoria dell’attaccamento, la psicoanalisi ha sempre ritenuto la nozione di una consapevolezza implicita, riflessiva, astratta acquisita intersoggettivamente, il fulcro attorno al quale si sviluppa il Sé.
   
 

Conclusione 
 

In questo brevissimo scritto sono stati  isolati ed esaminati – così come farebbe un biologo di fronte ad una sostanza da analizzare  – i concetti chiave che caratterizzano l’orientamento della psicologia cognitivo – evoluzionista e cioè i sistemi motivazionali interpersonali, i modelli operativi interni e la coscienza, elemento principe che caratterizza lo sviluppo della mente. È stata mia intenzione dimostrare che gli stessi concetti anche se con denominazione diversa sono ravvisabili nelle diverse formulazioni emersi dallo studio psicoanalitico freudiano, kleniano,  post – kleniano  e degli indipendentisti inglesi in epoca precedente. Di fatto ciò avvalora  ancor più la tesi che la psicoanalisi sta vivendo un nuovo periodo definitivo da me "Teodosiano".  
 

 Bibliografia essenziale 

 

  • BaronCohen S., Howlin P., Hadwin J. (1999), Teoria della mente e autismo. Insegnare a comprendere gli stati psichici  dell’altro. ed. Centro Studi Erikson  

  • Bion, WR (1996). Cogitations – pensieri. Edizione Armando, Roma 

  • Bowlby J. ( 2000). Attaccamento e perdita. Ed. Bollati Boringhieri. 

  • Camillo Loriedo,Walter Santilli (2000). La relazione terapeutica. Ed. Franco Angeli, Milano. 

  • Erikson, H. Erik ( 2008 Rist.). Infanzia e Società. Ed. Armando. Roma 

  • Fonagy P., Target M. ( 2001). Attaccamento e funzione riflessiva. Ed. Cortina Raffaello  

  • Freud S. (1925), Inibizione, sintomo e angoscia. OSF, vol. X. 

  • Freud S. (1922), L'Io e l'Es. OSF, vol. IX. 

  • Lalla C. ( 1996). Verso una sintesi fra cognitivismo e psicoanalisi: teoria e tecnica del lavoro psicoterapeutico. Ed. Franco Angeli, Milano. 

  • Liotti G. (2005), La dimensione interpersonale della coscienza. Ed. Carocci 

  • Mancarella, A. ( 2010). Evoluzionismo, darwinismo e marxismo. Gruppo editoriale Tangram SRL 

  • Klein M. ( 2006), Note sul alcuni meccanismi schizoidi 1946 – in Melanie Klein scritti 1921–1958. Ed.  B. Boringhieri. 

  • Klein M. ( 1998), La psicoanalisi dei bambini. Ed. Psycho  G. Martinelli &  C. Firenze 

  • Winnicott D. W. ( 2007 Rist.). Lo sviluppo affettivo e ambiente. Studi sulla teoria dello sviluppo affettivo. Ed. Armando. Roma.  

 

 

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