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IL REO FOLLE: la fine della non imputabilità e la rivoluzione completa

4 Lug 21

Di agostino.manzi

Su stimoli contraddittori avuti dalla recente Conferenza sulla Salute Mentale della scorsa settimana, cercando approfondimenti e chiarimenti su varie tematiche, sono incappato nella lettura di questo documento del Comitato Nazionale di Bioetica:

http://bioetica.governo.it/media/3750/4-salute-mentale-e-assistenza-psichiatrica-in-carcere.pdf

Il tema su cui mi focalizzo è il superamento della Non Imputabilità e dei dispositivi che ne conseguono, definizione o meno di pericolosità sociale, provvedimenti sanitari correlati (residenziali, territoriali ecc.). Sono concetti con cui abbiamo tutti dimestichezza, il doppio binario per gli “infermi di mente”.

Questo argomento è centrale nelle valutazioni del CNB e trova sostegno o fonte ispiratrice nel pensiero di alcuni colleghi, come potete trovare in autonomia sul web.

Proviamo a ragionare e seguire il CNB nei suoi proponimenti più avanzati. Eliminazione del giudizio di Non Imputabilità.

ANALISI. La valutazione di imputabilità/non imputabilità – in quanto indirizzata alla "infermità di mente" – va eliminata perché ha il doppio stigma: stigma 1. malato di mente tende a essere visto come non responsabile; stigma 2. il malato mentale tende a essere visto come strutturalmente pericoloso (ovvero: se fa un reato lo fa PERCHE' malato dunque lo rifarà). 

CRITICA. Qui si potrebbe dire che – stante l'attuale legislazione – la Non imputabilità, la eventuale definizione di "pericolosità sociale" e, soprattutto, la conseguente "reclusione in REMS" – che rappresenta il provvedimento più restrittivo e da prendersi in considerazione soltanto quando si ritiene non vi siano provvedimenti di tutela altrimenti adeguati – non sono obblighi ma scelte del Giudice (quindi: il grado di stigma 2 dipende da quanto la diade Giudice/Consulente Tecnico decide AUTOMATICAMENTE che il reato è dipeso dalla patologia e la patologia – se non bloccata in REMS – sia altrimenti intrattabile e dunque foriera di nuovo reato). Un paziente che fa un reato in conseguenza (il nesso è clinico, il fatto che abbia uno spazio giuridico di valutazione sul fatto di "doverne rispondere" è un fatto secondario) di un grave disturbo (es: schizofrenico paranoideo con voci imperative che accoltella la madre) sarà pericoloso e dunque prevedibile di ripetizione, quanto più sarà incurabile e quanto più il "reato" non ha soddisfatto definitivamente il delirio oppure il delirio si dispone ad aperture tematiche (nuovi persecutori minacciosi). Si chiama prognosi e, solo se calata in una valutazione giuridica – se la legge lo prevede -, dà forma alla pericolosità. Se non ci sono provvedimenti giuridici, non è comunque un "pregiudizio di pericolosità" ma è attività di diagnosi clinica che guida il nostro operare: questo episodio clinico (aggressività) ha avuto luogo perché il delirio incoercibile lo ha spinto in quella direzione.

Nella normale attività clinica spesso ci confrontiamo con persone che hanno comportamenti aggressivi. Sono comportamenti che, se non denunciati, non si configurano come reati ma ci chiamano comunque in causa nella loro decodifica: devo considerarli conseguenti a un disturbo e, se sì, curabili o comportamenti “autonomi” dalla patologia e meritori di interventi non strettamente terapeutici?

Quando si propende per la prima ipotesi, ci si impegna a curare la patologia, valutare la riduzione delle componenti aggressive, prognosticarne la tenuta del miglioramento e in quali condizioni. Con il normale coraggio di una prognosi si fanno scelte coerenti: ricovero prolungato, gestione territoriale con contatti più frequenti, colloquio con la famiglia per costruire una capacità di alleanza terapeutica e decodifica di eventuali peggioramenti.

Il rischio di una prognosi non è mai zero e non è pensabile che l’attività clinica possa prevedere e annullare qualsiasi forma di rischio nei comportamenti delle persone.

(molto condivisibili le considerazioni di Di Petta qui: http://www.psychiatryonline.it/node/9183).

Andrebbero rafforzati gli strumenti per le cure prolungate, anche contro la volontà del paziente se questa ancora non disponibile, che integrino i provvedimenti di TSO. In questa direzione auspico un buon cammino legislativo alla rettifica dell’Amministrazione di Sostegno proposta da Paolo Cendon, uno di pochi che ho sentito parlare di “dovere alla cura” da parte della persona con disturbi mentali.

Questo normale coraggio dovrebbe guidare le scelte del Giudice e del Perito sia nel definire con chiarezza chi è imputabile – pur in presenza di patologia – chi non lo è e dunque necessita di cure; diverso è utilizzare a saturazione i “contenitori” disponibili per stare sereni. O inviare in posti di cura chi non ha possibilità di beneficiarne: criminali e psicopatici.

Se il comportamento si configura come reato, la diade Giudice/Perito dovrebbe poter affrontare con la stessa serenità e coraggio il quesito: se il reato è conseguente alla patologia difficile immaginarne una responsabilità/imputabilità. Se la patologia è curabile, la si curi nel modo più rispettoso e meno limitativo della libertà.

In sintesi: il problema non è nella legislazione ma nel cattivo uso che ne viene costantemente fatto.

Conseguenza alla proposta CBN. Le differenziazioni in tipologie di rapporto tra patologia e reato decadono ma le tengo nei due esempi perché sono utili per ragionare e farle confliggere.

1. Il "folle reo" che effettua un reato in maniera del tutto indipendente dal suo Disturbo di base è imputabile e sconta la pena; se carceraria la sconta in carcere, se le condizioni di base non lo rendono curabile in carcere (incompatibilità) si spinge per soluzioni di cura carcerarie alternative (in divisioni sanitarie, comunque mal viste dal CBN) o extracarcerarie (in questo caso – se non sono previste pene alternative, come per reati maggiori, si sospende la pena, si cura e si rimanda in prigione?). Beneficerà di attenuanti se previste (?).

2 Il "folle reo" effettua un reato molto collegato con il suo disturbo (ma non lo si potrà dire a meno di non considerarla una attenuante, qualora verrà previsto): è imputabile e sconta la pena; se carceraria la sconta in carcere, se le condizioni di base non lo rendono curabile in carcere (incompatibilità) si spinge per soluzioni di cura carcerarie (in divisioni sanitarie comunque mal viste dal CBN) o extracarcerarie (in questo caso – se non sono previste pene alternative, come per reati maggiori, si sospende la pena, si cura e si rimanda in prigione?): Beneficerà di attenuanti se previste (?).

Ho ripetuto un identico testo per le due condizioni – di partenza molto diverse – per rimarcare come questa prospettiva egualitaria non cambia nulla in termini di "sguardo" sul cittadino: nessuno stigma.

In caso di reati gravi – perché è qui il problema – ci potremmo trovare in queste condizioni: Uno psicotico che uccide la madre per un delirio è uguale a un bipolare compensato che in fase eutimica uccide la madre per l'eredità. La permanenza in carcere dipende dall'andamento della loro patologia, dalla disponibilità giuridica per quel reato di pene alternative, dalla curabilità della stessa in carcere. Più il reato e grave più improbabili le pene alternative al carcere.

ANALISI. Togliendo il disposto imputabilità/pericolosità la REMS non ha più ragion d'essere e cadrebbe così l’ultimo baluardo della istituzionalizzazione psichiatrica, secondo una prospettiva teorica; il Carcere diventa il Contenitore Democratico (Istituto per tutti); quando possibile, il cittadino con reato viene assoggettato a misure detentive NON carcerarie (che sappiamo non sono le REMS che non nascono per dimettere dal Carcere ma esclusivamente per i non imputabili. Se decade l’istituto della l'imputabilità decade la istituzione della REMS).

Essendo stato eliminato il concetto di pericolosità, il cittadino che ha commesso un reato e ha anche il disturbo psichico (il nesso di CAUSALITA' non potrà più neanche essere pensato perché giuridicamente INESISTENTE) verrà curato in assoluta serenità dai Servizi Psichiatrici del Carcere o Territoriali; serenamente perché non dovremo rispondere della sua storia ma solo del presente e del futuro.

Pensare, in questa nuova prospettiva, che per un paziente va gestito un certo rischio di pericolosità, anche semplicemente correlando con una ipotesi di causalità una storia clinica che presenta episodi violenti con accadimenti delittuosi futuri (che è come collegare l'anamnesi e una ipotesi di prognosi), sarò un abominio.

In questa prospettiva, uscendo dal seminato della giurisprudenza e rientrando i quello della clinica – visto che questa proposta presume di avere un pensiero sull'uomo (libero arbitrio, ruolo dei freni sociali nell'inibire i comportamenti ANCHE se alimentati da patologia grave ecc.) potremmo dire che la "pericolosità" (che è UNA tra le tante forme di prognosi: che rischio c'è che questa persona, che ha già presentato episodi di violenza sia di nuovo aggressiva? ci sono variabili cliniche che possono determinare o altresì frenare questa aggressività e dunque essere target di intervento terapeutico?) sarà l'unica prognosi con divieto di essere pensata. Potremmo ancora pensare che se un paziente ha sperperato denari in eccitamento lo potrà rifare (quindi faccio una prognosi di rischio di prodigalità in base alla storia e gli do il litio), guai a pensare di uno psicotico paranoideo (magari anche un po' antisociale) che un giorno ha preso a sberle una vecchina che lo guardava male lo potrà rifare.

Sarei uno PSICHIATRA STIGMATIZZANTE. E se la vecchina lo denuncia, si chiarisca le idee in carcere da bravo cittadino.

La rivoluzione sarebbe compiuta.

Dalla giusta critica della criminalizzazione a priori del cosidetto infermo di mente imposta dalle legislazioni e dalle culture giuridiche di inizio ‘900 – che consideravano il malato di mente pericoloso a priori e, dunque, meritorio di internamento – si passerebbe alla completa responsabilizzazione del cittadino di fronte alle proprie azioni indipendentemente dalle sue condizioni di funzionamento mentale al momento del compimento del gesto reato.

CONSIDERAZIONI FINALI

Come Psichiatra, accettando che la patologia può determinare anche agiti violenti rilevabili come reati, ritengo ancora opportuno valutarli in sede di attribuzione della responsabilità/punibilità. Prevedere un percorso di cura obbligato, con vincoli nelle modalità e nei tempi di svolgimento, contemplando anche un periodo di valutazione e cure intensive – come le REMS stanno dimostrando di poter elargire – vuol dire fornire un servizio al cittadino al quale viene fornita la possibilità di ripristinare il giusto grado di salute mentale per poter essere affidato alle cure territoriali, senza il rischio di compromettere il proprio percorso esistenziale.

Ricorderei che reati reiterati (nella logica della imputabilità per tutti) vengono giudicati aggravanti e, dunque, un secondo reato peserebbe ancora di più sul destino di quella persona.

Diciamo che la fine della rivoluzione può attendere.

Una chiosa da cittadino. Preferirei immaginare un futuro con carceri svuotate e cittadini autori di reato a scontare pene alternative vere, utili alla società e al loro recupero nel consorzio umano invece che a stazionare nella Democratica Istituzione Punitiva Totale.

Nelle nostre Carceri stazionano cittadini in attesa di giudizio anche per reati non gravi; killer di mafia con centinaia di omicidi accertati beneficiano e hanno beneficiato di incredibili sconti di pena nella logica della collaborazione con lo Stato. In questo caso i loro comportamenti caratterizzati delitti reiterati ed efferati, evidentemente sintomatici di personalità criminali senza possibilità di cura o di recupero, non hanno impattato sulle logiche delle ragion di Stato. Molti hanno commesso nuovi prevedibili delitti appena rimessi in libertà (vi ricordate Izzo?). In questo caso la logica del “precedente come aggravante” non sembra avere ragione di esistere, anche quando i precedenti sono decine.

La recidiva e la presenza di precedenti penali è il modo con cui la Magistratura valuta la pericolosità.

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1 commento

  1. dott.f.botti

    L’imputabilità qualora si
    L’imputabilità qualora si verifichi un illecito di natura penale è sempre presunta salvo che non si dimostri il contrario. Tutte le persone e con esse tutti i malati psichiatrici sono di per sé imputabili, esistono però delle eccezioni.
    Per quanto attiene l’universo psichiatrico non imputabilità tanto dallo status di malato di utente dei servizi psichiatrici ma dalle condizioni psichiche al momento del fatto.
    In questo senso nel codice penale non c’è alcuno stigma nei confronti del malato di mente o utente dei servizi psichiatrici.
    D’altronde anche una persona non affetta da disturbi mentali non iscritta nelle liste dei DSM o che mai è andata da uno psichiatra può essere dichiarata non imputabile perché al momento del fatto non era incapace totalmente o parzialmente di intendere o volere.

    Si intende per infermità di mente un concetto che ha utilizzato anche nel codice civile più estensivamente Per quanto riguarda la capacità naturale bene il vizio totale di mente che rileva ai fini dell’esclusione della imputabilità E sostanzialmente deve essere una che va a inficiare in maniera pressoché assoluta La le due capacità Diciamo che si rendono forse più più ma nella capacità di intendere e di capire del valutare il proprio operato sotto una molteplicità di punti di vista capire perlomeno cosa si sta facendo: si sta ammazzando una persona o se il fatto di ammazzare quella persona vuole dire fare un torto a un persecutore immaginario,per esempio.
    Non mi dilungherò più di tanto ma dal mio punto di vista E peraltro intuitivo se ci pensiamo la mancanza di capacità di intendere implica anche un vizio totale della capacità di volere cosa diversa e per la capacità di volere qualora sia conservata la capacità di intendere anche in questo caso possiamo avere un vizio totale di mente perché per il legislatore devono essere contemporaneamente presenti sia la capacità di intendere che la capacità di volere quindi basta che sia esclusa una delle due per far sì che la persona perfetto di legge sia prosciolta
    Sono invece molto critico riguardo al vizio parziale di mente questo sotto due punti di vista l’uno diciamo psichiatrico scientifico e l’altro più di tipo giuridico.
    Prendiamo ad esempio la capacità di intendere bene questa è una capacità di alto livello integrativa. A questo proposito basti ricordare che si tratta di una facoltà che Integra il senso della della realtà e il senso della relazione con l’altro in una cornice sociale, in una prospettiva etico morale.
    Se manca una di queste componenti funzionanti nella maniera normale che viene adesso inficiato tutto il concetto tutto l’apparato tutta l’integrazione che è necessaria per avere una corretta visione della realtà dare una corretta valutazione di che cosa si sta compiendo di che significato ha e di quali sono le ripercussioni a livello sociale e a livello etico morale.
    In questo senso credo che la capacità di intendere fenomeno tutto o nullanulla. Pertanto ritengo che il vizio parziale di mente sia una costruzione che non fa proprio un modello integrativo gerarchico astrattivo della capacità di intendere ma ne fa più che altro un sistema modulare non ne fa un sistema complesso ma ne postula un sistema semplice.
    Peraltro dal punto di vista giuridico se vogliamo usare degli artifizi possiamo dire che il reo sconta una parte di pena per quel che è colpevole e viene poi curato in un secondo momento da un equipe psichiatrica perché è parzialmente per così dire malato.
    Intanto è curioso che la prima cosa che si faccia su un malato seminfermo di mente e metterlo in carcere fargli scontare la pena da malato e poi solo dopo entrano in gioco le misure di sicurezza che dovrebbero diciamo così avere maggiormente un significato terapeutico riabilitativo e senso medico psichiatrico.
    Nei fatti per Ipazienti mettiamoci nei loro panni avere una sentenza di semi infermità di mente costituisce una una sentenza sostanzialmente di condanna anche se la pena viene diminuita
    Nel caso sia del Vizio parziale di mente sia del Vizio totale di mente l’applicazione delle misure di sicurezza dipende da un unico fattore che alla presenza di attuale pericolosità sociale.
    La pericolosità sociale segue quasi sempre infermità o semi infermità di mente e questo senz’altro è un qualcosa su cui ragionare.
    Nel caso del vizio totale di mente qualora il soggetto si è ritenuto nella attualità socialmente pericoloso le misure di sicurezza e alla nuova legge dovrebbero essere il minimo possibile quindi in primis dovrebbe essere un affidamento ai servizi psichiatrici territoriali e secondo gradino meno frequente ma più incisivo sullla sfera della Libertà personale e la libertà vigilata in comunità, l’extrema ratio dovrebbe essere la rems, misura detentiva.
    Di fatto si tende in generale ad avere l’impressione che Il Folle Reo chiamiamolo così faccio un percorso inverso: prima cioè viene detenuto in rems, poi passa alla libertà vigilata, misura non più detentiva, in comunità e infine la libertà vigilata al proprio domicilio in carico al cps.
    In ogni momento di sei mesi in sei mesi e si può chiedere sia da del paziente o comunque di terzi valutazione da parte di un collegio peritale della pericolosità sociale.

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