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L’era dell’ibrido e dell’ambiguità (Annotazioni libero associative per la psichiatria e la psicoterapia del primo terzo millennio)

13 Ott 21

Di Sebastian-Theus

NDR: Il presente contrbuto viene pubblicato sotto pseudonimo per espressa richesta dell'Autore che così si è sentito più libero di esprimere il suo pensiero al di fuori del "politically correct"

In psichiatria, c’erano una volta, oltre che “i matti veri, quelli usciti dal manicomio”,  le categorie diagnostiche e i farmaci antidepressivi (attivanti) e antipsicotici (sedativi); c’erano ancora i generi e la psichiatria di genere come specialità della medicina di genere;  nelle famiglie che studiavamo e coinvolgevamo nelle terapie c’erano i padri e la madri biologici, e tutto il contesto delle  famiglie nucleari, esistevano gli eterosessuali e gli omosessuali, così come esistevano ancora le macchine diesel e quelle a benzina, i telefoni , le televisioni , le macchine fotografiche e i pc, allora oggetti diversi  con funzioni diversificate. Tutte queste cose, chiare e distinte per decenni, si sono trasformate in un paio di generazioni in reliquati storici, oggetti del mercatino delle pulci concettuali. 

Oggi tutto è fluido, ibrido, ambiguo, quindi queste sono le categorie che definiscono la normalità: tutti fanno di tutto, i telefoni fotografano, le televisioni si connettono ad internet, sono dei maxischermi sui quali si può vedere digitale terrestre, programmi in streaming, satellitari, podcast e radio, foto e video delle vacanze. Il tablet è l’oggetto ibrido per eccellenza. Per molte applicazioni bisogna avere contemporaneamente pc e smartphone, uno solo non basta.  In psichiatria le dimensioni guadagnano terreno ovunque rispetto alle categorie; i disturbi di personalità categorialmente intesi non hanno quasi più una realtà, ma anche le psicosi si collocano in un continuum non solo tra di loro ma anche con le patologie considerate minori e perfino con i disturbi dello sviluppo e del neurosviluppo precoce e tardivo;  i nuovi farmaci (spesso eccellenti se si sanno usare) sono anch’essi ibridi, un po’ attivano e un po’ sedano a seconda del dosaggio, così come le auto cambiano propulsore a seconda della velocità, gli antipsicotici sono antidepressivi a basse dosi, tanto che stanno sostituendo in molti casi quelli che credevamo essere i veri antidepressivi. I generi sono fluidi, le scelte dei partner sostanzialmente indifferenziate e non esclusive, e sono divenute socialmente accettabili forme di relazioni non convenzionali di ogni tipo; le famiglie hanno configurazioni  innumerevoli  nelle loro varianti, dinamiche e   mutevoli nel tempo. La natalità è in problematica decrescita e i figli raramente vivono con entrambi i loro genitori biologici, sono, cioè in condizioni di fatto semi-adottive. Non solo i padri sono spesso inesistenti, scomparsi o remoti e distaccati se non indifferenti (quindi neppure più oggetto di identificazione o di opposizione), ma lo sono anche le madri, sempre più impegnate a realizzarsi sul lavoro, i nonni, che sono lontani e continuano a lavorare o a cercarsi nuovi partners fino alla età più avanzata, soprattutto se separati o vedovi, mentre  i fratelli e gli zii, che spesso sono acquisiti, sono diventati dei fantasmi come figure di attaccamento. In questo contesto non c’è un giorno in cui qualche Tribunale non ci scriva per chiederci, come se avessimo facoltà divinatorie,  se i sig. Tizio e Caio, di varia nazionalità, siano o meno idonei a fare i genitori e se il o i minori debbano essere allontanati o tutelati (ovvero istituzionalizzati), come se questa fosse davvero una soluzione. In questo panorama è stato calcolato dall’UNICEF che più di  un adolescente su sette, tra i 10 ai 19 anni,  ha disturbi psichici ed il suicidio è la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali, tra i 15 e i 19 anni. Ai business delle comunità per tossicodipendenti, per psicotici, per psicotici autori di reato, per i disturbi alimentari, si aggiunge ora quella delle comunità per gli adolescenti. Una volta c’erano i manicomi, adesso le comunità diffuse sui territori (spesso prealpinì o appenninici), come i grandi alberghi sono stati soppiantati dai B&B e dagli alberghi diffusi. 

Nella libertà assoluta di praticare la sessualità in ogni sua forma (ormai definita come un diritto individuale inalienabile)  sembrano sparite le storie d’amore: amare non è più un valore, ma solo una sensazione fugace, di cui si pregustano contemporaneamente l’inizio e la fine; la fedeltà è diventata una vera rarità, e talora non è più pretesa. Si comincia ad intravedere una preferenza per i rapporti online, senza neanche cercare di incontrarsi nella realtà, forse anche per non restare delusi o doversi, appunto, mettersi alla prova o impegnare in qualcosa di concreto.  

A livello sociale dominano i principi della interculturalità su tutti i fronti, alimentari, comportamentali, della moda; la moltiplicazione delle fedi religiose comporta ritualità diversificate, benché in fondo la stragrande maggioranza delle persone di ogni etnia siano atee, anche se solo gli Occidentali si possono permettere (relativamente)  il lusso di esprimerlo, come si vede bene dalla collocazione delle ceneri del morto nella vetrina del salotto di casa. L’inevitabile referendum sull’eutanasia (giustificatissimo), dopo quelli sul divorzio e l’aborto, darà un ulteriore scossone all’impianto morale tradizionale della società. 

Si è compiuta l’Opus Nigrum, l’Opera al nero, il procedimento alchemico di dissoluzione e  calcinazione, il putrefarsi delle idee, il (de)perire degli istinti, la distruzione delle forme (Yourcenar, 1969). 

Tutto questo comporta la necessità dell’aggiornamento dei modelli costituitivi dell’identità e della personalità: come si sono trasformati i modelli di attaccamento, dove è finito e come si costituisce oggi il Super Io? Forse che tutto è davvero genetico e l’enfasi sulle dimensioni psicosociali è stato un abbaglio tutto novecentesco? Domande necessarie per gli psicologi e gli psicoterapeuti che arrancano ad applicare alla realtà attuale, soprattutto con gli adolescenti e i giovani, ma anche con gli adulti perennemente giovani di oggi, i modelli vetusti con i quali si sono formati: parlare di complesso edipico, ma anche di edipo precoce in senso kleiniano suona agli orecchi dei più come sciocchezze inascoltabili. Termini come narcisismo, isteria e psicopatia non sono più pronunciabili, tutti sono psicotici (ma in un percorso riabilitativo) oppure semplicemente bipolari: un’etichetta buona praticamente per tutti gli esseri umani.  Anche il termine borderline gode di sempre minore credibilità. Molti psicoterapeuti sembrano quei sacerdoti che continuano a dire Messa senza credere più in quello che dicono e che fanno. (In effetti dimenticavamo la Chiesa, l’istituzione più in crisi, non più in grado di porsi come autorità morale). 

 Ma anche per gli psichiatri che si confrontano con la nuova, ultima generazione di  esordi psicotici, incarnati in ragazzi dai capelli rosa e tatuaggi diffusi, ragazze con autolesionismo al seno e completamente insensibili  anche al dolore, se non anoressiche, vegane o fruttariane,  bisessuali o poliamorose, la pratica si muove sulle sabbie mobili. I quadri clinici si presentano come  commistioni spesso inestricabili tra confusioni identitarie e psicopatologie prevalentemente espresse sul piano non verbale (il vero linguaggio del nostro tempo), tali da rendere praticamente impossibile il  formulare una diagnosi dotata di una qualche validità e affidabilità (si assiste a sequenze impressionanti di diagnosi trasversali diverse su un singolo caso nel giro di pochi anni). L’importante è che i percorsi terapeutico- assistenziali o le regole della psicoterapia  siano rispettati e  non si verifichino eventi avversi da dover segnalare (o per cui dover pagare),  presto il ragazzo prepsicotico o già psicotico compirà i diciotto anni e, se non sarà guarito, passerà finalmente alla salute mentale adulti e potrà in molti casi fare la sua carriera di psicotico cronico stabilizzato a vita con i LAI. 

Nel frattempo tutto, e questo è il vero effetto della pandemia COVID, è diventato online,  anche per gli psichiatri e gli psicoterapeuti. Tempo fa un collega a suo modo geniale mi disse che il suo smartphone era diventato un centro di salute mentale e tra telefonate, mail, messaggi whattsappmessenger ed altro lo sono in effetti gli smartphone di tutti i professionisti della salute mentale. Con l’era Covid si è imparato quanto fossero ridondanti gli appuntamenti, i controlli e le psicoterapie in presenza, si è imparato a gestire molte situazioni con una parola, un messaggio, una prescrizioni farmacologica estemporanea. L’importante per fare lo psichiatra o lo psicoterapeuta, è essere connessi:  i webinar per l’aggiornamento (dai farmaci alla psicoanalisi all’universo psicosociale) occupano le nostre giornate e, come gli schermi televisivi per gli anziani, accompagnano le nostre attività quotidiane. La psicoterapia con i pazienti conosciuti  si coagula nel rispondere al telefono e ai messaggi, i contenuti sono relativamente ininfluenti. Questo mondo fatto di connessioni, per cui un professionista della salute mentale vive in una relazione virtuale eterna con buona parte dei suoi colleghi e dei suoi pazienti incarna il funzionamento conscio/inconscio, virtuale e reale (detto anche “inconscio virale” –Irene Battaglini,2021). La relazione tra terapeuti e pazienti con tutte le sue sfumature  diventa evidente nelle chiamate e  videochiamate e le schermate dei messaggi: tutto, presente, passato e futuro, è diventato  estemporaneo, immediato, virtuale.  L’inconscio si è esternalizzato. La gestione della relazione terapeutica si giuoca sulla latenza temporale della risposta e la modalità aereo in alcune ore del giorno e dal sabato pomeriggio alla domenica sera. Lo spazio-tempo einsteiniano e quantistico si sono finalmente concretizzati, tempo soggettivo e tempo oggettivo si coagulano in ogni istante e vivono in assoluta compresenza. Il cervello del professionista è un elaboratore di una pluralità contemporanea di dati relazionali virtuali.  Non c’è più un principio ed una fine, ma un eterno presente diffuso sulla rete che col suo quotidiano flusso di interazioni rende possibile senza alcun dubbio un simulacro di vita anche ai più fragili: non solo gli adolescenti, ma ormai intere fasce di popolazione di ogni età vivono sui social e interagiscono con gli altri esclusivamente per loro tramite. Tutti si scrivono o si guardano attraverso gli schermi virtuali, incontrarsi nella realtà è faticoso, noioso e spesso pericoloso: ha costi materiali e emotivi. Nessuno più  si guarda negli occhi, si abbraccia, si lega. Il tempo è fermo, le separazioni, le perdite, ma anche le evoluzioni e le decisioni non esistono più finché l’altro è contattabile (il vero trauma è essere bloccati), tutto va avanti all’infinito in un eterno presente garantito dalla rete in cui l’importante è non sentirsi soli, avere quanti più contatti virtuali possibili (i famosi like), anche se di fatto poi ciascuno dorme nel suo letto da solo nel suo letto a due piazze. Da un punto di vista pulsionale questa realtà è altrettanto soddisfacente (se non di più) di quando l'oggetto era unico e costante, e di quando si credeva nella realtà e nella possibilità di costruire, cambiare, realizzare, realizzarsi. Noi possiamo solo adeguarci ai tempi, così come ci siamo adeguati agli smartphone, alle smart tv, alle macchine ibride, prima a Sky e poi a Dazn.  Non c'è una reale possibilità di replica Forse perfino  i movimenti di protesta che emergono prepotentemente nella coda del COVID (con le inevitabili frange violente), sulla base di  pretesti assurdi, hanno come motivazione di fondo la percezione del senso di impotenza rispetto ad una realtà sociale che è mutata profondamente senza che le istituzioni ne abbiano ancora preso atto, benchè metà della popolazione lo testimoni non andando a votare). 

Molti di noi di una certa età percepiscono bene queste trasformazioni  avvenute con una velocità impressionante nel giro di pochi decenni e testimoniate dal succedersi  di testi chiave: dal post-sessantottino  “Verso una società senza padre” di Mitscherlich (1970) siamo rapidamente giunti all’ “Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi” di Baumann (2003) mentre da poco è uscito “Odi et amo. Dalle ambiguità percettive al pensiero quantistico” di Caglioti,Tchouvileva e Cocchiarella (2021), testo interdisciplinare e interculturale che ribalta la negatività usualmente attribuita ai termini di ambiguità e ambivalenza. 

Tutto questo percorso di trasformazione sembra inarrestabile e anche le nostre organizzazioni  terapeutiche, come molte di quelle sociali, appaiono avviate ad una  rapida obsolescenza.  Bisogna ripensare anche molti dei modelli della salute mentale di comunità svincolandoli da determinati luoghi fisici (ma non dal contesto territoriale e zonale, che, anzi, dovrà essere rivalorizzato a detrimento delle mega-aziende sanitarie regionali). Sempre più bisognerà sintonizzarsi sulle nuove generazioni e riformulare su di loro tutte le nostre convinzioni ormai residuali. La fantascienza è già tra di noi, con le sue meraviglie e i suoi timori paranoidi. 

 

Riferimenti 

Battaglini I.,  Programma del Congresso online Scuola di psicoterapia Erich Fromm: “Covid-19 e Psicoterapia: l’inconscio virale e lo scacco dell’analisi.” 12-13/11/2021 

Baumann Z., Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi.  (2003) TrIt Laterza, 2004. 

Caglioti G., Tchouleva T., Cocchiarella L., Oodi et amo. Dalle ambiguità percettive al pensiero quantistico. Mimesis, 2021. 

Mitscherlich A., Verso una società senza padre (1963) trIt Fetrinelli, 1970. 

UNICEF, www.unicef.it 5/10/2021 

Yourcenar M., L’œuvre au noir. Gallimard, 1968. 

 

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1 commento

  1. manlio.converti

    Capisco e in parte condivido
    Capisco e in parte condivido il senso di spaesamento delle generazioni del secolo scorso rispetto alla fluidità delle nuove generazioni occidentali.
    Sicuramente la maggior parte delle realtà sociali sono dettate dalla costruzione di interazioni complesse tra menti in gran parte preconfezionate già nel periodo perinatale e modificate nel loro contenuto culturale, non in quello funzionale, dalla cultura che le attraversa, Tik Tok e televisione in primis.

    Sono però le realtà orientali ad essere paranoidee non certo quelle occidentali !!!
    E’ paranoia il velo obbligatorio o il burqa per le donne musulmane così come il controllo di massa dei cinesi o dei giapponesi. Sono i Paesi Musulmani, Induisti e Cinesi che confrontandosi con la realtà scientifica e occidentale, che producono, sostengono, alimentano ed allo stesso tempo sfruttano, odiano, imitano, demonizzano… più si arricchiscono più finiscono per dover alzare barriere paranoidee contro l’ambiguità della realtà.

    D’altra parte una molecola d’acqua immersa in acqua esiste come H2O ma anche come H+ ed OH- in modo stocastico.

    Mi dispiace invece moltissimo leggere la sua paranoia fondamentalmente omofoba, che si permette di usare la nostra Yourcenar contro di noi.

    La fluidità, anche sessuale e di genere, è sempre esistita. Erano gli occhiali spessi della cultura patriarcale a non fargliela vedere.

    I Talebani uccideranno per secoli i gay ad ogni generazione, visto che nasceremo in ogni generazione, se non usciranno dalla loro paranoia omofoba. Così come cancelleranno le donne sotto un velo o un burqa per sempre, se non usciranno dalla loro paranoia misogina.

    Il padre cui lei aspira è un paranoico…
    Meglio Senza…

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