Preliminare
Nell’attuale Civiltà, l’essere umano convive con il reale del Covid, al quale si è aggiunto il reale della guerra e il reale del clima (siccità e fenomeni climatici esasperati). Questa Civiltà è tragica senza però avere né la cultura né la mentalità della tragedia così come invece lo era per la Civiltà greca. Senza avere la sua mentalità fondata sul mito, sulla morte e su un rapporto di grande rispetto e timore per la Natura, la tragicità dell’attuale Civiltà consiste nell’aver spazzato via l’etica della morte: “il vischioso per Sartre, è la qualità percepita da una mano che immersa in un barattolo di miele, è come se iniziasse a dissolversi: la morte zuccherata del per-sé (la vespa che affonda nella marmellata e vi annega)” (Timothy Morton, Iperoggetti, Nero edizioni, Roma, pag. 47).
Come possiamo capire da questo passo Morton ha evidenziato una perfetta immagine dell’estetica della morte tratta da Sartre, ed è infatti l’estetica che è responsabile di aver scartato l’etica: la civiltà attuale è l’apice di questo scarto. Nel caso del Covid, della guerra e del clima, il reale si impone al soggetto come ciò che ritorna allo stesso posto nella storia dell’uomo sotto maschere diverse. E il reale che si impone al soggetto crea sul suo corpo degli effetti sotto forma di segni e non di significanti, perché il linguaggio dei segni si impone, si scrive senza parole sul corpo dell’Altro sociale che, in questo caso si può considerare anch’esso un soggetto assoggettato agli effetti della scrittura biologica (Covid), della scrittura della violenza e della scrittura della natura (pensiamo ai segni lasciati sul corpo organico dell’uomo dal Covid, oppure ai segni rovinosi lasciati dalla guerra nelle città, oppure ai segni lasciati dalla mutazione climatica sull’ambiente). Lacan dice che non c’è metalinguaggio perché c’è solo un linguaggio che segna il corpo e un linguaggio dell’inconscio che è quello dei significanti fondato sulla parola del soggetto. L’insieme di questi segni ci fa dire che siamo in presenza di una vera e propria clinica psicosomatica del sociale e del corpo organico nella quale il soggetto è completamente assoggettato e invaso dalla scrittura e dunque è scritto senza che esso scriva. In questo quadro di assoggettamento ci possiamo chiedere se ancora esista nell’essere umano il soggetto legato all’inconscio e se esiste come e dove ascoltarlo? La pratica psicoanalitica incontra ancora il soggetto nel sintomo dell’amore, intorno al quale si articolano le relazioni simboliche della famiglia, le relazioni tra uomo e donna e le relazioni umane in generale, tutte all’insegna dei significanti inscritti nella parola del soggetto. Questa parola, in analisi, rivela anche l’economia pulsionale dell’inconscio che si presenta sulla scena sociale sotto forma di maschera nuda intorno alla quale si articola il genere della commedia.
Il genere che è conforme a questa società, dunque, non è la tragedia ma la commedia: la commedia dimostra, attraverso la pratica analitica, cioè attraverso la parola dei pazienti, che il soggetto esiste ancora, tenacemente, in quella passione che fa da sintomo nelle vicende dei legami familiari e sociali: l’amore che convive insieme a ciò che ne rivela l’inganno, l’odio.
Sintomo, inganno e commedia.
La psicoanalisi mantiene il tragico nella sua teoria che ritrova nella pratica; pensiamo al Mito di Edipo e al Mito di Narciso. Questi due miti permettono di orientare la clinica vero la commedia senza perdere la loro presenza. È stato il tragico, nella sua dimensione edipica, a guidare il formarsi della struttura dell’inconscio a partire dall’idea di Sostanza materna invasiva e devastante che richiama il concetto di viscosità sartriana.
Infatti Giocasta apre con l’inganno la vicenda edipica e la chiude ugualmente con l’inganno in nome dell’Amore materno vischioso. Il percorso di Edipo si chiude con la formula Edipica sul versante dei Nomi del Padre, antidoto al vischioso e alla devastazione del materno. Infatti Edipo si fa portatore responsabile del proprio nome in quanto soggetto imperfetto, zoppo e cieco, a rovescio di ogni forma di narcisismo trionfante e di ogni vischiosità appiccicosa caratteristica della coppia. Siamo nel mito. Vi è un’altra sostanza, quella accidentale, che indica ciò che cessa di non scriversi nella storia di un soggetto ma ciò accade quando quest’ultimo incontra qualcuno che rimette in moto la sostanza materna sul versante però non tanto del comando dell’Altro, ineluttabile caratteristica del tragico, ma sul versante della dialettica del nuovo, della mobilità del desiderio e del comico (per Lacan l’Amore è un sentimento comico, buffo e spesso ridicolo) tanto che i suoi effetti si scrivono solo a partire dalla parola del soggetto ovvero da quando il soggetto sofferente va da qualcun altro (analista) a parlare della propria sofferenza legata alla contingenza della sostanza accidentale: “La contingenza è ciò a cui si riduce quanto sottomette il rapporto sessuale a non essere altro, per l’essere parlante, che il regime dell’incontro.” (J. Lacan, Sem. XX, Ancora, Einaudi, Torino, pag. 89). In questo modo la sostanza materna vischiosa si incarna nel sintomo dell’amore come significante padrone, S1, nella sostanza accidentale del soggetto parlante, si incarna negli scenari dove la maschera rappresenta il posto della complessità del sintomo dell’amore. Allora la sostanza materna e la sua declinazione accidentale (S1), costituiscono l’insieme, la rete dei significanti (S2) da cui il paziente parla della convivenza amorosa legata Altro, ma dove il suo posto assume una logica precisa, quella della inclusione (compromesso) sintomatica nell’Altro, rappresentata dalla complessità della maschera che ha la facoltà di rivelare la nuda verità dei due amanti.
Nel Mito ci sono esempi dove il tragico incontra la commedia e uno di questi riguarda la maschera di Gorgo, la rappresentazione della Gorgone, che come più avanti vedremo si incontro buffamente con Baubo, ma che rappresenta tragicamente la contaminazione della sostanza materna tra l’animale e l’umano ovvero la contaminazione tragica del bestiale nell’uomo: “Pura maschera o personaggio intero, il volto della Gorgone è sempre posto di fronte allo spettatore che lo guarda. In secondo luogo, la mostruosità. Applicando diverse modalità di distorsione, la figura utilizza sistematicamente gli elementi comuni tra l’umano e il bestiale, associati e mescolati in maniere diverse. La testa allargata, arrotondata, evoca un aspetto leonino gli occhi sono sgranati, lo sguardo fisso è penetrante, la capigliatura è presentata come la criniera di un animale oppure irta di serpenti, le orecchie sono ingrandite, deformate, spesso simili a quelle del bue, la resta può portare corna, la bocca aperta in un ghigno, si allunga sino a tagliare tutta la larghezza del volto scoprendo la fila dei denti, con zanne di animale feroce o di cinghiale, la lingua proiettata in avanti, sporge al di fuori, il mento è coperto di peli o di barba, la pelle è spesso solcata da profonde rughe.
Questa faccia appare più come una smorfia che come un volto.” (J.P.Vernant, Figure, Idoli, maschere, pag. 76).
La smorfia riguarda sia il personaggio che la persona (volto) invasa dalla sostanza materna: ogni volta che l’invasività compare in un atto soggettivo (pensieri, comportamenti, relazioni) la smorfia appare sul volto (il volto coincide per la psicoanalisi con il reale della persona rispetto al personaggio che rappresenta l’immaginario che coincide con l’Io) che in questo caso va a coincidere con il personaggio della Gorgone, in pasto all’osservazione del pubblico.
La smorfia dunque è quel significante bordato che allude al peso della irruzione imprevista e accidentale del materno sul corpo.
La maschera allora, come possiamo vedere da queste note, è costruita su tre termini che la compongono nella sua struttura: il personaggio (I), la persona (R) e l’osservatore (S).
1) Facciamo un primo ragionamento: il personaggio riguarda in questo caso ciò che il volto della persona rappresenta come ruolo per cui la maschera corrisponde al volto del personaggio corrispondente a quel ruolo. Nel mito e nel teatro è messo in scena il volto della Gorgone che è sia la maschera nuda (volto) che il personaggio femminile corrispondente alla maschera della Gorgone. Mentre l’osservatore è il Fato, o meglio gli Dei che regolano il destino degli uomini; ebbene, se prendiamo il cambiamento dell’osservatore nei vari secoli, abbiamo che colui che osserva nella moderna epoca delle maschere al tempo della commedia non è più il destino o il fato ma è l’insieme degli altri, la comunità sociale che osserva il personaggio senza maschera che la persona porta oppure osserva la persona che si nasconde bene dietro il personaggio esibito (ruolo).
2) L’osservatore fa parte della commedia come parte attiva, l’osservatore parla e giudica. Nella Commedia dell’arte l’osservatore è il pubblico che osserva lo spettacolo delle maschere mentre la persona è il volto dell’attore che in carne e ossa porta la maschera, che è pronta a essere tolta.
3) Se riprendiamo il discorso della sostanza assoluta materna e lo spostiamo sulla Commedia possiamo, con Lacan, sottolineare un rapporto di continuità insieme alla differenza dell’uso della maschera: “La commedia si presenta come il momento in cui il soggetto e l’uomo tentano di intraprendere un altro rapporto con la parola, diverso da quello della tragedia. Non si tratta più del suo impegno o del suo mascheramento in necessità contrastanti, non si tratta solo del suo problema, si tratta di ciò in cui deve articolarsi come colui che è destinato ad assorbire la sostanza e la materia di questa comunione, come colui che ne approfitta, ne gode, consuma.” (J. Lacan, Seminario V, pag. 269).
La Commedia dunque riguarda non più la Maschera del Materno come Sostanza assoluta ma riguarda la consumazione e i modi, gli usi in cui l’Io del soggetto si dà da fare per godere di questa sostanza consumata ovvero agìta e non più solo evocata. Se il Mito di Edipo evoca la tragedia di un incesto realizzato fino alle sue conseguenze, la Commedia del Seicento Barocco ci dice come l’Edipo sia stato affrontato, camuffato, mascherato nella comunità umana dove la comunicazione prevale e si presenta all’insegna della finzione, delle ipocrisie, delle fantasie ovvero dell’immaginario laddove la Tragedia si presenta invece all’insegna del Reale traumatico, dello shock e dei suoi effetti devastanti e mortali in relazione all’apparizione del mostro. In fondo la Commedia riguarda anche i modi di arrangiarsi per sopravvivere alla potenza devastante della Sostanza materna. Infatti ciò che la Commedia mette in gioco sono le passioni come l’amore, l’odio e l’ignoranza filtrate attraverso un sistema di azioni nelle quali la maschera svolge un ruolo centrale nell’ammorbidire gli effetti di verità soggettiva per ciò che riguarda il riconoscimento e l’orientamento del desiderio dei vari personaggi portatori di una maschera e consegnati a una mascherata o a una parata accidentale.
Dunque le maschere coincidono con i ruoli che l’Io costruisce per recitare invenzioni, finzioni che hanno in comune la stessa radice e lo stesso rapporto con una verità rimossa e pertanto sono finzioni-significanti. Alla pesantezza della tragedia e della sua ineluttabilità che grava sul soggetto umano, la Commedia invece ci appare diversissima ma con un’unica grande variante di regole intorno a un grande banchetto dove si consumano i ruoli e dunque si esercitano le maschere. Le maschere-ruoli si moltiplicano ma per ogni individuo la maschera è sia l’insieme dei personaggi-ruoli sia qualcosa di altro, qualcosa che la maschera rivela come un’apertura verso l’abisso, verso l’ignoto che fa irruzione sul volto della persona in forma di lacrima (lamentazione) o di riso (paradosso pulsionale). La commedia ha uno scenario privilegiato che rappresenta il luogo dove il Complesso Edipico è sempre presente sullo sfondo di tutti gli scenari possibili: questo luogo privilegiato riguarda la vita amorosa in tutte le sue forme e declinazioni. Alla triade madre-padre-figlio/figlia/infans si sostituisce per raddoppiamento aggiuntivo la triade uomo-donna-amante di lui o di lei il che implica la relazione amorosa dell’uomo e della donna nelle vesti anche di padre e madre ma anche nelle varie forme che Freud indica come “degradate” che implicano l’altro-amante in tutte le sue forme.
“Freud ci presenta il desiderio della madre come principio di questa degradazione per certi soggetti, di cui si dice precisamente che non hanno abbandonato l’oggetto incestuoso, insomma, che non l’hanno sufficientemente abbandonato, perché, in fin dei conti, apprendiamo che il soggetto non lo abbandona mai completamente. Deve, beninteso, esserci qualcosa che corrisponde a questo più o meno di abbandono, che noi diagnostichiamo come fissazione alla madre.” (J. Lacan Sem. V, pag. 336-337). In queste forme degradate nel senso delle declinazioni amorose e non della morale Freud presenta la dissociazione dell’amore e del desiderio sul versante maschile mentre sul versante femminile Freud ci presenta al contrario gli sforzi per tenere uniti questi due assi desiderio e amore in un tutt’ Uno il che implica che la persona o corpo parlante da un lato sia tale e dall’altro sia maschera e la commedia consiste proprio nel mantenere in piedi questa dissociazione o questa unione forzata facendo salti mortali, arrangiandosi cioè nello spazio che è consentito all’amore e al desiderio di presentarsi e mostrarsi all’osservazione della comunità. L’osservatore è sia la comunità (gli spettatori al teatro) che il Super-Io interiore come erede della Legge immaginaria materna che dice “tu devi fare come me oppure non devi fare come me” “devi seguire questa strada e queste regole.” Da questa punto vista l’osservatore Super-egoico consiste nelle regole che gli uomini e le donne devono seguire per stabilire per esempio un buon matrimonio, le regole sono osservate e sperimentate nelle azioni della coppia ma l’osservatore legislativo registra anche tutto l’arrangiarsi della coppia a trasgredire le regole insieme anche alla difficoltà nel mantenerle volendolo fare senza però desiderarle.
Dunque declinando la convivenza con il reale del Covid, con il reale della guerra e con il reale del clima, verso una dimensione non sociologica ma analitica i pazienti ancora parlano in analisi non tanto del senso della esistenza della loro vita derivata dalla convivenza con questi accidenti storici, ma delle loro relazioni amorose nelle quali ancora si immaginano di trovare dall’analista soluzioni alla loro convivenza con l’altro.
I pazienti sperimentano come l’osservatore della maschera metta in relazione il personaggio o l’Io della persona, con il carattere della persona stessa: il carattere nella commedia umana corrisponde all’Io e a tutte le sue rappresentazioni ingannevoli menzognere o funzionali al mantenimento del sintomo amoroso, pertanto l’osservatore è sia esterno al soggetto (la realtà esterna) ma anche interna alla giuntura tra il personaggio, inteso come ruolo e la persona intesa come ciò che non è solo quel ruolo o l’insieme dei ruoli, ma è anche altro. Dunque l’Io è un sintomo che apre all’Altro, all’Altra Scena laddove la verità del personaggio trova il reale del godimento della persona. Ogni atto e azione della vita quotidiana è rappresentabile dunque su un doppio canone, l’uno teso all’adattamento alla realtà attraverso il gioco dei ruoli o maschera che l’Io si mette fino a essere un tutt’uno con la madre, il padre, il figlio, ma anche il bambino, o l’adolescente o l’adulto oppure nel gioco dell’amore l’amato o l’amante nella coppia ecc. mentre l’altro versante del canone riguarda “l’abnegazione del soggetto in rapporto alla domanda” (Sem. V, pag. 334). Questo versante ci dice come il soggetto dell’inconscio rinuncia a qualcosa che lo implica per rispondere alla domanda rivolta all’Altro, domanda che è sempre, in qualunque forma, domanda d’Amore: questa rinuncia, cosiddetta altruistica, riguarda il proprio desiderio mortificato. Ciò vale anche pensando e agendo in una direzione totalmente votata alla realizzazione del proprio desiderio nella sua forma di oggetto della soddisfazione realizzata e in questo caso la maschera, che il soggetto mette al proprio Io, è quella del trionfo fallico immaginario, quella della potenza e del potere del godimento: “Appare dunque fin da subito che il desiderio è legato a qualcosa che è la sua apparenza, per dire il termine, la sua maschera” (Sem. V, pag. 329).
Se la maschera è una bolla chiusa triadica – personaggio, persona, osservatore – il desiderio è ciò che eccede questa bolla chiusa, ma è anche ciò che ci permette di entrare o di interrogare la problematicità enigmatica del desiderio del soggetto nella relazione con l’altro. Se la maschera può andare in pezzi come uno specchio, ciò che sta al di là di esso riguarda il desiderio e la sua esclusione tormentata dall’esser seguito nella condotta: la commedia quotidiana riguarda proprio il condurre a spasso un desiderio (di riconoscimento) dovunque sulla scena familiare e questo desiderio l’analisi lo rivela essere ciò che non è, ovvero, quello del soggetto, ma quello dell’Altro in cui il soggetto si aliena. Ma contemporaneamente questo movimento familiare sulla scena della commedia produce un sapere fondamentale in tutte le relazioni e le relazioni della commedia umana sottintendono, in ogni forma e ruolo, quelle tra l’uomo e la donna.
Questo sapere che girovaga nelle relazioni della commedia umana, è un sapere che viene prodotto dal soggetto diviso uomo/ donna in relazione all’Altro e ha una natura su cui la psicoanalisi ha costruito la sua carriera fin dagli inizi vale a dire l’Isteria intesa sia come discorso strutturale e normale dell’uomo in quanto tale, sia come sintomo ovvero come eccesso di questa normalità isterica in quanto si pone come risposta a qualcosa vissuto dal soggetto come traumatico cioè eccessivo sia in difetto (come l’abbandono) o in eccesso (le troppe attenzioni amorose fino a un contatto fisico seducente.)
Allora la maschera e la commedia mostrate nella parola del paziente ci permettono di mantenere nella clinica il discorso isterico, abolito dalla psichiatria come sorpassato, che invece riunisce insieme il carattere, gli atteggiamenti dell’Io isterico, come l’istrionismo e il maquillage, al sintomo del soggetto isterico che ha a che fare con il dare a vedere all’altro, come il mostrare somatico, che si presenta nel corpo come un vero e proprio dolore fisico senza che nessun organo sia compromesso (emicranie, abasie, afasie, paralisi, attacchi di panico e di ansia e epilessie) .Tutto ciò ha per il soggetto un vantaggio secondario della malattia in quanto gli serve per sfuggire alla verità rimossa che riguarda qualcosa di sessuale avvenuto sulla scena familiare e che risulta particolarmente doloroso e imbarazzante ricordarlo. In questo la convivenza del soggetto è con l’inconscio (Altro) ovvero con la contingenza accidentale della sostanza materna mostrata dal paziente nella sua parola. La funzione della analisi in questo momento storico è quella, tra le altra cose, di ascoltare ancora una dimensione soggettiva che non è del tutto subordinata alla convivenza con il Covid, con la guerra e con il clima. Una dimensione che ha a che fare con la convivenza del soggetto con il proprio corpo addolorato effetto del discorso dell’Altro che impedisce all’isterica di aprirsi al sociale oltre il versante dell’Amore e del suo inganno, perché non esiste come soggetto degno di un suo proprio discorso: in sostanza il soggetto istrico o è relegato all’insieme dei suoi disturbi fisici-organici oppure è assorbito nell’ambito dell’Amore come insieme delle relazioni sentimentali.
Ciò che accade di sconveniente, di doloroso o imbarazzante nel soggetto umano, quest’ultimo lo rimuove spostando altrove l’attenzione e la verità di ciò che è avvenuto: e ciò che è avvenuto di scandaloso e sconveniente, non può non avvenire che all’interno della relazione tra generi sessuali diversi o uguali non determinati necessariamente dalla differenza biologica, ma determinati strutturalmente dalla economia pulsionale, pulsione maschile-pulsione femminile o attiva e passiva (ovvero al di là della identità di genere). L’economia pulsionale si presenta come forza immaginaria oltre che reale messa in gioco nella relazione amorosa e determinata dalla posizione di potere dell’uno sull’altro: come esempio per tutti possiamo far riferimento alla relazione tra l’adulto molestatore, maschio o femmina, e il bambino o maschio o femmina. Prendiamo come matrice per l’isteria sintomatica e per il discorso isterico la relazione tra adulto/familiare-conoscente e il bambino: ebbene, la sostanza materna è la matricialità strutturale della relazione simbolica e fantasmatica madre/bambino, è responsabile non solo di molte patologie gravi, (quali per esempio le psicosi ma anche di tutta la sintomatologia moderna che riguarda la dipendenza) ma anche delle logiche amorose che si mettono in atto nelle mascherate isteriche tra un uomo e una donna, ebbene se la maschera di Gorgo è quella indossata dalla madre per fondare il suo personaggio nella relazioni intersoggettiva e fantasmatica con il bambino, ci possiamo chiedere quale è la maschera elettiva, se ne esiste una, indossata dall’adulto molestatore/conoscente familiare nelle relazioni con il bambino. Ebbene questa maschera ancora una volta si può trovare nella mitologia greca secondo lo studio di Vernant, e riguarda la maschera di Baubo nel relativo episodio di Demetra in lutto per la morte della figlia. Baubo si allinea alla mostruosità notturna di Gorgo: ha un duplice aspetto, è allineata a Gorgo ma è anche allineata alla miglior tradizione delle comari simpatiche e argute così come le ritroviamo nella Commedia dell’arte, nelle commedie di Shakespeare o nel teatro di Moliere: “Ciò che Baubo mostra a Demetra è un sesso mascherato da volto, un volto in forma di sesso; potremmo dire che il sesso si fa maschera. Quest’ immagine del sesso, facendo smorfie, si trasforma in risata, una risata a cui risponde il riso della Dea, così come alla smorfia d’orrore che traversa il volto di Gorgo risponde il terrore di chi la guarda. Il phallos il cui rapporto con Baubo è sottolineato da uno dei suoi nomi Baubo assume al polo opposto del mostruoso una funzione simmetrica. Abitualmente accresce il ridicolo mette in risalto il carattere grottesco di quei divertenti mostri che sono i Satiri, ma nelle iniziazioni, tuttavia, provoca anche un effetto di sacro terrore, di fascino spavento, che viene espresso dalla gestualità di alcuni personaggi femminili indietreggianti dinanzi al phallos che si svela. (J.P.Vernant, Figure, idoli e maschere, pag.103).
La maschera di Baubo è un altro aspetto del mostruoso, è l’altra faccia del mostruoso come il mostruoso è l’altra faccia del simpatico, del divertente e del grottesco. Ma possiamo fare un’ulteriore riflessione a partire dalla vicenda di Demetra e di Baubo: abbiamo una vicenda dove alla dea della prosperità, Demetra, si mostra sul suo cammino Baubo, ovvero la dea dell’oscenità. Baubo compare sul cammino di Demetra in lacrime per la perdita della figlia amata Persefone; ebbene Baubo riesce a trasformare la disperazione, le lacrime di Demetra, in riso ovvero in un calore che allentò la tensione di Demetra. Baubo le mostrò una cosa buffa che aveva tra le gambe, un sesso mascherato da volto che faceva smorfie. Dunque non più la smorfia di dolore dovuta all’invasività del materno gorgoniano ma le smorfie intese come sberleffi di un volto messo in uno strano posto. Questa vicenda mette in gioco etimologicamente una scena dove viene sottolineato quell’elemento assolutamente decisivo nella strutturazione del soggetto in relazione all’inconscio ovvero il fallo (phallos) che è presente fin da subito sulla scena sia di Gorgo che di Baubo sia dalla parte dell’infernale e del mostruoso che dalla parte dove Baubo richiama la simpatia somaresca. Ebbene è importante notare come la parola phallos, secondo alcune ricerche etimologiche, potrebbe discendere da hallos ovvero dalla parola ballo e rimandare tutta la vicenda matriciale adulto/bambino a un gran ballo in maschera all’insegna del seducente, dell’attraente, del mistero e del grottesco laddove appunto si consuma, come ci ricorda Lacan, la commedia umana rispetto a ciò che la tragedia ha annunciato.
Nel gran ballo in maschera della commedia umana circola l’economia delle pulsioni distribuita tra i personaggi-maschere, le persone incarnate uomini-donne e bambini e l’osservatore cha va dal pubblico che guarda ma anche da quel super-io interno al soggetto che regola la pulsione incanalandola e congelandola verso l’ideale del ruolo-maschera che fa legge o quella di un’assoluta Gorgonia o quella di una assoluta Dioniso all’insegna di un “tu devi” o di un “Godi”.
L’insieme di questo ballo in maschera con tutti i suoi protagonisti distribuiti tra personaggi/persone e osservatori forma ciò che si può chiamare appunto il Discorso dell’isterica nell’ambito della clinica dei legami sociali: tale discorso, dominante nel secolo XIX e XX, è stato completamente occultato dal discorso dominante nel XXI secolo, il Discorso del Capitalista, così come l’isteria come patologia è stata cancellata dalla psichiatria moderna, direi fatta a pezzi in un universo segnico di tanti disturbi: in realtà il gran ballo in maschera della commedia umana vede tutt’oggi compiersi nei legami sociali tra individui e nelle relazioni amorose tra uomo e donna, relazioni che ascolto in continuazione nei racconti dei pazienti in analisi, quelle menzogne, quelle seduzioni e quelle ambiguità grottesche che abbiamo sottolineato con la maschera di Baubo nel suo lato di coma-re piuttosto che di orchessa notturna. Allora prenderci cura di approfondire la maschera significa rivalutare e rimettere in evidenza sia l’isteria come patologia camuffata da altri nomi, sia il discorso isterico come discorso nevrotico della normalità umana.
La commedia umana quotidiana ha a che fare nelle relazioni tra uomo e donna con questo carattere e istrionismo isterico.
Che cosa è questo carattere isterico? Possiamo dire che l’isterica e l’isterico si sono confrontati nella loro vita inconscia, nel loro sviluppo all’interno dell’Edipo con la questione del che cosa vuol dire essere donna o essere uomo. Non potendo rispondere, non sapendolo, essendo sempre incerti e dubbiosi e insicuri, entrambi hanno portato la maschera della donna o dell’uomo, all’esagerazione comica dei loro caratteri, quindi l’isteria in entrambi i sessi consiste nell’esagerare il temperamento femminile che diventa nervoso: il carattere femminile o pulsione femminile niente a che vedere con la donna in quanto non c’è coincidenza tra il femminile e l’essere donna, infatti la pulsione femminile specifica una serie di caratteristiche che possono essere patrimonio anche dell’uomo.
La psicoanalisi è nata con l’isterica e con il suo sintomo; in questo caso ci interessa sottolineare la sua maschera di donna eccessiva e le caratteristiche della maschera dell’isteria, quella utilizzata dal sintomo nelle relazioni umane e nella commedia sociale del quotidiano laddove gli eccessi abbondano e fanno vedere che nel discorso nevrotico-isterico quei tratti, detti perversi o perversione isterica, si distinguono dalla struttura perversa del soggetto. Dunque ciò che troviamo nella commedia umana è l’isteria nelle sue perversità del carattere nelle relazioni uomo/donna. Si vede bene in questi casi come la vischiosità della sostanza materna si annodi negli accidenti dell’incontro amoroso: nell’isteria questa vischiosità assume il carattere della lamentazione in tutte le forme di relazione tra uomo e donna o comunque all’interno della coppia al di là della identità sessuale. La lamentazione ci dice della piena insoddisfazione del soggetto umano qualunque sia la sua condotta e la realizzazione dei suoi desideri. Le conseguenze portano nello scenario amoroso a una lotta feroce dell’uomo contro la donna per mostrarle il suo potere, per mostrare chi comanda, per mostrare all’altro. La maschera del personaggio porta fino alla rivelazione del volto, la persona reale e il suo sguardo feroce, mentre la preoccupazione di far bella figura e la ricerca della prestanza sono le condotte dominanti più evidenti nell’uomo isterico.
Dunque nell’isteria maschile e femminile i conti non tornano mai e l’insoddisfazione è lo stato d’animo prevalente che si può riassumere così “quello che gli altri hanno mi appare più preferibile a ciò che possiedo soltanto io per il fatto che non ce l’ho, indipendentemente dall’oggetto posseduto”. L’isteria dunque mette la maschera del forte, ovvero di colui o di colei che fa brillare una superenergia nel tentativo di riuscire a ogni costo nell’obbiettivo prefissato ma una volta raggiunto decade l’interesse improvvisamente e ciò è avvertito come un fallimento perché non era ciò che il soggetto voleva. (Il desiderio nell’isteria non coincide con ciò che il soggetto vuole).
Insoddisfazione e lamentazione sono le espressioni sintomatiche delle ansie e angosce isteriche dell’uomo e della donna. La differenza è che l’isteria femminile nella donna dà a vedere qualcosa che non è e non sembra e lo fa attraverso la mascherata femminile della seduzione, mentre nell’uomo dà a vedere ciò che ha ed è in questo suo mostrarsi che dimostra però la sua scarsa eticità sul piano dell’essere perché dimostra la presenza della sostanza materna nel vuoto del suo essere riempito dal pieno attaccamento vischioso all’oggetto feticcio. Il mascheramento passa attraverso questo continuo relazionarsi dell’uomo e della donna che cercano l’uno verso l’altro di dare a vedere o di esibire l’oggetto del potere. In ogni caso l’oggetto in gioco circola nelle relazioni buffamente determinando situazioni dove tutti mentono e svelano al tempo stesso le loro intenzioni: svelano per l’osservatore attento, che scinde il personaggio dato a vedere o mostrato, dalla persona reale che implica, al contrario della maschera, una fragilità, una debolezza, un minor interesse al potere. Ed è il volto della persona nel reale dello sguardo o della voce a mostrare queste debolezze. È questo volto della persona a coincidere con la maschera nuda laddove emerge tutta la verità del corpo del soggetto moderno: l’assenza di vergogna e del pudore e dunque la perdita del senso di nascondimento. La maschera dunque non è più la garanzia dell’esistenza della vergogna ma è lo svelamento della sua assenza.
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