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Due ambasciatrici di Freud a Parigi: Eugénie Sokolnicka e Marie Bonaparte

3 Set 22

Di mario.romano2003

 

Abstract. It is take into account the introduction of psychoanalysis in France at the hands of two Freud’s “ambassadress” whose writings are now widely neglected. Outside the theoretical field, they significantly contributed, each in its own way, to the spread of psychoanalysis in France. Sokolnicka mainly contributed through analytical training of the most relevant psychiatrist of her time, and Bonaparte through her generous financial contributions to the psychoanalytic cause and with a great deal of Freud’s writings french translations. Such translations made psychoanalitic thought known to a medical environment yet inimical to psychoanalysis [Key words: Eugénie Sokolnicka, Marie Bonaparte, French psychoanalysys, philosophical and litterary environments]

Riassunto. Viene analizzata l’introduzione della psicoanalisi in Francia ad opera di due “ambasciatrici” di Freud la cui opera teorica è oggi largamente dimenticata ma che, al di fuori del campo teorico, diedero ognuna un particolare contributo alla diffusione della psicoanalisi in Francia. La Sokolnicka vi contribuì soprattutto con il suo ruolo di didatta di molti dei più rilevanti psichiatri dell’epoca, la Bonaparte attraverso i suoi generosi contributi finanziari alla causa psicoanalitica e grazie a numerose traduzioni di scritti freudiani che fecero conoscere il pensiero psicoanalitico ad un ambiente medico ancora ostile [Parole chiave: Eugénie Sokolnicka, Marie Bonaparte, psicoanalisi francese, ambienti filosofici e letterari]

 

Eugénie Sokolnicka è una figura minore del movimento psicoanalitico, e fu una psicoanalista itinerante che si spostò frequentemente passando da Varsavia, la sua città natale, a Parigi, quindi a Zurigo, poi a Vienna, nuovamente a Varsavia, ancora a Zurigo e poi a Budapest. Di qui ritornò alla città natale Varsavia, per stabilirsi poi definitivamente a Parigi, dove negli ultimi anni della sua vita acquisì anche la nazionalità francese. (Clancier, 1987, p. 427). Nei suoi peregrinaggi attraverso l’Europa incontrò ed ottenne di essere analizzata dalle figure più importanti della psicoanalisi; prima frequenta Jung a Zurigo,iii poi chiede e ottiene di essere analizzata da Freud a Vienna, e infine da Ferenczi a Budapest. Del resto, questo suo girovagare per le capitali europee era finalizzato proprio a questi incontri ed ai benefici che avrebbe potuto ricavarne, il che confermerebbe una delle diagnosi che Ferenczi formulò sulla Sokolnicka, cioè la sua “marcata idea di grandezza” (Aliprandi, Pati, 1999, p. 157).

Eugénie Kutner nacque il 14 giugno 1884 a Varsavia da una famiglia ebraica dell’alta borghesia, benestante e patriottica, e con un elevato livello culturale. Il padre era un banchiere e la famiglia contava molti laureati (avvocati, medici, professori) (Clancier, 1987, p. 427). La madre era un’ardente patriota che si battè per l’indipendenza della Polonia, come il nonno ed uno zio paterno, e alla sua morte ricevette funerali di stato (Alipranri, Pati, 1999, p. 155). Durante l’infanzia Eugénie apprese da una governante francese quella lingua e quella cultura che in seguito la porteranno ad eleggere Parigi inizialmente come luogo di studi ed in seguito come sua definitiva residenza e, potremmo dire, seconda patria.

Abbandonata Varsavia, si recherà infatti a Parigi all’età di vent’anni per studiare Scienze e Biologia alla Sorbona. Durante gli anni di studio conosce molti intellettuali che reincontrerà in seguito, quando ritornerà a Parigi nel 1921(de Mjiolla, 2002, p. 1633), incoraggiata da Freud, per cercare di diffondere la psicoanalisi in quel paese ancora recalcitrante ad accettare le teorie freudiane. Durante gli studi frequenta le lezioni di Pierre Janet che getteranno le fondamenta del suo futuro interesse per la psicoanalisi. Nel corso di questo primo soggiorno parigino conosce Michal Hubert Sokolnicki che sarà il suo futuro marito e sposerà a Varsavia il 27 ottobre 1903 (Groth, 2015, p. 61), ma il matrimonio durerà solo una decina d’anni, forse anche a causa dei frequenti spostamenti prolungati della Sokolnicka lungo l’Europa.

Nel 1911 si recherà a Zurigo dove rimarrà per due anni e frequenterà le lezioni di Jung, il quale, tuttavia, non la nomina in alcuna delle sue opere o delle sue lettere. Nel 1913 e nel 1914 la troviamo a Vienna dove riuscirà ad essere analizzata da Freud.

Haynal e Falzeder (2014) hanno rilevato che «la prima generazione di medici a praticare la psicanalisi quale professione si è riunita a Freud quasi esclusivamente tramite Jung e Bleuler» (p. 11), provenendo dal Burghölzli o dall’Università di Zurigo, e così anche la Sokolnicka pervenne a Freud passando prima per Zurigo. Sarà lo stesso Freud a riconoscerlo nello scritto Per la storia del movimento psicoanalitico (1914), ove dice: «Gli zurighesi divennero in tal modo il nucleo della piccola schiera che si batteva per il riconoscimento dell’analisi. Soltanto essi offrivano l’opportunità di imparare la nuova arte e di eseguire lavori in materia. La maggior parte di coloro che oggi mi seguono e collaborano con me sono venuti passando per Zurigo, persino quelli per cui geograficamente era molto più vicina Vienna che la Svizzera» (Freud, 1914, p. 400).

Nell’8 aprile del 1914 la Sokolnicka fu accolta per la prima volta come ospite presso la Società Psicoanalitica di Vienna (SPV) e ne divenne membro effettivo acclamato all’unanimità l’8 novembre del 1916. Da allora il suo nome scompare dai presenti alle riunioni del mercoledì sera per ricomparire soltanto il 19 novembre 1918, esattamente a due anni di distanza dalla sua acclamazione a membro effettivo (Nunberg e Federn, 1983, p. 340). «Nella lista dei membri della Società Psicoanalitica di Vienna (SPV) dal 1916 al 1917 la Sokolnicka vi appare con un indirizzo a Varsavia, e a partire dal 1921 con un indirizzo a Parigi. Eugénie Sokolnicka fu membro della SPV fino al 1926, quando fu fondata la Società Psicoanalitica di Parigi (SPP)» (Mühlleitner, p. 304).

Da Ulrike May (2007) apprendiamo che l’analisi della Sokolnicka con Freud iniziò il 19 maggio 1914 e durò non più di tre mesi.iii Il trattamento era di 6 ore la settimana e durò in totale 68 ore. Quando si sottopose all’analisi la Sokolnicka aveva 30 anni e apparteneva allora al gruppo di Zurigo. Non sono note le ragioni per le quali si sottopose ad un’analisi, ma Ferenczi parlò di “analisi del carattere”. L’analisi con Freud ebbe una conclusione infelice e sembra che sia terminata perché, come disse la Sokolnicka, Freud non voleva accettare soldi da gente povera, ma altre volte essa disse che Freud terminò il trattamento perché lei non era in grado di pagare l’onorario. (ibid., pp. 166-167).

Mentre la Sokolnicka era in analisi con Freud e partecipava come ospite alle riunioni della SPV, la Francia non era né totalmente all’oscuro della psicoanalisi né completamente ostile ad essa, sebbene avesse una posizione di estrema critica e diffidenza e pretendesse di depurarla di tutto ciò che apparteneva allo spirito germanico per adattarla allo “stile latino” e alla razionalità cartesiana (Sédat, 2011).iv Nel 1914 uscì a Parigi, presso l’editore Alcan, un voluminoso trattato di psicoanalisi di Régis ed Hesnard, La psychanalyse des névroses et des psychoses, che sarà il primo manuale in francese sulla psicoanalisi. Sebbene Hesnard pretendesse di essere stato il primo ad introdurre la psicoanalisi nell’ambiente medico, negli anni dal 1909 al 1914 erano usciti diversi articoli in riviste di psicologia e di filosofia dedicati alla psicoanalisi (Ohayon, 2006, p. 68 e nota 21), e altri ancora ne uscirono negli anni seguenti.v Il libro venne recensito l’anno successivo da Ferenczi il quale, da un lato ne elogiava la prima parte dedicata ad una esposizione chiara e completa della teoria freudiana «sebbene… la spassionata serenità dell’esposizione sia percorsa qua e là dal balenare di una certa tendenziosità» (Ferenczi, 1915, pp. 197-198), dall’altro giudicava severamente la seconda parte, di carattere critico, e ci tenne a ribadire che «Il nucleo dal quale si è sviluppata la psicoanalisi è del tutto indipendente dalla letteratura francese. Non è stato Charcot, e ancora meno Janet, bensì Breuer a dare il primo impulso alla costruzione della nuova disciplina, alla quale del resto Charcot non si è mai interessato, e che Janet non ha affatto capito» (ibid., p. 208). Ferenczi rimprovera anche ai due autori di avere scritto un trattato solo teorico, poiché «il loro lavoro consta solo di teoria e di critica, lasciando insoddisfatta la curiosità del lettore circa le esperienze personali degli autori» (ibid., p. 193). Di fatto né Régis né Hesnard avevano praticato l’analisi di pazienti, ed Hesnard, pur non essendo mai stato analizzato, «diventò uno dei praticanti e dei didatti più eminenti del gruppo francese» (Ohayon, 2006, p. 68, Roudinesco, 1982), il che costituisce una delle molteplici contraddizioni che segnarono la nascita della psicoanalisi, non solo in Francia.

Prima di questo voluminoso trattato, Hesnard aveva pubblicato nel 1913 l’articolo L’état actuel de la psychanalyse de Freud en France. Il primo articolo di psicanalisi pubblicato in Francia fu quello di Merichau-Beauchant, Le rapport affectif dans la cure des psychonévroses, che rimaneva però ancora nell’ambito dell’ipnotismo. (de Mjiolla 2002, Hesnard e Pichon, 1930).

 

 

L’accoglienza della psicanalisi da parte della filosofia.

 

Il più importante riconoscimento della psicoanalisi in ambito filosofico proviene dal poderoso lavoro di Roland Dalbiez, La méthode psychanalytique et la doctrine freudienne (1936), due volumi di complessive 1184 pagine. Dalbiez non risparmia le critiche a Freud, accusato di esagerazione, eccentricità e dogmatismo (Ohayon, 1999, p. 122), ma al tempo stesso riconosce che il suo principale merito è stato quello di sostenere il primato dell’inconscio nella vita psichica, e ammette il valore del metodo terapeutico come investigazione dell’inconscio. In una recensione comparsa sulla rivista Les Études philosophiques nel 1937 il recensore afferma: «E’ in Francia più che altrove che il bisogno di un simile libro si faceva sentire; non ignoriamo affatto che, in questo paese, le teorie freudiane furono effettivamente introdotte da Mme Eugénie Sokolnicka e che esse fecero il loro debutto negli ambienti letterari e mondani. Da questo esordio malaugurato, la psicanalisi non si era mai ripresa completamente. Dobbiamo sperare che, grazie a M. Dalbiez, potremo presto vederla diffondersi nell’ambiente che le conviene» (Josipovici, 1937, p. 51).

Nel campo della filosofia la voce più critica che si levò contro la psicanalisi fu quella del filosofo marxista Georges Politzer, che pubblicò sulla Revue de Psychologie Concrète, da lui fondata, una nota preliminare allo scritto di Hesnard e Pichon (1930) sulla storia del movimento psicanalitico in Francia. In uno scritto di tre pagine Politzer (1930) esprime una sferzante ma lucida critica del movimento psicanalitico francese. «La tattica degli psicanalisti francesi, basata quasi esclusivamente sul proselitismo, consiste di opportunismo, mostrando di conseguenza una indebita timidezza» (p. 427). Non risparmia neppure la Revue française de psychanalyse, poiché «ogni numero è causa di grande esultanza tra gli avversari della psicanalisi, poiché ciò che vi è riflesso non è un movimento pieno di vitalità e promettente, ma scolasticismo. Sembra perfino come se la funzione della Revue française de psychanalyse nella massa internazionale delle pubblicazioni psicanalitiche, servisse come una lente di ingrandimento dei difetti delle teorie freudiane» (ibid., p. 428).

Viene poi il turno delle due ambasciatrici di Freud a Parigi. «Il metodo psicanalitico stesso sembra stare degenerando, specialmente ad opera di Marie Bonaparte, verso un’arte di trovare delle scuse per citare i testi freudiani» (ibid., p. 428). Quanto al «caso di Mme Sokolnicka, che, a parte il fatto che ha rischiato di gettare per sempre il discredito sulla psicanalisi in Francia, oggi essa è più un peso che qualcos’altro per il movimento psicanalitico francese» (ibid., p. 428). Politzer concluderà questa impietosa requisitoria ribadendo che gli psicanalisti francesi «sono più interessati nel cercare adepti alla psicanalisi, ad ogni costo, che a promuoverne la causa (…) Noi solo vorremmo dire che il movimento dovrebbe essere rafforzato liberandosi delle sue tattiche di opportunismo come del suo carattere elementare, mettendo al centro dell’attività sforzi positivi invece del proselitismo. Noi saremo sempre pronti ad aiutare questo sforzo al meglio delle nostre capacità» (ibid., p. 428).

 

 

La nascita del movimento psicanalitico francese.

 

La May (2007) afferma che almeno negli anni 1910-1920 Freud era convinto che un’autoanalisi era sufficiente per qualcuno, ma non per tutti. «In questo periodo Freud ancora credeva che l’autoanalisi come l’analisi da parte di un altro (‘Fremdanalyse’) fossero delle preparazioni appropriate per il lavoro analitico. Negli ultimi dieci anni della sua vita, invece, egli sottolineò i limiti di entrambi i metodi per l’autoconoscenza (Freud, 1937) (…) Tra il 1910 e il 1920 quindi, era ancora il caso che uno potesse sottoporsi ad un’analisi ma non era necessario per potersi associare alla Società Psicoanalitica. A quel tempo il divenire membri era affidato ad un altro criterio, vale a dire l’interesse per la psicoanalisi che generalmente doveva essere dimostrato da una conferenza» (ibid., p. 159, corsivi nel testo). La vera e propria analisi didattica fu introdotta soltanto nel 1926. «Che uno avesse o non avesse ricevuto un’analisi non era di alcuna importanza» (ibid., p. 160). La May (2007) afferma quindi che sarebbe inappropriato parlare di “analisi didattica” per i diciassette analisti di cui parla nel suo articolo, e si chiede: «Che cosa andavano a fare questi 17 individui da Freud? Era per il desiderio di curarsi o per imparare l’analisi, o per entrambe le cose?» (p. 160). Ricordiamoci che tra questi 17 analisti che la May presenta c’era anche Eugénie Sokolnicka, e dunque andrebbe smentita la convinzione sostenuta da diversi studiosi che la Sokolnicka abbia effettuato con Freud una vera “analisi didattica”, sebbene a quei tempi Freud potesse anche considerarla tale nonostante non avesse superato i tre mesi. Ohayon (2016) dirà che «i pionieri francesi sono stati poco e spesso mal analizzati, oppure per nulla, come Angelo Hesnard» (p. 238), il quale si rifiutò sempre ostinatamente di sottoporsi ad analisi, sebbene ne condividesse le teorie. Paradossalmente, come abbiamo visto, Hesnard divenne poi uno dei più affermati analisti didatti della Francia di quegli anni.

Dopo la brusca interruzione dell’analisi, Freud consiglierà alla Sokolnicka di spostarsi a Monaco dove c’erano ancora pochi analisti che esercitavano la professione. In quello stesso periodo la Sokolnicka aveva anche divorziato dal marito, per cui le erano venuti a mancare due sostegni importanti. L’inizio della Prima Guerra Mondiale la indurrà, anziché spostarsi a Monaco, a rientrare a Varsavia, dove comincerà ad esercitare la professione. «Un continuo peregrinare caratterizza, dunque, la vita di Eugénie, e l’instabilità dei luoghi sembra ben rappresentare il lavorio intrapsichico della persona, tanto intelligente quanto fragile, alla ricerca di una quasi impossibile integrazione. I ritorni in patria assumono il segno di un obbligato ritorno alla madre, ogni volta che si delinea una possibilità di svolta evolutiva, come nel caso del matrimonio, e nei momenti di più intenso travaglio affettivo, che fanno affiorare paure e angosce invasive, bisogni mai sanati di riconoscimento e stabilità affettiva.

I vissuti abbandonici di un tempo, rispetto a una madre reale giovane e molto impegnata altrove, si mescolano ad attuali difficoltà di accoglimento: da parte di una madre-patria nei cui confronti, anche per via del suo ebraismo, si sente solo figliastra; da parte della comunità scientifica, che, pur apprezzando la sua intelligenza, mostra non poche riserve per la sua personalità» (Aliprandi, Pati, 1999, pp. 155-156).

Queste prime psicoanaliste, come la Hug-Helmuth, erano persone fragili, con rilevanti problemi emotivi, affettivamente instabili e bisognose di riconoscimento, «erano personalità con alcune anomalie caratteriali e persino affette da disturbi psicopatologici specifici, che servirono da trampolino di lancio, tramite la cura analitica, per accedere ad un’identità almeno adeguatamente satura di autostima» (Orellana e Barranco-Ruiz, 2003, p. 2526). Freud non sembrava occuparsi troppo dei problemi affettivi dei suoi seguaci, neppure quando li prendeva in analisi. La sua principale preoccupazione era utilizzare questi adepti per allargare il campo di diffusione della psicoanalisi.

Nel 1916 la Sokolnicka è nuovamente a Zurigo, e qui diviene membro della Società Psicoanalitica di Zurigo (SPZ)(de Mjiolla, 2002, p. 1633). Fino al novembre del 1918 non venne più registrata alle riunioni del mercoledì sera della SPV. Nel gennaio di quell’anno cercò, senza esito, di fondare una Società Psicoanalitica in Polonia. Nel 1919 un medico le inviò in trattamento un bambino di dieci anni e mezzo affetto da un disturbo ossessivo, un caso che diventerà noto come il “bambino di Minsk”. Il caso fu pubblicato nel 1920 nella Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse. Per via di questa analisi alcuni storici (Michelle Moreau Ricaud, 2011; Isabelle Mons, 2015, p. 240; Aliprandi-Pati, 1999, p. 159; Ohayon A., 2016, p. 236)) hanno voluto vedere nella Sokolnicka una precorritrice dell’analisi infantile, ma ella non ci ha lasciato testimonianza scritta di altre analisi infantili. Persino la Roudinesco (1982) afferma che la Sokolnicka era «una specialista non-medico della psicoanalisi infantile» (p. 286). Aliprandi e Pati (1999) riferiscono che Françoise Dolto, analizzata da Sophie Morgenstern, che a sua volta fu analizzata dalla Sokolnicka, ha affermato di non avere mai sentito nominare quest’ultima in riferimento a psicoanalisi di bambini (p. 158, n. 7). Bisogna anche tenere presente quanto afferma Gougoulis (2011, p 72) che «nello spirito medico, l’esercizio da parte di non medici non è ammesso tranne che per delle cure proposte ai bambini, ciò che è a metà tra la cura e l’educazione». Sarà forse per questo motivo, e non per una innata predisposizione verso la psicoanalisi infantile, che la Sokolnicka si rivolgerà alla terapia infantile, almeno per un certo periodo, senza farne tuttavia il suo settore privilegiato. Difficile dunque vedere nell’analisi del bambino di Minsk l’anticipazione di un indirizzo che la Sokolnicka non perseguirà e che troverà invece le continuatrici in Sophie Morgestern e Françoise Dolto, e poi in Anna Freud e Melanie Klein. Del resto, la Sokolnicka non aveva inventato una tecnica specifica per i bambini ma si era limitata ad analizzare il bambino utilizzando la tecnica adottata per gli adulti, aggiungendovi qualche aspetto pedagogico. Sarà la Morgestern ad utilizzare la tecnica del disegno e del gioco come metodi specifici per l’analisi del bambino, inaugurando così un indirizzo ed una tecnica specifici per l’infanzia. La Sokolnicka non fu certamente una pioniera in questo campo, come la definisce Ohayon (2006, p. 236) poiché non inventò nulla di nuovo ma applicò la teoria freudiana classica ad un bambino, né ci ha lasciato documentazione di altre analisi infantili. La Sokolnicka era stata preceduta nell’analisi infantile da Hermine Hug-Hellmuth, ma i suoi studi furono contemporanei a quelli di Melanie Klein e precedettero quelli di Anna Freud.

Se la medicina ufficiale e gli alienisti dell’epoca accettavano una psicoanalisi breve dei bambini condotta da psicoanalisti “laici”, ciò significava che ancora il bambino come oggetto di cura non era preso in seria considerazione e poteva essere affidato ad un analista laico che avrebbe utilizzato la psicoterapia e la pedagogia come strumenti terapeutici. Sul tema dei trattamenti brevi ai bambini nel 1928 Pichon e Parcheminey avevano pubblicato l’articolo Sur les traitements psychothérapiques courts d’inspiration freudienne chez les enfantas.

Il 19 gennaio 1918 Freud scrive a Ferenczi: «Sembra che la Sokolnicka stia fondando una associazione Ψα a Varsavia» (Freud-Ferenczi, 1914-1919, p. 283), e il giorno prima lo aveva comunicato ad Abraham dicendo: «un nuovo gruppo locale sta per essere formato a Varsavia» (Abraham H.C., Freud E.L. 1907-1926, p. 269), ma invece la cosa non ebbe esito, Groth (2015) presume perché ella non era medico e per il suo difficile carattere (p. 65). Quando assunse in analisi la Sokolnicka, Freud non ne parlò con nessuno dei suoi corrispondenti di quell’anno 1914, che erano Ferenczi, Abraham, Jones, Pfister, Lou Andreas-Salomè, ma ne parlò spesso poi con Ferenczi quando questa entrò in analisi con lui, e il loro dialogo assunse, come vedremo, quasi l’aspetto di una supervisione richiesta da Ferenczi. La cosa appare tanto più strana in quanto Freud ebbe in analisi Ferenczi, sebbene in modo molto discontinuativo, per la prima tranche d’analisi, lo stesso anno 1914, quando stava analizzando la Sokolnicka, mentre egli dovette poi interrompere l’analisi con Freud per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale alla fine di giugno 1914.

Nel 1920 Eugenia Sokolnicka lasciò Varsavia per Budapest con l’intenzione di intraprendere un’analisi con Sandor Ferenczi, e quest’ultimo scrive a Freud il 10 febbraio 1920: «Sarei interessato a farle conoscere che Frau Sokolnicka è stata in trattamento con me per circa sei settimane. Sta completando la sua analisi qui. Per favore al momento non dica nulla a nessuno sulla questione». Non è chiaro il motivo per cui sia Freud che Ferenczi vollero stendere questa cortina di silenzio attorno all’analisi della Sokolnicka e farne oggetto solo della loro corrispondenza privata. Geissmann & Geissmann (1992) dicono che l’analisi con Ferenczi durò quasi un anno.

Seguì un fitto scambio di lettere tra Freud e Ferenczi sul trattamento della Sokolnicka simile ad una supervisione. La Sokolnicka divenne una attiva partecipante alle riunioni della Società Psicoanalitica di Budapest, che per rispetto nei suoi confronti si tennero in tedesco. Sembra che il problema della Sokolnicka fosse prevalentemente sessuale e che non riuscisse a raggiungere un pieno godimento nell’atto sessuale, tanto che talvolta ricorse alla masturbazione. Ella provava anche un intenso affetto per Otto Rank e rimase delusa quando questi si sposò. Il divorzio della Sokolnicka le aveva creato non poche difficoltà finanziarie, e questo fu uno dei motivi principali che indusse Freud a terminare l’analisi con lei, cosa che la Sokolnicka non perdonò mai a Freud. Ferenczi afferma che dopo che Freud interruppe l’analisi con lei, ella fece un tentativo di suicidio. La Sokolnicka si rivelò una paziente difficile e non prese bene il metodo “attivo” di Ferenczi, e cominciò a litigare con molte donne che vivevano nella sua stessa pensione. Accusò anche Ferenczi di incompetenza, svalutandolo in confronto ad Adler e Jung e accusandolo di sadismo, manifestando la sua superiorità e cominciando ad analizzare il suo terapeuta giudicandolo gravemente nevrotico.

Ferenczi giunse alla conclusione che la Sokolnicka possedeva una forte componente omosessuale (forse più virile) e una identificazione maschile celata dalla sua convinzione della propria attrattiva erotica e seduttività. Ferenczi pensava che essa esagerasse la propria femminilità per nascondere la propria virilità. Il desiderio di piacere (e una specie di erotomanica concezione della sua seduttività femminile) si manifestarono fin dall’inizio della cura, e si concretizzarono nell’idea che Ferenczi fosse innamorato di lei. Ferenczi ebbe l’impressione che l’analisi del suo carattere lasciasse trasparire tratti paranoidi, poiché si occupava troppo di ciò che gli altri pensavano di lei. Lei si sentiva superiore agli altri, senza eccezione, e sebbene Ferenczi riconoscesse il suo talento, vide in questo senso di superiorità una pronunciata idea di grandezza. (Freud-Ferenczi, Corrispondenza).

Questi tratti di carattere rimasero anche dopo la sua analisi. Nonostante ciò, Ferenczi le riconobbe un notevole talento e la considerò una analista sensibile e tecnicamente dotata. Mise in evidenza anche delle tendenze depressive e suicidiarie che lo indussero a non abbandonare i suoi sforzi nel trattamento di questa paziente. Freud, pur riconoscendone anch’egli il talento, la giudicò una persona ripugnante e fondamentalmente disgustosa, la quale non volle accettare la propria vecchiaia. Freud avvisò Ferenczi che avrebbe avuto difficoltà nel momento della separazione dalla paziente, e infatti questa pretese che egli continuasse la sua analisi anche durante le vacanze spostandosi ella stessa nel suo luogo di villeggiatura, cosa che Freud sconsigliò, ma Ferenczi non seguì il consiglio e cancellò le proprie vacanze perché si rese conto che per la Sokolnicka era difficile accettare un’interruzione. Ferenczi fu abbastanza soddisfatto della terapia effettuata con la Sokolnicka ma non risolse la sua “sensibilità patologica”, la compulsione alla masturbazione e l’inibizione verso il sesso maschile. Egli individuò anche un nucleo paranoide costituito da rabbia verso il padre, verso sé stessa e gli altri, e comunicò a Freud la convinzione che, sebbene con l’analisi essa avesse elaborato molte questioni nevrotiche, le sue tendenze suicide rimanevano attive.

 

 

Il periodo parigino di Eugénie Sokolnicka.

 

Quando la Sokolnicka decise di recarsi a Parigi, dove non era dato per certo che la sua accoglienza sarebbe stata favorevole, sia Ferenczi sia Freud si diedero da fare per procurare alla Sokolnicka una lettera di presentazione ed annunciare il suo arrivo a Parigi nello Zeitschrift. La Sokolnicka viene descritta come una “inviata” di Freud nel 1921 per radicare anche in Francia la psicoanalisi, ma sembra non abbia avuto una buona accoglienza negli ambienti medici in quanto non medico (Freud-Ferenczi, Corrispondenza, vol. II, nota 3 p. 283). Geissmann & Geissmann (1992, p. 113) hanno fatto notare che molti storici della psicoanalisi hanno pensato che la Sokolnicka fosse una emissaria di Freud a Parigi e non vi fosse andata di propria iniziativa ma espressamente inviata da Freud, poiché in una lettera a Laforgue, Freud ne parla come di una sua “legittima rappresentante”, sebbene di fatto poi, nell’ulteriore corrispondenza con Laforgue, la Sokolnicka non venga più nominata.vi In realtà Freud non aveva alcuna simpatia per la Sokolnicka, che pure aveva analizzato per tre mesi, poiché dirà a Ferenczi in una lettera del 17 giugno 1920: «Lei è sempre stata ripugnante per me, nonostante il suo innegabile talento (…) Non la considero una paranoica ma fondamentalmente una persona disgustosa; ella non vuole accettare ora che è già una donna invecchiata. In questo c’è poco da fare, e lo sviluppo di tratti piuttosto folli [mechuggener] può difficilmente essere ostacolato» (Freud-Ferenczi, p. 29). Con questi presupposti è più facile pensare che Freud abbia voluto sfruttare la presenza della Sokolnicka a Parigi non tanto per facilitare l’accoglienza della psicoanalisi, quanto piuttosto per divulgare a livello pratico la tecnica della psicoanalisi, poiché sul piano teorico la produzione della Sokolnicka fu ben poca cosa. Invece, ella analizzò diversi personaggi francesi, tra cui anche Gide (Bourdin, 2000, p. 63), il quale interruppe la sua analisi dopo sei sedute (Ohayon, 2016, p. 237) e in seguito descrisse la sua analista nel personaggio di Sophroniska ne I falsari. Viene il sospetto che la sua richiesta d’analisi fosse finalizzata solo a conoscere dal vivo il personaggio che poi avrebbe in parte ridicolizzato nel suo romanzo, rimettendo in scena l’analisi di un bambino che alla fine si suiciderà. La Sokolnicka formò e analizzò alcuni psichiatri francesi, fra cui lo stesso Laforgue (sei mesi), Allendy, Georges Heuyer ed Eduard Pichon (dal 1923 al 1926), per cui la pratica psicoanalitica riuscì a penetrare negli ambienti della psichiatria francese. Ne abbiamo una testimonianza diretta attraverso le parole di Pichon:

 

…devo confessare che ancora nel 1921 avevo verso la psicoanalisi un atteggiamento di diffidenza e di ironia (…) E, verso il 1921, il freudismo mi appariva come una teoria astrusa e bizzarra abbastanza poco degna d’interesse: come vedere dell’altro in una dottrina alla moda che giungeva al nostro orecchio attraverso superficiali conversazioni da salotto e che, per di più, le persone mondane e quelle che tenevano i bureaux d’esprit non conoscevano esse stesse che attraverso qualche opera tradotta in francese? Mi sarei molto stupito se mi avessero detto allora che nel 1926 avrei fatto parte della falange dei difensori e panegiristi della psicoanalisi. Come si è prodotta, nella mia mente, questa evoluzione? Per merito della clinica. Grazie a Laforgue e soprattutto alla Sokolnicka. Vedere il miglioramento dei malati sottoposti al metodo, subire, se necessario, in prima persona la psicoanalisi, per meglio conoscerne la tecnica e gli effetti psicologici; con questi mezzi ogni medico coscienzioso potrà come me rendersi conto, ne sono sicuro, della verità e delle virtù cliniche contenute nel metodo freudiano. Numerose concezioni che sembrano a prima vista arbitrarie o addirittura inammissibili diventano in qualche modo necessarie per spiegare i processi che si vedono svolgersi sotto i propri occhi. Mi sembra allora lecito ammettere, con Claude, Hesnard, Heuyer, Codet, Borel, Laforgue, Allendy (per non citare che francesi) che la psicoanalisi ha ormai diritto di cittadinanza in psichiatria (Francioni, 1982, pp. 99-100, corsivi nel testo).

 

L’autore cita ancora che «Laforgue ha in questo periodo incontri isolati con psicoanalisiti di passaggio a Parigi, come Ferenczi (che si era interessato ai francesi, in particolare a Hesnard), Sachs, Jones e, in maggior misura, Rank, prima del suo distacco da Freud. Convinto dell’importanza dell’analisi didattica, vi si sottopose presso la Sokolnicka, che in questo momento, a Parigi, era l’unica autorizzata ad esercitarla. Saranno analizzati dalla Sokolnicka anche Allendy e Pichon, mentre Hesnard (che in questi anni è a Bordeaux e frequenta il reparto di Claude solo saltuariamente) non si farà mai analizzare» (ibid., pp. 103-104). Anche la moglie di Laforgue si farà analizzare dalla Sokolnicka dopo un intervento di isterectomia (ibid., nota 19, p. 117). Ma quale preparazione aveva la Sokolnicka, che era una “psicoanalista laica” e per questo incontrò l’ostilità dell’ambiente medico e non aveva neppure ricevuto da Freud un adeguato training psicoanalitico, per formare alla tecnica psicoanalitica eminenti psichiatri francesi? Probabilmente fu Ferenczi a fornire delle basi psicoanalitiche più solide alla Sokolnicka con un’analisi che durò più a lungo di quella di Freud. Forse Freud riteneva più facile una penetrazione della psicoanalisi nella psichiatria francese attraverso un insegnamento anche rudimentale della tecnica piuttosto che attraverso una divulgazione teorica che era ostacolata dagli stessi psichiatri francesi che spesso recitavano il ritornello della necessità di adeguare la teoria freudiana allo “spirito latino” dei francesi e alla loro diversa sensibilità rispetto allo “spirito teutonico”.

Che l’intenzione di Freud fosse prevalentemente quella di sfruttare la presenza della Sokolnicka a Parigi per smuovere le acque stagnanti della psicoanalisi francese sembra dimostrato anche da quanto scrive a Ferenczi il 16 gennaio 1921: «Sono pronto a notificare a Jankelewitsch, al quale avrei comunque scritto oggi, l’arrivo della Sokolnicka, e di raccomandarla, cosa che probabilmente non avrà un esito troppo buono, dal momento che il tizio finora non mi ha dato nessuna dimostrazione della sua arte e non mi ha perdonato il rimprovero per il suo precedente comportamento. La Verlag manderà la raccomandazione a Payot appena sarà arrivata a Parigi (…) Voglio parlarne anche a Rank. Del resto, entrambi non abbiamo simpatia per lei, mentre tu evidentemente hai un debole per le persone sgradevoli».

Hesnard e Laforgue, i condirettori della neonata rivista L’Evolution Psychyatrique,vii così descrivono, ancora nel 1925, la situazione che si sarebbe presentata alla Sokolnicka al suo arrivo a Parigi. «Un fatto domina la storia della Psicanalisi in Francia: l’ostilità, molto più tenace che altrove, che essa vi incontra nel mondo medico (…) i medici – neurologi e psichiatri – non si sono accostati allo studio e al controllo delle idee di Freud che con una visibile ripugnanza, e come costretti dall’opinione pubblica» (Hesnard, Laforgue, 1925, p. 11). Gli autori tuttavia dimostrano come, già alla fine della guerra, la psicoanalisi avesse cominciato a penetrare in Francia attraverso i lavori svizzeri tra il 1919 e il 1922 (ibid., p. 15). «Durante questo periodo di diffusione delle idee di Freud nel mondo medico francese, la dottrina psicoanalitica penetrava un poco per volta tra i filosofi e i letterati» (ibid., p. 17). Nonostante la diffusione di molti lavori di impronta analitica, sostengono gli autori, «si rimane meravigliati, nel confronto con altri paesi, della difficoltà che verso il 1920 la psicanalisi incontrò nel diffondersi in Francia (…) E’ soltanto dal 1922 che la Psicanalisi ha dimostrato veramente di esercitare un notevole influsso sul pensiero francese» (ibid., p. 18).

Quando arrivò a Parigi, nel 1921, la Sokolnicka aveva 37 anni ed alle spalle il fallimento del tentativo di creare una Società Psicoanalitica in Polonia. La psicanalisi ebbe una più facile accoglienza negli ambienti letterari e nei romanzi dove conobbe la maggiore diffusione, ed anche i quotidiani e le riviste letterarie, come Le Mercure de France, che vi dedicò molti articoli, La Revue de l’Époque, la rivista belga Le Disque Vert contribuirono a farla conoscere al grande pubblico, il più delle volte in una luce alquanto sfavorevole (Steel, 1979).

Appena arrivata a Parigi, la Sokolnicka trovò una calorosa accoglienza da parte di letterati e scrittori aderenti alla Nouvelle Revue Francaise (NRF), molti dei quali probabilmente aveva già conosciuto durante gli anni di studio a Parigi. La psicoanalisi aveva trovato una larga diffusione tra gli ambienti letterari e artistici, ed era diventata quasi una moda nei salotti parigini e aveva trovato una cassa di risonanza nel movimento surrealista (Steel, 1979; Spector, 1989). Riguardo all’accoglienza della psicoanalisi da parte della NRF e dei surrealisti, de Mjiolla (1982) dirà: «Tutto questo trambusto nuocerà ad Eugénie Sokolnicka e alla psicanalisi, poiché gli ambienti medici francesi non apprezzavano affatto lo scalpore, ne è testimone il modello di discrezione proposto dalla rivista Le Progrès médical: “io penso che in presenza di un malato bisogna fare della psicoanalisi senza gridarlo ai quattro venti, senza dirlo al paziente stesso (sic!); bisogna sempre pensare a questo procedimento terapeutico, impiegarlo qualche volta e non parlarne mai” (pp. 19-20). Con queste premesse è difficile pensare che l’ambiente medico ufficiale avrebbe accettato la pratica di un profano non vincolato dal giuramento di Ippocrate e da una responsabilità professionale nell’esercizio di una pratica terapeutica per quanto innovativa e non ancora ufficialmente accolta o addirittura sospetta. E’ proprio facendo appello al concetto di responsabilità professionale che il prof. Claude, appena assunta la direzione del reparto psichiatrico dell’Ospedale S. Anna di Parigi al posto di Heuyer, congederà la Sokolnicka e assumerà gli psichiatri Laforgue e Allendy (de Mijolla, 1989, p. 39).

Non si può mettere in dubbio il fatto che la Sokolnicka ebbe un ruolo importante nell’introdurre la psicoanalisi in Francia, ma i suoi inizi furono piuttosto difficili, e una volta arrivata in Francia, non essendo medico, trovò una iniziale chiusura e ostilità da parte degli ambienti medici, mentre fu bene accolta negli ambienti letterari, dove la psicoanalisi era penetrata prima che negli ambienti medici, grazie ai surrealisti riuniti attorno a Breton e agli scrittori che partecipavano alla Nouvelle Revue Française. « E’attraverso gli ambienti letterari che dopo la guerra del 1914-1918 il pubblico conobbe le teorie psicoanalitiche (…) Non dobbiamo stupirci di apprendere che quando Eugénie Sokolnicka venne a Parigi nel 1921 ella fu accolta da questo gruppo. Tra questi scrittori si noterà anche Jacques Rivière che fu per lei un vero amico» (Clancier, 1987, p 427).

Sebbene la NRF avesse pubblicato diversi articoli sul tema della psicoanalisi, furono soprattutto i surrealisti ad interessarsi con maggiore curiosità e costanza al tema della psicoanalisi, privilegiando i sogni e l’inconscio (Tytell, 1982, p. 32-34), mentre i secessionisti austriaci dedicarono molte delle loro opere al tema della sessualità (Vergo, 1975; Kandell, 2012), dai nudi adolescenti di Schiele alle donne di Klimt che si masturbano in piena libertà.

Eugénie Sokolnicka deve essere annoverata tra coloro che contribuirono allo sviluppo della psicoanalisi e alla sua diffusione; «essa era impegnata in attività didattica e clinica e pubblicò i risultati dei suoi studi su prestigiosi periodici. Inoltre, fu tra le prime ad applicare il trattamento analitico ai bambini» (Groth, 2015, pp. 59-60). Studiò l’opera di Jung, Freud e Ferenczi.

Sokolnicka viene descritta come una donna dalla difficile personalità, dal temperamento problematico che suscitava sentimenti contraddittori. Hanna Segal ricorda di essere divenuta psicoanalista sotto l’influenza di Eugénie Sokolnicka, la quale però la scoraggiò sempre dall’intraprendere quella strada (cit. in Groth, 2015, p. 60).

Col passare del tempo ella fu accettata anche dagli ambienti medici. Heuyer la accolse all’Ospedale Sant’Anna, ma quando subentrò Henri Claude fu allontanata in quanto non medico. Questo fu sicuramente un elemento traumatico per la Sokolnicka, dopo che aveva partecipato a formare analiticamente diversi medici, tra i quali René Laforgue, Eduard Pichon e Sophie Morgenstern.

Sebbene la Sokolnicka sia nominata tra i fondatori della Società Psicoanalitica di Parigi il 4 novembre 1926, e sia stata eletta anche vicepresidente, la sua personalità e la sua opera furono probabilmente oscurate dall’arrivo a Parigi di Marie Bonaparte, poiché da allora parecchi medici si erano riuniti ai precedenti sotto gli auspici di Marie Bonaparte, la quale godeva della piena stima di Freud, mentre abbiamo visto che Freud non nutriva alcuna simpatia per la Sokolnicka. Anche la produzione scientifica della Sokolnicka era ben poca cosa rispetto a quella della Bonaparte, la quale probabilmente ebbe, come psicoanalista, una maggiore clientela rispetto a quella della Sokolnicka, che deve essersi andata progressivamente riducendo. Dobbiamo tenere conto che Freud continuava a rappresentare una fonte di invio di pazienti, i quali erano naturalmente indirizzati a quegli analisti che godevano maggiormente della sua stima. Per tutte queste condizioni, probabilmente, la Sokolnicka finì per trovarsi isolata, divorziata dal marito, priva di sufficienti mezzi economici e privata di quella reputazione della quale aveva goduto i primi anni a Parigi, quando i giornali annunciavano le sue conferenze.viii Forse, per tutti questi motivi, il 19 maggio del 1934 Eugénie Sokolnicka decise di porre fine alla propria vita avvelenandosi col gas nell’appartamento che le aveva messo a disposizione Pichon. Bisogna notare che nel diario che Freud tenne dal 1929 al 1939 (Molnar, 1992), dove sono scrupolosamente registrate le morti di amici e nemici, e dove è registrata anche la morte del cane Jofi il 14 gennaio del 1937, non c’è nessuna annotazione che riguardi la morte della Sokolnicka, avvenuta tre giorni prima dell’anniversario della morte di Ferenczi.ix

Forse il suo suicidio l’aveva resa ancora più disgustosa agli occhi di Freud, ed in ogni caso era stata dimenticata ormai da tempo, sostituita ben più degnamente dalla figura più “amiable” di Marie Bonaparte. «Dopo la morte di Sokolnicka, la principessa Marie Bonaparte rimase il solo discepolo della prima generazione di psicoanalisti, avendo effettuato un’analisi di formazione con Freud, a vegliare sull’avvenire della psicoanalisi in Francia» (Tytell, 1982, p. 27).

Sebbene si dica che la Sokolnicka fu una delle fondatrici della Società Psicoanalitica di Parigi, sembra che il suo ruolo sia stato marginale. Benché Laforgue avesse alcune riserve riguardo alla psicoanalisi, soprattutto riguardo alla sessualità infantile, sembra che il suo ruolo nella fondazione della società e nella diffusione della psicoanalisi in Francia sia stato ben più importante di quello della Sokolnicka. Inoltre, la Sokolnicka venne messa in ombra dall’arrivo a Parigi della principessa Marie Bonaparte, che godeva della fiducia e dell’amicizia di Freud, al quale Laforgue propose di assumerla in analisi perché affetta da una grave nevrosi ossessiva e da persistenti dolori al basso ventre. In un primo momento Freud rifiutò perché riteneva poco serio lo scopo dell’analisi, ma in un secondo momento le fissò un’analisi nell’autunno del 1925, analisi che si trasformò in un’analisi didattica. Dopodichè, la Bonaparte entrò a par parte del gruppo ancora informale che in seguito diede origine alla Società Psicoanalitica di Parigi, fondata il 4 novembre 1926, di cui allora facevano parte, oltre alla Bonaparte, Allendy, Borel, Codet, Hesnard, Laforgue e Madame Laforgue, Parcheminey, Pichon, e la Sokolnicka. Ma il fatto più importante fu che al gruppo si riunì anche il dr. Löwenstein, appartenente all’Istituto Psicoanalitico di Berlino, al quale la principessa Bonaparte fece avere il permesso di soggiorno. Löwenstein era stato analizzato da Freud ed era un vero analista didatta il quale in seguito analizzò molti dei membri dell’associazione (Francioni, 1982, pp.110-111). In seguito, si associarono anche due svizzeri, Charles Odier e Raymond De Saussure.

 

 

Una psicanalisi in “salsa latina”.

 

La Roudinesco (1999) ha ben sintetizzato la situazione che caratterizzava l’atteggiamento francese nei confronti della psicoanalisi: «In Francia, l’ostilità scientista verso la psicanalisi non ha mai assunto l’aspetto di un conflitto tanto accanito. Durante la prima metà del secolo, gli attacchi si polarizzarono essenzialmente sul “pansessualismo” freudiano, sempre assimilato ad una decadenza “teutonica”. I nemici della nuova dottrina la tacciavano di essere una “scienza crucca” e la giudicavano inadatta a tradurre la sottigliezza del genio latino o cartesiano» (p. 107). Questo spirito nazionalista, che rasentava l’arroganza, fu sempre portato a pretesto per rifiutare la psicoanalisi nella sua formulazione “teutonica” e richiederne un adattamento allo spirito razionalista dei francesi. A questo scopo gli psichiatri francesi erano arrivati anche a costituire una Commissione incaricata di adattare allo spirito francese alcuni termini tecnici tedeschi proponendo talvolta degli adattamenti paradossali.x Marie Bonaparte, che partecipava anch’essa alla commissione, e facendo la spola tra Vienna e Parigi riferiva a Freud le scelte effettuate per la traduzione dei termini tecnici, non era ben vista dagli altri membri della Commissione. La Roudinesco (1982) afferma: «Visibilmente, i partecipanti sono disturbati da questa ingerenza di Freud nei loro affari e soprattutto dall’autoritarismo e l’incompetenza della principessa» (p. 379).

Sebbene la Revue Française de Psychanalyse, organo ufficiale della SPP il cui primo numero uscì il 25 giugno 1927, pubblicasse con discreta regolarità delle traduzioni di Freud, il più delle volte ad opera di Marie Bonaparte, che ne parlava come della “nostra rivista” (Amouroux, 2012), il progetto di pubblicare le opere complete di Freud prese corpo solo alla fine degli anni ottanta. Pamela Tytell, che scrive nel 1982, osserva: «non esiste ancora un’edizione francese delle opere complete di Freud sebbene sia cosa già fatta in inglese (la Standard Edition) e in tedesco (le Gesammelte Werke). Per tradurre gli scritti di colui che non esitava a giocare sulle molteplici parole composite del tedesco, bisognava prima possedere bene l’insieme dell’opera e in seguito procedere a un lavoro d’équipe comprendente psicoanalisti, germanisti, filosofi, scrittori…Nel 1914 questa équipe si limitava a due persone: lo psichiatra Angelo-Louis-Marie Hesnard e suo fratello, il germanista Oswald Hesnard» (Tytell, 1982, pp. 26-27). L’anno successivo Roger Dufresne (1983) continua a lamentare la mancanza di una traduzione francese completa delle opere di Freud, mentre sono disponibili vari scritti freudiani spesso mal tradotti e a volte in molteplici traduzioni e sparpagliati tra vari editori e talvolta inseriti in riviste di difficile reperibilità, ed in ogni caso privi di un adeguato apparato critico. Neppure la pubblicazione, nel 1967, del Vocabulaire de la Psychanalyse di Laplanche e Pontalis, che aveva fornito una traduzione francese e una dettagliata spiegazione di tutti i termini tecnici freudiani, aveva infranto le resistenze francesi a intraprendere una traduzione dell’intero corpus freudiano.

Bourguignon A. e Bourguignon O. (1983) hanno fatto notare alcune delle contraddizioni e delle difficoltà e lungaggini che hanno contrassegnato il progetto di una traduzione delle Opere Complete di Freud. Dal 1920 al 1927 tutte le traduzioni di Freud provengono da non-analisti. Dopo la fondazione della SPP, sono soprattutto René Laforgue e Marie Bonaparte i due più qualificati a tradurre Freud. «Il primo perché è perfettamente bilingue ed è in corrispondenza regolare con il Maestro fin dall’ottobre 1923, la seconda perché è poliglotta ed è, fin dal 1925, in analisi con Freud, per il quale ha un affetto ed una ammirazione illimitati. Il primo non farà mai la minima traduzione, la seconda, e la sua segretaria, Anne Berman, ne faranno numerose» (p. 1262). Dopo lo scarso successo della Commissione istituita da Pichon, la traduzione dei termini tecnici freudiani in francese è affidata prevalentemente alla Bonaparte, con soddisfazione di Freud. Un’altra importante contraddizione segnalata dagli autori è così enunciata: «Negli anni venti e trenta, una viva resistenza si oppone all’espansione della psicoanalisi e all’influenza del pensiero freudiano. Benché non vi sia che un pugno di analisti, l’opera è malgrado tutto tradotta e pubblicata. Inversamente, negli anni cinquanta, sessanta e settanta, si assiste ad una incredibile espansione della psicoanalisi in Francia. Ma, mentre gli analisti si contano a centinaia, l’indispensabile lavoro di traduzione e di ritraduzione resta frammentario» (p. 1266). Queste stesse contraddizioni sono state fatte notare anche da Quinodoz (2010), il quale evidenzia che il primo volume delle Opere di Freud uscì nel 1988 da parte delle Presses Universitaires de France, e che, alla data in cui lui scrive, l’editore aveva pubblicato 14 volumi dei 20 previsti, e che questi non erano usciti in ordine cronologico, poiché il primo pubblicato nel 1988 era il XIII° volume.

Il primo numero della RFP esce con la dicitura “Organo ufficiale della SPP” e gli articoli sono divisi in una “parte medica” e una “parte non medica”. Nel secondo numero quest’ultima diviene “parte applicata”, e qui vengono pubblicati la maggior parte degli articoli di Marie Bonaparte e alcuni scritti di Freud di psicoanalisi applicata. Nel primo numero della rivista, nella parte non medica, figurano Il Mosè di Michelangelo di Freud e subito dopo Il caso di Madame Lefebvre di Marie Bonaparte. Sul frontespizio del secondo numero verrà aggiunta la dicitura che la rivista è pubblicata “Sotto l’alto patronato di M. Professor S. Freud”. Tuttavia, nei fascicoli del 1934 alcuni articoli della principessa, quali gli articoli sulla Introduzione alla teoria degli istinti e quelli sulla Sessualità femminile sono pubblicati nella parte medica, e viene il sospetto che questa decisione sia dovuta alla “dittatura” della principessa sulla rivista, accresciuta dal fatto che proprio il 10 gennaio 1934, grazie alla sua munificenza, verrà creato l’Istituto di psicanalisi di Parigi (IPP), del quale lei sarà acclamata presidente e apparterrà alla Commissione didattica (Bertin, 1982, p. 342).

 

 

Marie Bonaparte: tra biologismo e autoreferenzialità.

 

Prima di incontrare Freud, Marie Bonaparte, tramite il padre Roland, era entrata in contatto nel 1909, all’età di 27 anni, con il settantenne Gustave Le Bon, e ben presto ne era divenuta amica. Conosciuto per il suo scritto Psychologie des foules, che Freud aveva citato nel suo Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), Le Bon era diventato il primo mentore della principessa, suo maestro e consigliere (Amouroux, 2012a, Kamieniak, 2020, p. 22). Alcuni aspetti accomunavano queste due personalità nonostante la grande differenza d’età. Le Bon aveva intrapreso degli studi di medicina senza finirli, fu uno scrittore prolifico e i suoi interessi comprendevano la fisiologia, la fisica, la storia, la psicologia e la sessualità. Riuscì a raggiungere la notorietà anche grazie ad una fitta rete di relazioni sociali nell’ambiente delle élites intellettuali. «La sua impressionante ascensione sociale – afferma Amouroux (2012a) – deve essere messa in parallelo con l’importante rete di relazioni sociali nella quale si inserisce fin dall’inizio della sua carriera» (p. 173). Allo stesso modo, oltre al suo statuto di principessa e alla sua ricchezza, la vasta rete di importanti relazioni sociali nel mondo letterario e scientifico del tempo consentì l’enorme ascesa di Marie Bonaparte negli ambienti psicoanalitici. Prima di essere allieva di Freud, la principessa fu «la migliore allieva» di Le Bon (ibid., p. 175), il quale, nel 1920, le fece pubblicare in una collana da lui diretta il libro Guerre militari e guerre sociali. Le Bon aveva riconosciuto la prolissità di Marie, le cui frasi erano troppo lunghe e contenevano numerose ripetizioni che talvolta le rendevano terribilmente spigolose (ibid., p. 175), ma nel corso degli anni ella modificò ben poco il suo stile di scrittura, che rimase sempre ridondante e prolisso. Amouroux (2012a) ha osservato che «l’atteggiamento di Le Bon verso la biologia e l’evoluzionismo (…) ricorda quello di Marie Bonaparte e la sua lettura biologizzante della psicanalisi» (ibid., p. 180), e osserverà che l’importanza della figura di Freud ha fatto dimenticare questo suo primo mentore col quale ella rimase in corrispondenza e che continuò ad esercitare la sua influenza su di lei. L’opera di Le Bon che influenzò maggiormente la visione psicobiologica della principessa fu Physiologie de la génération de l’homme et des principaux êtres vivants (1868). Sulla sessualità femminile le idee di Marie Bonaparte sono più vicine a quelle di Le Bon che a quelle di Freud. Le Bon sosteneva l’importanza dell’orgasmo clitorideo e la frequenza di anomalie anatomiche responsabili della frigidità femminile (ibid., p. 181). Le Bon si rifaceva alle tesi di Guyot e Roubaud, ed entrambi a Georg Ludwig Kobelt, il quale in un testo del 1844 aveva sottolineato la prevalenza del clitoride nell’orgasmo femminile, a condizione che questo fosse sufficientemente vicino all’orifizio vaginale (Kamieniak, 2020, pp. 23-24). Marie Bonaparte riprenderà la medesima tesi anatomica ancora in voga per invocare la chirurgia come rimedio alla frigidità e scriverà nel 1924 un articolo su questo tema (Considérations sur les causes anatomiques de la frigidité chez la femme) pubblicato sulla rivista Bruxelles médical sotto lo pseudonimo di A. E. Narjani, articolo che lei stessa inviò a Freud ancora prima di incontrarlo (ibid., p. 481). In questo articolo, la principessa esprime una critica, neppure troppo velata, dell’incapacità di Freud e dei suoi discepoli di comprendere la sessualità femminile, e dirà: «Aprendo un qualsiasi libro medico che tratta della frigidità della donna, si è colpiti dall’incertezza delle opinioni che dominano in questo campo. Che si legga Havelock Ellis, Freud, Adler, Stekel o altri, la confusione in questa materia resta la regola» (cit. in: Amiel, 2010, p. 35). Amiel sostiene che inviando questo articolo a Freud la principessa gli lancia una sfida sul terreno della sessualità femminile, e molti anni più tardi Freud stesso riconoscerà la propria ignoranza in materia, confidando in una lettera a Marie Bonaparte: «Il grande problema che non è mai stato risolto e che non sono ancora riuscito a risolvere, malgrado i miei trent’anni di ricerche nell’animo femminile è: cosa vuole la donna?» (cit. in: Jones, 1966, II, p. 503).

L’operazione che Marie Bonaparte aveva suggerito ad Halban, xi e che questi effettivamente effettuò su alcune donne e sulla stessa Bonaparte, derivava da numerose misurazioni e osservazioni ginecologiche effettuate da lei stessa su un campione random di 200 donne parigine, classificate come para- meso- e teleclitoridee a seconda della distanza del clitoride dal meato urinario (Amiel, 2010, p.16). L’intervento consisteva nell’avvicinare il clitoride al meato urinario attraverso la resezione del ligamento sospensore del clitoride, nella convinzione che un avvicinamento del clitoride all’ostio vaginale avrebbe migliorato la sua stimolazione durante il coito e facilitato l’insorgenza di un orgasmo anche vaginale. Nel suo terzo scritto sulla sessualità femminile, Schéma de l’évolution sexuelle féminine (1949b), Marie Bonaparte rivelò di essere l’autrice di quello scritto (p. 329), criticando in parte le sue convinzioni di allora ma senza rinnegarle del tutto. Lo scritto di Narjani ebbe una certa risonanza tra gli psicoanalisti ma ancor più nell’ambiente medico (Amouroux, 2012, p. 191). Tuttavia, non tutti i membri della SPP condividevano le idee della principessa sulla frigidità. René Laforgue, in un articolo intitolato A propos de la Frigidité de la Femme (1935), pubblicato sulla RFP, esprime la convinzione che «La frigidità sessuale della donna è un sintomo generalmente nevrotico» (p. 217) il quale può associarsi ad altre forme nevrotiche come la nevrosi ossessiva, la fobia, la nevrosi d’angoscia e quella che lui ha chiamato la nevrosi d’insuccesso. «Possiamo dire, senza timore di esagerare, che questa funzione[l’orgasmo] è disturbata in tutte le nevrosi» (p. 218). Anche quando la frigidità appare come l’unico sintomo, ad una osservazione più attenta si coglie una serie di altri sintomi nevrotici che sono ben tollerati dalla paziente e quindi passano inosservati, ma sono sempre presenti. Infine, vi sono numerosi riferimenti che fanno pensare a Marie Bonaparte: a) le donne clitoridee tendono a sottoporsi a molteplici chirurgie estetiche; b) in certe donne la frigidità favorisce la sublimazione intellettuale; c) il rifiuto che la donna oppone alla sessualità può essere la conseguenza del timore della morte.

Nello stesso anno anche Hesnard pubblicò, sempre sulla RFP, allora interamente dedicata al tema della frigidità, un articolo dal titolo La fausse Frigidité par Répression de l’Activité érotique normale (1935), nel quale, pur concedendo marginalmente la possibilità di un elemento anatomo-fisiologico all’origine del disturbo sessuale, illustra le varie modalità e motivazioni attraverso le quali le false frigide rifiutano coscientemente la sessualità, per sensi di colpa, per convinzioni religiose, per educazione repressiva, per malintese norme igieniche o altro ancora. Alla fine, tuttavia, tutte queste false frigide sfoceranno nella nevrosi d’angoscia.

L’interesse per il ruolo del clitoride nella sessualità femminile non era estraneo agli studi di sessuologia del tempo, e portò, in seguito, la principessa ad interessarsi delle pratiche di clitoridectomia effettuate sulle popolazioni africane e, con l’intervento di Malinowski, riuscì a programmare un incontro su questo tema con Jomo Kenyatta, che in seguito divenne il primo presidente del Kenya, leader della tribù dei Kikuyu e difensore di questa mutilazione femminile, (Bodil Folke, 2008, 2018). Da questo incontro originò poi lo scritto Notes sur l’Excision del 1942, pubblicato sulla RFP nel 1948.

Potremmo supporre che anche l’interesse di Marie Bonaparte per la criminalità, sebbene Celia Bertin (1982) ci dica che questo aspetto si manifestò fin nell’infanzia (p. 59), sia stato per lo meno riacceso nell’incontro con Le Bon, il quale nel 1881 pubblicò sulla Revue Philosophique de la France et de l’Étranger il saggio Problèmes antropologiques: la question des criminels. La principessa si interessò vivamente ad una donna che aveva ucciso la futura nuora e ne fece un’analisi in Le cas de Madame Lefebvre (1927). xii In ciò potrebbe essere stata influenzata anche dalla passione dei surrealisti per la donna criminale. Il caso Lefebvre sarà citato anche da André Breton (Roudinesco, 1986, II, p. 44).

 

In analisi con Freud.

 

Marie Bonaparte aveva conosciuto a Parigi lo psichiatra René Laforgue, con il quale intratterrà una corrispondenza e al quale esprimerà il suo desiderio di iniziare un’analisi con Freud. Il 9 aprile 1925 Laforgue scrive a Freud chiedendogli di prendere in analisi la principessa che giudica affetta da una “nevrosi ossessiva assai pronunciata” (Turbiaux, 2010, p. 481). Con questa diagnosi lo psichiatra parigino si riferiva probabilmente all’ossessiva preoccupazione della principessa per la propria frigidità. Freud inizialmente accettò la mediazione di Laforgue e rispose che avrebbe potuto iniziare l’analisi il 1° ottobre, ma ad una successiva richiesta di una analisi didattica della durata da sei settimane a due mesi con due sedute quotidiane, Freud oppose un netto rifiuto dubitando della serietà della richiesta, fosse questa terapeutica o didattica. Soltanto dopo che Marie Bonaparte si rivolse direttamente a lui con una lettera modificò la sua decisione. L’incontro con Freud ebbe luogo il 30 settembre 1925, e Marie Bonaparte lo descrive in una lettera a Laforgue come “il più grande avvenimento della sua vita”. Si trattò, in effetti, di un avvenimento che da allora diede un senso ed uno scopo alla sua vita e al quale ella dedicò tutte le sue energie e la sua generosità finanziaria, che Rodrigué ha ironicamente definito «l’altruismo felino dei grandi narcisisti» (p. 471) e fu, come dice Turbiaux (2010), un avvenimento capitale per lo sviluppo del movimento psicoanalitico francese, «sul quale ella esercitò, per parecchi anni, la sua “dittatura”» (ibid., p. 428).xiii

L’analisi della principessa inizierà con una prima delle tante deroghe freudiane al setting analitico, in quanto le dirà che sarà lei a decidere quando l’analisi sarà terminata. In realtà la principessa non lo dirà mai, innamorata com’è di questa benevola figura paterna, e la sua analisi diventerà interminabile, trascinandosi, con tranches successive dopo un anno continuativo, fino al 1938 (Ohayon, 2006, p. 106).

Turbiaux (2010) dirà che l’analisi condotta da Freud con la principessa sarà ben poco ortodossa se giudicata con i criteri odierni. Egli le confiderà la sua opinione sulla musica, l’arte e la letteratura, parlando di sé stesso e confidandole delle interpretazioni dei propri sogni. La introduce nella propria famiglia e lei si lega d’amicizia con Anna Freud. Roudinesco (1982, I), che non sembra avere in simpatia la principessa, si chiede che cosa sia stata realmente l’analisi di Marie Bonaparte. «Freud è innamorato della pronipotina di un Imperatore e questa è la rappresentante legittima di un padre idolatrato. Una cura può riuscire in tali condizioni? La cosa è complessa (…) Non è la riuscita della cura che permetterà a Marie di uscire dalla tristezza della sua esistenza, ma la sua partecipazione diretta agli affari del movimento (…) Dal 1925 al 1927, la Bella addormentata nel bosco è “risvegliata” dalla psicanalisi: Freud riempie le sue giornate e i suoi pensieri, ella scopre che il suo inconscio è una bestia feroce, felicemente dominata da un geniale domatore. Il maestro la sconsiglia di fare degli studi di medicina e le rivela il lato giustiziere del suo carattere: ella ha voluto vendicarsi di suo padre che non ha ricambiato l’amore che ella gli dava. Avendo avuto l’ambizione di superarlo, grazie alle sue doti intellettuali, essa desiderava divenire analista per guarire o forse “assassinare” degli esseri viventi» (pp. 332-333). xiv

Da una lettera che Freud scrisse a Laforgue il 15 novembre 1925, citata dalla Roudinesco (1982, I), apprendiamo la soddisfazione di Freud dopo solo un mese e mezzo di analisi: «La principessa fa una gran bella analisi ed è, credo, molto soddisfatta del suo soggiorno. Ora sono contento di avere ceduto al vostro desiderio, come dell’impressione che mi ha fatto la sua lettera e di averla accettata. Ella progetta di rientrare a Parigi a metà dicembre, ma mi lascia sperare che ritornerà presto. Un’analisi interrotta dopo così poco tempo non lascerebbe che un grande dispiacere» (pp. 331-332). Freud sembra parlare qui del proprio dispiacere se non avesse potuto riprendere l’analisi con la principessa, ma questo avrebbe dovuto renderlo tanto più consapevole del dispiacere che poteva aver provato la Sokolnicka quando lui interruppe la sua analisi, e ancor prima del dispiacere provato da Victor Tausk quando anche la sua analisi fu interrotta. Sembra che Freud non abbia mai voluto chiedersi se questo dispiacere poteva essere all’origine del suicidio di Tausk come di quello della Sokolnicka, poiché per questi due analizzandi non nutriva lo stesso interesse e lo stesso intimo legame che aveva con Marie Bonaparte.

 

 

La fondazione della Società Psicanalitica di Parigi (SPP).

 

Marie Bonaparte sarà nel 1926 uno dei dodici fondatori della SPP, e membro non medico assieme alla Sokolnicka, mentre gli altri dieci sono tutti medici e in prevalenza cattolici, e due di essi sono svizzeri, Raymond De Saussure e Charles Odier. L’anno successivo verrà fondata la Revue française de psychanalyse che sarà l’organo ufficiale della Società, ma che, dietro le quinte, dice Amouroux (2012), «era anche la rivista di una principessa. Marie Bonaparte non ne fu mai la redattrice capo, ma si comportò come se lo fosse (…) Fin dalla sua creazione, la RFP è di fatto finanziata unicamente dalla principessa, da Laforgue e Pryns Hopkins, un lontano analizzato di Ernest Jones (…) Ciò che stupisce, è l’onnipresenza della principessa di Grecia in seno alla RFP. Fino alla sua morte nel 1962, è di fatto la sola persona a figurare tutto il tempo nel comitato di redazione. Essa vi esercita una importante influenza. Per molti aspetti, la RFP è la “sua” rivista: ella partecipa largamente al suo finanziamento, alla selezione degli articoli che vengono pubblicati e al rispetto della sua visione della psicoanalisi» (pp. 1151 e 1154). Nel 1938 entrerà nel comitato di redazione anche la segretaria della principessa, Anne Berman, da lei analizzata dal 1930 al 1932. E’ intuitivo che la sua candidatura sarà stata promossa dalla stessa Marie Bonaparte. Dice ancora Amouroux (2012) che il ruolo della Berman in seno alle istituzioni psicoanalitiche francesi è ampiamente misconosciuto e probabilmente sottostimato, sebbene abbia tradotto molti testi di Freud, sia da sola che con la principessa, oltre a scritti di Felix Deutsch, Otto Fenichel, Anna Freud, Ernest Jones e Donald Winnicott. Lebovici (1979), nel suo necrologio di Anne Berman, dirà: «La sua discrezione non deve farci dimenticare che Anne Berman è stata tra coloro che hanno largamente contribuito alla diffusione in Francia dell’opera di Freud» (p. 557).

Amouroux (2016) dirà ancora che la Berman è «considerata come “la” traduttrice ufficiale francese poiché è lei che firma, o co-firma, la maggior parte delle traduzioni nella RFP e altrove. Così, il suo lavoro è sufficientemente riconosciuto perché i suoi colleghi della SPP le conferiscano un premio che ricompensi l’insieme delle sue traduzioni» (p. 370). Riceverà infatti il premio Maurice-Bouvet fino allora riservato ai soli psicoanalisti. Ma la fedele segretaria della principessa contribuirà anche a far sì che questa utilizzi la rivista per le proprie ambizioni personali e diventerà, come dice Amouroux (2012), una specie di “occhio di Mosca”, colei che la informa di tutto ciò che si trama in sua assenza (p. 1164).

La Roudinesco (1982, I) giudica che «l’opera della grande dama francese della psicanalisi è di una povertà che contrasta in maniera particolare con l’importanza del personaggio» (p. 320). Questa citazione, afferma Amouroux (2012a), «riassume ammirevolmente il posto particolare che occupa attualmente Marie Bonaparte nella storia della psicanalisi in Francia» (p. 15). Tourbiaux (2010), dal canto suo, afferma che bisogna riconoscere che ella non fu una psicoanalista creatrice né innovatrice poiché, come ha affermato Pasche (1962), «è dalla sua esperienza più intima che essa parte e che, arrivando alle idee generali, vi si mantiene, e vi ritorna incessantemente» (p. 483).

Pasche è all’epoca il presidente della SPP e inizia la sua allocuzione in memoria di Marie Bonaparte con una affermazione che potremmo rubricare come una Verneinung freudiana: «Succede che la morte idealizza, che essa attribuisce all’essere che perdiamo delle virtù che non aveva, o che aveva in germe» (p. 498), ma questo, si affretta ad aggiungere, non è il caso di Marie Bonaparte. In seguito, elogia lo scritto L’identificazione di una figlia con la madre morta come esempio di autoanalisi altrettanto coraggiosa quanto L’interpretazione dei sogni di Freud, autoanalisi che «prolunga la cura senza discontinuità e il più lontano possibile, come dev’essere» (p. 499). In sostanza Pasche ci dice che tutta l’opera della Bonaparte non è che autoreferenzialità, che ella parte dalle sue esperienze intime e vi ritorna incessantemente e quasi ossessivamente, come ossessivamente ritornerà sul tema della frigidità che l’angustiò per tutta la vita e che la portò prima a condurre studi su cadaveri femminili e poi a subire lei stessa tre operazioni chirurgiche nella convinzione fantasiosa che la soluzione al problema della frigidità fosse avvicinare il clitoride all’ostio vaginale.

Nelle ultime righe della sua conferenza su La femminilità (1932), Freud dice al suo pubblico: «Se volete saperne di più sulla femminilità, interrogate la vostra esperienza…» (p. 241). Non credo che con queste parole Freud intendesse dire che un chiarimento al problema della sessualità potesse venire dalla sua analizzata e allieva principessa nevrotica che soffriva di una frigidità che imputava a cause anatomichexv e che aveva tentato di risolvere con tre inutili interventi chirurgici, che era ossessionata dal suo clitoride e che era costantemente tormentata dal fantasma della madre morta.

 

 

Gli scritti teorici di Marie Bonaparte e la sessualità femminile: una ortodossia sui generis.

 

Sembrerebbe che Marie Bonaparte abbia preso per sé le parole di Freud e si sia imbarcata, benché a distanza di diciassette anni e dopo la morte di Freud, in due prolissi quanto intricati e noiosi saggi sulla sessualità femminile, che la Thompson (2003) ha definito «un racconto altamente contorto dello sviluppo femminile» (p. 360). La loro lettura è resa ancora più ardua per i continui rimandi alla biologia e all’embriologia e l’uso confuso dei termini pene e fallo come sinonimi e l’impiego del termine pulsione anziché istinto anche quando parla di biologia, e viceversa l’uso del termine istinto quando dovrebbe usare quello di pulsione. Nel 1934 tenne all’Istituto di Psicanalisi di Parigi, del quale era presidente con funzioni didattiche, una serie di lezioni nelle quali parafrasa in maniera molto ortodossa le teorie freudiane, non senza introdurvi però una serie di varianti personali, a cominciare dal titolo che diventerà Introdution à la Théorie des Instincts (1934). Freud aveva tenuto ben distinti questi due concetti, riservando il termine istinto ad uno schema di comportamento ereditario. «Il termine di istinto ha implicazioni nettamente definite che sono molto distanti dal concetto freudiano di pulsione» (Laplanche e Pontalis, 1967, p. 284). In Vitalisme et psychosomatique (1959), accennando al dualismo freudiano, parla della prima divisione degli istinti in “istinti sessuali” ed “istinti dell’Io”, e della seconda teoria degli istinti divisi in “istinti di vita” ed “istinti di morte”. Nello scritto Passivité, Masochisme et Féminité (1935) introduce concetti quali “engramma erotico convesso”, precursore della futura funzione erotica femminile, e di “engramma erotico concavo” della donna durante il coito. Introdurrà poi i concetti di orientamento convesso e concavo della libido, e perfino il complesso di castrazione diventerà il complesso di castrazione concavo nella bambina e quello convesso nel maschio, tutti nuovi concetti di dubbia utilità euristica oltre che di dubbia comprensibilità. Inoltre, userà il termine cloaca anche in riferimento alla donna adulta (p. 214). Il termine cloacale, che Freud aveva usato soltanto in riferimento alle teorie sessuali infantili, viene invece impiegato da Marie Bonaparte anche in riferimento alla sessualità adulta, e il termine infesta tutti i suoi scritti sulla sessualità in molteplici forme (carezze cloacali, erotismo cloacale, ecc.).

Bisognerebbe chiedersi quale valore possono avere le considerazioni della principessa sulla sessualità femminile, visto che lei stessa, nonostante una analisi interminabile, non superò mai il problema della sua frigidità e si orientò alla fine verso l’anatomia e la biologia. Non si può fare a meno di condividere il severo giudizio della Roudinesco (1982, I): «Malgrado la sua analisi, sarà tutta la vita ossessionata dal fare ricorso alla fine alla biologia e all’anatomia (…) l’etiologia della nevrosi è trasferita in un quadro epistemologico da lungo tempo caduto in disuso ma ravvivato dai progressi della chirurgia. Questo itinerario insensato ha per origine il dramma di un romanzo familiare che impedirà sempre alla principessa di distaccarsi dalla sua autobiografia per accedere ad una vera scrittura teorica» (p. 326).

Serge Lebovici (1983), pur affermando il grande ruolo che M.B. ebbe nella diffusione in Francia del pensiero freudiano, sottolinea la sua costante visione biopsicologica. Così, anche riguardo alla sessualità femminile, ella continuerà a trasmettere una visione biologica della sessualità impregnata della sua ossessione per la chirurgia clitoridea. Lebovici non si stanca di sottolineare «la sua idea forzata sull’unità biopsichica, tesi ch’ella ha espresso per tutto il corso della sua opera scritta» (p. 1090), il che fa quantomeno pensare che la sua trasmissione del pensiero freudiano attraverso i suoi scritti sia stata alquanto deformata dalla sua visione personale. Nei suoi scritti teorici, soprattutto sulla sessualità femminile, Marie Bonaparte ha tramandato, radicalizzandolo, quello che Laplanche ha definito Le fourvoiement biologisant de la sexualité chez Freud (1993).

Nell’articolo Vues paleobiologiques et psychanalyse, pubblicato nella RFP nel 1936, la principessa afferma che la reazione biologica di paura di fronte alla penetrazione è qualcosa di molto primitivo, e lo fa risalire al “narcisismo cellulare primitivo” (p. 424) che porta il protoplasma cellulare a difendersi da penetrazioni che avverte come nocive perché provenienti non da altri protoplasmi ma da agenti estranei. Di qui, per trasmissione filogenetica, deriverebbe sia la paura femminile della penetrazione sessuale quanto il complesso maschile di evirazione. Allora l’angoscia di penetrazione nella donna vergine deriva non solo da una «base cellulare paleobiologica» (p. 426), ma anche da una realtà anatomica costituita dalla presenza dell’imene che verrà lacerato dalla penetrazione. Dalle sue vedute “paleobiologiche” Marie Bonaparte perverrà poi anche ad una “veduta lombrosiana” attribuendo la grandezza dell’angoscia al volume del nostro cervello (p. 429). Non sorprende che queste considerazioni abbiano fatto dire ad Amouroux (2012a) che Marie Bonaparte «getta le basi di una sorta di “paleopsicanalisi”» (p. 227). Ma spingendosi ancora più oltre, nel saggio De la sexualité de la femme: 2e partie: la fonction érotique, la fonction biopsychique, RFP, 1949), il biologismo della principessa raggiunge vette di panpsichismo, quando attribuisce anche all’ovulo femminile che si fa penetrare dallo spermatozoo una primordiale “masochismo” che sarà il segno biologico del masochismo femminile (p. 172). Quanto alla sessualità infantile, l’elaborazione della principessa supera quella del proprio maestro, che considerava il bambino un “perverso polimorfo”, mentre in Marie Bonaparte il bambino diventa un potenziale Jack lo squartatore del corpo materno (p. 173).

 

Marie Bonaparte e la “psicanalisi applicata”.

 

Nel campo della “psicanalisi applicata” il testo più importante di Marie Bonaparte sarà la psicobiografia di Edgar Allan Poe: Edgar Poe, sa vie, son oeuvre, étude psychanalitique (1933), del quale Freud dirà, in una lettera alla sua “amica e allieva”: «Mi sembra che sia il meglio […] di ciò che voi abbiate mai scritto. Non sono solo delle applicazioni, ma degli arricchimenti della psicanalisi» (cit. in: Amouroux 2012a, p. 130). Il giudizio di Freud e la prefazione che egli stesso scrisse per il libro, assicurarono una buona accoglienza negli ambienti psicoanalitici della SPP, mentre la stampa e gli ambienti letterari furono più critici nei confronti di questo studio sottolineando l’arbitrarietà delle sue interpretazioni psicoanalitiche (ibid., pp. 129-136). Pamela Tytell (1982) ha ben mostrato l’audacia delle interpretazioni e la costante autoreferenzialità della principessa. «Il problema è che essa proietta incessantemente la propria storia nella sua interpretazione delle opere, non vedendovi che un riflesso di sé stessa. Questa identificazione le ha impedito di analizzare il testo e di rispettare le sue particolarità. Non dobbiamo stupirci dunque che il suo studio sia l’esempio tipico della psicanalisi “applicata” semplicista e riduttrice. Una lettura degli altri libri e articoli di Marie Bonaparte rivela che questo studio analitico non è un “caso” unico. Ella è affascinata, anzi ossessionata dalla sua propria persona; ogni teoria, ogni concetto non è, ai suoi occhi, che un riflesso di qualche cosa nella propria vita. Una tale ottica non poteva che falsare il suo studio» (pp. 90-91). Questo giudizio non è affatto azzardato, ma è del tutto pertinente con la modalità di scrittura della principessa e con il suo modo del tutto personale di intendere la psicoanalisi e di leggerla in senso autobiografico. Molti dei suoi scritti che pretendono di essere teorici sono in realtà autobiografici ed autoreferenziali, e quando non lo sono esplicitamente, lo sono in filigrana, lasciando trasparire la sua vita e la sua persona. Non serve leggere i due volumi su Poe, basta leggere il suo scritto “Le Scarabéè d’Or” d’Edgar Poe (1932) per rendersi conto che la sua interpretazione psicoanalitica è basata su una serie di supposizioni arbitrarie che la portano a ricondurre l’origine del racconto all’infanzia dello scrittore e alla sua «curiosità per i misteri della nascita, risvegliata in Edgar in occasione della nascita della sorellina Rosalie» (p. 290), rintracciandovi una serie di simbolismi riferiti al corpo materno. Qui, Marie Bonaparte si rivelerà kleiniana, poiché attraverso l’analogia freudiana denaro-oro=feci, affermerà che «il racconto di Legrand [il protagonista del racconto di Poe] è l’epopea della ricerca delle feci della madre all’interno del suo corpo» (p. 289). Lo scritto diventa non solo l’occasione per ricapitolare ancora una volta le teorie freudiane, ma anche per una rivisitazione dell’infanzia della principessa, accomunata a Poe dalla morte precoce della madre e da un’eredità di cui Poe, a differenza di Marie, non riuscì ad entrare in possesso. «La sua identificazione con Poe dipende dal fatto che entrambi erano ossessionati dalla rappresentazione di una madre vendicativa» (Stein-Monod, 1966, p. 343).

Gli scritti di Marie Bonaparte si riferiranno ampiamente alla propria esperienza personale, anche quando pretendono di presentarsi come scritti teorici, ma la principessa riuscirà solo poche volte a presentare uno scritto teorico che non abbia in qualche modo un riferimento alla sua esperienza intima e personale. «Nulla, della sua femminilità, la rende felice», dice Celia Bertin (1982, p. 85), e anche quando scriverà di sessualità femminile, farà sempre ricorso alla sua esperienza personale, sicché molti dei suoi scritti non sono solo autoanalitici, ma la sua costruzione teorica, di modesta portata, è quasi sempre autoreferenziale. Durante la sua analisi, Freud aveva messo in evidenza ricordi mascherati di ripetute scene primarie cui aveva assistito nella sua prima infanzia, quando i domestici intrattenevano rapporti sessuali davanti alla sua culla. Nei Cinq Cahiers che scrisse tra i sette anni e mezzo e i dieci anni, «ci sono numerose storie ispirate da reminiscenze della scena primaria» (Bertin, 1982, p. 68). Molti anni dopo, nel 1945, pubblicherà un articolo dal titolo Notes on the Analytic Discovery of a Primal Scene, nel quale, vestendo i panni di una paziente quarantaduenne in analisi (lei ne aveva quarantacinque quando iniziò l’analisi con Freud), non farà che raccontare i propri ricordi della scena primaria emersi durante la propria analisi. Nell’articolo tutto riconduce a lei: l’analista dice a questa finta paziente che ha assistito nell’infanzia a scene primarie in pieno giorno. La madre della paziente morì quando la bambina era nata, ed essa aveva avuto una balia che aveva rapporti sessuali con lo stalliere del padre. La balia rimase con la bambina fin che questa ebbe tre anni, sicché queste scene devono riferirsi ai primi mesi dell’infanzia, ma devono essere cessate quando la bambina aveva due anni e avrebbe potuto reagire a queste scene. Quando la paziente, bambina di sette anni, imparò a scrivere, cominciò a riempire piccoli quaderni di storie fantastiche (i Cinq Cahiers) di cui aveva perduto il ricordo, e che scoprirà dopo la morte del padre poco prima di entrare in analisi. L’articolo proseguirà sempre sul filo dell’autobiografia, non lasciando alcun dubbio sul fatto che la paziente in questione è la stessa Marie Bonaparte.

 

 

Contro la medicina psicosomatica.

 

Intorno agli anni ’50 Marie Bonaparte intraprese una crociata contro il dilagare della medicina psicosomatica che, nello scritto Psyché dans la nature ou des limites de la psychogenèse (1950) paragona alla corrente di una lava vulcanica. In questa presa di posizione contro la medicina psicosomatica Amouroux (2012a) vede «una concezione della psiche che ha a che fare più coi lavori di Gustave Le Bon che con quelli di Sigmund Freud» (p. 229). Contro la teoria della “nevrosi d’organo” di Franz Alexander la principessa opporrà l’ipotesi di una debolezza congenita di un certo organo ipotizzando che le difficoltà della vita colpiscano particolarmente quest’organo.xvi In ciò Marie Bonaparte si dimostra chiaramente adleriana, come già in altre occasioni. Accusando la medicina psicosomatica di vitalismo si contraddice. Cita un certo Metalnikov il quale sosteneva che gli organismi unicellulari sarebbero dotati di una certa comprensione dei pericoli che li minacciano (Bonaparte, 1950, p. 178). Ma lei stessa aveva parlato del “masochismo” dell’ovulo femminile che si fa penetrare dallo spermatozoo perdendo così la sua unità cellulare. Marie Bonaparte riuscirà a giustificare la medicina psicosomatico solo facendo ricorso a quella nozione di “inconscio organico” che era già stata formulata da Le Bon e che lei stessa aveva condiviso. Nello scritto Vitalisme et psychosomatique (1959) sembra condividere questo concetto poiché affermerà che «non tutti hanno la stessa soglia tra inconscio psicologico e inconscio organico» (p. 551).

 

 

Conclusioni.

 

Il grande merito di Marie Bonaparte per la diffusione della psicoanalisi in Francia non riguarda certamente i suoi contributi teorici, ma rimane di aver tradotto, da sola e assieme ad Anne Berman e a Loewenstein, un gran numero di scritti freudiani che comparivano in quasi ogni numero della RFP. Nel primo numero della RFP pubblicherà l’importante lavoro Les Cas de Madame Lefebvre, una analisi psicoanalitica di un caso di cronaca che si riferiva ad una donna che aveva ucciso per gelosia la futura nuora e alla quale aveva fatto visita in carcere per raccogliere notizie per la sua pubblicazione. L’anno successivo pubblicherà L’identification d’une fille à sa mère morte, che nel titolo si presenta come un resoconto clinico, ma in realtà non è altro che un lungo e noioso racconto dei suoi ricordi dall’età di quattro anni fino all’adolescenza e oltre, con l’intermezzo di qualche considerazione analitica, tra l’altro non priva di qualche fraintendimento, come i rapporti tra l’inconscio e il tempo (p. 551) o una semplificazione del ricordo di copertura (p. 551).

Anche dopo la morte di Freud, Marie Bonaparte continuerà le sue ricerche anatomiche sul clitoride ed è convinta di arrivare a dei risultati: «non capirà mai che non esister una soluzione chirurgica alla frigidità femminile, come non troverà mai una risposta al problema dello statuto inconscio della sessualità femminile (…) Attraverso i testi teorici della principessa si può circoscrivere quali razionalizzazioni mette in atto per trasferire la dottrina psicoanalitica nel dominio della biologia» (Roudinesco, 1982, I, p. 338, Kamieniak 2020, p. 21).

Gli studi sulla sessualità femminile di Marie Bonaparte arrivano sempre ad invocare gli ormoni e la chirurgia come coadiuvanti necessari della psicoanalisi. Così, colei che doveva essere la rappresentante ufficiale del freudismo in Francia finì per travisare il pensiero freudiano e trascinarlo nel campo dell’organicismo, arrivando anche a postulare un inconscio organico, tanto che un giorno Paul Schiff, che era stato analizzato da Loewenstein ed era membro titolare della SPP dal 1930, la schernirà pubblicamente definendola più organicista dei medici stessi (Roudinesco, 1982, I, p. 427). Fu un ritorno ai fondamenti biologici dei primi scritti di Freud, soprattutto forse al Progetto di una psicologia (1895), trascinata in quest’opera da un costante riferimento autoreferenziale nel tentativo di superare quella frigidità che l’analisi con Freud non era riuscita ad eliminare.

Bisogna osservare che i principali scritti di Marie Bonaparte sulla sessualità femminile furono pubblicati tutti nel 1949, dunque a dieci anni di distanza dalla morte di Freud. Questo può rendere conto del fatto che si sentì libera di esprimere una visione del tutto personale della sessualità e dell’evoluzione sessuale femminile che conservava ben poche cose in comune con quella freudiana e che continuerà a porre l’accento, più di quanto fece Freud stesso, su un ineliminabile fattore biologico.

Più di una volta sottolineerà che lo psicoanalista deve fermarsi di fronte alla “barriera insormontabile del biologico”, sottolineerà la «forza della “stereotipia dinamica” del sistema nervoso» (1949b, p. 330), e arriverà a sostenere che una psicanalista, «che constata ogni giorno la forza del nervoso, dello psichico per sagomare il funzionale, il corporeo, non può che essere a suo modo lamarckiano» (1949b, p. 325). Inoltre, anche gli stadi evolutivi della sessualità in rapporto al complesso edipico ricevono in Marie Bonaparte una ridefinizione rispetto all’evoluzione delineata da Freud.

Le Roudinesco (1982, I) dirà che Eugéne Minkowski, che apparteneva al gruppo de l’Evolution Psychiatrique, si oppose alla politica di Marie Bonaparte che considerava una specie di “usurpatrice” priva di una competenza medica (p. 420), e riferendosi al necrologio di Lacan per la morte di Francoise Minkowski conclude: «lo storico ha voglia di rendere omaggio una volta di più a questi ebrei polacchi che hanno contribuito alla penetrazione in Francia di idee nuove. La terra d’adozione che essi hanno amato non li ha affatto protetti: Sokolnicka e Morgenstern, suicidate; Minkowski e Minkowska, denunciati; Politzer, assassinato; Loewenstein, esiliato. Di fronte a tale bilancio, non dovrebbe più essere possibile affermare che una teoria sia riducibile alle sue frontiere o che una psicologia concretizzi l’esistenza di una razza» (p. 426).

Marie Bonaparte si è battuta a lungo per cercare di impedire la nascita di una psicanalisi “alla francese”. Acerrima nemica di Jacques Lacan, ampiamente ricambiata da costui che lei definiva “paranoico”, forse indirettamente contribuì proprio a ciò che voleva evitare. Sarebbe certamente riduttivo pensare che Lacan abbia fondato l’Ecole freudienne de Paris come reazione al deviazionismo della principessa dall’ortodossia freudiana e ai suoi numerosi fraintendimenti della parola di Freud, volendo ristabilire con il suo “ritorno a Freud” la verità del verbo freudiano, ma l’ostilità di Lacan verso la Bonaparte potrebbe essere stato uno dei tanti incentivi che lo spinsero a creare una propria scuola tutt’ora fiorente.

 

 

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ii Non è chiaro se sia stata analizzata anche da Jung, lo sostengono sia Alain de Mijolla (1982, p. 19) che Annick Ohayon (2006, p. 235), e anche Celia Bertin (1989, p. 324), mentre altri la descrivono solo come sua discepola. Il nome di Sokolnicka non compare né nella corrispondenza tra Freud e Jung né nell’autobiografia di quest’ultimo.

iii Isabelle Mons (2015) indica erroneamente che la Sokolnicka fece con Freud una cura di un anno (p. 232). Anche C. e P. Geissmann (1982) dicono che l’analisi della Sokolnicka con Freud durò meno di un anno (p. 112).

iv Dalla maggior parte delle critiche che esprimono pregiudizi faziosi contro il pansessualismo, il dogmatismo, o addirittura la ciarlataneria di Freud, si distinguono alcune critiche che appaiono più sensate e condivisibili ancora oggi, come quella espressa da Hesnard e Régis e ripetuta anche da Yves Delage riguardante la tendenza di Freud ad una generalizzazione abusiva che partendo da casi particolari ricava tratti universali (Sédat, 2011, p. 58).

v Si vedano ad es. i seguenti articoli: Jean Beaufret, Quelques Réflexions sur la Psychanalyse, in: Les Études Philosophiques, 1956, 11, 4, 605-610; Joseph de Tonquédec, Autour de la Psychanalyse, in: Archives de Philosophie, 12, 3, 1936, 101-108; Allamand C., Amies Mortelles: Autobiographie et Résistence à la Psychanalyse, MLN, 2008, 123, 4, 777-796; Roland Dalbiez, La Méthode psychanalitique et la doctrine freudienne, in: Les Etudes philosophiques, 11, 1-2, 1937, 50-51; recensione a Bonaparte M., Psychanalise et antropologie in: Revue de Metaphysique et de Morale, 57,4, 1952, pp. 468-469; recensione a Bonaparte M., Miti di Guerra, in: Am. J. Sociology, 54, 3, 1948, pp. 245-246; recensione a Bonaparte M., Der Fall Lefebvre, in: Annalen der Philosophie und philosophischen Kritik, 8, 1929, p. 81.

viOhayon (2016) sostiene che Freud accettò di aiutare la Sokolnicka a stabilirsi a Parigi ma essa non fu la sua emissaria (p. 236). In realtà Freud la riconobbe come sua rappresentante legittima (Bertin, 1989, p. 325).

viide Mijolla (1989) afferma che «gli psichiatri, raggruppati nel reparto del prof. Claude, non mi sembrano affatto risoluti ad isolarsi in una formazione strettamente analitica (…) il “gruppo” si è strutturato in una società denominata Évolution Psychiatrique e pubblica sotto questo titolo una rivista il cui primo numero esce nell’aprile 1925» (p. 39).

viiiLa rivista La Quinzaine Critique des livres et des revues del 25 novembre 1929 annuncia l’articolo della Sokolnicka, Quelques problèmes de technique psychoanalytique pubblicato sul 1° numero del 3° anno della RFP; Le Temps, 18 avril 1922, annuncia nella rubrica Académie, Universités, Écoles, Cours et conférences: Mme Sokolnicka, Licenciée ès sciences, ancienne assistante du Prof. Freud, annonce quatre conférences sur «la psychanalyse» à la salle de l’École des hautes études sociales, a partir du 20 de cet mois; La Lanterne, dimanche 16 avril 1922, Avis et Communications: Mme Sokolnicka, une polonnaise établié à Paris, licensiée ès sciences, ancienne assistente du Prof. Freud, announce quatre conférences sur la psychanalyse, à la salle de l’École des Hautes Études Sociales à partir du 30 de cet mois; Le Matin, dimanche 14 Juin 1931, annuncia sotto la rubrica La vie Universitaire: Mardì 16, Mme Sokolnicka, Le dynamisme affective des nevroses et la psychanalyse; L’Oeuvre, n. 5735, dimanche 14 Juin 1931, nella rubrica “Cours et Conférences”: Institut de psychiatrie et de profilaxie mentale (Hôpital Henri-Rousselle), aujourd’hui à 11 heures: «Le dinamisme affectif des névroses et la psychanalyse» par Mme Sokolnicka; Le Figaro, Jeudi 20 avril 1922, “Réunions, Cours et Conférences”: Aujourd’hui «La Psychanalise: introduction aux idées freudiennes» (Mme Sokolnicka), 5 heures, Ecole des Hautes Études Sociales, 16, rue de la Sorbonne; La Semaine à Paris, n. 517, 21-29 april 1932 annuncia una conferenza al Groupe d’Études Philosophiques à la Sorbonne: Mme Sokolnicka, Psychanalyse et caractére, Jeudi 21 à 21 h; L’Hygiène Mentale, Janvier 1934, annuncia tra i corsi dell’Istituto di Psicanalisi di Parigi: Mme Sokolnicka, Psychanalyse du Caractère, le mercredi, du 2 au 23 mai (il 19 maggio di quell’anno la Sokolnicka si suicidò);

ix Invece il 13 marzo 1932 Freud aveva annotato nel diario il suicidio di Kreuger.

xPichon, che oltre ad essere pediatra si interessava anche di linguistica e di grammatica, aveva intrapreso con Jacuqes Damourette l’ambizioso progetto di scrivere una grammatica esaustiva della lingua francese. All’interno della Commissione aveva proposto traduzioni assurde adottando termini latini come Illud per tradurre il termine tedesco Es. Ma il termine che fece maggiormente discutere fu libido, poiché secondo Pichon in un francese evocava immediatamente il termine libidineux, per cui propose il termine aimance, che Freud accettò divertito pur non condividendo l’eccessivo sciovinismo dei membri della Commissione (Roudinesco, 1982, pp. 380-381).

xi Lanouzière (1991) riporta che Marie Bonaparte dichiarò di avere lei stessa suggerito al Pr. Halban un intervento correttivo che mirava ad avvicinare il clitoride al meato vaginale, e che il Pr. Halban accolse questo suggerimento e mise a punto sul cadavere, assieme a lei stessa, una tecnica operatoria semplice (p. 124, nota 2). La stessa Bonaparte si sottopose per tre volte, tra il 1927 e il 1931, senza successo, a questo intervento chirurgico (ibid., p. 125). L’ossessione della principessa per l’orgasmo fu immortalata in una scultura fallica, intitolata Princess X, da Castantin Brancusi, precursore dell’arte moderna (Donnenfeld S., Hammett J., 2020). Per una lettura femminista dell’ossessione clitoridea di Marie Bonaparte rinvio ai saggi di Alison Moore (2009, 2009a).

xii Amouroux (2012a) dirà: «In maniera generale, Marie Bonaparte si interessa a tutto con la più grande serietà ma non senza una certa leggerezza. Nel mondo della principessa, ci si interessa tanto ai meccanismi psicanalitici quanto a quelli della radioterapia; i mali degli animali sono temuti con la stessa attenzione di quelli degli uomini (…) I legami tra questi diversi ambiti restano tuttavia superficiali (…) Per comprendere il gusto di Marie Bonaparte per la mescolanza di questi generi, bisogna riferirsi a colui che fu secondo me il suo vero mentore prima di Freud: Gustave Le Bon» (p. 163).

xiiiSarà la stessa Bonaparte a parlare della propria “dittatura” a proposito della Revue française de psychanalyse in una lettera a Laforgue, nella quale non nasconde la sua volontà di potere e confida che la sua “dittatura” è più che giustificata per il benessere della rivista. (Amouroux, 2012).

xivLa Roudinesco, nella nota 146, precisa che si tratta di un lapsus della stessa Bonaparte che ha poi corretto, ma non ci dice come. Sarà Celia Bertin (1982) a rivelare il lapsus commesso in una lettera a Laforgue, nella quale la Bonaparte scrive: «Ma, io, quando potrò mai analizzare – assassinare, stavo per scrivere – esseri viventi?» (p. 254). La Bertin ha segnalato il fascino che fin da piccola Marie provava per gli assassini, e questo spiega il suo primo interesse per il caso di M.me Lefebvre, pubblicato sulla RFP e poi per Edgar Allan Poe.

xv Kamieniak (2020) dirà che sembra che la frigidità della principessa «non abbia mai avuto accesso allo statuto di sintomo» (p. 25, corsivo nel testo), e più avanti aggiungerà: «il “conflitto”, lungi dal manifestarsi sulla scena psichica, rimarrà alla sua periferia, facendo correre la principessa a più riprese dal dottor Halban, per avere il cuore pulito e l’animo liberato» (p. 27).

xvi Lettera a Franz Alexander del 22/11/1950 citata in Amouroux, 2012a, p. 234.

 

 

 

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