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Effervesc(i)enze – Nuovi sguardi sulle dipendenze

6 Feb 13

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Report a cura di Elena Laura Fiscella

La ASL 3 Genovese inaugura il percorso formativo con un seminario aperto alla città ed agli operatori dei servizi, cui seguiranno fra ottobre e novembre altre sei giornate con moduli formativi dedicati a gruppi omogenei di operatori ed insegnanti. Il modulo formativo si propone di fornire approfondimenti teorici e spunti metodologici per l’utilizzo dei media audiovisivi e dei linguaggi multimediali in riferimento al tema delle dipendenze, rivolgendosi a chi opera a contatto con adolescenti e giovani a "richio". Il progetto, attraverso una metodologia interattiva ed uno sguardo curioso, si propone da un lato di indagare le principali tipologie di rappresentazione visiva e simbolica della tossicodipendenza nei linguaggi contemporanei, dal cinema agli spot pubblicitari, dai videoclip ai programmi televisivi, dalla musica al web, dall’altro di riflettere sul concetto di consumo sia in senso fisico che mediatico e culturale riferito a sostanze, prodotti, oggetti, sul piano degli stili di vita e dei modelli di apprendimento. Il percorso formativo per operatori ed insegnanti mira ad elaborare nuove prassi comunicative sul tema, nell’ottica di una campagna di prevenzione cittadina.

Dopo i saluti delle autorità, V. Susca introduce il concetto di stupefacente in una prospettiva transculturale ed antropologica, illustrando il ruolo delle sostanze nelle dinamiche sociali e nella storia dei costumi umani. Passa poi ad analizzare la trasformazione nel tempo e la configurazione nel contemporaneo delle dimensioni del piacere, della trasgressione, del rischio e del limite.

C. Renzetti, sociologo clinico, si occupa del significato della prevenzione nell’ambito dell’uso delle sostanze, interrogandosi sull’oggetto e le motivazioni del fare prevenzione e sui metodi che è possibile o meno applicare. Nel costruire un’adeguata prevenzione alla complessità dei consumi contemporanei, auspica il delinearsi di mappe dinamiche dell’uso delle sostanze, di comportamenti a rischio e dei percorsi di aiuto disponibili, in una prospettiva dialogica su cui venga fondata la relazione fra servizi ed utente.

E. Polidori, medico responsabile del SerT di Forlì, analizza gli effetti delle sostanze e le correlate dinamiche fisiche, psicologiche, sociali e culturali, interrogandosi sul senso contemporaneo del "SerT" e sulle politiche per le droghe potenzialmente utili per il lavoro di chi opera sul campo, con particolare attenzione al concetto di cura. Ritiene opportuno recuperare il senso della "mission" del servizio, che dev’essere cosciente e condivisa, delineando l’identità dell’operatore. Il trattamento deve essere la rispostaa alle richieste della collettività, per migliorarne la qualità della vita, partendo dal presupposto della necessità di un profondo rispetto dei soggetti target o destinatari, delle loro opinioni e convinzioni; si deve riconoscere: – l’individuo come agente morale libero di scegliere, – la neutralità dello stato nei confronti delle varietà di concezioni di "vita buona" cui gli individui decidono di attenersi.

L. Grosso tratta del "fare accoglienza", ossia delle politiche sociali e delle strategie operative del prendere in carico chi fa uso di sotanze. Analizzando i cambiamenti intercorsi negli utlimi vent’anni e le differenze fra le "nuove" e le "vecchie" sostanze, ritiene opportuna la formazione di operatori che acquisiscano delle competenze e capacità operative idonee ad un’efficace prevenzione secondaria. L’incontro con l’utente per quest’ultimo deve risultare paritario, scelto e non obbligato, utile e piacevole o viceversa piacevole ed utile, fonte di un’informazione corretta, accettata e discussa, che possa anche essere un po’ elaborata, offrendogli delle opportunità reali. Luogo più proficuo all’attuazione della prevenzione secondaria è, a suo avviso, la Scuola, nell’ambito della quale i vari operatori, insegnanti compresi, dovrebbero essere in grado di saper vedere (e non colludere), occuparsene con discrezione, tenere in conto ed avere a cuore gli individui, evitando metodi repressivi o di controllo.

C. Cippitelli valuta le droghe come indicatori socio-culturali di come sia cambiato lo "sballo" e che cosa questo racconti del nostro contesto culturale. Illustra dettagliatamente la storia pregressa ed attuale del fenomeno del "Rave" (rave party, technival, freefestival) e dei bisogni sottostanti ad esso, considerando le sfide cui va incontro chi opera in tale campo e la difficoltà nello stabilire relazioni di fiducia con chi utilizza sostanze in tale particolare contesto. Porta l’esperienza viva del progetto Nautilus della regione Lazio, con l’istituzione di un intervento di èquipe di strada, divisa in due gruppi: il primo, che opera fino alle 6 di mattina, quindi nel buio, si occupa di "chilled out", overdose ed emergenza; il secondo, dalle 6 alle 12, dell’intervento relazionale, scontrandosi però con l’assenza di una rete che possa poi garantire una presa in carico efficace territorialmente alle persone su cui si interviene e che necessiterebbero di ulteriore sostegno al di là del qui ed ora. Tali èquipe sono composte non solo da medici, infermieri, educatori e psicologi, ma anche da sociologi, antropologi, esperti nella conoscenza e comprensione del fenomeno, da adulti non giudicanti, privi di mandati repressivi.

P. Pacoda affronta il tema del drug-style e del motivo per cui le sostanze oggi siano "fashion". Nel suo intervento profila il ruolo delle droghe nella modellizzazione delle mitologie giovanili, dalla musica — passando attraverso l’acid house, l’acid jazz ed il rave sound — alla moda, citando ad esempio il processo di brandizzazione di un’azienda giapponese di jeans artigianali che per il lancio del prodotto avrebbe organizzato delle sorte di rave party riservati. A tal proposito si chiede, oltre ogni retorica moralista, come situare (e problematizzare in modo non superficiale) l’induzione al consumo proposta dagli stili di vita dei modelli culturali e sociali.

M. Marangi riflette sulla necessità di cambiare semantiche, insistendo sulla differenza sostanziale esistente fra i termini "informare", "comunicare" e "prevenire" e sull’opportunità di ragionare sulle dialettiche. A suo avviso le droghe, tra immagini ed immaginario, fra realtà e simbologie, non sarebbero solo sostanze, ma processi sociali e culturali. Trovandosi di fronte a nuove droghe, a nuovi stili di consumo ed a nuovi linguaggi, si interroga su come attrezzarsi per comunicare sul tema con le nuove generazioni, puntando l’attenzione sull’opportunità di provare a comunicare attraverso simboli ed immagini, stimolando le percezioni, utilizzando strumenti che permettano di focalizzare non dei problemi ma dei nodi. L’uso pedagogico delle immagini può essere anche un boomerang: attraverso di esse si pensa di inviare dei contenuti ma si rischia ne arrivino altri. Non bisogna quindi limitarsi ad utilizzare flussi di immagini per attrarre, ma soprattutto tentare di stimolare alle domande ed alla riflessione, seguendo la metodologia della Peer Education.

Conclude i lavori L. Sibona, che incentra il proprio intervento sulla possibilità di fare prevenzione utilizzando i media, illustrando gli ambiti, gli obiettivi e le strategie possibili da applicare nell’elaborare ed attuare interventi sulle sostanze, nonché le prospettive in riferimento all’universo digitale del web 2.0. Presenta inoltre un progetto nato l’anno scorso all’interno del SerT di Alba (CN), noto come Progetto Steadycam, di visione, registrazione ed archiviazione di filmati audiovisivi trasmessi dalle reti televisive, consultabili al sito internet www.progettosteadycam.it, che vengono analizzati dall’èquipe predisposta e sovente utilizzati nel lavoro di prevenzione con i giovani, utilizzando i significati e le reazioni a caldo che questi ultimi presentano di fronte a determinati stimoli audiovisivi.

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