“Ho una poesia….”
Jimmy
Jimmy
Se c’è qualcosa che non si può sottrarre, imitare, fare proprio, è il talento. Il successo può a volte abbracciare, nel suo andirivieni, chi non lo merita o ignorare chi lo meriterebbe, ma il talento no. Esso è una pietra preziosa che alcuni hanno, fin da piccoli, da custodire e coltivare con cura, che può destare invidia o ammirazione, ma è tesoro solo di chi lo possiede. È il caso di Jimmy, un bambino che frequenta l’asilo, tra molti altri, ma eccezionalmente diverso: è un poeta. Nascono spontaneamente dentro di lui versi, bellissimi versi che raccolgono subito l’attenzione, quando li scopre, della sua sensibile maestra, Lisa. Su Lisa e Jimmy, la preziosità del talento e la tristezza della sua privazione, l’ignoranza di non supportarlo e la valenza di questo particolare, intimo ma difficile legame tra loro due, è costruito questo film il cui titolo italiano non rende la centralità del personaggio, Lisa, uno dei più belli che mi sia capitato di vedere da tempo.
Lisa, donna sensibile che insegue il sogno di imparare poesia attraverso un corso per dilettanti, vive internamente il profondo dissidio tra la sua vita “normale” (“un’ombra”, la definirà) di maestra, moglie e madre, e il rimpianto di non avere studiato, non avere coltivato quel talento che spera il corso possa suscitare in lei, ma non succede. Il suo destino è restare una dilettante, aspirare ad un’atmosfera di curiosità intellettuale che lei sola desidera in famiglia; per gli altri, la vita scorre normale, i sogni sono semplici, i figli adolescenti non la rappresentano, il marito un affetto sicuro ma senza emozione,
Quando scopre Jimmy, un bambino prodigio che produce, con la spontaneità con cui Mozart componeva a quattro anni, meravigliosi versi che inizialmente fa suoi per recitarli al corso dove ricevono grande attenzione, la sua vita cambia. L’approvazione del pubblico le conferma di avere per le mani, nella sua classe, un bimbo di colore riccioluto che possiede quello che lei non ha. Il tesoro del talento. Si adopererà in ogni modo, sfidando il padre contrario, arrivando a portarlo via con sé per farlo studiare, ma quest’affannata protezione del talento di Jimmy non avrà buon esito.
Lisa non si appropria, avrebbe potuto, delle poesie di Jimmy; il suo è atto d’amore folle e generoso, consapevolezza che lei sola ha, perché lo rincorre da tutta la vita, di avere tra le mani un essere umano di cui potrebbe avere cura, curando così proiettivamente la parte di sé mancante. Sono l’uno per l’altro qualcosa di prezioso, di speciale, ognuno incarna la mancanza dell’altro: Jimmy non ha più la madre, Lisa non ha talento. Potrebbero formare la coppia perfetta dove l’uno nutre l’altro, sfuggendo da una vita, da un mondo “che ti riduce a diventare un’ombra”, se non possiedi nulla di speciale o se lo possiedi e non coltivi. Un mondo, il piccolo ambiente che li circonda, che sembra spaccato in due: gli appassionati allievi e il maestro del corso, e le placide esistenze senza ambizione dei suoi cari, del padre di Jimmy che vuole per lui una vita “normale”.
Molto delicato e profondo è il perfetto ritratto psicologico di Lisa, in cui lo spettatore facilmente si immedesima per la passione pura, la solitudine interiore, la magia con cui vive l’incontro con Jimmy, da un lato figlio come l’avrebbe voluto e dall’altro, come mi pare l’aspetto principale, parte di sé mancante. Occuparsi di Jimmy è rinascere alla vita e al desiderio, per lei; e sappiamo che senza desiderio non c’è vita. Desiderio di veder crescere un talento e averne cura, di evadere da una vita asfittica, di vivere in Jimmy e con Jimmy il piacere profondo che le procura la poesia. Il mondo, la realtà non darà ragione a Lisa, che finisce paradossalmente nel ruolo di colpevole, di ladra di bambini (una naturale associazione con un altro gioiello, “Il ladro di bambini” di Gianni Amelio), eccentrica in un ambiente che non solo non la asseconda, ma le è ostile. Struggente il finale.
“Lontano da qui” è un raro film su uno dei dolori di cui poco si parla e che perseguita molti individui, anche nella nostra stanza d’analisi: la mancanza di talento, lo scarto doloroso tra l’Io e suo Ideale, particolarmente frequente in quest’epoca dove l’asse della sofferenza si è spostato dalla colpa alla fragilità narcisistica, dal super-io all’ Ideale dell’Io, non meno tiranno. È anche un film che denuncia la sordità del mondo in cui viviamo rispetto alle cose preziose dell’uomo, del bambino, alla mercé di adulti che ne programmato un futuro convenzionale, gregario. Nella mia visione, è anche un film sulla solitudine del femminile; Lisa è un magnifico ritratto psicologico, contemporaneo ma anche eterno, in cui credo molte donne possano riconoscersi, costrette a reprimere una sensibilità che non trova interlocutori. Ed è anche un film sulla tragedia dell’infanzia, dove il bambino non può ancora capire e quindi proteggere il suo sé, devono farlo gli adulti, ma gli adulti non lo vedono. È un film sulla magia potenzialmente vivificante dell’incontro creativo e sulla sua mancanza, che rigetta l’una alla sua solitudine, l’altro a recitare nel vuoto le sue poesie.
Lisa, donna sensibile che insegue il sogno di imparare poesia attraverso un corso per dilettanti, vive internamente il profondo dissidio tra la sua vita “normale” (“un’ombra”, la definirà) di maestra, moglie e madre, e il rimpianto di non avere studiato, non avere coltivato quel talento che spera il corso possa suscitare in lei, ma non succede. Il suo destino è restare una dilettante, aspirare ad un’atmosfera di curiosità intellettuale che lei sola desidera in famiglia; per gli altri, la vita scorre normale, i sogni sono semplici, i figli adolescenti non la rappresentano, il marito un affetto sicuro ma senza emozione,
Quando scopre Jimmy, un bambino prodigio che produce, con la spontaneità con cui Mozart componeva a quattro anni, meravigliosi versi che inizialmente fa suoi per recitarli al corso dove ricevono grande attenzione, la sua vita cambia. L’approvazione del pubblico le conferma di avere per le mani, nella sua classe, un bimbo di colore riccioluto che possiede quello che lei non ha. Il tesoro del talento. Si adopererà in ogni modo, sfidando il padre contrario, arrivando a portarlo via con sé per farlo studiare, ma quest’affannata protezione del talento di Jimmy non avrà buon esito.
Lisa non si appropria, avrebbe potuto, delle poesie di Jimmy; il suo è atto d’amore folle e generoso, consapevolezza che lei sola ha, perché lo rincorre da tutta la vita, di avere tra le mani un essere umano di cui potrebbe avere cura, curando così proiettivamente la parte di sé mancante. Sono l’uno per l’altro qualcosa di prezioso, di speciale, ognuno incarna la mancanza dell’altro: Jimmy non ha più la madre, Lisa non ha talento. Potrebbero formare la coppia perfetta dove l’uno nutre l’altro, sfuggendo da una vita, da un mondo “che ti riduce a diventare un’ombra”, se non possiedi nulla di speciale o se lo possiedi e non coltivi. Un mondo, il piccolo ambiente che li circonda, che sembra spaccato in due: gli appassionati allievi e il maestro del corso, e le placide esistenze senza ambizione dei suoi cari, del padre di Jimmy che vuole per lui una vita “normale”.
Molto delicato e profondo è il perfetto ritratto psicologico di Lisa, in cui lo spettatore facilmente si immedesima per la passione pura, la solitudine interiore, la magia con cui vive l’incontro con Jimmy, da un lato figlio come l’avrebbe voluto e dall’altro, come mi pare l’aspetto principale, parte di sé mancante. Occuparsi di Jimmy è rinascere alla vita e al desiderio, per lei; e sappiamo che senza desiderio non c’è vita. Desiderio di veder crescere un talento e averne cura, di evadere da una vita asfittica, di vivere in Jimmy e con Jimmy il piacere profondo che le procura la poesia. Il mondo, la realtà non darà ragione a Lisa, che finisce paradossalmente nel ruolo di colpevole, di ladra di bambini (una naturale associazione con un altro gioiello, “Il ladro di bambini” di Gianni Amelio), eccentrica in un ambiente che non solo non la asseconda, ma le è ostile. Struggente il finale.
“Lontano da qui” è un raro film su uno dei dolori di cui poco si parla e che perseguita molti individui, anche nella nostra stanza d’analisi: la mancanza di talento, lo scarto doloroso tra l’Io e suo Ideale, particolarmente frequente in quest’epoca dove l’asse della sofferenza si è spostato dalla colpa alla fragilità narcisistica, dal super-io all’ Ideale dell’Io, non meno tiranno. È anche un film che denuncia la sordità del mondo in cui viviamo rispetto alle cose preziose dell’uomo, del bambino, alla mercé di adulti che ne programmato un futuro convenzionale, gregario. Nella mia visione, è anche un film sulla solitudine del femminile; Lisa è un magnifico ritratto psicologico, contemporaneo ma anche eterno, in cui credo molte donne possano riconoscersi, costrette a reprimere una sensibilità che non trova interlocutori. Ed è anche un film sulla tragedia dell’infanzia, dove il bambino non può ancora capire e quindi proteggere il suo sé, devono farlo gli adulti, ma gli adulti non lo vedono. È un film sulla magia potenzialmente vivificante dell’incontro creativo e sulla sua mancanza, che rigetta l’una alla sua solitudine, l’altro a recitare nel vuoto le sue poesie.
(Rossella Valdrè)
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