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Il silenzio del Buddha. Un a-teismo religioso

28 Mar 13

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Il pensiero religioso sotteso a questo saggio è una visione sincretistica che abbraccia induismo, buddhismo, cristianesimo e ateismo, mentre presuppone il carattere fondante dell’idea di Dio anche per civiltà che, come quella occidentale moderna hanno rimosso tale idea. L’idea consolatoria di Dio ha, innegabilmente, un carattere storico, ma la sua fluidità storica contrasta con l’irrigidimento della attuale civiltà in cui si è manifestato, in tutta la sua sinistra pregnanza, il fatto che per il pianeta e la razza umana non vi è un futuro. Nessuna consolazione può farci accettare la consapevolezza sia individuale che collettiva di morire e l’uomo moderno accetta fatalisticamente l’affermazione nietzschiana del "Dio è morto". Nel mondo vedico, nelle civiltà mediterranee e nelle culture africane il divino viene definito come attributo della realtà, o meglio il carattere divino è considerato come immanente alla realtà e, al tempo stesso, infinito, misterioso, irraggiungibile e ineffabile. Il pensiero buddhista rinuncia a ricercare la salvezza o finanche a desiderarla per percorrere una via di mezzo tra agnosticismo ed assolutismo, mentre la religiosità buddista che in apparenza non lascia alcun posto a Dio si può identificare con una sorta di a-teismo religioso. Quando poi si parla di una mutua "fecondazione" tra giudeo-cristianesimo e buddhismo questo significa valorizzare, nel primo, l’influenza di correnti gnostico-mistiche e teologie para-ereticali come quella proposta da un Meister Eckhart con il suo Dio-nulla o Dio-vuoto che ha un ruolo centrale nell’a-teismo buddhista. Secondo un’interpretazione detta "nichilista" Buddha fu un vero ateo e il suo nirvana altro non era se non l’annichilimento totale. Variante di quest’interpretazione è che la sua fu una posizione agnostica, rivelata dall’abitudine a non rispondere alle domande metafisiche data la sua distanza da qualsiasi metafisica. Il nobile silenzio del Buddha diventa così segno o dimostrazione dell’incapacità umana di comprendere il mistero ultimo della realtà, laddove l’apofatismo o ineffabilità è la caratteristica più saliente dello spirito buddhista. Il Risvegliato, per sostenere i diritti di una "realtà ultima", nega Dio quale trascendenza assoluta ed afferma la pura contingenza poiché non vi è un soggetto ultimo delle azioni che si pieghi alle leggi della non-contingenza. Il nirvana corrisponde all’estinzione dell’esistenza in quanto negativa e contingente: esso non si deve considerare quale risultato di una qualsiasi ricerca mentale, ma è l’autoannichilazione di una nobile saggezza, lo stato caratteristico del Risvegliato.




L’idea fondamentale del buddismo è riassunta dalle parole del suo fondatore: "tutte le condizioni umane sono impermanenti; tutto ciò che è impermanente termina in sofferenza; tutto ciò che è sofferenza non ha consistenza e tutto ciò che non ha consistenza è vuoto". La realtà è unica, ma può essere vista in tre modi diversi: la realtà è un insieme di sostanze separate che può culminare con l’accettazione dell’esistenza di un Essere Supremo (Dio). 1.Poiché gli esseri hanno un carattere contingente, mutevole e caduco non si può evitare il nichilismo. 2.L’unica via per evitare gli estremi dell’essere e del non-essere è la via di mezzo. I quesiti cui non si può dare una risposta diversa dal silenzio sono quelli relativi all’eternità del mondo, alla sua finitezza, all’esistenza dopo la morte e all’identità tra anima e corpo.

Se per ateismo s’intende anti-monoteismo il buddhismo è una religione atea che sembra del tutto compatibile con l’ateismo post-scientifico del nostro tempo capace di salvare l’uomo dagli artigli di un’alienante trascendenza. La scienza moderna non pretende di dire come le cose sono, ma solo come esse funzionano e, in questa prospettiva, la sua riflessione sull’origine del cosmo mette sullo stesso piano casualità e ipotesi di un intervento divino, mentre la nascita e l’evoluzione dell’universo a partire da un punto di partenza corrispondente ad una singolarità implica una qualche rottura di simmetria nel vuoto quantistico costituito da materia e antimateria. La creazione del mondo dal nulla (vuoto) è l’enunciato comune alle religioni occidentali e, se si considera la cosmologia quantistica in accordo con Bohr, l’universo esiste ed ha significato solo quando esso venga osservato. Il ruolo di osservatore-creatore sembra adattarsi agevolmente al concetto di Dio, ma ciò vale se ci si limita ad uno solo dei possibili modelli della fisica teorica. Per tutti gli altri non vi sono appigli altrettanto validi all’idea teista. Per la quantomeccanica (interpretazione di Copenhagen) il passaggio da funzione d’onda a particella è il risultato della presenza di un osservatore esterno che, con l’atto dell’osservazione, provoca il collasso della funzione d’onda in particella. Non c’è distinzione, dal punto di vista teorico, tra questo e un atto di creazione che giustifichi il farsi iniziale dell’essere. Teologi come Meister Eckhart e Clemente di Alesandria definiscono Dio come innominabile o omninominabile e il loro apofatismo epistemologico si sovrappone all’apofatismo ontologico del buddhismo. Uno dei tratti comuni del Dio delle religioni è quello di essere una persona: l’uomo ha raffigurato Dio a propria immagine e somiglianza ed ha poi affermato che era stato Dio a fare l’uomo a propria immagine e somiglianza. L’obbligatorio materialismo ed empirismo della scienza ha implicato la negazione di Dio e all’uomo di oggi non resta che invocare le parole consolatorie del mistico tedesco Angelus Silesius "Quando ti ricordi di Dio la senti in te; se taci e conservi il silenzio Egli ti parlerà vieppiù". Sia il buddhismo che la scienza moderna sottoscrivono l’aforisma che conclude il Tractatus wittgeinsteiniano "Di ciò di cui non si può parlare bisogna tacere", ma l’atteggiamento delle Chiese attuali, la loro pretesa di parlare "a nome " di Dio con pretesa di verità assoluta, la loro ingerenza nella vita politica dei diversi paesi, la loro arroganza nel "dettare la linea" in temi di etica, la loro ipocrisia nel proclamarsi staccati dal mondo rivendicando, di fatto, un ruolo di potere, ci costringe a levare la flebile voce della nostra ragione.

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