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Locked-in. Imprigionato nel proprio corpo

2 Apr 13

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Karl Heinz Pantke, ricercatore di fisica nucleare in Berlino, viene all’età di 39 anni colpito da un infarto al cervelletto e al tronco encefalico, che gli provoca la particolare sindrome neurologica chiamata Locked-in, termine inglese che significa "imprigionato dentro". La conseguente menomazione e disabilità prodotta da questo tipo di emorragia, in questa particolare area sottocorticale, comporta la totale immobilizzazione del corpo della persona, lasciandole come unica forma di comunicazione il movimento delle palpebre. In questa situazione il paziente è completamente cosciente, ma non può comunicare con il mondo esterno; viene ricoverato in unità di terapia intensiva e deve essere assistito 24 ore su 24 nelle sue funzioni vitali di base attraverso particolari tecnologie.

Grazie all’aiuto e al particolare impegno della sua compagna di vita, Christine Kühn — che è una artista berlinese e anche co-Autrice del libro —, Karl-Heinz Pantke sopravvive e riesce a superare i primi terribili momenti che connotano questa situazione traumatica. Su insistenza della sua compagna Christine Kühn, il Dr. Karl-Heinz Pantke riceve già in unità di terapia intensiva i primi aiuti da parte dei fisioterapisti, intervento terapeutico che l’Autore definisce determinante per la sua positiva evoluzione riabilitativa. Successivamente, terminata la fase critica, può essere trasferito nel settore clinico di riferimento, cioè la neurologia. Appena possibile, anche grazie a una rete di amici e di conoscenti come pure ad alcune Istituzioni di riabilitazione create di recente a Berlino, la sua vicenda da subita diviene attiva, critica e propositiva: attraverso un sistema di "lettere circolari", cioè di lettere inviate in gran numero che informano sulla evoluzione della sua malattia, Karl-Heinz Pantke diviene il nodo di una rete comunicativa che collega amici, parenti, altri pazienti, medici, ricercatori e diverse altre persone, che per un motivo o l’altro, sono interessate ad accompagnare K.-H. Pantke nel suo lungo e faticoso percorso terapeutico e riabilitativo …

Karl-Heinz Pantke non è certo la prima persona che sfata il mito scientifico che "dal Locked-in non se ne esce", ma certamente è il primo paziente-Autore che grazie alla sua cultura scientifica "dura" esamina dal di dentro le prassi mediche e riabilitative, le istituzioni sanitarie deputate, gli atteggiamenti e i pregiudizi condivisi, dentro e fuori l’ambito clinico, con spirito critico e grande umanità, assumendosi il doppio ruolo di osservatore di sé e partecipante alla riabilitazione.

Nello sviluppo della sua vicenda egli è riuscito ad associare a sé un gruppo di ricercatori del campo delle neuroscienze, della riabilitazione motoria e della psicologia, con la finalità di rileggere e reinterpretare i processi fisiologici, neurologici, psicologici, alla luce della sua storia personale e dei vissuti altrui.

 

Il significato del libro nel contesto del rapporto tra ricerca e pratica

Il testo di Pantke appartiene a un particolare settore della ricerca qualitativa chiamata first person account.

A proposito di tale corrente di ricerca, scrive l’epidemiologa Elena Sternai: "Si è andata affermando in modo sempre più consistente l’identità politico-sociale di coloro che tradizionalmente erano visti unicamente come oggetto di cura e di ricerca: i pazienti, ridefinitisi come utenti, danno vita ad associazioni e gruppi di auto-aiuto che li rappresentino in modo più diretto, che difendano i loro diritti di malati e di cittadini… Il riconoscimento di questa identità e dei suoi bisogni continua tuttavia a incontrare difficoltà sia a livello di pratica, sia a livello di elaborazione teorica.

Nella realtà assistenziale gli atteggiamenti dei curanti e l’organizzazione dei servizi molto spesso sembrano privilegiare i meccanismi di conservazione degli equilibri istituzionali piuttosto che rispondere in modo flessibile alle esigenze e ai problemi proposti da gruppi di utenti o singoli pazienti."

Ormai a livello delle scienze umane cliniche il tema della soggettività come dimensione centrale per la riabilitazione è divenuto determinante. Ma questa tematica non è una novità, altrimenti come spiegarsi i cosiddetti "romanzi clinici" di Aleksandr Lurija?

Infatti il famoso neuropsicologo sovietico si poneva già dagli anni Trenta il problema del nesso tra biografia, clinica neurologica ed esiti riabilitativi, nesso determinante per ogni progetto di cura. La soggettività non è dunque un qualcosa di arbitrario, estraneo al ragionar scientifico, ma bensì parte integrante della corporeità in quanto per l’essere umano il corpo non è un oggetto che si guarda o si manipola asetticamente, ma bensì è il proprio corpo: il primo oggetto di amore e di fiducia. Inoltre attraverso la motricità esso è il portatore di un’azione, quindi nell’azione, nel gesto, il corpo si fa pro-motore nel mondo circostante di una intenzionalità, di un progetto. Freud, che Lurija e Wygotski tradussero in lingua russa, disse che l’Io all’inizio è corporeo, è il corpo. E’ solo dopo un lungo cammino fatto di cure materne soddisfacenti che il bimbo comincerà a distinguere il sé e il corpo, l’Io e l’altro, il vissuto e il rappresentato.

Ben venga quindi un testo come quello di K.-H. Pantke in quanto esso interroga alcuni nodi scientifici e sociali contemporanei ancora irrisolti.

Il libro di Pantke è:

    1. una preziosa testimonianza personale all’interno di un percorso umano e riabilitativo;
    2. un’analisi critica dei comportamenti di cura oggi dominanti, che grazie alla sua cultura scientifica "dura" egli riesamina; ma anche osserva la vita quotidiana della cura a partire dai luoghi materiali, dagli atteggiamenti medico-psicologico-assistenziali; inoltre coglie le istanze di fondo dei differenti progetti riabilitativi (v. il confronto tra Perfetti e Bobath);
    3.  
    4. oltrepassa la dimensione personale facendosi portavoce di un gruppo di utenti affetti da sindromi analoghe; inoltre costruisce un archivio clinico nazionale, anima un gruppo di ricerca, si associa alla Fondazione tedesca per l’aiuto alle persone colpite da ictus e da sindromi affini;
    5. reintroduce nel dibattito scientifico il tema della soggettività della persona come aspetto determinante dei processi di cura e di riabilitazione — e trova una significativa risonanza nelle ipotesi che animano l’approccio di Perfetti;
    6. entra con forza nel dibattito sull’eutanasia, da posizioni laiche, svelandone i presupposti economici, politici e ideologici (forti vs deboli; riduzione delle risorse sanitarie; abbandono dei disabili come territorio di ricerca e pratica; progetto di una società senza angoscia e sofferenza…). Questo tema è particolarmente dibattuto nella Germania Federale, dove è presente nella memoria storica delle generazioni del dopoguerra il ricordo dell’eutanasia di massa attuata nel Terzo Reich verso i bambini e gli adulti disabili, i pazienti psichiatrici e le persone anziane malate e dipendenti. Se qualcuno volesse rivedere i temi e i media utilizzati dal regime nazionalsocialista per giustificare l’operazione T 4 (nome in codice, da Tiergarten 4, la villa di Berlino dove aveva sede il nucleo operativo del progetto) alla popolazione tedesca, di fede cattolica e protestante, scoprirebbe che si faceva appello prevalentemente a sentimenti umanitari. Erano vite, appunto, che "non valevano la pena di essere vissute". Lo stato, tramite i suoi professionisti medici, con l’eutanasia faceva opera di pietà. Acutamente Pantke nota che tra gli iscritti al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (ted.: NSDAP, Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei) i medici erano una grande componente, segno che le tematiche eugenetiche, igieniche e razziali, che facevano parte del Programma della NSDAP, avevano un certo peso nell’orientare il consenso verso il regime e i comportamenti professionali.

Psicoanalisi, psicoterapia e scienze umane

La lettura di questo testo ci ha certamente colpito per l’impatto emozionale, la forza evocativa dell’Autore, la sua capacità di trascendere la sua storia personale per farla divenire universale; ci ha colpito per il suo aspetto di critica scientifica misurata ma chiara, per le sue osservazioni dell’ambiente istituzionale…

Pantke osserva come le aspettative dei curanti e dei riabilitatori durante la fase iniziale del ricovero e della successiva post-cura orientino in modo massiccio gli atteggiamenti dei pazienti e dei congiunti verso la rassegnazione depressiva (e parasuicidaria) o l’impegno riabilitativo. Prognosi rassegnative dichiarate come diktat dai vari professionisti (la prima logopedista, i vari medici o lo psicologo) vengono vissute dall’Autore prima come colpi bassi, successivamente come sfide — sfide che sono risultate vincenti anche per la solidarietà pratica ricevuta dalla rete relazionale che attorniava il nostro Autore e dall’opportunità offerta dalla Fondazione Naumann che apriva un qualificato centro riabilitativo a Berlino, di cui è stato il primo paziente neurologico.

E’ fondamentale notare come sono stati questi gli aspetti che dagli anni Settanta in poi hanno chiesto al campo psicoanalitico e psicoterapico di farsi carico delle problematiche del campo isituzionale e psicosociale delle disabilità e di sviluppare, attraverso la formazione e la supervisione di gruppi e di équipes, un particolare atteggiamento di ascolto e di osservazione di utenti e di pazienti, che permettesse l’invenzione e l’istaurarsi di pratiche e di contesti di cura e di riabilitazione creativi e flessibili.

Dall’altra parte osserviamo come l’Autore tematizzi in modo creativo alcuni aspetti centrali dei processi emotivi e cognitivi che stanno a fondamento del successo delle pratiche riabilitative: il linguaggio e la lingua, la relazione tra percezione e movimento, il tempo proprio, il contatto corporeo, l’individuazione nel team di una particolare persona di fiducia, un particolare ambiente di cura personalizzato ed evocativo… ma l’Autore tra tutte queste variabili attribuisce un peso decisivo alla presenza tangibile di una persona che affettivamente rappresenti la propria continuità biografica, in questo caso la sua compagna Christine Kühn. Egli dichiara che se non si è suicidato, quando è uscito dall’unità di terapia intensiva, è stato per merito della assidua presenza della sua compagna.

Questa osservazione dell’Autore è motivata nel testo attraverso due argomentazioni: una di tipo personale e cioè che la fase post-acuta è quella che gli appare come la più terribile, con il riconoscimento delle proprie gravi disabilità; la seconda, interpersonale, è che solo affidandosi a qualcuno, "un testimone", che appunto rammenti e ricordi affettivamente un "prima" relazionale condiviso è possibile superare tale prova e impegnarsi per un "dopo".

A titolo paradigmatico vorrei attirare ancora l’attenzione del lettore riguardo alcune particolari esperienze che Pantke accuratamente descrive: le allucinazioni. Sono riferite esperienze allucinatorie durante il periodo trascorso nell’unità di terapia intensiva. Queste allucinazioni riguardavano sia aspetti urbanistici della Berlino attuale, sia quelli della Berlino storica che non esiste più; altre allucinazioni riguardavano set cinematografici, altre ancora progetti di metropolitane in rinomate zone lacustri della capitale tedesca. Tali esperienze allucinatorie appaiono al suo Autore come piuttosto immaginifiche e visionarie, a volte hanno pure un tono realistico, come quando allucina il funerale e la sepoltura di un anziano signore ricoverato accanto a lui e che purtroppo muore. Dal punto di vista di una psicopatologia psicodinamica tali esperienze e i correlati vissuti possono essere descritti come aventi una funzione riparativa e protettrice, sia rispetto l’evento catastrofico accaduto all’Autore, sia una funzione connettiva con l’identità e le esperienze pregresse. (Su questa linea interpretativa hanno insistito particolarmente G. Benedetti, F. Tustin e G. M. Ferlini.) Infatti spesso i contenuti sono tecnologici, di una tecnologia futuribile. E’ da non escludere in queste forme allucinatorie una componente ludica, rispetto alla monotonia, ripetitività, uniformità, noia, dell’ambiente socio-tecnico delle unità di terapia intensiva. L’Autore lascia al lettore, dove aver accuratamente descritto le sue esperienze allucinatorie, il suo autonomo giudizio.

Questi temi e problemi, in modo creativo concepiti dall’Autore, crediamo siano a fondamento di un’antropologia relazionale del nascere-e-del-divenire della persona umana in un particolare contesto e in una specifica situazione vitale, connotata da vulnerabilità, da sofferenza, da angoscia — ma anche dalla fiducia e dalla speranza che nasce nel rapporto con l’altro.

Formazione e cultura

Il libro di K.-H. Pantke è certamente anche un testo che può essere utilizzato nel campo formativo e scientifico, un testo leggibile da tutti — non solo riservato agli esperti — e così dare conforto e speranza. Una testimonianza valida per i professionisti perché mettano tra parentesi il camice bianco per osservare e per ascoltare; un testo per i riabilitatori affinché ne stimoli curiosità e inventiva ma anche per gli operatori di base perché ne allarghi la visuale collegando ricerca e pratica quotidiana; un testo per lavorare in équipe. Ma questo è anche un testo per gli amministratori, che li avvicini al vissuto biografico, alle vicissitudini di una persona colpita, al lato soggettivo delle menomazioni e delle disabilità, al lato scientifico delle medesime senza l’uso di gergalismi, evitando la scissione dei due aspetti — per cui si può scrivere e descrivere tali situazioni, come diceva Don Milani, con semplicità e appropriatezza.

Oggi, a distanza di dodici anni, il Dr. Pantke è Presidente dell’Associazione LIS (Locked-in Syndrom), fondata dallo stesso, che, oltre alla divulgazione di informazioni e al sostegno alla ricerca sulla sindrome Locked-in, si pone come principale obiettivo la raccolta di dati clinici di pazienti colpiti dalla sindrome Locked-in, dati che servono alla ricerca e la diffusione di pratiche riabilitative mirate (ad. es. la terapia cognitiva di Carlo Perfetti).

L’Associazione LIS è l’omologo dell’Associazione francese ALIS (Association of the locked-in sindrome), che è stata fondata nel 1997 da Jean-Dominique Bauby, giornalista e redattore capo della rivista ‘Elle’, poco prima che questo morisse all’età di 43 anni in seguito alle conseguenze della sindrome Locked-in causatogli da un incidente stradale. Anche Jean-Dominique Bauby ci ha lasciato con la sua narrazione Lo scafandro e la farfalla (ed. it. TEA, 19991) la sua testimonianza del tutto particolare che, tra l’altro, ispirò il regista americano Julian Schnabel al film Le scaphandre e le Papillon, che ricevette a Cannes nel 2007 il Premio per la Miglior Regia e il Premio Vulcain per i particolari accorgimenti tecnologi utilizzati per rendere al meglio il punto di vista di una persona affetta da sindrome di Locked-in.

Perché pubblicare questo testo in Italia?

Comparativamente rispetto la ricerca europea, la ricerca e la pratica in Italia è, relativamente al campo della sindrome Locked-in, agli inizi. Prevale una prognosi pessimista e il ricovero a vita in istituzioni assistenziali. Ma la lettura del testo di K.-H. Pantke con la forte valutazione dell’approccio cognitivista e interattivo alla riabilitazione neuromotoria sperimentata direttamente dall’Autore stesso, metodologia proposta dal neuropsichiatra italiano Carlo Perfetti, indicano che esiste la possibilità concreta di superare il mero assistenzialismo e di curare le menomazioni e le disabilità provocate da questa particolare sindrome.

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