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Blog generation

5 Apr 13

Di Mario Galzigna

[NOTA REDAZIONALE. A sei mesi dalla sua comparsa in libreria, il saggio di Giuseppe Granieri è stato discusso, recensito e presentato dalle testate nazionali e locali più diffuse, dai media, dai siti internet, da moltissimi weblog. Sulla cosiddetta blogosfera si rinviano i lettori alla rubrica mensile di POL.it "Counterpoint", curata da Maria Maddalena Mapelli, che in due puntate recenti si è occupata del mondo dei blog ( http://www.pol-it.org/ital/counterpoint1.htm ) e anche, in particolare, del libro di Granieri, pubblicando in anteprima la prefazione al libro stesso scritta da Derrick De Kerckhove, noto protagonista ed analista della comunicazione on line (http://www.pol-it.org/ital/counterpoint2.htm ). Rinviamo inoltre alla puntata di settembre di "Counterpoint", dove compare una ricca e interessantissima intervista a Giuseppe Granieri. Il suo libro — qui segnalato e messo, se così si può dire, in corto circuito con un saggio oramai "classico" di Michel Foucault — è già stato adottato in qualche corso universitario. Anche nel corso di Epistemologia clinica, tenuto dal prof. Mario Galzigna all’Università di Venezia, il libro è stato ufficialmente inserito tra le letture obbligatorie di approfondimento, nella convinzione che sia oggi possibile e auspicabile un uso clinico/terapeutico dei blog: rispetto a tale uso il saggio di Granieri viene considerato dal docente un indispensabile strumento propedeutico]

L’utopia consola. L’eterotopia inquieta. Così Michel Foucault, in Le parole e le cose (1966), quando commenta le tassonomie proposte da Borges nella sua Zoologia fantastica: ardite e bizzarre classificazioni estranee al mondo ordinario e attribuite dallo scrittore argentino ad una immaginaria "enciclopedia cinese".

Voglio qui riprendere questo termine abbastanza insolito — eterotopia — nell’accezione cara a Foucault ed oggi rilanciata e ripensata da un gruppo di giovani filosofi deleuziani raccolti attorno alla sigla editoriale "Mimesis" e alla collana "Eterotopie".

L’eterotopia è un luogo reale che costituisce una sorta di contro-luogo: un’utopia effettivamente realizzata, nella quale il luogo reale viene al contempo rappresentato, contestato e sovvertito. Foucault definisce questo luogo eterotopia, in opposizione all’utopia, che descrive ideali non realizzati.

Questa sintetica e precisa definizione, che riprendo con qualche leggera modifica da una scheda editoriale di "Mimesis" [http://www.mimesisedizioni.it/archives/000217.htm], mi sembra assolutamente adeguata a definire la dimensione digitale: il cyberspazio e, al suo interno, i blog e la blogosfera, di cui si occupa Giuseppe Granieri nel suo ultimo libro.

In un buon Dizionario Italiano come il Sabatini-Coletti trovo, per il termine eterotopia, una definizione ristretta, riferita alla fisiologia ma facilmente estensibile alla sfera virtuale: "Produzione di stimoli funzionali in sede diversa da quella normale".

Nell’ambito che qui ci interessa, si ha comunque a che fare con una "produzione" di "stimoli". Ma sono stimoli "funzionali" all’incremento di interazioni comunicative. Interazioni estranee alle logiche del potere proprio perché vivono nel cyberspazio, cioè, per l’appunto, in una "sede diversa da quella normale": in un ambiente virtuale, immateriale, illimitato, privo di centro e di stratificazioni gerarchiche.

Si tratta di un contro-luogo, che potremmo anche definire un "non-luogo del linguaggio" — cito ancora Le parole e le cose — dove il linguaggio stesso riesce a enumerare, a dispiegare e ad accostare "cose senza rapporto", entro "la dimensione, senza legge e geometria, dell’eteroclito": qui, "nell’eteroclito" — continua Foucault — "le cose sono ‘coricate’, ‘posate, ‘disposte’ in luoghi tanto diversi che è impossibile trovare per essi uno spazio che li accolga" e "definire sotto gli uni e gli altri un luogo comune".

Un "pensiero senza spazio", dunque. O meglio: che vive in uno spazio altro, diverso dallo spazio fisico ordinario della nostra vita quotidiana. "Parole e categorie senza focolaio o luogo, ma fondate […] sopra uno spazio […] sovraccarico di figure complesse, di sentieri aggrovigliati, di siti strani, di passaggi segreti e di comunicazioni impreviste". Un non-luogo oppure un contro-luogo: "uno spazio impensabile", che presuppone l’annullamento dello "spazio comune degli incontri".

Così Foucault, in un testo scritto quasi quarant’anni or sono. Un testo dove si parla di "una cultura interamente votata all’ordinamento dell’estensione": una cultura che sembra realizzarsi, oggi, con l’avvento del digitale e del cyberspazio. Per Foucault è la Cina del "nostro sistema immaginario". La Cina che vive "nel nostro sogno". La Cina immaginata da Borges, "patria mitica" di un altrove, che non coincide con "nessuno degli spazi" fisici e ordinari "entro cui ci è possibile nominare, parlare, pensare".

La dimensione "visionaria" di questo altrove è ben presente a Giuseppe Granieri, che non a caso fa riferimento a un famoso racconto di Borges, La biblioteca di Babele, per mettere a fuoco le caratteristiche fondamentali del cyberspazio. Sentiamo.

"Internet è la versione più tecnologica e visionaria che ci sia dato conoscere della Biblioteca di Babele immaginata da Borges in un suo celebre racconto. Tutti, in qualsiasi istante e contemporaneamente, possono aggiungervi materiali, e questo ne fa una base di conoscenza potenzialmente infinita" (pp. 33-34).

"Infinita", dunque, come la Biblioteca che Borges pensa e definisce con una ricca e pregnante aggettivazione: "interminabile", "totale", "illimitata", "periodica", "incorruttibile", "segreta"…

La logica della connessione che si afferma nella rete è ben rappresentata in non pochi racconti dello scrittore argentino, dove la libertà e l’arditezza di molte catene associative ci restituiscono con rara efficacia la dimensione labirintica e "febbrile" della biblioteca-mondo. Realtà parallela. Una Biblioteca che è l’universo. Un universo che è la Biblioteca. Straordinario ed emblematico l’incipit del racconto: "L’universo (che altri chiama la Biblioteca)"…

Parlare del libro di Granieri significa, questo è certo, uscire dal terreno dell’utopia. Ma significa anche mettersi a contatto con l’attualità e la vivibilità di un sogno. Il sogno di potersi muovere senza restrizioni in un ambiente parallelo (eviterei di dire "virtuale", poiché quest’aggettivo veicola una falsa contrapposizione con il cosiddetto "reale"). Un ambiente parallelo ricco non soltanto di conoscenze, di informazioni, di notizie — Internet è stato finora soprattutto questo — ma anche di presenze umane vive e continuamente dialoganti. E’ questa la novità sconvolgente dei blog: siti interattivi strutturati come luoghi del dialogo continuo e degli scambi imprevedibili, garantiti da un apposito spazio (quello dei "commenti"), dove ognuno può dialogare con il blogger (il titolare del blog) e con i suoi testi (i cosiddetti post). Di questa nuova realtà digitale Granieri ci fornisce un quadro esauriente, sia sotto il profilo informativo e storico, sia sotto il profilo delle bibliografie e delle "sitografie": il suo libro rende possibili viaggi, percorsi concettuali, esplorazioni problematiche; esso funziona, potremmo dire parafrasando Bateson, come una "struttura che connette", e non come una configurazione discorsiva stabile, ingessata, definitiva. Anche quando le prese di posizione sono nette e coerenti, si ha sempre la sensazione di un discorso aperto. Di una scrittura, se così si può dire, riscrivibile e riscritta di continuo, come dimostrano inequivocabilmente gli innumerevoli blog che hanno ripreso i temi del libro e lo stesso blog di Granieri, che da qualche mese, significativamente, mostra maggior ricchezza e maggior vitalità.

I blog funzionano dunque come potenziatori del dialogo, dell’interattività, della discussione. Rappresentano quindi "un nuovo modo di leggere la realtà e di partecipare alla vita sociale" ( p.156).

Riprendendo questo filo conduttore, molto caro all’autore, credo si possa andare oltre, in una direzione che riguarda più la tendenza che il presente, più le potenzialità della strumentazione tecnologica e delle risorse soggettive attivate che le realizzazioni effettive e attuali della blogosfera.

Mi piace pensare che il digitale interattivo — così potremmo definire il mondo dei bloggers — possa rendere possibile il passaggio (per usare una terminologia un po’ astratta e sintetica) dal soggetto individuale dell’enunciazione al soggetto collettivo dell’enunciazione. In altre parole: l’autore scrive e propone il suo testo. Altri lo riprendono, lo commentano, lo dilatano, lo modificano. Si profila, in prospettiva, la possibilità di un macrotesto collettivo. Una possibilità su cui varrebbe la pena riflettere.

Già lo stesso Michel Foucault, nell’ormai lontano 1969, aveva immaginato, nei termini di una realtà futuribile, "una cultura dove i discorsi circolerebbero e sarebbero ricevuti senza che la funzione-autore apparisse mai" (Che cos’è un autore?).

In realtà, la cultura immaginata da Foucault nel 1969 vive e prospera da tempo sotto i nostri occhi. E’ la cultura scientifica media, che costituisce l’intelaiatura, per dirla con Kuhn, della scienza normale. E’ il corpus di conoscenze, veicolato dalle riviste specializzate e dai congressi, che il ricercatore — nella sua routine quotidiana, nella sua normale attività di laboratorio — utilizza, senza assegnare alla funzione autore un ruolo dominante.

Non che tale funzione non esista nell’attività scientifica. Le scoperte sono legate a un nome, o a un gruppo di nomi; i libri e gli articoli sono firmati da uno o più autori. A questo livello la titolarità della produzione scientifica vige ancora, anche se si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di una titolarità che coinvolge dei gruppi, dei collettivi, molto più della persona singola. Se però questa produzione viene guardata dal lato della fruizione quotidiana, nell’ambito, ad esempio, della normale attività di laboratorio, ecco che la funzione-autore perde rilievo. Anche se non si può dire che scompaia interamente, si deve comunque osservare che diventa comunque accessoria e del tutto irrilevante rispetto all’impostazione e agli sviluppi della ricerca. Il corpus delle conoscenze scientifiche acquisite e dei risultati sperimentali raggiunti è, a ben guardare, un insieme anonimo.

Nella sfera non scientifica, il mondo dei blog rende possibile, per la prima volta, un soggetto collettivo dell’enunciazione: la messa a punto, cioè, di macrotesti collettivi, di prodotti gruppali, o almeno di elaborati rispetto ai quali la funzione-autore, intesa nel suo significato tradizionale, ha svolto un ruolo secondario. Un tema, questo, attorno al quale mi piacerebbe coinvolgere lo stesso Granieri.

Tuttavia, ancor prima di pensare alla realizzazione di un soggetto collettivo dell’enunciazione, è realistico, oggi, pensare alla blogosfera come strumento per realizzare — anche nell’ambito degli studi e della creatività, oltre che in quello degli scambi personali — quella "palestra delle idee" su cui insiste efficacemente Granieri, in uno dei capitoli più avvincenti del suo saggio (pp. 53-65).

Scrivo un testo (dalla poesia al racconto, dall’articolo culturale al contributo scientifico) e lo pubblico come post nel mio blog. Dopo aver ricevuto i commenti di chi è venuto a leggere il mio testo, sarò in grado di riscriverlo, di modificarlo, di migliorarlo. Rispetto alle abitudini interattive tradizionali — sviluppate prima dell’avvento della blogosfera o, più semplicemente, fuori dalla blogosfera — posso solo riportare un dato di fatto, desunto dalla frequentazione della rete e dalla mia limitata esperienza di blogger: le interazioni, i commenti, gli interventi di chi esprime una valutazione del mio testo sono liberi da condizionamenti di tipo gerarchico-istituzionale. Un vantaggio indiscutibile, che mi permette di migliorare e di modificare il mio testo di partenza, utilizzando critiche e posizioni non dettate da motivazioni istituzionali o da logiche di potere. Un vantaggio che ho personalmente verificato anche nell’ambito delle mie ricerche di carattere epistemologico-clinico attorno alla malattia mentale. Dagli scambi extra-istituzionali maturati nell’ambito della rete ho ricevuto molte nuove informazioni e molte stimolanti ipotesi sugli scacchi delle terapie, sugli insuccessi o addirittura sui danni della "cura".

Non solo: entro la dimensione digitale interattiva è più facile venire a confronto con soggetti che aderiscono a paradigmi, a teorie, a scuole di pensiero differenti. La rete, con grande beneficio per i pazienti, è in grado di abbattere gli steccati spesso perniciosi e paralizzanti che dividono le cosiddette "scuole". La paralisi del pensiero e della creatività prodotta da una logica dogmatica (o, se si preferisce, "monoparadigmatica"), trova un efficace antidoto nella rete, utilizzata come salutare ed efficace "palestra delle idee". In questa prospettiva, è davvero auspicabile che nell’ambito clinico i diversi operatori possano utilizzare i blog come strumenti di confronto e di crescita. Fuori dalle egemonie politiche, dalle tirannie istituzionali e — last but non least — dalle trappole dell’ideologia. Sono convinto che l’autore di questo stimolante saggio sulla blogosfera potrebbe fornire un contributo non irrilevante a questa prospettiva.

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