[Douwe Draaisma insegna teoria e storia della psicologia all’Università di Groningen, in Olanda. I suoi libri sono stati tradotti in inglese, tedesco, spagnolo, ungherese, portoghese e ceco. Riteniamo utile offrire ai lettori, con il permesso dell’editore, un breve estratto dal capitolo introduttivo, seguito dall’indice del libro]
Dal capitolo introduttivo:
"Il ricordo è come un cane
che va a stendersi dove gli pare"
La nostra memoria ha una volontà propria. Ci diciamo: questo devo ricordarlo, questo momento voglio tenerlo a mente, quello sguardo, questa sensazione, questa carezza, e nel giro di un paio di mesi o persino dopo un paio di giorni notiamo che il ricordo già non si può più evocare con il colore, l’odore, il sapore che ci auguravamo. "Il ricordo", scrive Cees Nooteboom in Rituali, "è come un cane che va a stendersi dove gli pare".
La memoria non si cura neanche dell’incarico di non conservare qualcosa: vorrei non aver mai visto, vissuto, essere venuto a sapere questo, magari l’avessi dimenticato, ma ciò non serve, quel ricordo resta memorizzato e si ripresenta di notte, quando non riusciamo a prendere sonno, del tutto spontaneamente e senza essere stato invitato. Anche in tal caso la memoria è un cane, arriva scodinzolando a riportarci proprio quello che avevamo gettato via per liberarcene.
La parte della nostra memoria in cui registriamo quello che ci capita viene chiamata in psicologia da una ventina d’anni a questa parte "memoria autobiografica". Si tratta della cronaca della nostra vita, un lungo registro che consultiamo quando qualcuno ci chiede quale sia il nostro primo ricordo, che aspetto aveva la casa in cui abitavamo da piccoli o qual è l’ultimo libro che abbiamo letto. La memoria autobiografica è, nello stesso tempo, diario e libro dell’oblio. È come lasciare che sia un segretario indisciplinato ad annotare la tua vita, uno che persegua interessi propri, che prenda nota minuziosamente di ciò che avresti preferito dimenticare e che, nei momenti di gloria, fa finta di prendere diligentemente appunti ma in realtà di nascosto ha già avvitato da un pezzo il cappuccio sulla penna.
La memoria autobiografica ha leggi proprie ed enigmatiche. Perché non è stato annotato quasi niente prima del nostro terzo o quarto anno? Perché le offese vengono scritte sempre con inchiostro indelebile? Perché le umiliazioni sono state fissate per anni e anni con la minuziosa precisione di un verbale? Perché quando succede qualcosa di triste si ripresentano sempre momenti tristi? In caso di depressione o di insonnia la memoria autobiografica si trasforma in un registro mesto: ogni brutto ricordo viene portato verso altri brutti ricordi da una rete opprimente di rimandi incrociati. Ogni tanto la nostra memoria ci sorprende. Un odore, all’improvviso, ti riporta alla memoria una cosa alla quale non avevi più pensato per trent’anni. Una strada dove eri stato per l’ultima volta a sette anni si è ristretta fino a diventare irriconoscibile. I ricordi di gioventù possono presentarsi ai nostri occhi in maniera più nitida durante la vecchiaia che a quarant’anni. E questo è soltanto ciò che avviene tutti i giorni nella nostra memoria. Ci piacerebbe capire perché ci ricordiamo ancora esattamente dov’eravamo quando la principessa Diana ebbe l’incidente, come nasce l’esperienza di un déjà-vu e com’è possibile che il tempo sembri accelerare con l’età.
È singolare il fatto che in psicologia solo da poco si sia individuato ciò che si potrebbe chiamare una "memoria autobiografica". Perché la capacità di immagazzinare esperienze personali e di ricordarle in un secondo tempo è proprio ciò che nell’uso linguistico quotidiano ha sempre avuto il significato di "memoria". Che cos’altro potrebbe comprendere la nostra memoria se non "esperienze personali"? Questa domanda si fonda su un malinteso. In ogni manuale di psicologia si distinguono decine di tipi di memoria. Alcune forme di memoria rimandano alla durata dell’immagazzinamento, come la memoria a breve o lungo termine, altre al senso al quale sono collegate, come la memoria uditiva o quella iconica, altre ancora al tipo di informazione che vi è stata immagazzinata, come la memoria semantica, motoria o visiva. Tutti questi tipi di memoria hanno leggi e caratteristiche proprie: il significato di una parola si ricorda in modo diverso dai movimenti dei piedi mentre si guida un’automobile, e il teorema di Pitagora a sua volta in maniera diversa rispetto al primo giorno di scuola. Il fatto che, con tutte queste forme diverse di memoria, solamente all’inizio degli anni ottanta sia stato introdotto un termine tecnico per l’immagazzinamento di ricordi di avvenimenti personali non è quindi, a un più attento esame, così strano. Bisogna piuttosto chiedersi come mai la ricerca sulla memoria autobiografica si sia messa in moto soltanto allora. Perché così tardi?
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Perché la vita accelera con l’età
La memoria autobiografica è la nostra compagna più intima. Cresce insieme a noi. Quando abbiamo cinque anni si comporta in un modo, quando ne abbiamo quindici o sessanta in un altro, anche se i cambiamenti sono talmente lenti che li notiamo a malapena. Le domande suscitate dalla memoria autobiografica si collocano su un asse temporale, nella vita e in questo libro. Tra i primi ricordi e la smemoratezza della vecchiaia, tra la formazione della memoria e l’erosione dei ricordi, tra il non ancora e il non poter più ritenere, vi sono domande che devono sorgere in tutti quanti, semplicemente perché abbiamo una memoria. È impossibile non guardare sorpresi di tanto in tanto chi ci accompagna, già da una vita, al nostro fianco. Le risposte andranno cercate negli studi sulla memoria autobiografica, che in questo momento stanno aumentando rapidamente in ampiezza, entusiasmo e portata. Ma non soltanto lì. Per molti psicologi, me compreso, è diventata una seconda natura accennare un "si accomodi" alle domande adatte agli strumenti di cui comunque disponiamo nel nostro campo. L’esperimento ne fa parte, l’inchiesta, la misurazione di processi fisiologici o neurologici, al giorno d’oggi anche le tecnologie di trattamento delle immagini come il pet-scan e un’altra manciata di strumenti. Questi metodi definiscono i confini di ciò che si lascia studiare. Preferiamo non essere infastiditi da ciò che rimane fuori. Non si addice al nostro tipo di ricerca.
Che è il riflesso.
Perché la vita accelera con l’età è un tentativo di opporsi a questo riflesso. Molto di ciò che proviamo con la nostra memoria ha luogo in una scala temporale che non ammette ricerche sperimentali. Alcuni fenomeni sono troppo passeggeri per poter essere registrati. I déjà-vu nascono all’improvviso, quando ti rendi conto di viverne uno quella mirabile sensazione di ripetere una parte della tua vita è già scomparsa di nuovo. L’illusione invece che il tempo acceleri con l’età è, a sua volta, un fenomeno troppo prolungato: nella scala di una vita umana non puoi fare prove. Poi ci sono altre esperienze che si presentano in circostanze che escludono ricerche sperimentali. Alcune persone che si sono trovate all’improvviso in forte pericolo di vita hanno raccontato in seguito di aver visto passare davanti ai propri occhi una rapida serie di immagini; come si potrebbe mai verificare una cosa del genere in condizioni di laboratorio? Il dilemma è chiaro: o metti da parte simili domande o cerchi la risposta al di fuori del metodo sperimentale. La risposta a tale scelta è racchiusa nel titolo di questo libro. Anche laddove la ricerca sperimentale diretta sia impossibile si possono raccogliere dati che forniscono almeno in parte una risposta. Talvolta si esce dai confini della psicologia: sui ricordi vi sono anche degli scritti di neurologi e psichiatri, scrittori e poeti, biologi e fisiologi, storici e filosofi, che talvolta si pongono al di fuori dell’attuale psicologia; sono i colleghi che hanno preceduto Ebbinghaus i quali, con tanta ingenuità e disponendo soltanto delle loro esperienze e osservazioni personali, hanno riflettuto e scritto a proposito di domande che adesso non compaiono più in nessun programma di ricerca.
In un’introduzione il lettore e lo scrittore partono da angolazioni opposte. Per il lettore il libro si trova nel futuro, per lo scrittore nel passato. Riandando con il pensiero al suo libro lo scrittore capisce di essere più vicino a Galton che a Ebbinghaus, che le "vecchie" associazioni hanno condotto spesso i suoi pensieri al periodo iniziale della psicologia. Così lo stesso Perché la vita accelera con l’età è diventato l’espressione di un effetto-reminiscenza. È stato un bel periodo.
INDICE
7 "Il ricordo è come un cane che va a stendersi dove gli pare"
22 Lampi nel buio: primi ricordi
39 Odore e ricordo
54 Rincrescimento
58 Come fosse ieri
62 Il lampo interiore
69 Perché ricordiamo in avanti e non indietro?
76 Le memorie assolute di Funes e Serasevskij
87 Il vantaggio di un difetto: la sindrome del savant
115 La memoria del grande maestro: conversazione
con Ton Sijbrands
125 Trauma e ricordo: il caso Demjanjuk
151 I quarantacinque anni di matrimonio di Richard
e Anna Wagner
162 "Giriamo in specchi ovali in tondo": sui déjà-vu
197 Reminiscenze
229 Perché la vita accelera con l’età
257 Sull’oblio
271 "Ho visto la mia vita passarmi davanti come in un film"
301 "Dal ricordo: Ritratto con natura morta"
307 Bibliografia
319 Indice dei nomi
325 Fonti e referenze fotografiche
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