Propongo, qui, una breve riflessione sul sapere anatomico impartito nelle Facoltà mediche, prendendo lo spunto dalla recente uscita del saggio di Rafael Mandressi. Vediamo.
Chi voglia portare avanti una riflessione critica sui processi formativi del medico, del neurologo e dello psichiatra, non può esimersi dal constatare le carenze della loro formazione universitaria sul terreno storico e su quello epistemologico. Dentro l’Università quasi tutti i docenti delle Facoltà mediche, se interpellati, giustificano tali carenze: gli studenti, essi dicono, già oberati da carichi di lavoro molto elevati, mal sopporterebbero approfondimenti di tipo storico ed epistemologico, tutto sommato irrilevanti rispetto alla specificità tecnica delle discipline. Simili argomentazioni – largamente prevalenti, nonostante qualche rara eccezione – ci hanno sempre lasciato perplessi. Presentare una disciplina scientifica anche in una prospettiva storica ed epistemologica non implica, necessariamente, un sensibile aumento dei carichi di lavoro dello studente; implica, semmai, la possibilità di dare un senso e uno spessore problematico alle nozioni impartite; implica, semmai, una maggiore possibilità di indurre passione e consapevolezza critica nei discenti, abituandoli ad una concezione antidogmatica e laica – laica in quanto relativa, in quanto storica, in quanto non assoluta – della verità scientifica: una concezione necessaria soprattutto oggi, visto il rapido accumulo delle "scoperte", visto il vertiginoso progredire della ricerca sperimentale, vista l’accelerazione dei tempi di mutamento delle teorie e dei singoli paradigmi. A sostegno del nostro punto di vista può essere utile citare, tra le "eccezioni" più significative, il caso di Joseph Needham (1900–1995), una delle grandi figure della scienza e della cultura novecentesca: prima di dedicarsi, a partire dagli anni quaranta, alla storia della scienza cinese – la sua monumentale Science and Civilisation in China (tradotta da Einaudi) lo ha consacrato, in quest’ambito, come lo studioso più autorevole del novecento – Needham fu un valente ed originale biochimico, dedito alla costruzione di una sintesi tra la morfologia sperimentale, l’embriologia e la biochimica. Egli è cresciuto, prima come studente, poi come ricercatore e come professore, nel laboratorio di biochimica dell’Università di Cambridge. Con le sue ricerche – e soprattutto con la sua Chemical Embriology (3 volumi, 1931) – si è imposto nel ricco panorama della biologia britannica dell’ante-guerra, caratterizzato da presenze significative: presenze molto marcate sia sotto il profilo strettamente scientifico sia sotto il profilo filosofico, ideologico e politico: da sir Hopkins, padre spirituale di Needham, a Waddington, da Bernal a Haldane, per non citare che loro.Nella sua lunga prefazione a Chemical Embriology, Needham traccia un profilo storico dell’embriologia, dalle origini al 1800. Un anno dopo, nel 1932, questa prefazione diventa un’opera a se stante (A History of Embriology), che testimonia l’impegno dell’autore a fondare una storia delle scienze intesa come importante capitolo della scienza militante. A Cambridge, certamente, egli fondò la storia delle scienze come disciplina a se stante, ma continuò comunque, nel contempo, a concepirla come parte costitutiva dell’impresa scientifica, riservandole un ruolo privilegiato anche all’interno dell’attività didattica (una trattazione di carattere storico-filosofico occupava spesso la parte introduttiva dei suoi corsi universitari).
Anche nell’ambito delle discipline anatomiche, ci sembra, dovrebbe essere seguìto l’esempio di Joseph Needham.Vogliamo allora cominciare con un modesto consiglio; un consiglio leggermente malizioso, rivolto a tutti i docenti di queste discipline: soprattutto ai docenti prigionieri di una miope e paralizzante acribia disciplinare, troppo spesso egemone nelle nostre università. Essi potrebbero utilizzare, come lettura propedeutica al loro insegnamento, il recentissimo saggio di Rafael Mandressi: una ricca ricognizione dei significati culturali e degli sviluppi dell’anatomia – della "civilisation de l’anatomie" – dall’età umanistica fino alla nascita ed al consolidarsi del sapere clinico. Agevolati dallo stile chiaro e gradevole dell’autore, essi potrebbero facilmente approfondire alcune importanti evidenze storiche, troppo spesso ignorate dai tecnici. Vediamo.Nel periodo del grande sviluppo, del grande slancio della "passion anatomique", a partire dalla prima metà del Cinquecento, l’anatomia è stata certamente un sapere prodotto da medici e da uomini di scienza, ma anche, al tempo stesso, un discorso che intratteneva strette relazioni con varie attività e con diversi campi conoscitivi: l’estetica, la pittura, la scultura – basti citare Leonardo, Michelangelo, Luca Signorelli, Raffaello – ed inoltre la logica, l’architettura, la retorica. Il discorso anatomico ha condiviso, con questa varietà di campi conoscitivi ed espressivi, l’amore per il dettaglio, l’attenzione alla struttura, all’ordine, alla composizione, all’assemblaggio, alla relazione delle parti tra di loro e delle parti con il tutto. Lo sguardo, la pratica e il sapere dell’anatomista sono diventati, soprattutto in età barocca, il modello di un buon procedimento analitico, al punto che la stessa parola – anatomia – è stata utilizzata come metafora dell’analisi in svariati territori: dalla morale al costume, dalla politica alla religione. Mandressi ci ricorda, tra l’altro, un’Anatomia della messa, scritta dal polemista protestante Agostino Mainardo. Noi vorremmo ricordare, a titolo di esempio altamente significativo, la monumentale summa barocca del medico oxoniense Robert Burton, baccelliere in teologia e membro della Chiesa Anglicana (The Anatomy of Melancholy, 1621): un riferimento importante di tutta la cultura elisabettiana e al tempo stesso uno snodo fondamentale per tutti coloro che indagano sulla storia e sulle coordinate antropologiche della malinconia occidentale.
Dal lavoro storico di Mandressi emergono problematiche molto fertili che, come già si accennava, potrebbero essere proficuamente valorizzate all’interno di un insegnamento universitario dell’anatomia: un insegnamento che sia in grado di restituire allo studente, assieme ai necessari contenuti tecnici, anche la dimensione storico-filosofica della disciplina.
Ma c’è di più. Partendo dall’analisi di Mandressi relativa al rapporto tra anatomia e arti figurative – e sviluppandola nella direzione di una nuova interrogazione critica del sapere anatomico – possiamo mettere a fuoco una chiave di lettura estremamente "attuale" (proficuamente utilizzabile in ambito didattico), a partire da una riflessione sull’anatomia rinascimentale e sui famosi disegni anatomici di Leonardo. Mi riferisco, qui, ai famosi e straordinari disegni dello sviluppo del feto nel grembo materno, della sezione sagittale di due corpi nel momento del coito, del sistema dei ventricoli cerebrali, eccetera: tutti disegni volti a cogliere le strutture anatomiche nell’espletamento delle loro funzioni vitali.Sempre attento, più che al cadavere, al corpo vivo, al corpo in movimento – cioè al corpo inteso come macchina vivente e non come macchina inerte – Leonardo prefigura uno spazio epistemologico che ha conosciuto, dopo di lui e fino ad oggi, importanti e significativi sviluppi. E’ lo spazio occupato, in questi ultimi anni, da uno studio morfofunzionale degli organi, che rappresenta il luogo della giunzione tra anatomia e fisiologia: e cioè il superamento di un’anatomia concepita come mera descrizione delle strutture, conseguente alle scoperte prodotte dalla dissezione e dall’osservazione. E’ normale che "tutt’i membri – scriveva Leonardo – esercitino quell’ufficio al quale furono destinati" (Trattato della pittura,pag. 279). Cogliere le caratteristiche qualitative e il movimento dei corpi ("qualità e moto", pag. 110): questo il compito del pittore che rappresenta il corpo umano; "al pittore è necessario sapere l’intrinseca forma dell’uomo": perciò, chi dipingerà il movimento di un membro o di un muscolo, "saprà bene […] quanti e quali nervi ne siano cagione" (pag. 103). All’analisi formale e quantitativa, fondata su misure (studio di simmetrie, di regolarità, di proporzioni, eccetera), Leonardo affianca sempre un approccio fisico-qualitativo, fondato sulla registrazione delle "metamorfosi" prodotte dal tempo. Si veda ad esempio lo studio delle vene. Egli le misura e le raffigura come se fossero strutture solide, ma le individua contemporaneamente nella loro mutevolezza formale. Scrive perciò: per effetto del tempo, "le vene sono astensibili e dilatabili"; infatti, "quando le vene s’invecchiano esse si destruggan la loro rettitudine nelle loro ramificazioni e si fan tanto più flessuose ovver serpeggianti" (Windsor Castle, Royal Library, RL 19027 r). Questo gioco continuo tra la struttura e la funzione – tra la quantità e la qualità, tra la "materia" e la bellezza, tra la "sustanzia" e la sua mutevole elasticità – attraversa in profondità i disegni anatomici e le riflessioni leonardesche sul corpo. La bellezza qualitativa delle forme esterne – dipendente dalla varietà dei loro movimenti e delle loro funzioni – viene, per così dire, continuamente rapportata alle sue cause interne, e cioè alle strutture anatomiche che la rendono possibile. Sorprendente la modernità di Leonardo, in questa stretta giunzione tra analisi delle strutture e studio della loro funzione!!!Il discorso, qui appena abbozzato, potrebbe continuare…
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