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Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza

8 Apr 13

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La ristampa attuale del libro apparso nel 1976 ripropone un’opera veramente epocale sull’origine della coscienza, a partire dall’ipotesi fondante di una mente bicamerale: un’ipotesi che è rimasta tale ma che rappresenta comunque un’affascinante lettura della storia, una fonte d’ispirazione e uno strumento euristico di grande importanza.

Le caratteristiche del sistema nervoso centrale su cui si basa questa costruzione sono plasticità, ridondanza, asimmetria emisferica e l’apparato sperimentale utilizzato si basa su studi neurofisiologici e clinici, impianto di elettrodi per elettrostimolazioni, commissurotomie ecc., anche se essi non sono stati un contributo diretto dell’autore per sostenere sperimentalmente le sue congetture.

Nel 1988 Jaynes ha pubblicato un articolo intitolato Consciousness and the voices of the mind — tradotto recentemente in italiano per POL.it, nella sezione "Epistemologia e Storia" [ http://www.pol-it.org/ital/julian.htm ] — in cui riassume le sue idee e ne ribadisce il punto di partenza biologico, ovvero la teoria evoluzionistica di Darwin-Wallace. Egli analizza, qui, l’ipotesi emergentista relativa alla genesi della coscienza come prodotto della complessità e puntualizza il fatto che la coscienza non è l’intera attività mentale, non è una copia dell’esperienza, non è necessaria per l’apprendimento, non è necessaria per il pensiero e la sua ubicazione non è obbligatoriamente il cervello. La mente conscia soggettiva è piuttosto una ricostruzione dell’esperienza e costituisce un analogo del mondo reale.

La complicazione del problema e la difficoltà della sua soluzione sono evidenti dal grande numero di ipotesi ad hoc, di affermazioni prive di dimostrazione e soprattutto di neologismi proposti, quali ad esempio struzione, metaferendo / metaferente, paraferendo / paraferente, narratizzazione, bicamerale ecc.

Parte fondamentale dell’ipotesi di Jaynes è il linguaggio e la sua evoluzione; il linguaggio viene da lui usato anche come "sonda" per identificare le origini della coscienza. Per quanto riguarda il linguaggio scritto, l’Iliade viene considerata come esempio di testo abbastanza esteso da permettere di identificare in esso le caratteristiche di narrazione ricostruttiva (narratizzazione). Il quesito relativo a questo testo è se da esso possa emergere la concezione di un io analogico che occupa lo spazio della mente dei personaggi. In realtà non sembra che in essi vi sia spazio per l’introspezione o per l’uso dei ricordi personali. Le loro decisioni sono sempre attribuite ad allucinazioni uditive definite "voci" divine e considerate come provenienti dagli dèi.

La mentalità degli eroi dell’Iliade è stata definita con la metafora della bicameralità parlamentare, in quanto considerata divisa in due parti, cui spetta rispettivamente l’attività decisionale e quella esecutiva, secondo il modello istituzionale americano. Una parte della mente, infatti, "decide", cioè accoglie il volere degli dèi; l’altra "esegue" quanto da essi ordinato. Questo sarebbe il funzionamento della mente arcaica ed esso assicurerebbe, nelle culture primitive, il controllo e l’ordine di società fortemente gerarchizzate e strutturalmente stabili. Gli dèi a cui queste culture si riferivano erano peculiari della loro struttura teocratica, ma erano anche individuali, come il ka degli egiziani, e quindi lo sviluppo demografico complicò progressivamente i rapporti tra mondo degli uomini e mondo degli dèi. La fine delle civiltà antiche corrispose con l’apparente scomparsa degli dèi e delle loro voci: la mente bicamerale primitiva cessò di esistere. Molti furono i fattori che contribuirono al crollo e tra essi Jaynes indica lo sviluppo della scrittura e l’uso della divinazione come tentativo di sostituire la funzione direttiva delle voci. Il potere che il linguaggio ha di creare metafore venne potenziato nel caso del linguaggio scritto e da tale potere scaturì una coscienza più evoluta che prese il posto della sua forma bicamerale primitiva.

L’interpretazione neurologica relativa alle informazioni ammonitorie immagazzinate nell’area di Wernicke e trasferite dall’emisfero destro a quello sinistro via commissure anteriori è la parte forse più criticabile dell’ipotesi di Jaynes. Egli comunque conclude il suo ragionamento affermando che "gran parte delle differenze che oggi osserviamo nelle funzioni dei due emisferi può essere vista come il riflesso delle differenze tra i due lati della mente bicamerale".

Nonostante quello che è stato definito come "crollo", le vestigia della mente bicamerale sarebbero ancora presenti nella coscienza moderna e una delle prove addotte per comprovare ciò è la persistenza della funzione allucinatoria nel nostro mondo, anche se la sua importanza non è simile a quella che essa aveva nel passato.

Una delle più rilevanti testimonianze storiche dirette di voce divina udita nel passato è la storia dell’egiziano Tamo, pilota di un mercantile, raccontata da Plutarco nel famoso dialogo delfico intitolato Il tramonto degli oracoli (un testo importante, ignorato da Jaynes, che mette in scena il tramonto del mondo pagano, scandito da una realtà nuova e sconcertante: il silenzio degli dei e degli oracoli; gli dei e gli oracoli tacciono; gli dei e gli oracoli non parlano più agli uomini).

Il pilota, nel mare Adriatico, aveva udito una forte voce che diceva "Il grande dio Pan è morto" e la natura straordinaria dell’esperienza lo portò a riferirla all’Imperatore Tiberio. Questa voce udita all’inizio dell’era cristiana sembra candidarsi come voce bicamerale che chiude l’evo antico, anche se essa non rimase certo isolata. Molte infiammate affermazioni di San Paolo, come quella relativa alla "follia della Croce" sembrano infatti dettate da voci allucinatorie simili a quelle di mistici, veggenti e santi che diventarono la guida per la nuova religione dell’occidente.

Torniamo al libro di Jaynes. Secondo la sua ipotesi neurobiologica di base, nell’uomo dell’antichità l’area dell’emisfero destro corrispondente e simmetrica all’area di Wernicke dell’emisfero sinistro, preposta ad importanti caratteristiche del linguaggio, aveva una funzione allucinatoria legata all’organizzazione dell’esperienza di "voci" percepibili in parte anche dall’emisfero sinistro. Abbastanza indefinita resta la relazione tra la programmazione genica e l’influenza ambientale nel determinismo di tale funzione; ma, come succede spesso, dopo aver formulato un’ipotesi brillante, l’autore ha cercato di rendere ad essa compatibili tutti i fatti considerati. Sembra comunque che la funzione allucinatoria venisse impiegata come volontà di fare o non fare determinate azioni attribuita a un’ ispirazione diretta degli dèi. Per l’autore, verso la fine del secondo millennio a.C., al tempo della vicenda babelica, si verificò la frattura tra voci divine ispiratrici ed azioni umane, mentre dal crollo della mente bicamerale emerse la mente cosciente moderna. Fondamentale per l’evoluzione della coscienza è la capacità di narrazione rielaborativa o narratizzazione, cioè ristrutturazione dell’insieme di percezioni che determinano l’immagine del mondo, mentre la progressiva modifica dei meccanismi d’interazione emisferica implica il cambiamento di questa capacità legato al peso diverso che in essa hanno le allucinazioni.

Una delle motivazioni più importanti del libro è l’attenzione per le zone buie della mente, la cui funzione viene giustificata dal punto di vista neurobiologico, anche se talvolta con qualche forzatura. Non viene comunque trascurato il fatto che la mente sia, tra le altre cose, una costruzione storica e che questa storia discenda in un abisso sempre più difficile da scandagliare.

"Profondo è il pozzo del passato": tre battute legate in un accordo che attraversano, come un grande tema wagneriano, tutta la saga di Giuseppe e i suoi fratelli, la grande narrazione in cui Thomas Mann ha rielaborato i temi biblici del momento di articolazione tra un passato mitico ed un passato storico. Ondivago è il confine che separa-congiunge mito e storia, come una cortina indefinibile capace di velare e svelare ad un tempo il mistero di un passato lontanissimo ma legato in modo cruciale al nostro presente.

Jaynes definisce la coscienza come un teatro prodotto dalla storia dell’uomo oltre che dalle proprietà della materia di cui è fatto il cervello. Il tutto è risultato da un apprendimento in cui il linguaggio gioca un ruolo essenziale e l’acquisizione di un linguaggio analitico che si espresse come scrittura è posta tra le cause del crollo della mente bicamerale con l’attenuazione, se non addirittura la scomparsa, delle capacità allucinatorie da cui emergeva un mondo pieno di voci divine.

La stretta relazione tra parola scritta e mondo fenomenico è stata segnalata, per esempio nel mondo islamico, da Tabari-Bal’ami, secondo il quale Allah creò cielo, terra e astri solo dopo aver usato il suo calamo per scrivere. L’importanza della narrazione in questo mondo antico emerge anche dalla storia di Shahrazad, la narratrice di storie che escono le une dalle altre senza pervenire mai ad una conclusione e sono lo specchio dell’esistenza umana, in cui il massimo che uno può fare è cercare di procrastinare, se può, la propria inevitabile fine.

Le innumerevoli preghiere che popoli scomparsi hanno rivolto ai loro dèi ci restano oggi come fredde parole scritte, nelle quali vi è solo una eco molto tenue della fede con cui sono state pronunciate.

Popoli scomparsi, dèi dimenticati, terrori che oggi sembrano incomprensibili, tutta la forza della passione umana per il nascosto, l’inconoscibile, il timore e tremore di fronte alla trascendenza…

E queste preghiere hanno forma di storie di cui non sappiamo più il vero significato: le diverse cosmogonie, la capacità a volte mirabile di prevedere il futuro, gli sforzi di districare la catena di consecuzioni, reali o arbitrarie, per distillare un senso, "il senso" di quella cosa apparentemente insensata che è la vita umana. Tutto si è accumulato come un immenso, polveroso magazzino, che si giustifica solo perché esiste.

La mente cosciente soggettiva dell’uomo moderno appare come motore della storia che sembra un susseguirsi di atti di volontà umana, di scelte intrecciate con la casualità degli eventi. Questa mente si contrappone a quella arcaica in cui le "voci" degli dèi comandano all’uomo ogni azione e comportamento, determinandone il destino e quindi la storia.

Un momento drammatico del passato non molto lontano fu quello in cui civiltà sprovviste di scrittura, come quella Inca, espressioni di una mente bicamerale ancora soggetta ai voleri degli dèi, si scontrarono con la cultura europea dei Conquistadores, che le spazzò via in nome di una parola scritta testimone dell’unica verità possibile in un mondo orfano di dèi: espressione di una teocrazia ipocrita costruita solo come instrumentum regni.

Nella cultura europea, prodotto della mente cosciente, il peso della componente allucinatoria sembra minimo, anche se non si può dire che essa sia del tutto scomparsa, poiché si possono ancora riconoscere in essa vestigia della mente bicamerale. Vi sono infatti patologie — come la schizofrenia e l’epilessia — in cui le allucinazioni hanno un ruolo importante. Inoltre, molti dei cosiddetti stati di coscienza alterata, prodotti da droghe o manipolazioni della percezione, sono la versione moderna di stati con cui i nostri predecessori sembravano avere la massima familiarità. La persistenza di un nucleo bicamerale è infine testimoniata dalla creazione artistica e dal suo apprezzamento, prodotti della mente cosciente e da pulsioni identificate con l’inconscio. In un saggio intitolato Il piacere estetico e i suoi fondamenti neurobiologici (Supernova, Venezia 2002), ho analizzato il collegamento tra l’emozione estetica e la componente estatica che, nella creazione artistica e nel suo apprezzamento, è un momento cruciale di questi fenomeni; un momento capace di farli rientrare nell’ambito delle esperienze allucinatorie legate alla non ancora scomparsa bicameralità della mente moderna.

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