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Donne allo specchio (Catalogo di 21 opere pittoriche)

9 Apr 13

Di Mario Galzigna

[Presentiamo questo catalogo riportando qui – per i lettori di POL.it e con il consenso degli autori – il testo della presentazione; il Catalogo può essere richiesto all’editore Giacomo Lodetti, Libreria Bocca, Galleria Vittorio Emanuele II, 20121, Milano. Segnaliamo anche la mostra dei quadri di Plevano stampati in questo Catalogo presso la Libreria Bocca]

 

SOMIGLIANZA, RIPETIZIONE E SIMILITUDINE

Nell’ambito della pittura classica, i modi della rappresentazione si sviluppano nell’orizzonte della somiglianza. La Figura, in quanto presenza affermativa, mima e rappresenta qualcosa a cui può rassomigliare, nelle maniere più svariate e differenziate: un modello, un referente originario, una matrice di significati. Il carattere rappresentativo, narrativo e mimetico della Figura si dispiega compiutamente proprio all’interno di questa necessaria ed incessante dialettica tra il significante e il significato. Solo lo straordinario lavorio della pittura astratta — come sottolinea Deleuze nel suo grande libro su Francis Bacon — è riuscito a "strappare l’arte moderna alla figurazione": è riuscito a "rompere la rappresentazione", a "spezzare la narrazione", a "impedire l’illustrazione".

Lungo tutto il suo complesso itinerario artistico, Roberto Plevano raccoglie e reinterpreta l’eredità dell’astrattismo, giocando molto frequentemente, con tenace ed originale accanimento, sulla potenza e sull’indefinita varietà di un immaginario geometrico.

Con le sue Donne allo specchio, tuttavia, egli sembra quasi ritornare sui suoi passi, recuperando il carattere figurativo delle prime opere. Ma il ritorno è solo apparente: in queste donne, in realtà, il "figurale", per dirla con Lyotard, si contrappone al figurativo. Vediamo.

La Figura femminile — presenza solitaria, disegnata sopra una campitura nera — viene sempre raddoppiata in uno specchio. Dentro questo specchio, il più delle volte arricchito da uno sfondo naturale stilizzato, la Figura sembra quasi trasferita e ridisegnata, ma anche delimitata e contenuta: sottratta, in ogni caso, all’ambito della rappresentazione e della somiglianza. Continuamente reiterata e variata, essa diviene il luogo incantato della differenza, resa possibile dai nitidi bagliori di una ripetizione ossessiva.

Le Figure — dentro e fuori dallo specchio — riprendono e sviluppano le forme circolari e le forme geometriche curvilinee che popolavano significativamente le opere del periodo astratto: forme simbolicamente contrapposte, molto spesso, al tratto rettilineo, così come, nell’ordine del pensiero e della vita pulsionale, l’istinto si contrappone molto spesso alla ragione (si vedano, al proposito, i due quadri del 1986, emblematicamente titolati Istinto e ragione).

Nella raccolta Costa Paradiso o della fluida metamorfosi (1989), la proliferante varietà dell’immaginario geometrico sfociava, in non pochi casi, nella produzione di immagini femminili stilizzate, dominate dal tratto curvilineo: confinate entro forme geometriche oppure riproposte e trasferite in uno specchio. La realizzazione visiva, ieri come oggi, è fondata sui tratti intensivi ed autoreferenziali della similitudine, piuttosto che sulle dinamiche estensive ed eteroreferenziali della somiglianza. Il motivo dominante prolifera serialmente. La similitudine, come scriveva Michel Foucault commentando Magritte, "si sviluppa in serie che non hanno né inizio né fine" e "serve alla ripetizione che vi corre attraverso".

La linea curva dei contorni, con i cerchi e le ellissi che la riempiono, rinvia ad un’immagine archetipica del femminile: più che a donne reali, riconoscibili nella loro identità storica, essa rinvia ad un "femminile", solitamente tènero e pacificato — insieme distante e vicinissimo — vissuto e manifestato da Plevano come elemento costitutivo del suo immaginario psichico.

Particolarmente originale l’impianto complessivo del catalogo, nel quale ogni quadro viene affiancato da una poesia di Elena Petrassi. La cifra espressiva del catalogo è consegnata ad un continuo movimento altalenante, che va dalla forma pittorica al discorso poetico, e che dal discorso poetico ritorna circolarmente alla forma pittorica.

Le ventuno poesie che accompagnano i quadri — ai quali prestano anche la loro titolatura — configurano una sorta di movimento interpretativo interno al catalogo. Le parole, in altri termini, commentano l’immagine. Tra i due livelli vige una sorta di asimmetria costitutiva, grazie alla quale non si può dire né che il testo trovi nell’immagine il suo principio regolativo, né, all’inverso, che l’immagine individui nel testo la cifra e la matrice dei suoi significati. L’universo linguistico compare dunque come commento, come lavoro interpretativo, come lettura dell’universo visivo, lasciando al fruitore una duplice libertà: sia quella di assumere, nella sua evidentissima autonomia, ognuno dei due livelli dell’espressione, sia quella di condividere o di confutare — e quindi, in ogni modo, di comprendere e di interpretare — il commento proposto.

Ritorniamo, per un attimo, alla distinzione tra similitudine e somiglianza. Le ventuno poesie — tutte improntate, come è nello stile dell’autrice, ad un lirismo intenso e passionale, spesso scandito da una dolente Stimmung malinconica — restituiscono alla similitudine, modalità costitutiva dell’opera pittorica, il respiro della somiglianza, il fervore dell’avvenimento, la vertigine dell’identità riconosciuta, l’urgenza della storia vissuta, i rumori del mondo esterno. Passare dall’immagine al testo, qui, significa rompere verticalmente l’autonomia della dimensione mentale ed autoreferenziale veicolata dall’immagine, mettendosi in contatto, attraverso la mediazione interpretativa di un’altra mente, con la presenza del mondo.

Dal femminile come archetipo del pittore — come componente visibile della sua interiorità — alla donna reale che si racconta; alla donna reale che dà voce a tante altre donne, conosciute e riconoscibili (ad esempio quelle a cui Elena Petrassi dedica le sue poesie): al loro immaginario, ai loro desideri, alle loro angosce, al loro ambiente, alla loro Umwelt.

L’immagine, dicevo, viene trasferita e ridisegnata in uno specchio. Ma lo specchio che la contiene e la delimita include quasi sempre una porzione di mondo: un cielo azzurro o multicolore, una luna, nelle sue fasi differenti, uno sfondo rosso, che fa pensare al fuoco. Un primo ed aurorale movimento che ci permette di transitare dalla mente al mondo è dunque già presente, forse, nell’ordito del visibile: quando ancora il visibile non può, per la sua stessa natura, diventare dicibile. Il discorso poetico fornisce continuità e spessore mondano a questo movimento orizzontale, appena abbozzato nel quadro, che va dalla mente al mondo.

Il corto circuito più suggestivo tra l’immagine ed il suo commento poetico è forse quello che collega la seconda lirica al secondo quadro: incontriamo, qui, Le donne senza volto: "I corpi devastati delle donne […] Scarnificate dalla fatica e dal lavoro". L’immagine, trasferita nello specchio, subisce un movimento di scomposizione, di deformazione e di scarnificazione. La verosimigliante sensualità della donna disegnata sopra la campitura nera si dissolve, in una torsione aspra e in una discontinuità radicale: quasi a significare un muto sgomento, una perdita definitiva, una ferita immedicabile. Nel cratere incandescente della sofferenza, la parola s’inabissa e la forma visibile deflagra. Entrambe, forse, riescono a parlarci ed a parlare di noi.

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