Questo testo completa la riflessione teorica di due libri precedenti dell'autore: Il futuro della modernità (1987) e Reale e virtuale (1992) dedicati ad una analisi dell'impatto nella vita sociale delle nuove tecnologie informatiche. L'autore smentisce però fin dalle prime battute la premessa posta nella prefazione al libro in cui afferma:
"Questo non è un libro 'contro' le nuove tecnologie informatiche, e neppure 'contro' la prospettiva di una società altamente informatizzata. Il fatto che io prenda le distanze, senza mezzi termini, dall'ottuso conformismo e dall'euforico trionfalismo oggi dilagante nei confronti di quelle tecnologie,e del loro eventuale impatto sulla società, non deve trarre in inganno: nulla mi è più estraneo di un atteggiamento di pregiudiziale diffidenza sul ruolo della tecnologia…detto questo se si vuole tutelare la loro carica innovativa, le tecnologie devono rimanere sempre aperte al dibattito delle idee".
Scivola invece velocemente e pericolosamente sul versante degli "apocalittici" nel corso della trattazione della Critica della ragione informatica. Non dà credito alla possibilità adombrata dai "guru" (Negroponte, De Kerckove,Sherry Turkle) circa il fatto che la rete possa permettere una forma didemocrazia partecipata; relega la funzione delle ëcomunità virtualiíad un puro conversazionalismo privo di reale efficacia comunicativa; ritieneriduttiva per lo scambio di idee la teleconferenza ed è semplicementeterrorizzato dalla possibilità che gravi e importanti decisionipolitiche possano essere concordate attraverso líuso di strumenti che consentonodi contraffare líidentità degli interlocutori.
Secondo questaottica chi ritiene che il cyberspazio possa essere uno spazio democratico si illude e verrà ingannato beffardamente da coloro che profetizzano (ovviamente in mala fede) la possibilità di questo evento, con una banale operazione di populismo informatico. Il disegno che starebbe dietro l'operazione di propaganda dell'informatica sarebbe l'opera di una agguerrita élite che gestisce la conoscenza e la capacità diprodurre di queste complicate macchine, di cui forse in definitiva potremmo anche fare a meno, anche perché complicano la nostra esistenza anziché semplificarla. L'auspicio è quello di un ritorno ad una specie didemocrazia ateniese, dove le persone raccolte in comunità "reali" tornino ad incontrarsi "nella realtà" e prendano personalmente "devisu" le loro importanti decisioni, anche per non aggravare la distanzatra il sapere – privato e specialistico – dell'"élite" con quello insipiente delle "masse".
Dopo questa inopinata incursione nel "giardino informatico" dei "guru telematici",dopo aver squarciato brutalmente il velo che copre questa terribile realtà e aver profetizzato che precipiteremo ben presto in una cupa indigenza informativa, l'autore non manca di porgere le sue scuse all'attonito lettore:
"Mi espongo al rimprovero di avere una visione troppo prevenuta verso le nuove tecnologie nella società democratica. La verità è che la mia circospezione riguarda 'esclusivamente' i fumosi scenari che prefigurano l'avvento di una società in cui, grazie al contributo delle nuove tecnologie, sarebbe possibile realizzare l'antichissimo sogno di una democrazia genuinamente partecipata. E per di più: planetaria. A mio parere, questo non è uno scenario credibile… In un mondo in cui tutte le visioni ideali sul nostro futuro sono state messe in fuga, il capitalismo cerca oggi affannosamente di occupare gli spazi lasciati vuoti. E lo fa ricorrendo, ad una ambiziosa 'metanarrazione'….l'arrivo imminente della 'repubblica elettronica' (pag.90-91)".
Ovviamente si tratta di un terribile inganno ordito dalle multinazionali dell'informazione. Ma non avevamo dubbi in proposito: come 'cybercittadini' siamo consci della sovranità tecnologica di imprenditori come Bill Gates.
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