Percorso: Home 9 Recensioni librarie 9 Psicoterapiadella schizofrenia. L’approccio cognitivo-comportamentale

Psicoterapiadella schizofrenia. L’approccio cognitivo-comportamentale

9 Apr 13

Di

La psichiatriainglese ha mostrato negli ultimi tempi un rinnovato interesse verso leterapie delle psicosi che non siano solo farmacologiche ma che includanoanche aspetti psicoterapici e sociali. Se infatti l'approccio biologicoha portato negli ultimi anni ad un affinamento progressivo ed encomiabiledei farmaci antipsicotici con risultati notevoli concretizzatisi negliultimi anni con la produzione di nuovi neurolettici sempre più potentie con sempre meno effetti collaterali, dall'altro si sente il limite diun approccio che non tenga conto delle esperienze soggettive del pazientee delle limitazioni che la malattia comporta nella vita di tutti i giorni.In questo senso, come già successo in Italia, ha avuto molta importanzala nuova legislazione britannica che ha chiuso i manicomi, per motivi essenzialmenteeconomici, ed ha spostato il peso della cura dei pazienti psicotici sull'assistenzanel territorio. Se l'incontro con l'altro deve dunque avvenire necessariamenteall'interno del contesto sociale (dove peraltro lo psichiatra perde anchemolto del suo potere coercitivo di prescrittore di farmaci) è quasiobbligatorio dovere tenere conto di tutte le modificazioni che l'ammalarsidi psicosi porta nel paziente e in chi gli sta intorno. In questo sensole psicoterapie tradizionali delle psicosi, oltre al fatto di essere pocotestate scientificamente sul campo, si sono dimostrate troppo dispendiosein relazione ai mezzi impiegati e risultati ottenuti per essere estesamenteimpiegate nel servizio pubblico. Richiedono infatti personale altamentespecializzato, molto tempo sia in termini di sedute che di durata dellaterapia, non aiutano il paziente nell'immediato, richiedono un grande investimentodi energie da parte del paziente stesso, non prevedono l'uso della terapiafarmacologica, si integrano male con i ritmi del servizio pubblico. Questied altri motivi hanno portato ad un fiorire di nuovi approcci cognitivo-comportamentaliper il trattamento delle psicosi  poiché si sono dimostrati da studi fatti sul campo,  più agevoli da usare, permettonodi avere risultati in minor tempo, richiedono un training meno impegnativiper gli operatori, prevedono l'uso dei farmaci, durano meno e si possonoimpiegare su un maggior numero di pazienti.  Attualmente in Inghilterra,oltre agli indirizzi psicoeducativi di Falloon che abbiamo già esaminato,ci sono quattro scuole: quella di Londra/Cambriche (Fowler, Garety, Kuipers),quella di Birmingham (Chadwick, Birchwood, Lowe), quella di Manchester(Tarrier, Bishay) e quella di Nottingham (Kingdon eTurkington). Questiultimi seguirono per 5 anni 64 pazienti schizofrenici, 19 dei quali eranonuovi casi, all' interno di un servizio pubblico, con una terapia cognitivo-comportamentaleche essi definirono normalizzante. La maggior parte dei pazientimigliorò, soprattutto riguardo alla tono dell'umore e alle disabilitàpresentate, nessuno dei nuovi casi ebbe ricoveri, non ci furono suicidi.Pochi tempo dopo i dati venivano confermati da un piccolo studio controllatoche confrontava la terapia normalizzante con la terapia di sostegno. Nell'approccioutilizzato veniva detto al paziente che l'esperienza psicotica ècomune a molte altre persone (generalizzazione) che non vi èseparazione netta con le esperienze normali (normalizzazione) eche quindi non è necessariamente minacciosa o pericolosa (decatastrofizzazione).L'intervento faceva uso anche di altre tecniche cognitivo-comportamentalicome la focalizzazione, la modifica delle convinzioni, il controllo dell'ansia e l'addestramento alle abilità. I risultati di queste esperienzesi trovano nel piacevole libro di Kingdon e Turkington che è divisoin due parti, una di teoria ed una di pratica. Nella parte teorica, sicuramentela più interessante del libro, dopo aver parlato dei fattori culturaliche contribuiscono a determinare il concetto di schizofrenia e dopo averintrodotto il modello vulnerabilità allo stress come utile modellooperativo di riferimento, gli autori esaminano uno per uno i principaliprocessi chiamati in causa nelle psicosi (la vulnerabilità, lasuggestionabilità, il pensiero, la comunicazione, l'identità,le allucinazioni, i sintomi negativi, l'insight, la critica della malattia,le paure) e dimostrano, citando sempre con precisione gli studi fattiin proposito, come non ci sia frattura tra le esperienze normali e quellepsicotiche. Entrambe si troverebbero su un continuum in cui le differenzesono quantitative e non qualitative e la cui linea di demarcazione vienedata solo da definizioni culturali. Così, per esempio, si passaquasi impercettibilmente dalla fede in fenomeni non scientifici (il 23%degli inglesi dichiara di credere nell'oroscopo, più del 50% nellatelepatia, etc.) alle convinzioni insolite, ai deliri.  Oppure, làdove si parla di allucinazioni, gli autori riportano come da studi fattisiano più diffuse di quel che si crede o che chiunque, se messoin condizioni adatte, può presentarle (stati di deprivazione sensoriale,mancanza di sonno, stati di stress come negli ostaggi, allucinogeni, et.). 

Scopo dellaterapia è quindi togliere l' ansia e l' angoscia inevitabilmenteassociate all'esperienza psicotica facendo capire al paziente che non stasperimentando niente di alienante ma che sta vivendo uno stato dimalattia al quale chiunque potrebbe andare incontro se messo nelle condizionigiuste. La malattia, ora a misura d'uomo, può essere affrontatacon il riconoscimento delle cause che hanno portato allo stress e l'identificazionedei propri limiti, con la messa in atto di strategie personalizzate die di riduzione della disabilità sociale. Nella seconda parte gliautori riportano  una serie di casi clinici in cui si vede come lepremesse teoriche possono essere efficacemente applicate nella praticaed è prodiga di consigli su come adattare l'approccio alle piùdiverse situazioni. In questo senso la seconda parte, se da un lato offremolti utili spunti di riflessioni e molti consigli da usare nella praticaclinica, dall' altra fallisce un po' nel sistematizzare il tipo di approccioproposto e risulta quindi poco chiaro per il lettore capire  comeorganizzare l'intervento in pratica.  
Se dunquela parte teorica dovrebbe essere letta da chiunque abbia a che fare conla terapia delle psicosi, per una migliore descrizione del processo terapeuticosi consigliano altri testi di terapia cognitivo comportamentale, considerandoche le differenze tra gli approcci della varie scuole inglesi non sonopoi così diversi come i loro autori pretenderebbero.

Schedaa cura del Dott. Alessandro Guidi, Psichiatria.
 

Loading

Autore

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia