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Il tempo è fuori dai cardini, l’inconscio è fuori dal tempo. A proposito di“Tardività. Freud dopo Lacan” di Alessandra Campo

4 Giu 18

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In apertura del suo Time Driven[i], Adrian Johnston propone di riformulare la tragedia di Edipo in una maniera “oltraggiosamente” psicoanalitica, ovvero non semplicemente facendo fede al classico enunciato secondo cui l’eroe sofocleo realizzi ciò da cui il nevrotico viene ancestralmente separato (parricidio e incesto, i tipici desideri edipici primordiali e rimossi, che le varie formazioni dell’inconscio si prefiggono di ammansire e sottomettere alla Legge di castrazione) ma, propriamente, raddoppiando questa formula, ovvero attribuendo ad Edipo il suo omonimo complesso. Ebbene, la lezione che se ne trarrebbe, secondo Johnston, sarebbe il razionale dell’intera psicoanalisi: la rimozione delle repressioni e delle inibizioni che tengono il Trieb sotto scacco non permette al soggetto il ricongiungimento con la jouissance sempre-già perduta. Insomma, la vera tragedia edipica, secondo questa rilettura, non starebbe tanto nella crudeltà con cui le strutture sociosimboliche punirebbero una tale infamia – in questo senso, effettivamente, Edipo si punisce da sé, non vi è alcun agente esterno a perpetuare il supplizio -, ma nel fatto che il trasgressivo superamento dei limiti imposti dalla Legge di castrazione (esaudimento dei desideri impossibili di parricidio e incesto) non procuri al soggetto il godimento sperato, quanto piuttosto l’orrore. La sospensione dei meccanismi di controllo della pulsione svela che dietro le promesse del godimento originario, al di là del velo che copre la Cosa, non c’è nulla, se non qualcosa di repulsivo e terrificante. O meglio, rielaborando quanto scrive Johnston, mi viene da dire che sia esattamente questo nulla ad essere repulsivo e terrificante. Distolta l’illusione del godimento impossibile, resta il luogo vuoto della pulsione. Il velo della Legge di castrazione, in questo caso, nasconde il fatto che non ci sia niente da nascondere. L’orrore allora subentra quando il soggetto realizza di essere egli stesso questo niente o, come direbbe Zizek, quando egli apprende di essere “il nome del niente, della sostanza vuota che separa la cosa da se stessa in quanto segno”[ii]. Anche se qualsiasi impedimento esterno venisse eliminato, la pulsione riuscirebbe comunque a produrre la propria repressione, ad autosabotarsi, allo scopo di preservare l’ultimo baluardo di jouissance. “Ottenere tale jouissance” afferma Johnston, “costituirebbe il trauma estremo per il Trieb”[iii], la sparizione del soggetto nell’afanisi (aggiungo io). 



Vi sarebbe insomma una zona insondata dell’inconscio che va considerata reale seppur indimostrabile, un punto infimo che resiste ad ogni presa soggettiva. A riguardo, scrive Sergio Benvenuto, “l’inconscio è reale proprio perché non si riduce all’interpretabile. Al contrario, è non tutto interpretabile perché è reale.[iv]
Su questa logica goedeliana dell’inconscio si è soffermato anche Sciacchitano, secondo cui, a prescindere dalla precisione e dalla profondità dello “scavo psicoanalitico, l’inconscio rimane sempre un pozzo epistemico senza fondo.[v]
Mentre per il primo tale “reale opaco di analizzabilità” è quel punto che Freud ha indicato come ombelico del sogno (“il sogno significa che c’è una scena terribile da guardare, ma non la mostra”[vi]), per il secondo lo scoglio ultimo di “ineliminabile sapere che resta non saputo” è la rimozione primaria. Non credo di forzare le opinioni di entrambi gli autori arrischiandomi a dire che i due, situando tale realtà nel fondo noumenico dell’inconscio, arrivino a dire che questa natura brulicante del soggetto sia, infondo, il soggetto stesso. Il surplus intrinseco che è nel soggetto più del soggetto.  Un puro reale che precede ogni simbolizzazione e che non solo aggancia a sé l’intera esperienza soggettiva ma, così facendo, la inaugura. Un indescrivibile senza nome intorno al quale la vita finisce per orbitare infinitamente e indefinitamente (di cui l’epitome è l’icastico e misterioso sogno dei lupi nel caso di Sergej Pankeev).
Riprendendo il commento di Johnston, potremmo pertanto dire che il fondo ultimo e non formalizzabile dell’inconscio lavori per preservare il soggetto dall’orrore, producendo lo sbarramento che lo distanzia dalla Cosa. Ma poiché abbiamo detto che al di là del velo della Cosa non c’è nulla, se non il solo passaggio del soggetto, allora potremmo anche dire che questo sbarramento distanzi non tanto il soggetto dalla Cosa quanto il soggetto da se stesso.
In poche parole, tale punto di abissale insondabilità è anche il meccanismo che preserva il soggetto dal chiudersi in sé, in una condizione monadologica di godimento. L’essere umano è costitutivamente protetto dalla chiusura incestuale e autistica del suo godimento perché, se il soggetto è questo stesso vuoto, colmarsi per lui vorrebbe dire sparire per sempre. Allora, il meccanismo noumenico che ci descrive Johnston, lungi dal costituire per l’uomo una desolante verità, contiene piuttosto la sua cifra più singolare, la costrizione ad uscire dal guscio autistico del Trieb e a darsi all’atto, a congiungersi estaticamente con il reale. Questa estaticità che porta il soggetto a “mettersi entusiasticamente alla ricerca di guai” e a “trascendere correlativamente il proprio organismo, il proprio essere vivente”[vii] è ciò che Benvenuto chiama trascendentalità.
La trascendentalità è la vita che, disperatamente, si preserva. Che con una letterale “disperata vitalità” trascende la propria posizione e si sottrae alla fatale coincidenza con se stessa, la quale vorrebbe invece dire sparizione: afanisi. La spinta fuor di sé certifica il non poter godere pienamente del reale, “e quindi del nostro non potere realmente godere”[viii]. In questo senso, il desiderio di essere reali, per come Benvenuto lo intenderebbe, corrisponderebbe al desiderio di partecipare a ciò che esiste come altro dal nostro sentirci, trascenderci.
Insomma, c’è una pulsazione centrifuga nel cuore del soggetto che gli impedisce di raggiungere questo fondo ancestrale, l’origine auto-traumatica che produce la risonanza infinita dell’inconscio. O, per meglio dire, l’origine auto-traumatica e il suo effetto coincidono, nella misura in cui l’Ur-Verdrangung, l’incontro sempre strutturalmente mancato, si sovrappone con il suo stesso effetto, l’inconscio. E questa simultaneità, questa causa formale che si sottrae ad ogni riduzione temporale, vale secondo la regola processuale del “tutto è qui, ma non tutto subito qui”[ix].
È in questa direzione (“l’inconscio è inesauribile e il compimento di una presa di coscienza è sempre già il cominciamento di un’altra”[x]) – e non solamente – che si muove il poderoso lavoro di Alessandra Campo, Tardività (Mimesis, 2018, 440 pp.). Ma, per avvicinarci all’incandescente nocciolo che il libro racchiude in sé senza rimanerne ustionati, dobbiamo prima tornare indietro di qualche passo.
“Nachtraglichkeit è il nome con cui [Freud] battezza la sua ossessione”[xi] scrive Campo facendo eco al ronzio del moscone heidegerriano de “l’uomo pensa un solo pensiero”. Ma, si direbbe, tale ossessione è altrettanto ricambiata dall’autore di Tardività (che fornisce una traduzione inedita della Nachtraglichkeit, assumendosi tutto il peso ermeneutico dell’operazione). Già in conclusione di Cosa può la filosofia?[xii], Campo propone a Badiou l’assist per colmare l’assenza di una teoria del tempo dell’atto. Questo assist, a suo dire, è proprio la Nachtraglichkeit, “la più grande invenzione freudiana” in cui “il ‘prima’ è causato dal ‘poi’” e “il ‘dopo’ è causa del ‘prima’”[xiii].
Ed è ironico, perché di questo Tardività (che è il rimaneggiamento di una mastodontica tesi di dottorato) noi, effettivamente, ne sappiamo solo “a posteriori, a partire dai suoi effetti, i quali, perciò, (non) sono tutto ciò che è[xiv]. Insomma, nella recensione a Badiou troviamo la stessa inversione del prima con il poi, della causa con l’effetto che, dal parziale e limitato punto di vista di chi ne ignora l’origine, costituisce già la radicale immanenza del tutto di cui il testo che mi appresto a presentare è tanto l’enunciato quanto l’enunciazione. Mi spiego meglio: se, da un lato, da Cosa può la filosofia? il lettore attende un effetto differito che assuma su di sé le sorti di quell’icastico e succinto “la più grande invenzione freudiana”, dall’altro, la cancellazione della sequenzialità temporale si è già compiuta: Tardività è già qui, la causa è in verità l’effetto, il ‘prima’ è il poi e Cosa può la filosofia? non ne è che un battito, il coup che ci dice che essa è già in atto.
Ma, parafrasando Campo, cosa può il Nachtraglichkeit? In poche parole, come ben sintetizza Haydée Faimberg, “l’operazione della Nachtraglichkeit [come enunciato, mi permetto di specificare,] è un concetto freudiano che sovverte il tempo e la causalità psichica”[xv]. Ma soprattutto, in quanto enunciazione, la Nachtraglichkeit mira persino oltre, ovvero a deflagrare la credenza del senso comune secondo cui ci sarebbe semplicemente un “prima” che si spieghi per mezzo di un “dopo”. Il tempo, con la Nachtraglichkeit, è fuori dai suoi cardini ma, nel medesimo movimento sovversivo, non è solo il tempo a uscire dai cardini, ma l’inconscio stesso a uscire dal tempo (Zeitlosigkeit).
Questo originale termine freudiano – che nel caso clinico di Emma tiene conto della bifasicità del trauma secondo la produzione di un precedente la cui apprensione sarebbe solo successiva – non è stato ascritto tra i termini chiave del glossario delle Opere. Complice in parte di questa omissione è stato il suo stesso autore, il quale non ha mai contribuito a formalizzare la definizione della sua creatura (nachtraglich preesisteva già in forma di verbo e di aggettivo, ad essere inedita sarebbe piuttosto la sua sostantivazione)[xvi]. A gettare luce sul termine è stata certamente la pubblicazione, postuma, dell’epistolario tra Freud e Fliess, un vero e proprio laboratorio della Weltanschauung freudiana, nonché culla dell’apparizione dell’annoso sostantivo: lettera del 14 novembre 1897.
A partire dal 1917 il termine è stato abbandonato e, l’originale nozione di un unico momento che “ripete e trasforma” viene ceduta alla ripetizione identica e imperturbabile della coazione a ripetere, salto che Campo sintetizza nella transizione dagli Scritti analitici e metapsicologici (1901-1917) agli Ultimi scritti (1917-1938).
A gettare ulteriormente ombra sul concetto, contribuendo a posticipare la sua rivalutazione quale tassello cardine della psicoanalisi e oltre (“in quanto immagine mediatrice, la Nachtraglichkeit è critica di ogni immagine dogmatica della causalità, della temporalità e dello psichico”)[xvii] hanno contribuito le insufficienti traduzioni che le varie lingue hanno reso alla nozione, condannando il termine ad insistere “nelle traduzioni, senza consistere con esse”[xviii].
Il destino peggiore è sicuramente quello infertole dalla lingua inglese. Non vi è propriamente un’unica soluzione in lingua inglese – cosa già indicativa della ricezione umbratile del concetto. Strachey, nella SE traduce con deferred action (azione differita) e, così facendo appiattisce la “nozione intensiva”[xix] della Nachtraglichkeit sul banalissimo “più tardi”, ricorrendo al modello deterministico-positivista della bomba a scoppio ritardato. Questo scarso ricorso, fortemente intriso del desir di medicalizzazione, è inadatto perché sacrifica in primo luogo la retroattività del presente sul passato.
La contaminazione sequenziale e deterministica rinchiude la Nachtraglichkeit in una concezione unidirezionale del tempo, in cui, né più né meno, il secondo evento viene determinato dal primo (di cui è la conseguenza pura e semplice) a seguito di un intervallo di latenza. Il fatto che il trauma-bomba esploda molto tempo dopo – prestandosi così ad un’insostenibile idea di “accumulo” traumatico – non modifica in nulla la qualità o il tipo di deflagrazione. La linea del tempo è saldamente preservata e, anzi, rinforzata dalla stringente morsa deterministica: “l’azione del passato sul presente, seppur differita e ritardata, è inevitabile.”[xx]
Diversamente, la traduzione francese, ricorrendo all’après-coup, paga il dazio al genio lacaniano. Lacan infatti, sebbene nel Discorso di Roma ammetta l’insufficienza concettuale della traduzione (après-coup, per motivi che vedremo in seguito, non riesce a sobbarcarsi l’intero onere della Nachtraglichkeit, prestandosi di più a suo “dispositivo neghentropico[xxi][xxii]), nel Seminario XV rivendica la riesumazione del termine dalla mal custodita cripta freudiana.
Come specifica Campo, nonostante la scissione serbata da Lacan nei confronti del termine, après-coup è una soluzione che rimane altamente fedele alla Nachtraglichkeit, in quanto riesce a tenere tra loro consustanziali sia il richiamo al traumatismo, che la nuova inscrizione a posteriori (ovvero l’idea del colpo e del trauma “après”).
Eppure, se abbandonata nelle mani sbagliate, la resa francese rischia di produrre un’inesattezza diametralmente opposta al determinismo inglese. Se Strachey trascina il termine nella procustea officina medicalista, la torsione francofona contiene in sé il rischio della deriva ermeneutica. Il postulato della causalità psichica retroattiva rischia infatti di non cogliere la vera portata della creatura freudiana: la retroazione, pur capovolgendo logicamente il meccanismo di significazione, non inverte la freccia del tempo. Anche qui, il dopo viene effettivamente dopo e il prima è causato dal dopo. Per salvare l’après-coup dalle grinfie dell’ermeneutica è necessario ricorrere al tempo logico di Lacan[xxiii], che riesce da un lato a sorreggere tanto l’idea che il passato sia ri-presentificato, quanto il fatto che il soggetto si ricollochi nella situazione del passato e, dall’alltro, l’idea di un tempo discontinuo, con dei “colpi portati” (coups portés) e, simultaneamente, un tempo interrotto dalle latenze, che dissemina lacune quantiche nel sempre più ispessito tessuto della ripetizione.
In Italia, ad oggi, pur non avendo ancora beneficiato di una traduzione puntuale e che rispetti l’apertura polisemica della Nachtraglichkeit – e qui si colloca uno dei meriti del mastodontico lavoro dell’autore -, come fa giustamente notare Ronchi, ci siamo per lo più limitati a prendere a prestito il termine francese, lasciandolo non tradotto e cercando di esimerci il più possibile dal fraintenderne le sfumature di significato[xxiv].
La questione della traduzione è sintomatica della situazione in cui la comunità psicoanalitica verte. Essa infatti, come chiarisce Balsamo, si trova costretta a ricomporre il termine nel passaggio tra una cultura/traduzione e l’altra, lacerato dalla pluralità delle forme che, allo stesso titolo, gli appartengono. In poche parole, prima del contributo di Campo, la Nachtraglichkeit in Italia era un bric-à-brac.
Ma il principale vizio che concorre al fraintendimento – o alla denegazione – del Nachtraglichkeit non è da ricercarsi esclusivamente nei suoi anfratti di senso. Se esso è, come lo cattura il pensiero di Benvenuto, il “sintomo della psicoanalisi”[xxv], lo è tanto per la facciata di sofferenza (sofferenza nel ricondurlo ad una specifica identità concettuale), tanto per quella di rivelazione che esso trascina con sé. O meglio, sarebbe più corretto dire, parafrasando Benvenuto, che è proprio a causa del suo calibro di rivelazione che la Nachtraglichkeit produce “sofferenza”, non viceversa.
L’immobilità trascrittiva dell’ossessione freudiana non è esito di un’impasse concettuale ma, piuttosto (e qui mi permetto di interpretare quanto scriverebbe Campo), vale il contrario. Proprio perché il termine serba in sé una concezione scomoda, la sua fedele trascrizione (e traduzione) opporrebbe resistenza. Vi sarebbe insomma in esso un resto da tradurre che, nel suo portato extralinguistico, rimane intraducibile[xxvi].
Ma quale sarebbe tale zavorra? Qual è, per così dire, il segreto del Nachtraglichkeit?
A fare problema è il suo ruolo di immagine mediatrice (nonché creatrice) avulsa da ogni concezione dogmatica della causalità, della temporalità e, per certi versi, dello stesso “psichico”. In poche parole, la Nachtraglichkeit incrina il senso comune secondo cui vi siano semplicemente un prima che spieghi un dopo ed un dopo che spieghi un prima. Questa tesi, pertanto, fa fuori in un colpo solo sia la linearità deterministica della deferred action, che la retroazione ermeneutica che ri-significa quanto la precede, e “permette di pensare l’identità del prima con il dopo (…), della durata e della simultaneità; dell’originario e dell’attuale; del primario e del postumo”[xxvii].
Per sostenere il discorso di Campo dobbiamo retrocedere velocemente all’etimologia del sostantivo. Componendosi di tre parti – di cui l’ultima, “-keit” è una sostantivazione femminile -, esso consta di “Nach” (“dopo” ma anche “indietro”) e “tragen” (“portare” ma anche “supportare”). Questa commistione produce un significato che rischia di ingenerare facilmente attrito, specie se condotto in ambienti sbagliati: designa infatti un “portare verso un dopo” che, però, serba in sé una fondamentale trazione regressiva. L’esito di questo doppio trascinamento, cosa che fa dell’essenza del Nachtraglichkeit qualcosa di “favoloso”, denota una bidirezionalità che non va in alcun modo letta nel senso di “doppia direzione”, ma come radicale indifferenza all’orientamento della freccia del tempo. L’abolizione della freccia del tempo stacca la Nachtraglichkeit da ogni parentela con la coazione a ripetere. Essa infatti non è la Wiederholungszwang, quanto la sua negazione: è il buco paradossale che ripete, semmai, un irricominciabile. È la forma brutale dell’immediato che fa passare la temporalità nell’atemporalità (dove l’alfa privativo non designa una relazione di opposizione a ciò che è temporale; essa è, come direbbe l’Holderlin di Sul tragico, “separazione dal tempo”, differenza assoluta). Questo fa dell’inedito sostantivo freudiano, secondo la fine penna della Campo, un atto di pura sovversione della sequenzialità dei tempi, lo smembramento del doxastico attuale. Di nuovo, lo stravolgimento della linea temporale (enunciato della Nachtraglichkeit) richiede uno stravolgimento del senso comune (sua enunciazione): il tempo frantumato ed esploso è ciò che resiste, più di ogni altra cosa, all’orizzonte kantiano che vede nel tempo la principale forma di autoaffezione, ciò attraverso cui il soggetto entra in contatto con la propria trascendenza. Nachtraglichkeit (e dunque Tardività) è immagine del fuori-tempo che accade nel tempo, è il punto di capitone che, con il suo coup, imprime alla coscienza lo stordimento necessario e tardivo che la genera. Il tempo, secondo la prospettiva dell’autore (approccio dinamico-processuale) è senza specchio, oggetto a non specularizzabile. Ne consegue che il passato (contra ad esempio la nozione ferencziana di ripetizione ordinata[xxviii]) non può più essere riprodotto meccanicamente. La memoria, così facendo, diviene anticipazione del futuro e “la realtà psichica non è altro che il risultato dell’interazione tra due movimenti, gli stessi descritti dal nachtragen: portare verso un dopo (passato à futuro), portare qualcosa indietro (futuro à passato). Che siano simmetrici e contraddittori significa che non sono distinti ontologicamente, partes extra partes: l’esistenza del passato e del futuro si risolve interamente nella loro insistenza nel “momento” presente che, a causa di questa azione reciproca, ruota su di sé”[xxix].
Ma, ciò detto, possiamo ancora ritenerci piantati nel mezzo dell’esegesi freudiana? Un fedele amanuense della Gesammelte Werke come Laplanche proverebbe orrore dinnanzi ad una simile profanazione. Strachey, per non parlare di Jones, non leggerebbe mai questo libro.
Dove siamo finiti allora arrivando a dire, in uno stesso movimento interpretativo, che per Campo la Nachtraglichkeit è “la condizione di visibilità dei fenomeni psichici”[xxx] nella misura in cui “permette a questo fuori-tempo [che è l’inconscio]”[xxxi] di accadere nel tempo?
Prima di tutto che “la coscienza è postuma, proprio perché contemporanea all’inconscio, e dunque immanente ad esso”[xxxii], traduzione postuma della sua pulsazione (e questo è, per certi versi, il Freud del Progetto). In secondo luogo, che il tempo, che è “il tempo dopo il senza tempo” dell’inconscio[xxxiii], è “aionico e non cronologico, un tempo ridotto alla sua forma logica (Lacan) o alla sua forma vuota (Deleuze)”[xxxiv]. Ne consegue che quello che la nostra vita concreta percepisce come successione non è che un fenomeno della coscienza: “La successione non è (nel)la Cosa. La successione è (nel)la coscienza. La successione è un per-noi”[xxxv].
Insomma, l’essenza del pensiero freudiano, per come Campo la articola, risiede precisamente nel languore di questa ferita: la Nachtraglichkeit, stante la sua incompletezza concettuale e la sua sparizione filologica, è per Freud quella specie di voce atona, né troppo vicina, né troppo lontana, né dentro, né fuori che risuona attraverso gli echi di una profonda perplessità. “Il nome con cui battezza la sua ossessione (…) è la sua immagine mediatrice.”[xxxvi]
Così facendo, Campo porta la tesi freudiana dell’atemporalità dell’inconscio (Zeitlosigkeit) oltre Freud, ma sulla sua scia, percorrendo quella che lei ritiene essere la via da lui indicata, il suo sentiero interrotto. Deleuzianamente, il tempo della Nachtraglichkeit è eterogeneo, prima di essere successivo. Ma soprattutto, è freudianamente atemporale prima di essere temporale.
La coscienza viene dopo l’inconscio, si attarda, e il temporale è prodotto sullo sfondo di un atemporale sempre in atto, puro processo: “l’inconscio è atemporale: esso è ovunque, in ogni istante, e per questo la realtà psichica non è riducibile alla logica dell’a-priori e dell’a-posteriori”[xxxvii]. La causalità psichica si emancipa dalla presa del tempo-successione, il tempo diviene anzi il limite interiore della coscienza. La causa, svincolatasi dal convenzionale “prima”, è in un non-tempo da cui si effettuerà simultaneamente in tutti gli “ora” successivi. Lo scarto che separa queste due dimensioni è precisamente lo stesso che divide l’atemporale dal temporale, differenza non di grado ma di natura[xxxviii]. L’inconscio non solo differisce dalla coscienza per natura: esso è simultaneamente ciò che differisce e la differenza stessa. Il “favoloso” lavoro della Nachtraglichkeit ci permette allora di pensare il rapporto tra inconscio e coscienza secondo un’assoluta simultaneità, visione che imbarazza il sensus communis[xxxix]. Ne consegue che l’inconscio non è solamente ciò che causa la coscienza, ma la causazione stessa: è l’atto intransitivo del causare.
Che l’insconscio sia Zeitlos (atemporale) vuole dire che esso non è nel tempo, che è svincolato da ciascuna relazione temporale concepibile. Non è solamente, ripetendo ancora Deleuze, che il tempo (dell’inconscio) è fuori dai cardini: è lo stesso inconscio ad essere fuori-tempo. È a partire da questa irrelatezza di natura che Campo può sostenere la conseguente irrelatezza di inconscio e coscienza quale non-rapporto e, su tale base, ricorrere al Nachtraglichkeit come meccanismo di punzone: “non c’è rapporto tra inconscio e coscienza, tra loro differenti per natura. Ci sarà stato semmai, après-coup, nachtraglich.”[xl]
Sembrerebbe allora che la Nachtraglichkeit, in questo audace al di là del tempo che si proclama essere più freudiano di Freud, sia la scintilla che manifesta la visibilità dei fenomeni psichici. Un’immagine intermediaria che, indicando contemporaneamente tanto il processo quanto il risultato dell’irrelatezza tra l’inconscio e la coscienza, possa propagare il suo centro dappertutto, proprio perché il titillamento atemporale dell’inconscio non ha centro. È la luce, “e la luce è dappertutto”[xli].
Questo fa dell’Es della seconda topica la negazione del modo in cui certe psicoanalisi post- e neofreudiane abbiano tentato di rimaneggiare “ideologicamente” la nozione di inconscio: il baratro – sit venia verbo – primordiale dell’anima umana in cui vengono annegate le tendenze bestiali dell’uomo. Visione il cui corollario non può che prevedere l’ammansimento, la bonifica dell’inconscio-palude, la cui atmosfera di “porcile[xlii]” va inchiodata all’illuministica Forza dell’Io.
La Tardività, ancella dell’Inconscio atemporale, ci dice come le cose divengono (tardivamente) e come esse sono (simultanee), “afferma l’intransitività della causa, sottraendo al tempo tutti i suoi privilegi”.
Come Ronchi avverte nella Prefazione, per essere freudiani non basta ritornare semplicemente a Freud, ma “si deve procedere risolutamente nella direzione che Freud ha indicato”[xliii]. Campo è fermamente decisa rispetto a quale dovrebbe essere questa direzione e la sua grandiosa fatica parla per lei. A detta dell’autore, Freud, rispetto alla Nachtraglichkeit, si sarebbe fermato al grado dell’insight. Egli non si sarebbe spinto sino infondo, ma avrebbe anzi schiacciato la sua creatura sulle contingenze della teoria della seduzione, non vedendone la portata trascendentale[xliv]. In poche parole, Freud riuscirebbe a scorgere il potenziale della sua creazione solo dal parziale punto di vista dell’empirico, tralasciandone l’aspetto fondamentale, ossia “il marchio per la differenza strutturale tra inconscio e coscienza, Reale e Immaginario, evento e fatto.[xlv]
Insomma, l’autoironia – si fa per dire – del progetto di Campo starebbe in questo: esso prende le mosse dall’obiettivo di diradare le nebbie circa la Nachtraglichkeit (nebbie entro cui, più o meno involontariamente, la psicoanalisi ha spesso finito per perdersi), dunque si avventura in un grandioso “viaggio al termine del concetto” e, giunta al cuore di esso, non si limita solamente a piantarvi, da buon pioniere, il proprio stendardo (Tardività), ma dal profondo della Nachtraglichkeit vede come ora sia la psicoanalisi ad apparire nebulosa e bisognosa di riguadagnarsi un pensiero nuovo. Questa inversione del contenitore col contenuto, della parte con il tutto fa sì che sia ora la psicoanalisi a doversi aggrappare alla Nachtraglichkeit (perché l’assenza di rapporto tra inconscio e coscienza viene afferrato solo “nella causazione in atto della Tardività, nell’immagine di quella relazione “invertita ma reale tra Inconscio e Coscienza”[xlvi]) per non precipitare in un’aporia, per non perdersi in un’ermeneutica infinita, perché “l’inconscio è, di fatto, afferrabile solo grazie alla Nachtraglichkeit”[xlvii].
Che Tardività abbia effettivamente riportato a galla l’ossessione del padre della psicoanalisi non ci è dato saperlo, ma togliendo lo speculativo dallo specchio (e con esso il concetto di tempo per come lo conosciamo) Campo ha certamente eretto un vicolo cieco che, come lei ben sa, è la costrizione necessaria per “dimostrare il reale”. Sarà solo après-coup che la Tardività avrà battuto il suo colpo.
 
Bibliografia
Benvenuto S.
  • Commento a “L’uomo dei Lupi”, in www.psychiatryonline.it
  • L’après-coup, après-coup (inedito)
  • Se i conti non tornano, tra Wittgenstein e Freud, in Reset, n.71, p.50-55, 2002
  • Sono uno spettro ma non lo so, Mimesis, Milano, 2013
Campo A.
  • Cosa può la filosofia? Recensione a: Alain Badiou, “Lacan. Il semnario. L’antifilosofia, 1994-1995”, in www.journal-psychoanalysis.eu , 2018
  • L’uno perverso, Textus, L’Aquila, 2018
  • Tardività. Freud dopo Lacan, Mimesis, Milano, 2018
Faimberg H., “Crainte de l’effondrement”, construction et après-coup, in Revue française de psychanalise (Vol.73), 2009
Johnston A., Time Driven. Metapsychology and the Splitting of the Drive, Northwestern University Press, 2005
Sciacchitano A., Tu puoi sapere in modo non medico, in www.sciacchitano.it
Sciacchitano A. (a cura di), Zizek S., L’isterico sublime. Psicanalisi e filosofia, Mimesis, Milano, 2012
 

[i] A. Johnston (2005), Time Driven. Metapsychology and the Splitting of the Drive, Northwestern University Press
[ii] Si veda a riguardo A. Sciacchitano (a cura di), S. Zizek (2012), L’isterico sublime. Psicanalisi e filosofia, Mimesis
[iii] Johnston (2005), p.XXIV
[iv] S. Benvenuto (2002), Se i conti non tornano, tra Wittgenstein e Freud, in Reset, n.71, p.50-55
[v] A. Schiacchitano, Tu puoi sapere in modo non medico, in www.schiacchitano.it
[vi] S. Benvenuto (2017), Commento a “L’uomo dei Lupi”, in www.psychiatryonline.it
[vii] S. Benvenuto (2013), Sono uno spettro ma non lo so, Mimesis, p.40
[viii] Ibid. p.52
[ix] A. Campo (2018a), Tardività, Mimesis, p.37
[x] Ibid. p.153
[xi] Ibid. p.27
[xii] A. Campo (2018b), Cosa può la filosofia? Recensione a: Alain Badiou, “Lacan. Il seminario. L’antifilosofia, 1994-1995, in www.journal-psychoanalysis.eu
[xiii] Ibid.
[xiv] A. Campo (2018c), Una parola ha detto Dio, due ne ho udite, p.135 in L’Uno perverso, a cura di A. Campo, Textus
[xv] H. Faimberg (2009), “Crainte de l’effondrement”, construction et après-coup, p.1714, in Revue française de psychanalise 2009/5 (Vol. 73)
[xvi] Come nota Campo, vi sarebbe in ciò uno scarto irreparabile che separa forsennatamente l’intuizione semplice del Nachtraglichkeit (il su essere specchio dell’inconscio atemporale, Zeitlos), dai suoi mezzi espressivi.
A riguardo, Cfr. Campo (2018a), p. 25.
[xvii] A. Campo (2018a), p.45
[xviii] Ibid. p.169
[xix] Ibid. p.161
[xx] Ibid. p.259
[xxi] “Nachtraglichkeit è il nome di un processo di cui l’après-coup è il meccanismo.” Ibid, p. 207
[xxii] Ibid. p.84
[xxiii] Cito il passaggio direttamente da Alessandra Campo (p.150), che ha ritagliato e tradotto con perizia un eloquente passo di Christian Fierens.
“Il tempo è a fondamento della nostra coscienza. Ma noi non ne abbiamo alcuna percezione diretta. Non abbiamo alcuna ragione per affermare l’esistenza di un tempo in sé, indipendentemente dalla nostra coscienza: senza presa di coscienza, nessun tempo. Nell’inconscio, il tempo, semplicemente non esiste. “L’inconscio” e “il tempo” appaiono come fondamentalmente contraddittori: se c’è inconscio, allora non c’è tempo e se c’è tempo, allora c’è coscienza. Se si trattasse, nella psicoanalisi, di prendere coscienza dell’inconscio, essa sarebbe per lo meno contraddittoria. Il suo tempo sarebbe infinito perché il suo compito non sarebbe diverso dalla realizzazione di un’utopia (…) dopo Lacan, non si può più concepire la psicoanalisi come la presa di coscienza dell’inconscio. La questione però resta: come si gioca il tempo di un’analisi? Come si gioca questo accoppiamento mostruoso dell’inconscio col tempo, anzitutto quello analitico? L’inconscio si mette tra parentesi da sé, non ce lo dobbiamo spingere. Prendiamo allora il tempo (…), il tempo nel suo rapporto con un inconscio che si eclissa.” C. Fierens, L’inconscient et le temps, p.139.
[xxiv] A riguardo si veda il prezioso Forme dell’après-coup, a cura di M. Balsamo, Franco Angeli, 2009.
[xxv] S. Benvenuto, L’apres-coup, apres-coup (inedito).
[xxvi] Il tempo logico di Lacan ne costituisce, oltre all’eccezione, una soluzione.
[xxvii] A. Campo (2018a), p.45
[xxviii] La ripetizione per Ferenczi presuppone un che di ritmico, un che di (nonostante tutto) oggettivabile entro cui le cose e lo stesso soggetto trovino una collocazione. Cfr. L’intatto: un corpo si rifugia in mezzo al dolore, di G. Solla, in Lascia ch’io pianga. Il masochismo tra cinema, filosofia e psicoanalisi, A. Nicolini (a cura di), Orthotes, 2017.
[xxix] A. Campo (2018a), p.218
[xxx] Ibid. p.83
[xxxi] Ibid. p.112
[xxxii] Ibid.
[xxxiii] Ibid. p.109
[xxxiv] Ibid. p.114
[xxxv] Ibid. p.111
[xxxvi] Ibid. p.27
[xxxvii] Ibid. p.19
[xxxviii] Diversamente, l’inconscio derridiano (che risponderebbe a una differenza di grado) è concepito come un testo decifrabile a posteriori grazie al ricorso al post-scriptum che, nachtrag, modifica quanto lo precede. La distinzione è fondamentale: mentre la Tardività poggia sulla nozione di inconscio quale actus purus (simultaneità e non riproduzione), il Ritardo (Verspatung) derridiano si sorregge sulla nozione di supplemento. L’essere, in ritardo su se stesso, arriverebbe a supplire il suo vuoto originario (ritardo è “mancare l’appuntamento con la propria essenza”, scrive Ronchi). Diversamente, la Tardività indica non una riproduzione, ma una generazione, “lungi dal mancarla (…) genera la sua essenza reale” (Campo, 2018a, p.17).
[xxxix] “Causa immanente e atemporale del ‘dispiegarsi estatico del tempo nella sua tridimensionalità esplicata’, l’ora intemporale è il luogo del tempo, così come il luogo del moto è la quiete e il luogo del numero l’unità.” (Campo, 2018a, p.217)
[xl] Ibid. p.56
[xli] Ibid. p.79
[xlii] Il termine è di Peter Sloterdjik e della sua Critica della Ragion Cinica.
[xliii] Ibid. p.14
[xliv] È curioso difatti che essa faccia ritorno, per la sua enunciazione finale, insieme con il riverbero della teoria della seduzione, nel caso Sergej (Uomo dei Lupi), il cui fallimento decreterà, con uno stesso gesto alla rinuncia dell’analisi, della teoria della seduzione e della stessa Nachtraglichkeit.
[xlv] Ibid. p.306
[xlvi] Ibid. p.302
[xlvii] Ibid. p.287
 
 
 

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2 Commenti

  1. admin

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  2. marco.carafoli

    Magistrale. Ma un po’
    Magistrale. Ma un po’ complesso. Potremmo semplificare (?) dicendo che Freud pagò la sua appartenenza all’era patriarcale (di cui il materialismo, il determinismo e lo scientismo sono gli strumenti di dominio del mondo) invertendo quella che dovrebbe essere la corretta lettura antropologica: l’essere umano è connesso col mondo tramite l’inconscio che ne costituisce, se liberato dalla sua funzione di ammasso di rifiuti prodotto dal paradigma militar-patriarcale, il vero luogo di espressione vitale. La coscienza invece, quella che ci consentirebbe la vita civile borghese, è un povero simulacro privato della gioia di sentirsi parte di un mondo meraviglioso e, a causa della rabbia che questo provoca, tende a distruggerlo.

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