In questa sua seconda monografia, in cui i confini tra perizia esegetica e originalità filosofica si sfumano reciprocamente, Lorenzo Chiesa porta alle estreme conseguenze le ripercussioni dell’assioma lacaniano “Non c’è rapporto sessuale”. Secondo Lacan, la psicoanalisi è riuscita a circoscrivere empiricamente e storicamente la verità d’incompletezza del “Non c’è rapporto sessuale” e a fornire le basi per sostituire l’onto(teo)logia tradizionale con un approccio potenzialmente in grado di rendere conto della verità d’incompletezza, ovvero una para-ontologia, “un’ontologia laterale che si occupa della contingenza della materialità del significante”[1]. Infatti, come nota Chiesa, se la verità emersa dal “Non c’è rapporto sessuale” non è altro che una verità d’incompletezza, è solo sviluppando le premesse para-ontologiche che Lacan avanza nel Seminario XX che sarà possibile pensare onto-logicamente quest’ultima senza trasformarla in un’ennesima verità sulla verità. Questa premessa, i cui assunti di base rappresentano un nuovo modo di intessere il dialogo tra una filosofia ad orientamento psicoanalitico e la scienza moderna tout court, costituisce il principio fondamentale del materialismo agnostico che Chiesa delineerà nel corso dell’intero libro.
Nonostante siano trascorsi già due anni dalla sua uscita, ho voluto offrire una panoramica di questo studio per due principali ragioni. Non solo perché il libro, così come l’altro importante saggio dell’autore[2], non è ancora tradotto in lingua italiana, ma anche perché, nell’ottica della sempre più evidente ripresa del realismo filosofico (speculativo o metacritico che sia), il lavoro di Chiesa è costituisce senza dubbio una risorsa irrinunciabile. Detto molto succintamente: oggi, una corretta critica lacaniana non può prescindere dai contributi di Lorenzo Chiesa. In secondo luogo, e in diretta connessione con il punto precedente, perché il tempo trascorso – in uno scenario agorafobico come quello degli studi culturali in cui pochissimi saggi possono ambire a vivere a lungo – non solo non ha scalfito l’attualità di The not-two, ma ha dimostrato che le conseguenze di alcune importanti criticità che l’analisi di Chiesa lascia emergere devono ancora essere tratte al loro massimo potenziale. In particolare, la chiusura etico-politica del saggio e gli orizzonti pratici aperti dall’indecidibilità agnostica del non-due, lungi dall’essere frettolosamente messi da parte come alcune letture hanno suggerito fosse opportuno,[3] hanno ancora molto da suggerirci. Inoltre, per quanto riguarda il futuro, sarebbe interessante mettere a confronto critico la nozione di libertà offerta dalla conclusione del presente saggio con quella contigua ma ad essa irriducibile emersa complessivamente dai lavori del primo Chiesa (The virtual point of freedom) e che culmina nella (attualmente incompiuta) figura del soggetto partigiano.[4] Questo per dire che The not-two, al di là delle sue fitte basi teoriche e filo-logiche, deve essere letto come un’opera aperta i cui risultati sono ancora da spremere.
Nel complesso, il lavoro di Chiesa si presenta nella forma di un percorso logico lineare e propone un metodo di approccio al testo lacaniano che è piuttosto unico nel suo genere, specie per l’equilibrio perfezionistico tra la premura esegetica (mai banale e sempre perfettamente documentata) e la capacità di convertire i propri presupposti epistemologici in un coerente e fedele programma etico-politico che, oltre il paradosso donchisciottesco, conduca l’autore “fuori dalla biblioteca”. Tra i contrappunti che si potrebbero muovere al testo, ve n’è anzitutto uno di tipo editoriale, estendibile a tutti i volumi della serie Shortcircuits della MIT Press: si constata facilmente come a questi testi così impegnativi e ricchi di citazioni e riferimenti gioverebbe non poco una bibliografia finale completa, che non si riduca ai semplici rimandi bibliografici delle note di chiusura. Inoltre, il lettore potrebbe chiedersi per quale motivo il titolo del volume non spenda alcun riferimento sulla sessualità, la cui trattazione è sottesa all’intero studio decisamente più di quella dedicata a “Dio”. Un’attenuante a questa omissione potrebbe essere proprio il tipo di pubblico cui una pubblicazione del genere è destinata: si tratta di uno studio condotto con estremo rigore e pertanto raccomandabile a lettori che abbiano già una propria opinione in merito ad alcune tesi di Lacan e per i quali, di conseguenza, il riferimento alla sessualità sia già implicitamente presente nel titolo come mediatore evanescente tra “Logica” e “Dio”. Ma non è forse questo l’esempio di come un atto mancato, un’apparente omissione, finisca in fin dei conti per rivelarsi un atto del tutto riuscito? Di come esso contenga più verità di quanta ne dissimuli? Oltre tutto, vige un’evidente asimmetria tra alcuni capitoli, come ad esempio il primo e il secondo, ravvisabile già dal numero di pagine che li compone e che si rispecchia in una sproporzione contenutistica piuttosto evidente: benché il primo capitolo rappresenti un meticoloso esempio di esegesi critica necessario per proseguire la lettura del resto del saggio, il suo taglio “accademico” lo rende non all’altezza del migliore Chiesa, che riemerge invece nel più impegnativo ma indiscutibilmente soddisfacente livello del secondo capitolo o della Conclusione.
Più nello specifico, il “Non c’è rapporto sessuale” – che potremmo superficialmente definire l’assenza di un razionale, di una misura che garantisca per i due sessi – non solo determina la soggettivazione linguistica dell’homo sapiens, ma costituisce anche la (vacillante) logica trascendentale della soggettività umana tout court. Chiesa mostra come per Lacan la funzione fallica funga sia da tappo all’assenza del rapporto sessuale (compensandolo attraverso il sembiante fenomenico dell’Uno) che da barriera (mostrando l’incompletezza cui ci conduce questo non-rapporto sotto forma di impasse fenomenica). Le principali ripercussioni di tale evidenza non sono solamente di ordine esegetico, ma ci impegnano in un’approfondita indagine sulla logica, l’ontologia e la cosmologia che si rivelerà non senza esiti pratici. Insomma, la fondamentale inesistenza del rapporto sessuale implica l’impossibilità logica di enunciare la verità circa la sessualità in termini di unità o di entità positiva (come dice Lacan, “ci sono due sessi, ma non un secondo sesso”[5]). Questa impossibilità, gravata di tutte le implicazioni che l’indagine di Chiesa porta alla luce, può essere espressa in termini numerici attraverso ciò che Lacan chiama il non-due [pas deux]: “il non-due racchiude l’idea che la nostra vita amorosa e sessuale si basi sull’impossibilità dell’uomo di fondersi con l’heteros della donna come un altro Uno, così che la somma di due Uno dia un due-in-Uno.”[6] Una ponderata analisi critica compiuta trasversalmente ai principali Seminari dello psicoanalista francese consente di dimostrare come spesso le argomentazioni di Lacan rischino di rimanere preda di una trappola retorica, in cui i presupposti fondamentali della sua dottrina materialista sembrano venire meno. Ad essere problematica per Chiesa è anzitutto la posizione di un “secondo” Lacan, quasi-spiritualista, per il quale la differenza è già presente sin nella natura pre-umana – come vedremo più avanti, un simile postulato è incompatibile con la complessiva indifferenza della natura, principale replica che il realismo metacritico indirizza all’ateismo religioso del realismo speculativo.[7] Altro punto di forza del libro sono le originali conseguenze onto-logiche che l’autore deduce dal non-tutto (che indica, ingenuamente, l’incompletezza del Grande Altro):
“O vi è incompletezza, e pertanto possiamo dire la sua verità solo a metà, in quanto non appena la diciamo tutta ci appelliamo alla completezza, oppure è vero che l’incompletezza costituisce la completa verità di un Dio inconsistente ed ingannatore, un essere assoluto che, per definizione, non comprenderemo mai.”[8]
Prestando fede al peculiare epiteto con cui Lacan apostrofava la verità (un “partner inscopabile”) e all’incompletezza che caratterizza intrinsecamente quest’ultima – tanto che, conclude l’autore, la verità corrisponde alla verità dell’incompletezza –, Chiesa nota che il principale rischio di una simile speculazione sia quello di elevare l’incompletezza ad una sorta di sapere assoluto sulla verità. Di conseguenza, l’unico modo per enunciare l’incompletezza ontologica consisterebbe nel dirla a metà, ma in questo modo essa perderebbe il suo statuto di verità completa. La soluzione proposta da Chiesa è allora quella di integrare, attraverso la disgiunzione esclusiva, la formulazione definitiva della verità d’incompletezza (enunciandola come un Assoluto) con l’idea di un Dio maligno ed ingannatore (simil-genio maligno cartesiano) che è esso stesso inconsistente e imperfetto. Il prezzo da pagare per non ricadere nella malafede di un discorso aprioristicamente ateo – come accade al “Dio che ci assicura che non ci sia alcun Dio”[9] di Meillassoux – è l’indecidibilità, ovvero la conservazione di questo agnostico o/o, con tutte le conseguenze etico-politiche che ciò comporta.[10]
Nel Capitolo 1 (Woman and the number of God), l’autore propone una nuova lettura del Seminario XX, sfatando il cliché dell’errata identificazione della donna con l’Altro irriducibile alla castrazione (dovuto principalmente alla scarsa attenzione prestata ai Seminari che lo precedono). Chiesa dimostra come la liquidazione di questo erroneo legame costituisca il primo passo per spingere l’esegesi alle soglie di una jouissance femminile non-fallica, ovvero “un godimento supplementare che si collega (…) alla struttura come suo non-tutto, senza così impedire che l’Altro sesso possa godere anche fallicamente.”[11] Inoltre, l’autore vede nel Seminario XX non solo la fine di una trilogia (la “trilogia frasale”, come l’ha definita P. La Sagna), ma anche un vero e proprio “condensato” dell’intero insegnamento di Lacan, che dopo questo seminario diventa “difficile da categorizzare”. Il capitolo sviluppa anche la connessione tra la complessa struttura della differenza sessuale e la cosiddetta “ipotesi Dio”, che è la conseguenza ma anche lo schermo del “non-tutto” cosmologico e della sua tendenza totalizzante: “a causa dell’oscillazione tra l’Uno (maschile) e il non-Uno (femminile), la struttura non è semplicemente una. Ma, per la stessa ragione, non è neanche due, poiché l’oscillazione tra l’Uno e ciò che è altro dall’Uno genera un non-due.”[12] Al di là del particolare contesto ermeneutico da cui è tratto questo particolare passaggio del libro, questa logica oscillante rappresenta la matrice dell’intero scritto.
In parallelo, poiché come abbiamo detto la verità logica della sessualità non può mai essere enunciata come Uno (ovvero in modo esaustivo e completo), la necessità dell’essere vivente di rappresentare la propria identità sessuale viene accolta dai precari sostituti ingenerati dalla relazione asimmetrica dei sessi rispetto alla funzione fallica.[13] Ma allora, nota Chiesa, la jouissance non è che un sottoprodotto, un effetto collaterale dell’impossibilità di raggiungere il rapporto sessuale ed è pertanto indissociabile dall’emergenza contingente del significante. Questi vari e precari tipi di soggettivazione rispetto alla funzione fallica e i conseguenti modi di procurarsi il godimento vengono isolati dall’autore nelle loro quattro varianti discrete: il godimento fallico maschile, il godimento fallico femminile, il mitico e asessuale godimento angelico (être-ange) – prodotto dal fantasma maschile – e il godimento femminile propriamente detto, come supplemento/eccesso della jouissance fallica.[14] Quali sono le conseguenze di questa articolazione rispetto all’ordine simbolico e alla sua non totalizzabilità? Non solo il Simbolico è non-tutto, ma è anche lo stesso registro (immaginario e distorto) delle gestalten – le quali dovrebbero assicurare la garanzia anatomica dei sessi al di là del Simbolico – a rivelarsi fluttuante, sospeso come il Castello dei Pirenei di Magritte su di un reale inconsistente e senza fondo.
Il Capitolo 2 (Logic and biology: against bio-logy) è probabilmente il più impegnativo e riuscito dell’intero libro. Anche qui, la tesi principale di Chiesa parte dalla demistificazione di un cliché: ogni volta che Lacan parla della sessualità non lo fa mai dal punto di vista biologico. Molte letture dello psicoanalista francese infatti tendono ad esaurire i riferimenti alla biologia nelle considerazioni dei primi due Seminari.[15] Ancora una volta però, un’attenta lettura del testo lacaniano permette di esaltarne la criticità nel dibattito contemporaneo tra le scienze naturali e le teorie della soggettivazione: non solo per Lacan non esiste una corrispondenza diretta ed inequivocabile tra la soggettivazione/sessuazione ed il corredo biologico di base dell’individuo, ma qualunque scienza fondi i propri assunti su tale – fittizio – rapporto diretto, qualunque scienza dica insomma che “c’è rapporto sessuale”, è da intendersi come una (pre-galileiana) scienza del sembiante: “la biologia non considera che, per noi, ci sono due sessi naturali solo in quanto, logicamente, non vi è un secondo sesso”[16] o, per dirla con Blunberg, “la sessualità è una sindrome (…), una costellazione di sintomi che ci permette di fare diagnosi di ‘maschio’ o di ‘femmina’.”[17] Come nota Chiesa, tale critica non prende di mira solo le scienze più dichiaratamente essenzialiste e teleologiche, ma si protrae fino alle (ideologicamente) insospettabili teorie evolutive dello sviluppo contemporaneo, alla genetica e alle più recenti proposte di parentela darwiniana. Passando per un’attenta analisi della biologia lacaniana, l’autore arriva ad esplicitare le esitazioni dello stesso Lacan riguardo il veto sull’indagine delle origini della soggettività simbolica e del linguaggio e, una volta estratto questo importante nodo ermeneutico, mantiene quest’ultima evidenza in linea con la spina dorsale dell’intero, fittissimo capitolo: in che modo concepire tali origini senza che si invalidi l’assunto della radicale indifferenza della natura?
A riguardo, l’autore rintraccia nell’opera di Lacan due diverse e tra loro incompatibili filosofie della natura. Secondo la prima, la vita (naturale) biologica includerebbe già la differenza fondamentale della sessualità. In questo caso, la differenza viene posta come una mancanza reale inscritta nella natura stessa che non può che essere suturata dall’avvento della realtà (umana) simbolica. Eppure, puntualizza Chiesa, tale ipotesi scavalca le premesse materialistiche dello stesso Lacan, in quanto postula un’altra differenza rispetto all’Uno, finendo per riproporre un principio essenziale (e pertanto idealista) di quest’ultimo.[18]
Nella seconda ipotesi, la natura viene intesa come essenzialmente in-differente, ovvero del tutto “indifferente alla differenza”.[19] Il punto centrale di questa argomentazione è che la differenza emerge con l’incisione del significante, ma con la specificazione che “ciò non conduce a nessun cambiamento”.[20] Insomma, l’emergenza della realtà simbolica non produrrebbe alcuna modificazione reale della natura e permetterebbe dunque di cogliere questo processo come non-differenziale. A partire dall’adozione della seconda ipotesi, Chiesa ingaggia un importante dialogo critico con due eminenti commentatori lacaniani contemporanei, anch’essi impegnati nel postulato dell’origine della soggettività e dell’avvento del linguaggio, tratteggiando rispetto alle loro posizioni la propria personale ipotesi para-ontologica. Il primo di questi è Slavoj Žižek, secondo il quale, all’origine di ogni significazione possibile, si staglierebbe l’orizzonte hegelo-schellinghiano della pura negatività: l’emergenza della significazione dipenderebbe da un’instabilità intrinseca in grado di scuotere il vuoto radicale e pre-simbolico (la “notte del mondo”). Da un lato, questa risoluzione costituisce un punto forte della posizione žižekiana, in quanto rifiuta drasticamente di derivare l’avvento del significante da una presunta sostanza positiva o entità naturale discreta di ispirazione antropologica: la pura differenza del reale, in questo caso, appare retroattivamente attraverso l’avvento della differenzialità simbolica, pur rimanendo ad essa irriducibile. Dall’altro però, e qui secondo Chiesa sta tutta la problematicità della tesi di Žižek, questo principio dell’origine come pura differenza, tratto al riparo dalle insidie dell’idealismo, rischia di degenerare esso stesso in un’entizzazione vitalista/quasi-soggettiva della natura. Da questo punto di vista, la torsione intrinseca del reale sarebbe causata da una specie di terzo non dato, un’energia negativa (un meno di niente) né naturale né simbolica.
Distanziandosi da quest’ultimo punto e tacciandolo di rivelarsi un “animismo del non-tutto”,[21] Chiesa ritiene che anche la pura differenza debba essere pensata in termini di una più fondamentale in-differenza, un ancor più elementare reale pre-simbolico “il cui farsi differenza è contingente ma che, parimenti, rimane indifferente alla differenza.”[22] Sintetizzando all’estremo un’argomentazione che nel libro è ben più complessa, Chiesa oppone all’”illecita proiezione antropocentrica” della differenza nel reale pre-simbolico un concetto di “reale assoluto” come radicale indifferenza, per cui il taglio del significante non deve più essere concepito come “l’avvento della differenza in un contesto già differenziale, ma come la scissione immanente della natura indifferente nell’in-differenza”.[23] Come noterà lo stesso Žižek nella sua replica a Chiesa, ciò che vi è di più reale, il reale assoluto, è qui inteso come “la radicale indifferenza che contiene ogni differenza”[24]: una profonda ed elementare indifferenza sia al Simbolico che al non-Simbolico, e da cui il significante potrebbe emergere in circostanze contingenti ma che, in quanto neutrale, rimane indifferente a tale emergenza.[25]
Per rendere conto delle condizioni naturali dell’emergenza della soggettività e del linguaggio, il materialismo trascendentale di Adrian Johnston fa invece appello al concetto di “natura debole”[26], postulando una sorta di trascendenza nell’immanenza. Secondo Johnston (che espone la sua tesi sulla scorta della medesima critica a Žižek)[27], questa soluzione rappresenta l’unico modo per conservare una prospettiva di “rottura con la natura” che rimanga materialista. Anche qui, da un lato, Chiesa reputa questo approccio genetico/materialista necessario per sottrarsi alle insidie dell’idealismo/spiritualismo ma, dall’altro, dissente dalla scelta di Johnston di radicare l’inconsistenza/incompletezza che caratterizza l’essenza del Simbolico già nella (debolezza della) natura. Questa soluzione infatti implica che la natura sia già barrata (non-Uno), prima ancora dell’avvento della differenza simbolica.
“Johnston non traccia una distinzione (…) tra la differenza (il Simbolico barrato, o non-due, l’oscillazione – per Lacan linguistica e sessuale – tra l’Uno e ciò che è altro dall’Uno) e l’indifferenza (il Reale barrato o non-Uno, che si in-differenzia nel Simbolico barrato).”[28]
A questo punto verrebbe giustamente da chiedersi: come distinguere adeguatamente il reale barrato della natura (pre-simbolica) dal simbolico barrato? Una natura posta come sempre-già differenziale non permette di comprendere la sua essenziale in-differenza al Simbolico, nonché la possibilità contingente della sua emergenza. Come uscire allora da questo cortocircuito tra l’animismo del non-tutto e l’incapacità di pensare l’in-differenza?
Il materialismo agnostico di Chiesa tocca qui uno dei suoi punti più alti e convincenti: l’emergenza della soggettività linguistica implica e, al tempo stesso, non implica una fondamentale rottura con la natura. “L’in-differenza tra la differenza [simbolica] e l’indifferenza [pre- e post-simbolica] conduce ad un para-ontologico o/o: (…) o ha ragione Johnston [con il suo materialismo trascendentale del non-uno, la pura assenza di unità nel Reale], oppure ha ragione Zizek [con la sua teologia materialista in cui il non-uno si sussume nell’Uno come principio ontologico di base della mancanza/differenza], ma entrambi sono nel torto, in quanto non pongono questo o/o come onto-logicamente indecidibile.”[29]
Nel Capitolo 3 (Logic, science, writing) Chiesa passa ad un’analisi serrata della logica lacaniana e delle sue principali conseguenze rispetto alla struttura trascendentale della soggettività umana. Essa mira a dimostrare: 1) che la funzione fallica deve essere intesa come una funzione nel senso stretto del termine, cioè per come esso è stato coniato dalla logica dei predicati di Frege; 2) che “la verità dell’incompletezza fallica (…) equivale all’incompletezza del nostro pensiero logico come tratto linguistico specie-specifico che fonda il nostro sapere”.[30] Infatti, è solo grazie all’introduzione dei quantificatori che diviene possibile formalizzare le origini strutturali dell’incompletezza e dell’indecidibilità e uscire dal circolo vizioso tra Universale e Particolare secondo cui “è solo perché l’Universale riceve la propria essenza dal Particolare che il Particolare può ricevere la propria essenza dall’Universale in cui è incluso.”[31] La logica moderna di Frege, che letteralmente buca la frase inscrivendovi il posto vuoto della variabile, sloggia quella aristotelica – la logica del sembiante per eccellenza -, che invece si basa sul presupposto della copula come sostanza legante soggetto e verbo, e permette di sottoscrivere i rapporti di impossibilità in termini di formalizzazione logica.
Nel Capitolo 4 (The logic of sexuation) Chiesa compie un’analisi dettagliata delle formule della sessuazione elaborate nei tre Seminari dei primi anni Settanta dimostrando come sia proprio attraverso di esse che un animale inizialmente indeterminato possa inscriversi nella funzione fallica e, così, soggettivarsi (sessualmente). Con questa precisa lettura, l’autore sottolinea come le formule della sessuazione non siano altro, alla fine, che la scrittura particolare (delle risoluzioni possibili) dell’Edipo: ogni formula corrisponde ad un potenziale tentativo di venire a patti con l’inesistenza del rapporto sessuale attraverso una specifica articolazione tra l’Universale e il Particolare. Nel caso della sessuazione maschile ad esempio, il fatto che il rapporto tra la totalità (Universale) degli uomini strutturati dalla funzione fallica (tutti gli uomini sono fallici, dunque castrati) e l’eccezione singolare (Particolare) del Padre dell’Orda freudiana (esiste un uomo che non è fallico/castrato) dia luogo ad una contraddizione, rende questo tipo di soggettivazione inconsistente.[32] Nel caso della sessuazione femminile, poiché come dice Lacan La Donna non esiste, il fatto che la donna sia non tutta fallica non funziona da eccezione rispetto all’Universale “Donna” (infatti, se La donna esistesse, essa sarebbe tutta fallica). Qui pertanto, il rapporto si articola tra il “non esiste una donna che non sia fallica” (in quanto ognuna si relaziona all’uomo a partire dal sembiante asimmetrico del Fallo) e “la donna non è tutta fallica” (ovvero è non-tutta presa nel sembiante fallico). Poiché in questo specifico caso il particolare non esiste, ovvero non opera da negazione dell’Universale, ma anzi lo indetermina, ne consegue che, contro le letture comuni di questa formulazione, quella femminile non è una posizione contraddittoria, ma indecidibile[33]
“‘donna’ è il risultato dell’opposizione tra l’impossibilità (‘non esiste una donna per cui non sia possibile scrivere la funzione fallica’ (…)) e la contingenza (…) del fatto che la donna sia presa nella funzione fallica come un non-tutto non-universale (‘non-tutta la donna può essere inscritta nella funzione fallica’).”[34]
Nella Conclusione (0, 1, l’indecidibilità e la vergine), Chiesa esplicita ulteriormente l’interdipendenza tra la logica di Frege e la para-ontologia lacaniana e propone la scrittura logico-formale della verità d’incompletezza sotto forma di un circuito in cui il contingente detiene la priorità logica sul necessario e sul possibile. Da un lato infatti, il ricorso ai quantificatori del logico tedesco permette di de-sostanzializzare i riferimenti all’homo sapiens e di concepire quest’ultimo sotto forma di una x indeterminata. Dall’altro, la scrittura della verità d’incompletezza dimostra come la funzione fallica e il suo (corto)circuito logico rimangano comunque in secondo piano rispetto al primato onto-logico del numero sulla logica: “il nocciolo reale della struttura è numerico [e] corrisponde a due numeri: lo zero e l’uno [o meglio] all’oscillazione tra lo zero e l’uno.”[35] La psicoanalisi, attraverso la formalizzazione logica del soggetto maschile e di quello femminile, dimostra come la sessuazione conduca all’impossibilità e, mantenendo distinti il reale come impossibilità di procedere nella numerazione dall’uno al due e la funzione di verità che procede “esclusivamente dallo zero all’uno”[36], ci permette di “scrive[re] l’impossibilità di scrivere il rapporto sessuale”.[37] Il passo avanti di Chiesa rispetto ai precedenti lavori sull’argomento consiste proprio nel sottrarsi al rischio di far ricadere l’enunciato dell’impossibilità del rapporto sessuale in una sorta di trascendenza mistica e illusoria, e questo proprio grazie alla bifidità dell’Uno espressa dal non-due: “la verità non è nella corrispondenza veridica tra il linguaggio e la realtà, ma piuttosto nell’articolazione significante che è secondaria rispetto al reale impossibile. Ancora una volta, si tratta di una funzione che parte da zero e uno e in cui sia zero sia uno hanno entrambi valore di verità.”[38]
Come abbiamo detto, non è possibile scrivere direttamente la verità d’incompletezza senza retrocedere ad una presunta e completa verità sulla verità. Si ripropone perciò l’alternativa tra la verità assoluta dell’incompletezza e la paradossale affermazione di un non-Uno cosmologico che funge, esso stesso, da nuovo (e ontologizzato) Uno. Ma scegliere per una delle ipotesi si rivela ugualmente problematico, dunque l’alternativa tra le due rimane nuovamente indecidibile. Per quanto sia indiscutibile che “il non-Uno sia la nostra vera verità”,[39] il problema del bivio tra la verità definitiva ed irriducibile dell’incompletezza e la sua elevazione contraddittoria all’Uno resta invariato. Eppure, proponendo una sorta di inversione della scommessa di Pascal e integrando questo assunto fattuale con quello controfattuale dell’esistenza di un Dio maligno ed imperfetto, Chiesa prospetta un’uscita pratica da questa impasse: entrambe le alternative infatti puntano alla medesima conclusione, cioè all’apertura alla libertà di agire come se l’Uno/Dio (incompleto ed inconsistente) non esistesse. Non vi è insomma alcuna alternativa pratica all’affermazione del non-Uno come “vera verità”:
“Il non-uno è la nostra vera verità, ma o il non-uno è anche la verità definitiva, o il non-Uno è Uno. In quest’ultimo caso, la verità definitiva non corrisponderebbe in nessun modo ad un sapere sulla verità: esso saprebbe di non sapersi e, allo stesso tempo, non saprebbe di sapersi. Pertanto, non c’è ragione per cui non dovremmo, alla fine dei conti, compiere una scelta pratica a favore del non-uno.”[40]
Contro le raccomandazioni di Lacan a identificare la verità con il reale (ovvero a reificare la verità d’incompletezza), Chiesa chiude il libro con l’auspicio di poter sviluppare nei prossimi lavori le conseguenze della para-ontologia “al di là del materialismo agnostico”, con l’oneroso obiettivo di poter affermare “l’in-sé-e-per-sé”[41] dell’animale parlante oltre i limiti della logica stessa.
Bibliografia
Chiesa L.
Nonostante siano trascorsi già due anni dalla sua uscita, ho voluto offrire una panoramica di questo studio per due principali ragioni. Non solo perché il libro, così come l’altro importante saggio dell’autore[2], non è ancora tradotto in lingua italiana, ma anche perché, nell’ottica della sempre più evidente ripresa del realismo filosofico (speculativo o metacritico che sia), il lavoro di Chiesa è costituisce senza dubbio una risorsa irrinunciabile. Detto molto succintamente: oggi, una corretta critica lacaniana non può prescindere dai contributi di Lorenzo Chiesa. In secondo luogo, e in diretta connessione con il punto precedente, perché il tempo trascorso – in uno scenario agorafobico come quello degli studi culturali in cui pochissimi saggi possono ambire a vivere a lungo – non solo non ha scalfito l’attualità di The not-two, ma ha dimostrato che le conseguenze di alcune importanti criticità che l’analisi di Chiesa lascia emergere devono ancora essere tratte al loro massimo potenziale. In particolare, la chiusura etico-politica del saggio e gli orizzonti pratici aperti dall’indecidibilità agnostica del non-due, lungi dall’essere frettolosamente messi da parte come alcune letture hanno suggerito fosse opportuno,[3] hanno ancora molto da suggerirci. Inoltre, per quanto riguarda il futuro, sarebbe interessante mettere a confronto critico la nozione di libertà offerta dalla conclusione del presente saggio con quella contigua ma ad essa irriducibile emersa complessivamente dai lavori del primo Chiesa (The virtual point of freedom) e che culmina nella (attualmente incompiuta) figura del soggetto partigiano.[4] Questo per dire che The not-two, al di là delle sue fitte basi teoriche e filo-logiche, deve essere letto come un’opera aperta i cui risultati sono ancora da spremere.
Nel complesso, il lavoro di Chiesa si presenta nella forma di un percorso logico lineare e propone un metodo di approccio al testo lacaniano che è piuttosto unico nel suo genere, specie per l’equilibrio perfezionistico tra la premura esegetica (mai banale e sempre perfettamente documentata) e la capacità di convertire i propri presupposti epistemologici in un coerente e fedele programma etico-politico che, oltre il paradosso donchisciottesco, conduca l’autore “fuori dalla biblioteca”. Tra i contrappunti che si potrebbero muovere al testo, ve n’è anzitutto uno di tipo editoriale, estendibile a tutti i volumi della serie Shortcircuits della MIT Press: si constata facilmente come a questi testi così impegnativi e ricchi di citazioni e riferimenti gioverebbe non poco una bibliografia finale completa, che non si riduca ai semplici rimandi bibliografici delle note di chiusura. Inoltre, il lettore potrebbe chiedersi per quale motivo il titolo del volume non spenda alcun riferimento sulla sessualità, la cui trattazione è sottesa all’intero studio decisamente più di quella dedicata a “Dio”. Un’attenuante a questa omissione potrebbe essere proprio il tipo di pubblico cui una pubblicazione del genere è destinata: si tratta di uno studio condotto con estremo rigore e pertanto raccomandabile a lettori che abbiano già una propria opinione in merito ad alcune tesi di Lacan e per i quali, di conseguenza, il riferimento alla sessualità sia già implicitamente presente nel titolo come mediatore evanescente tra “Logica” e “Dio”. Ma non è forse questo l’esempio di come un atto mancato, un’apparente omissione, finisca in fin dei conti per rivelarsi un atto del tutto riuscito? Di come esso contenga più verità di quanta ne dissimuli? Oltre tutto, vige un’evidente asimmetria tra alcuni capitoli, come ad esempio il primo e il secondo, ravvisabile già dal numero di pagine che li compone e che si rispecchia in una sproporzione contenutistica piuttosto evidente: benché il primo capitolo rappresenti un meticoloso esempio di esegesi critica necessario per proseguire la lettura del resto del saggio, il suo taglio “accademico” lo rende non all’altezza del migliore Chiesa, che riemerge invece nel più impegnativo ma indiscutibilmente soddisfacente livello del secondo capitolo o della Conclusione.
Più nello specifico, il “Non c’è rapporto sessuale” – che potremmo superficialmente definire l’assenza di un razionale, di una misura che garantisca per i due sessi – non solo determina la soggettivazione linguistica dell’homo sapiens, ma costituisce anche la (vacillante) logica trascendentale della soggettività umana tout court. Chiesa mostra come per Lacan la funzione fallica funga sia da tappo all’assenza del rapporto sessuale (compensandolo attraverso il sembiante fenomenico dell’Uno) che da barriera (mostrando l’incompletezza cui ci conduce questo non-rapporto sotto forma di impasse fenomenica). Le principali ripercussioni di tale evidenza non sono solamente di ordine esegetico, ma ci impegnano in un’approfondita indagine sulla logica, l’ontologia e la cosmologia che si rivelerà non senza esiti pratici. Insomma, la fondamentale inesistenza del rapporto sessuale implica l’impossibilità logica di enunciare la verità circa la sessualità in termini di unità o di entità positiva (come dice Lacan, “ci sono due sessi, ma non un secondo sesso”[5]). Questa impossibilità, gravata di tutte le implicazioni che l’indagine di Chiesa porta alla luce, può essere espressa in termini numerici attraverso ciò che Lacan chiama il non-due [pas deux]: “il non-due racchiude l’idea che la nostra vita amorosa e sessuale si basi sull’impossibilità dell’uomo di fondersi con l’heteros della donna come un altro Uno, così che la somma di due Uno dia un due-in-Uno.”[6] Una ponderata analisi critica compiuta trasversalmente ai principali Seminari dello psicoanalista francese consente di dimostrare come spesso le argomentazioni di Lacan rischino di rimanere preda di una trappola retorica, in cui i presupposti fondamentali della sua dottrina materialista sembrano venire meno. Ad essere problematica per Chiesa è anzitutto la posizione di un “secondo” Lacan, quasi-spiritualista, per il quale la differenza è già presente sin nella natura pre-umana – come vedremo più avanti, un simile postulato è incompatibile con la complessiva indifferenza della natura, principale replica che il realismo metacritico indirizza all’ateismo religioso del realismo speculativo.[7] Altro punto di forza del libro sono le originali conseguenze onto-logiche che l’autore deduce dal non-tutto (che indica, ingenuamente, l’incompletezza del Grande Altro):
“O vi è incompletezza, e pertanto possiamo dire la sua verità solo a metà, in quanto non appena la diciamo tutta ci appelliamo alla completezza, oppure è vero che l’incompletezza costituisce la completa verità di un Dio inconsistente ed ingannatore, un essere assoluto che, per definizione, non comprenderemo mai.”[8]
Prestando fede al peculiare epiteto con cui Lacan apostrofava la verità (un “partner inscopabile”) e all’incompletezza che caratterizza intrinsecamente quest’ultima – tanto che, conclude l’autore, la verità corrisponde alla verità dell’incompletezza –, Chiesa nota che il principale rischio di una simile speculazione sia quello di elevare l’incompletezza ad una sorta di sapere assoluto sulla verità. Di conseguenza, l’unico modo per enunciare l’incompletezza ontologica consisterebbe nel dirla a metà, ma in questo modo essa perderebbe il suo statuto di verità completa. La soluzione proposta da Chiesa è allora quella di integrare, attraverso la disgiunzione esclusiva, la formulazione definitiva della verità d’incompletezza (enunciandola come un Assoluto) con l’idea di un Dio maligno ed ingannatore (simil-genio maligno cartesiano) che è esso stesso inconsistente e imperfetto. Il prezzo da pagare per non ricadere nella malafede di un discorso aprioristicamente ateo – come accade al “Dio che ci assicura che non ci sia alcun Dio”[9] di Meillassoux – è l’indecidibilità, ovvero la conservazione di questo agnostico o/o, con tutte le conseguenze etico-politiche che ciò comporta.[10]
Nel Capitolo 1 (Woman and the number of God), l’autore propone una nuova lettura del Seminario XX, sfatando il cliché dell’errata identificazione della donna con l’Altro irriducibile alla castrazione (dovuto principalmente alla scarsa attenzione prestata ai Seminari che lo precedono). Chiesa dimostra come la liquidazione di questo erroneo legame costituisca il primo passo per spingere l’esegesi alle soglie di una jouissance femminile non-fallica, ovvero “un godimento supplementare che si collega (…) alla struttura come suo non-tutto, senza così impedire che l’Altro sesso possa godere anche fallicamente.”[11] Inoltre, l’autore vede nel Seminario XX non solo la fine di una trilogia (la “trilogia frasale”, come l’ha definita P. La Sagna), ma anche un vero e proprio “condensato” dell’intero insegnamento di Lacan, che dopo questo seminario diventa “difficile da categorizzare”. Il capitolo sviluppa anche la connessione tra la complessa struttura della differenza sessuale e la cosiddetta “ipotesi Dio”, che è la conseguenza ma anche lo schermo del “non-tutto” cosmologico e della sua tendenza totalizzante: “a causa dell’oscillazione tra l’Uno (maschile) e il non-Uno (femminile), la struttura non è semplicemente una. Ma, per la stessa ragione, non è neanche due, poiché l’oscillazione tra l’Uno e ciò che è altro dall’Uno genera un non-due.”[12] Al di là del particolare contesto ermeneutico da cui è tratto questo particolare passaggio del libro, questa logica oscillante rappresenta la matrice dell’intero scritto.
In parallelo, poiché come abbiamo detto la verità logica della sessualità non può mai essere enunciata come Uno (ovvero in modo esaustivo e completo), la necessità dell’essere vivente di rappresentare la propria identità sessuale viene accolta dai precari sostituti ingenerati dalla relazione asimmetrica dei sessi rispetto alla funzione fallica.[13] Ma allora, nota Chiesa, la jouissance non è che un sottoprodotto, un effetto collaterale dell’impossibilità di raggiungere il rapporto sessuale ed è pertanto indissociabile dall’emergenza contingente del significante. Questi vari e precari tipi di soggettivazione rispetto alla funzione fallica e i conseguenti modi di procurarsi il godimento vengono isolati dall’autore nelle loro quattro varianti discrete: il godimento fallico maschile, il godimento fallico femminile, il mitico e asessuale godimento angelico (être-ange) – prodotto dal fantasma maschile – e il godimento femminile propriamente detto, come supplemento/eccesso della jouissance fallica.[14] Quali sono le conseguenze di questa articolazione rispetto all’ordine simbolico e alla sua non totalizzabilità? Non solo il Simbolico è non-tutto, ma è anche lo stesso registro (immaginario e distorto) delle gestalten – le quali dovrebbero assicurare la garanzia anatomica dei sessi al di là del Simbolico – a rivelarsi fluttuante, sospeso come il Castello dei Pirenei di Magritte su di un reale inconsistente e senza fondo.
Il Capitolo 2 (Logic and biology: against bio-logy) è probabilmente il più impegnativo e riuscito dell’intero libro. Anche qui, la tesi principale di Chiesa parte dalla demistificazione di un cliché: ogni volta che Lacan parla della sessualità non lo fa mai dal punto di vista biologico. Molte letture dello psicoanalista francese infatti tendono ad esaurire i riferimenti alla biologia nelle considerazioni dei primi due Seminari.[15] Ancora una volta però, un’attenta lettura del testo lacaniano permette di esaltarne la criticità nel dibattito contemporaneo tra le scienze naturali e le teorie della soggettivazione: non solo per Lacan non esiste una corrispondenza diretta ed inequivocabile tra la soggettivazione/sessuazione ed il corredo biologico di base dell’individuo, ma qualunque scienza fondi i propri assunti su tale – fittizio – rapporto diretto, qualunque scienza dica insomma che “c’è rapporto sessuale”, è da intendersi come una (pre-galileiana) scienza del sembiante: “la biologia non considera che, per noi, ci sono due sessi naturali solo in quanto, logicamente, non vi è un secondo sesso”[16] o, per dirla con Blunberg, “la sessualità è una sindrome (…), una costellazione di sintomi che ci permette di fare diagnosi di ‘maschio’ o di ‘femmina’.”[17] Come nota Chiesa, tale critica non prende di mira solo le scienze più dichiaratamente essenzialiste e teleologiche, ma si protrae fino alle (ideologicamente) insospettabili teorie evolutive dello sviluppo contemporaneo, alla genetica e alle più recenti proposte di parentela darwiniana. Passando per un’attenta analisi della biologia lacaniana, l’autore arriva ad esplicitare le esitazioni dello stesso Lacan riguardo il veto sull’indagine delle origini della soggettività simbolica e del linguaggio e, una volta estratto questo importante nodo ermeneutico, mantiene quest’ultima evidenza in linea con la spina dorsale dell’intero, fittissimo capitolo: in che modo concepire tali origini senza che si invalidi l’assunto della radicale indifferenza della natura?
A riguardo, l’autore rintraccia nell’opera di Lacan due diverse e tra loro incompatibili filosofie della natura. Secondo la prima, la vita (naturale) biologica includerebbe già la differenza fondamentale della sessualità. In questo caso, la differenza viene posta come una mancanza reale inscritta nella natura stessa che non può che essere suturata dall’avvento della realtà (umana) simbolica. Eppure, puntualizza Chiesa, tale ipotesi scavalca le premesse materialistiche dello stesso Lacan, in quanto postula un’altra differenza rispetto all’Uno, finendo per riproporre un principio essenziale (e pertanto idealista) di quest’ultimo.[18]
Nella seconda ipotesi, la natura viene intesa come essenzialmente in-differente, ovvero del tutto “indifferente alla differenza”.[19] Il punto centrale di questa argomentazione è che la differenza emerge con l’incisione del significante, ma con la specificazione che “ciò non conduce a nessun cambiamento”.[20] Insomma, l’emergenza della realtà simbolica non produrrebbe alcuna modificazione reale della natura e permetterebbe dunque di cogliere questo processo come non-differenziale. A partire dall’adozione della seconda ipotesi, Chiesa ingaggia un importante dialogo critico con due eminenti commentatori lacaniani contemporanei, anch’essi impegnati nel postulato dell’origine della soggettività e dell’avvento del linguaggio, tratteggiando rispetto alle loro posizioni la propria personale ipotesi para-ontologica. Il primo di questi è Slavoj Žižek, secondo il quale, all’origine di ogni significazione possibile, si staglierebbe l’orizzonte hegelo-schellinghiano della pura negatività: l’emergenza della significazione dipenderebbe da un’instabilità intrinseca in grado di scuotere il vuoto radicale e pre-simbolico (la “notte del mondo”). Da un lato, questa risoluzione costituisce un punto forte della posizione žižekiana, in quanto rifiuta drasticamente di derivare l’avvento del significante da una presunta sostanza positiva o entità naturale discreta di ispirazione antropologica: la pura differenza del reale, in questo caso, appare retroattivamente attraverso l’avvento della differenzialità simbolica, pur rimanendo ad essa irriducibile. Dall’altro però, e qui secondo Chiesa sta tutta la problematicità della tesi di Žižek, questo principio dell’origine come pura differenza, tratto al riparo dalle insidie dell’idealismo, rischia di degenerare esso stesso in un’entizzazione vitalista/quasi-soggettiva della natura. Da questo punto di vista, la torsione intrinseca del reale sarebbe causata da una specie di terzo non dato, un’energia negativa (un meno di niente) né naturale né simbolica.
Distanziandosi da quest’ultimo punto e tacciandolo di rivelarsi un “animismo del non-tutto”,[21] Chiesa ritiene che anche la pura differenza debba essere pensata in termini di una più fondamentale in-differenza, un ancor più elementare reale pre-simbolico “il cui farsi differenza è contingente ma che, parimenti, rimane indifferente alla differenza.”[22] Sintetizzando all’estremo un’argomentazione che nel libro è ben più complessa, Chiesa oppone all’”illecita proiezione antropocentrica” della differenza nel reale pre-simbolico un concetto di “reale assoluto” come radicale indifferenza, per cui il taglio del significante non deve più essere concepito come “l’avvento della differenza in un contesto già differenziale, ma come la scissione immanente della natura indifferente nell’in-differenza”.[23] Come noterà lo stesso Žižek nella sua replica a Chiesa, ciò che vi è di più reale, il reale assoluto, è qui inteso come “la radicale indifferenza che contiene ogni differenza”[24]: una profonda ed elementare indifferenza sia al Simbolico che al non-Simbolico, e da cui il significante potrebbe emergere in circostanze contingenti ma che, in quanto neutrale, rimane indifferente a tale emergenza.[25]
Per rendere conto delle condizioni naturali dell’emergenza della soggettività e del linguaggio, il materialismo trascendentale di Adrian Johnston fa invece appello al concetto di “natura debole”[26], postulando una sorta di trascendenza nell’immanenza. Secondo Johnston (che espone la sua tesi sulla scorta della medesima critica a Žižek)[27], questa soluzione rappresenta l’unico modo per conservare una prospettiva di “rottura con la natura” che rimanga materialista. Anche qui, da un lato, Chiesa reputa questo approccio genetico/materialista necessario per sottrarsi alle insidie dell’idealismo/spiritualismo ma, dall’altro, dissente dalla scelta di Johnston di radicare l’inconsistenza/incompletezza che caratterizza l’essenza del Simbolico già nella (debolezza della) natura. Questa soluzione infatti implica che la natura sia già barrata (non-Uno), prima ancora dell’avvento della differenza simbolica.
“Johnston non traccia una distinzione (…) tra la differenza (il Simbolico barrato, o non-due, l’oscillazione – per Lacan linguistica e sessuale – tra l’Uno e ciò che è altro dall’Uno) e l’indifferenza (il Reale barrato o non-Uno, che si in-differenzia nel Simbolico barrato).”[28]
A questo punto verrebbe giustamente da chiedersi: come distinguere adeguatamente il reale barrato della natura (pre-simbolica) dal simbolico barrato? Una natura posta come sempre-già differenziale non permette di comprendere la sua essenziale in-differenza al Simbolico, nonché la possibilità contingente della sua emergenza. Come uscire allora da questo cortocircuito tra l’animismo del non-tutto e l’incapacità di pensare l’in-differenza?
Il materialismo agnostico di Chiesa tocca qui uno dei suoi punti più alti e convincenti: l’emergenza della soggettività linguistica implica e, al tempo stesso, non implica una fondamentale rottura con la natura. “L’in-differenza tra la differenza [simbolica] e l’indifferenza [pre- e post-simbolica] conduce ad un para-ontologico o/o: (…) o ha ragione Johnston [con il suo materialismo trascendentale del non-uno, la pura assenza di unità nel Reale], oppure ha ragione Zizek [con la sua teologia materialista in cui il non-uno si sussume nell’Uno come principio ontologico di base della mancanza/differenza], ma entrambi sono nel torto, in quanto non pongono questo o/o come onto-logicamente indecidibile.”[29]
Nel Capitolo 3 (Logic, science, writing) Chiesa passa ad un’analisi serrata della logica lacaniana e delle sue principali conseguenze rispetto alla struttura trascendentale della soggettività umana. Essa mira a dimostrare: 1) che la funzione fallica deve essere intesa come una funzione nel senso stretto del termine, cioè per come esso è stato coniato dalla logica dei predicati di Frege; 2) che “la verità dell’incompletezza fallica (…) equivale all’incompletezza del nostro pensiero logico come tratto linguistico specie-specifico che fonda il nostro sapere”.[30] Infatti, è solo grazie all’introduzione dei quantificatori che diviene possibile formalizzare le origini strutturali dell’incompletezza e dell’indecidibilità e uscire dal circolo vizioso tra Universale e Particolare secondo cui “è solo perché l’Universale riceve la propria essenza dal Particolare che il Particolare può ricevere la propria essenza dall’Universale in cui è incluso.”[31] La logica moderna di Frege, che letteralmente buca la frase inscrivendovi il posto vuoto della variabile, sloggia quella aristotelica – la logica del sembiante per eccellenza -, che invece si basa sul presupposto della copula come sostanza legante soggetto e verbo, e permette di sottoscrivere i rapporti di impossibilità in termini di formalizzazione logica.
Nel Capitolo 4 (The logic of sexuation) Chiesa compie un’analisi dettagliata delle formule della sessuazione elaborate nei tre Seminari dei primi anni Settanta dimostrando come sia proprio attraverso di esse che un animale inizialmente indeterminato possa inscriversi nella funzione fallica e, così, soggettivarsi (sessualmente). Con questa precisa lettura, l’autore sottolinea come le formule della sessuazione non siano altro, alla fine, che la scrittura particolare (delle risoluzioni possibili) dell’Edipo: ogni formula corrisponde ad un potenziale tentativo di venire a patti con l’inesistenza del rapporto sessuale attraverso una specifica articolazione tra l’Universale e il Particolare. Nel caso della sessuazione maschile ad esempio, il fatto che il rapporto tra la totalità (Universale) degli uomini strutturati dalla funzione fallica (tutti gli uomini sono fallici, dunque castrati) e l’eccezione singolare (Particolare) del Padre dell’Orda freudiana (esiste un uomo che non è fallico/castrato) dia luogo ad una contraddizione, rende questo tipo di soggettivazione inconsistente.[32] Nel caso della sessuazione femminile, poiché come dice Lacan La Donna non esiste, il fatto che la donna sia non tutta fallica non funziona da eccezione rispetto all’Universale “Donna” (infatti, se La donna esistesse, essa sarebbe tutta fallica). Qui pertanto, il rapporto si articola tra il “non esiste una donna che non sia fallica” (in quanto ognuna si relaziona all’uomo a partire dal sembiante asimmetrico del Fallo) e “la donna non è tutta fallica” (ovvero è non-tutta presa nel sembiante fallico). Poiché in questo specifico caso il particolare non esiste, ovvero non opera da negazione dell’Universale, ma anzi lo indetermina, ne consegue che, contro le letture comuni di questa formulazione, quella femminile non è una posizione contraddittoria, ma indecidibile[33]
“‘donna’ è il risultato dell’opposizione tra l’impossibilità (‘non esiste una donna per cui non sia possibile scrivere la funzione fallica’ (…)) e la contingenza (…) del fatto che la donna sia presa nella funzione fallica come un non-tutto non-universale (‘non-tutta la donna può essere inscritta nella funzione fallica’).”[34]
Nella Conclusione (0, 1, l’indecidibilità e la vergine), Chiesa esplicita ulteriormente l’interdipendenza tra la logica di Frege e la para-ontologia lacaniana e propone la scrittura logico-formale della verità d’incompletezza sotto forma di un circuito in cui il contingente detiene la priorità logica sul necessario e sul possibile. Da un lato infatti, il ricorso ai quantificatori del logico tedesco permette di de-sostanzializzare i riferimenti all’homo sapiens e di concepire quest’ultimo sotto forma di una x indeterminata. Dall’altro, la scrittura della verità d’incompletezza dimostra come la funzione fallica e il suo (corto)circuito logico rimangano comunque in secondo piano rispetto al primato onto-logico del numero sulla logica: “il nocciolo reale della struttura è numerico [e] corrisponde a due numeri: lo zero e l’uno [o meglio] all’oscillazione tra lo zero e l’uno.”[35] La psicoanalisi, attraverso la formalizzazione logica del soggetto maschile e di quello femminile, dimostra come la sessuazione conduca all’impossibilità e, mantenendo distinti il reale come impossibilità di procedere nella numerazione dall’uno al due e la funzione di verità che procede “esclusivamente dallo zero all’uno”[36], ci permette di “scrive[re] l’impossibilità di scrivere il rapporto sessuale”.[37] Il passo avanti di Chiesa rispetto ai precedenti lavori sull’argomento consiste proprio nel sottrarsi al rischio di far ricadere l’enunciato dell’impossibilità del rapporto sessuale in una sorta di trascendenza mistica e illusoria, e questo proprio grazie alla bifidità dell’Uno espressa dal non-due: “la verità non è nella corrispondenza veridica tra il linguaggio e la realtà, ma piuttosto nell’articolazione significante che è secondaria rispetto al reale impossibile. Ancora una volta, si tratta di una funzione che parte da zero e uno e in cui sia zero sia uno hanno entrambi valore di verità.”[38]
Come abbiamo detto, non è possibile scrivere direttamente la verità d’incompletezza senza retrocedere ad una presunta e completa verità sulla verità. Si ripropone perciò l’alternativa tra la verità assoluta dell’incompletezza e la paradossale affermazione di un non-Uno cosmologico che funge, esso stesso, da nuovo (e ontologizzato) Uno. Ma scegliere per una delle ipotesi si rivela ugualmente problematico, dunque l’alternativa tra le due rimane nuovamente indecidibile. Per quanto sia indiscutibile che “il non-Uno sia la nostra vera verità”,[39] il problema del bivio tra la verità definitiva ed irriducibile dell’incompletezza e la sua elevazione contraddittoria all’Uno resta invariato. Eppure, proponendo una sorta di inversione della scommessa di Pascal e integrando questo assunto fattuale con quello controfattuale dell’esistenza di un Dio maligno ed imperfetto, Chiesa prospetta un’uscita pratica da questa impasse: entrambe le alternative infatti puntano alla medesima conclusione, cioè all’apertura alla libertà di agire come se l’Uno/Dio (incompleto ed inconsistente) non esistesse. Non vi è insomma alcuna alternativa pratica all’affermazione del non-Uno come “vera verità”:
“Il non-uno è la nostra vera verità, ma o il non-uno è anche la verità definitiva, o il non-Uno è Uno. In quest’ultimo caso, la verità definitiva non corrisponderebbe in nessun modo ad un sapere sulla verità: esso saprebbe di non sapersi e, allo stesso tempo, non saprebbe di sapersi. Pertanto, non c’è ragione per cui non dovremmo, alla fine dei conti, compiere una scelta pratica a favore del non-uno.”[40]
Contro le raccomandazioni di Lacan a identificare la verità con il reale (ovvero a reificare la verità d’incompletezza), Chiesa chiude il libro con l’auspicio di poter sviluppare nei prossimi lavori le conseguenze della para-ontologia “al di là del materialismo agnostico”, con l’oneroso obiettivo di poter affermare “l’in-sé-e-per-sé”[41] dell’animale parlante oltre i limiti della logica stessa.
Bibliografia
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- Notes toward a Manifesto for Metacritical Realism, in Potocnik M., Ruda F., Vӧlker J. (cur.), Beyond Potentialities?, Diaphanes, 2011.
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Johnston A., Naturalism or Anti-naturalism?, in Revue Internationale de Philosophie (2012, no. 3.), pp. 321-346.
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Zupančič A., Realism in Psychoanalysis, in Chiesa L. (cur.), Lacan and Philosophy. The new generation, Re.press, 2014.
[1] L. Chiesa (2016), p. xvi.
[2] L. Chiesa, Subjectivity and Otherness. A philosophical reading of Lacan (MIT press, 2007)
[3] Mi riferisco in particolare alla risposta che Žižek dà a Chiesa in Materialism or Agnosticism?, in S. Žižek, Disparities (Bloomsbury, 2016), pp. 348-352. Benché ben impostata e senz’altro interessante, la critica di Žižek lascia molti punti irrisolti e, alla fin fine, è piuttosto aspecifica: effettivamente, nella sua arringa, non è ravvisabile una vera e propria discolpa dalla critica mossagli da Chiesa riguardo lo statuto anti-materialista del “terzo vettore”, quella sorta di “misteriosa forza né culturale né naturale” come la etichetta anche Johnston, cui egli si riferisce ora con l’espressione “notte del mondo”, ora con “pulsione di morte”.
[4] Cfr. in particolare The body of structural dialectic: Badiou, Lacan and the “Human Animal” in The virtual point of freedom. Essays on Politics, Aesthetics, and Religion (Northwestern University Press, 2016), pp. 100-114.
[5] J. Lacan, (2011), p. 95.
[6] L. Chiesa (2016), p. xi.
[7] Si veda in particolare: Q. Meillassoux, Dopo la finitudine. Saggio sulla necessità della contingenza (Mimesis, 2012); per una succinta ma eloquente critica al realismo speculativo e un’introduzione al realismo metacritico si veda Chiesa (2011).
[8] Ivi, p. xiv.
[9] Cfr. A. Zupančič (2014), pp. 32.
[10] Come scrive Chiesa nella Prefazione, l’agnosticismo è “l’unica forma di ateismo veramente coerente” (L. Chiesa (2016), p. xiii).
[11] Ivi, p. xx.
[12] Ivi, p. 2.
[13] L’incapacità dell’essere parlante a rappresentarsi simbolicamente la relazione sessuale e il modo in cui questa impossibilità viene velata dalla struttura di finzione del sembiante viene descritta all’inizio del capitolo 3. Cfr. in particolare pp. 77-81.
[14] Cfr. ivi, pp. 4.
[15] È interessante notare come lo stesso Chiesa, in passato, sembrerebbe aver aderito a quest’idea. Nel primo capitolo di Subjectivity and Otherness, discutendo come nell’essere umano gli istinti funzioni attraverso una distorsione fondamentale delle gestalten, conclude: “queste tesi costituiscono l’unico riferimento biologico significativo della teoria psicoanalitica di Lacan.” Cfr. L. Chiesa (2007), p. 17.
[16] L. Chiesa (2016), p. 28.
[17] Ivi, p. 30.
[18] Ivi, pp. 60-61.
[19] Ivi, p. 62.
[20] Ibidem.
[21] Ivi, p. 66.
[22] Ibidem.
[23] Cfr. pp. 67-71.
[24] S. Žižek (2016), p. 354.
[25] Cfr. L. Chiesa (2016), p. 67.
[26] Cfr. ivi, p. 71.
[27] Cfr. a riguardo A. Johnston (2012).
[28] L. Chiesa (2016), p. 72.
[29] Ivi, p. 74.
[30] Ivi, p. 81.
[31] Ivi, p. 100.
[32] Cfr. ivi, pp. 106-107 e 110.
[33] Cfr. ivi, pp. 110, 113-114.
[34] Cfr. ivi, pp. 129, 134-136.
[35] Ivi, p. 162.
[36] Ivi, p. 178.
[37] Ivi, pp. 178-179.
[38] Ivi, p. 178.
[39] Ivi, p. 179.
[40] Ibidem.
[41] Ibidem.
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