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I colori del Sogno: Nevrosi di guerra in tempo di pace – Incidenza del soggetto e futuro della psicoanalisi

28 Feb 19

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La guerra sembrava finita, verso il 2005. Diversi pazienti avevano sognato che era stata segnata la pace, che prigionieri venivano rilasciati e che essi si presentavano in fila a ricevere una sorta di attestato ufficiale della fine dei combattimenti. I barbagli luminosi delle esplosioni e le tinte intensificate si erano attenuati e una paesaggistica fotografica rendeva il senso, talvolta un po’ squallido, della vita quotidiana.
 
Il libro che stiamo per leggere richiede, da parte del lettore, un atteggiamento di abbandono estetico a un fraseggio spesso accostabile al periodare sinfonico à la Proust, e anche la capacità di mettere da parte quel che si crede di sapere della psicoanalisi: Sergio Finzi propone un nuovo modo-mondo di far funzionare il Sogno. Un Joyce della letteratura psicoanalitica. Il libro è suddiviso in 23 capitoli distribuiti in due sezioni: Nevrosi di guerra in tempo di pace, testo pubblicato dall’Editore Dedalo di Bari nel 1989 e qui rivisto e modificato dall’autore, e l’Appendice, Continuazione e avanzamenti, che presenta testi tratti da altri libri, o scritti insieme a Virginia Finzi Ghisi e pubblicati su riviste quali “Il Cefalopodo”, “Il piccolo Hans”, “Alfabeta”, e qui raccolti e revisionati; sono presenti, inoltre, illustrazioni: nel complesso, il lavoro di Sergio Finzi fonde la guerra, la relazione al godimento del padre, e i colori: il punto di capitone tra la teoria e la pratica è segnato dal destino darwiniano dei cunei, Wedges, W del nome Darwin e di quello della moglie e della madre – Wedgwood, la forma cuneo divenne così per Darwin veramente «forma della natura e del soggetto», ma anche di una teoria del colore e della luce: l’aspetto che ora ci interessa sottolineare è l’accezione coloristica del termine gradation, che significa sfumatura di colore (sfumature sono anche dette in inglese hues o shades), accezione che è da ricollegarsi al modo in cui Darwin ebbe a concepire la sua rivoluzione scientifica, come invenzione di una «teoria della luce».   
 
Ritorna spesso il luogo della fobia del piccolo Hans, insistendo sul disegno del Dazio, e sulla forma del cuneo; il luogo della fobia di Darwin è lo spazio esterno che la finestra separa dalla stanza, cinema e cornice del dondolio riproposto sul Beagle che condurrà Darwin alla volta delle Isole Galapagos, limite e barriera tra la stanza e il prato che una mucca attraverserà, mentre il piccolo Charles è sulle ginocchia della sorella Carolina: una visione generata da un silenzioso e prematurato senso della vista.
 
Studiando Darwin mi sono accorto che nel flusso di Variazione, nella trasmutazione delle specie, qualcosa resta immutato, qualcosa accompagna Darwin dal principio alla fine, dai primi abbozzi dell’Origin all’ultimo libro sui lombrichi, qualcosa da cui l’autore si ritrae, come provano i passi da lui soppressi dalle prime edizioni dell’Origin, e che d’altronde continuamente ritrova, riproduce.
Tutta l’opera di Darwin scaturisce, come direbbe Lacan da una «copulazione di significanti».
 
Continuazione delle forme della Natura nella struttura della psiche dell’uomo: fa pensare al vuoto liquido di Das Ding, la forma di un lago sul cui contorno si costruiscono le cose, come sulla superficie dell’Es si specchia la forma del padre. I significati e i colori sulla pelle della psiche, evocano la Lituraterra di Lacan, il litorale, i significanti che piovono dal cielo a marcare il soggetto, dividendolo, il concentrico disporsi dei colori dell’ocello, impronta digitale, ocello che ricorda l’incastro osseo, il sinoviale: imprimersi della pioggia di significanti sulla pelle e dell’uomo e dell’animale, e sulla psiche come sottostante strato geologico. Freud stesso riprende la metafora archeologica per spiegare il lavoro della psicoanalisi. E così, in un’epifania, veniamo a scoprire il legame strettissimo tra natura, linguaggio, cultura e colore.
Come in una festa indiana v’è un’esplosione dei colori, il trauma di guerra, la trascolorazione di tutti i colori nella pura intensità della luce, è il trauma: l’arco traumatico, si propaga nell’Es, il trauma è un concerto per cranio e colori, il passaggio, il transito, avviene dal pre-linguistico, al colore: il passaggio avvenuto è dunque da l’Inc, di parola, all’Es, dei colori. Da un’interpretazione che si ferma alla scoperta del desiderio sessuale, all’apparizione di un sistema più complesso, incrociato avevamo detto, che nell’apparizione dell’analista sposta l’accento dall’interpretazione al transfert.
Il transfert è visto come supporto del sogno sognante, funzione fisiognomica che affida all’angoscia del trauma la forma di un pensiero. Il passaggio dal progenitore al figlio, intreccio di eventi remoti e presenti nel Soggetto-protesi del progenitore, quasi luce di stelle esplose miliardi d’anni fa: di esistere così nel ricordo del padre, non ricordando il padre morto ma essendo dal padre vivo ricordati in uno stato simile, per freddo, fame e privazioni, alla morte, si nutre la nevrosi di guerra fissatasi nella contemplazione dell’albero in cui l’essere umano si muta mettendo radici e una fronda.
In definitiva, un ripiegarsi del padre sul Soggetto. La forma e i colori delle macchie che appaiono sul corpo degli animali e che Darwin interpreta come attestazioni della progenitorialità sono quelle che, nel sogno, rievocano la traccia del godimento del padre. Vi è sempre la soggettiva intima del lavoro onirico e dell’arte, e il ripiegarsi progenitoriale sulla tela dell’Es, che testimonia del ripiegamento del soggetto nel mondo: se nevrotico, perverso o psicotico.
Una parola chiave che ci lascia penetrare il mondo di questo libro è “silhouette”: la fronte unisce, il profilo divide (la silhouette precede di un attimo la fine dell’armonia dell’adolescente con i genitori; nembo e nimbo luminoso e oscuro, la silhouette è un momento estatico in cui avviene un Rapimento, comprende sempre tre figure con una che scompare) e a queste operazioni è interessato l’Es in cui vanno a sedimentarsi tutti gli amori, i trascorsi amorosi di molti altri, che modellano la maschera dell’Io. L’Es è un cadavere squisito: “silhouette”: parola elegante, snella; significante che cattura l’immaginazione e si lascia accarezzare. La silhouette è anche il bilico tra la salute e follia, tra malattia e salvezza. La cornice di un quadro, il frontale degli edifici e degli elementi naturali, ma anche il loro skyline. Un legame inestricabile tra la gentilezza ambigua della silhouette e l’altrettanto tragica e affascinante ambivalenza della Cosa.
 
Un saggio di confine, questo di Finzi, scrittura presa tra la precisione scientifica del profondo, del quantico, che oscilla tra la sapienza iconografica della critica artistica e letteraria, e il memoir, la narrazione poetica. Bordo sempre della Cosa che non si dice, il lavoro di Finzi segna anche una barriera da superare, barriera molle e sta a rappresentare tutte le qualità, e i colori. Accadeva pure in Giunture del Sogno edito sempre per Luca Sossella. Barriera corallina, che separa e unisce Antropologia, Psicoanalisi e Filosofia del Linguaggio, oltre che Geometria e Teoria del gioco, un Istmo che è anche uno Stretto, una barriera che è anche passaggio, e dunque limite tra il significato delle parole e della loro traduzione dalla lingua di Darwin: il dramma di Darwin, al ritorno dal viaggio, sarà quello di sapersi comunque solo a porre, a inventare, a mantenere su quella Linea una Barriera. La figura dell’Eremita, da Cleride, sarà alla fine quella in cui riconoscersi. La linea del profilo è pure del naso, del seno e del fallo, il contorno della bellezza che Lacan affida alla poesia e alla creazione artistica nel suo bordeggiare il vuoto del godimento mortifero come limite che ci preserva dal salto mortale, deflagrazione psicotica, suicidio.
 
Dallo spazio del corpo, al viaggio di Darwin, attraverso la cupola di Brunelleschi, lo spazio dipinto e quello del rebus, lo spazio della pagina, la gabbia, fino al mutamento della concezione stessa della teoria: cambia la teoria dello spazio. Lo spazio non è più là ma si costituisce con i suoi oggetti. Come se lo scienziato si collocasse sul limitare di un universo in espansione.
Fin dal Mistero di Mister Meister – Scena e teoria della perversione, lo spazio, come rizoma che si allarga, come rivolo di acqua tra commessure desertiche, vivifica soprattutto la parte seconda del libro. Infine lo spazio, da stanza, barca, passo e impero, giardino, tinozza, oggetti parziali, diventa il luogo, quel luogo della fobia che è la prima rappresentazione esterna dell’apparato psichico.
 
 
Di seguito il video dell’incontro del 23 aprile 2019 al Riot Studio di Napoli in cui Carmelo Colangelo, Augusto Iossa Fasano, Amalia Mele, Felice Ciro Papparo dialogano con Sergio Finzi a proposito della nuova edizione di Nevrosi di guerra in tempo in pace.


 

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