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Recensione di La rivoluzione dentro – per i quarant’anni della legge 180

30 Mag 19

Di Luigi Benevelli
Fra le numerose rievocazioni, memorie, analisi che si sono succedute a 40 anni dall’approvazione della legge 180, questo La rivoluzione dentro curato da Francesco Stoppa è certamente fra le più stimolanti e ricche. Si tratta di una raccolta di interventi, interviste, ricostruzioni di esperienze da parte di operatori, medici e non, che hanno lavorato a Pordenone e di contributi, riflessioni critiche di intellettuali “ospiti” fra cui Peppe Dell’Acqua, Eugenio Borgna, Mario Colucci.

Il volume è dedicato a Lucio Schittar, fondatore e ispiratore dei Servizi di salute mentale della Destra Tagliamento, recentemente scomparso, che lavorò a Gorizia e a Parma con Basaglia. Un grande, caldo ricordo è rivolto anche ad Enzo Sarli morto in giovane età nel 1986.

Siamo nel Pordenonese, in Friuli, in un territorio la cui popolazione aveva come manicomio provinciale di riferimento il S. Osvaldo di Udine; l’unica presenza di psichiatria pubblica era quella di una lungodegenza psichiatrica a Sacile. La Venezia Giulia, Trieste sono vicine, ma anche distanti da Pordenone, nono solo geograficamente, vi si parla un’altra lingua. Anche per questi elementi è lontana da Pordenone l’esperienza paradigmatica di Franco Basaglia a Trieste.

Il volume è introdotto da una concisa e densa nota del curatore che propone le domande cui poi daranno variamente risposta gli interventi che si susseguono nelle sezioni “Testimonianze”, “Governare la rivoluzione”; “ Interviste”, “Pratiche e saperi”, “Per non dimenticare”:

* Cosa si è messo in moto con l’approvazione della legge 180 nella vita professionale, e non solo, di chi si è occupato e si occupa di salute mentale?
* Cosa i protagonisti di quel passaggio epocale hanno trasmesso, saputo trasmettere e, poi, vi è qualcuno interessato a raccoglierne l’eredità?
La rivoluzione dentro evidenzia la varietà e la ricchezza delle voci delle persone e delle culture professionali che vi si esprimono:

* quelle più direttamente, intensamente impegnate nel lavoro antimanicomiale, nella critica e nella demolizione delle “istituzioni totali”, nella costruzione e messa a punto del lavoro per la salute mentale
* quelle del mondo “psi”, dalle facoltà di psicologia alle scuole di psicoterapia, alle società psicoanalitiche nelle loro varie declinazioni, fra cui il citatissimo Lacan
* quelle della ricerca storica e filosofica con un intenso, ripetuto richiamo alla fenomenologia e all’esistenzialismo
* quelle delle politiche della liberazione e anche delle politiche attive, concretamente amministrate nelle comunità locali friulane.
Ripetuti interventi ritornano su due esperienze portanti delle vicende psichiatriche della 180 nel Pordenonese in tema di lavoro come sostegno, condizione del riscatto delle persone con disturbi mentali: la Cooperativa Noncello e la Cooperativa “Il seme”. In particolare la prima divenne, come racconta Gianni Zanolin, fra 1985 e 1995 un “modello nazionale” di impresa cooperativa che si tentò di “esportare” soprattutto in Italia Meridionale. 

La rivoluzione dentro mi ha colpito anche, in particolare, per il peso della presenza negli interventi delle culture professionali e scientifiche, psicologiche, psicoterapiche, psicoanalitiche, un fatto che appare “irrituale” rispetto agli standard delle rievocazioni correnti delle vicende e dei dibattiti che hanno accompagnato e alimentato i percorsi della riforma dell’assistenza psichiatrica pubblica italiana. Basta al riguardo scorrere i nomi degli autori citati e di quelli intervenuti: Elvio Fachinelli, Antonello Correale, Pier Francesco galli, Gaetano Benedetti, Antonello Correale, Anna Feruta, Enzo Morpurgo, Luciana Nissm, Marcello Cesa Bianchi, Giovanni Carlo Zapparoli, Franco Fornari, Dario De Martis, Diego Napolitani, Johannes Cremerius. Non solo, perché Angelo Cassin parla positivamente anche del “settore psichiatrico”, un modello di riforma dei manicomi che ispirò la legge 431/68 (quella che introdusse il ricovero volontario, i Centri di Igiene Mentale extraospedalieri, il lavoro di gruppo, le figure degli psicologi e delle assistenti sociali) che fu duramente contestato negli anni ’60 e ’70 sia da Gorizia che da Trieste in quanto teneva in vita comunque il manicomio.

Una antologia eloquente, inquieta, intensa, come si conviene alla questione. In particolare mi sento di sottoscrivere due passi sull’eredità della 180. Il primo è di Pier Aldo Rovatti:

“il pensiero non può mai navigare per conto suo sopra le teste degli individui. […] Una simile avventura non può nutrirsi di presupposti teorici di tipo autoritario o dogmatico, ma necessita di uno sguardo ininterrottamente critico, dubbioso […] e dunque di una soggettività aperta che mai potrebbe elevarsi a modello e anzi dovrebbe ogni volta abbassare le proprie pretese di verità verso quel processo di soggettivazione collettiva che nasce solo dal basso” (p. 107)

Il secondo è di Gianni Zanolin, cooperatore, amministratore locale:

“Così ho capito anche che la 180 doveva essere “pensata ed elaborata” nei vari territori e che se anche i nomi restano uguali, un Dipartimento di salute mentale era cosa diversissima a Messina piuttosto che a Caltagirone, o Venezia o Torino. Esistevano, in verità, tante 180 quante erano le province e forse le città italiane” (p. 85)

La politica italiana tutta ha dimenticato il valore e l’importanza della ricchezza di tale varietà e negli ultimi 20 anni sono andati affermandosi processi di accorpamento delle aziende sanitarie, modificandone in modo radicale la struttura, quella che è stato definita “mania di accorpamenti”. In Italia, “si è passati da un totale di 659 USL nel 1992 a 180 ASL nel 2005 e infine, nel 2017 ne sono previste 104. […] In totale le ASL si sono ridotte del 40% dal 2005 al 2017. Andamento simile per quanto concerne i Distretti, che si sono ridotti del 33% dal 2005 al 2017; erano 977 nel 1999, 835 nel 2005 e nel 2017 sono diventati 562” 1 .

Il lavoro per la salute mentale, così come tutta la medicina di prossimità richiedono un robusto radicamento locale; si esaltano e sono efficaci quanto più le loro articolazioni consentono, favoriscono il contatto reale con la vita quotidiana dei cittadini. Questo è diventato un grande problema, una dimensione che è andata smarrendosi.

Per questo, a me pare, bisognerebbe ridurre da subito le dimensioni delle attuali maxi-aziende sanitarie, ospedaliere e non. Ma si tratta soprattutto di restituire ai Sindaci il ruolo di  autorità sanitaria locale  loro assegnato dell’art. 13 della legge 833/78, un ruolo che nelle attuali Aziende ha finito coll’essere progressivamente sempre più ridotto, a partire dall’aziendalizzazione delle USL (D.L. 502/92), col risultato che manca la possibilità/capacità di riconoscere, mettere insieme a livello locale quanto amministrazioni e servizi pubblici, cittadini, volontariato fanno, situazione per situazione, quali ne siano i caratteri, i modi, nonché di monitorare l’esito degli interventi, di quello che si fa. Nel tempo, al posto dei sindaci, democraticamente eletti dalle popolazioni, ha messo radice una classe di funzionari manager che rispondono a chi li ha nominati (le giunte regionali), ma non alle comunità locali 2 .

Recentemente è morto Tullio Seppilli, antropologo medico, fra i costruttori del Servizio sanitario nazionale, uno dei miei maestri. Tullio parlava di sanità come bene comune, riferendosi ad un sistema pagato con la fiscalità generale, distribuito secondo criteri di universalità e segnalava come fosse rimasto irrisolto

“il problema di come aprire un servizio sanitario pubblico come il nostro s.s.n.  a nuove forme di discussione, partecipazione e gestione comunitaria dal basso dal momento che nel corso di questi 40 anni i meccanismi di iniziativa di controllo dal basso, previsti dalla legge 833, sono stati aboliti e sostituiti da un controllo dall’alto”.

La 180 ha bisogno, si nutre di un tale lavoro. Altrimenti soffoca.

P.S.:  Per riuscire a sapere quale eredità lascia la 180, che cosa ancora rappresenta, bisogna ricercare, far emergere, discutere cosa si insegna e cosa non si insegna nelle Scuole universitarie di psicologia e di medicina che formano psicologi, psicoterapeuti, medici, psichiatri, infermieri, educatori professionali, riabilitatori, assistenti sociali.

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