Franco Lolli, analista lacaniano, ha scritto un libro ambizioso. Inattualità della psicoanalisi. L’analista e i nuovi ‘domandanti’, edito da Poiesis, ha infatti l’ambizione di indicare una nuova prospettiva e di alimentare il dibattito su una pratica perennemente in crisi, eppur mai morta, di una pratica, a suo dire, troppo impastata di sociologia e filosofia e troppo esposta, a causa di alcuni suoi rappresentanti, alla luce dei riflettori, troppo sottomessa alla teoria declinista, una teoria “che attribuisce al cosiddetto declino del Padre la responsabilità delle principali e più insidiose manifestazioni psicopatologiche contemporanee”, evidenziando un pericoloso carattere ideologico e nascondendo sotterraneamente quello reazionario.
Attenti a invocare il ritorno del Padre, ammonisce l’autore. Attenti a ricondurre al centro della scena il patriarca, il capo, il salvatore, il maestro, il Dio che tutto dispone. Lolli assesta diversi colpi, a volte apertamente, altre sotto traccia. Esprime una volontà di liberazione, di distacco, di allontanamento, poiché “difendere la psicoanalisi vuol dire essere inattuali: vuol dire essere veramente soli, pur se all’interno di una comunità. Senza scuse e senza vergogna. Senza contarsi né sperare di ‘contare’. Sapendo, soprattutto, che l’inattualità ha un costo: essere necessariamente – ma orgogliosamente – ai margini”.
Lolli definisce Massimo Recalcati “il rappresentante più autorevole del movimento declinista in Italia”, dopo aver precisato che “l’analista che aderisce (consapevolmente o meno, poco importa) alla teoria del declino del padre, e che, di conseguenza, considera la supposta eclissi paterna come il dato etiopatogenico determinante, non potrà, nella cura che conduce, non proporsi come figura di riferimento sostitutiva, orientante (ufficialmente, il desiderio, ma, in realtà, l’esistenza stessa del suo analizzante) e idealizzata. Se è stata l’assenza del padre ad ammalare il soggetto, allora sarà – logicamente – la sua riabilitazione a guarirlo”.
A me pare un colpo assestato sotto la cintura. Intanto perché, leggendo e rileggendo i libri di Recalcati, che definirei il rappresentante più autorevole del movimento lacaniano in Italia (posto che possa essere un movimento), per gli studi fatti e per i libri scritti, non v’è traccia di una nostalgia di ripristino patriarcale. Del resto, persino un bambino di tre anni ne riderebbe. Insieme a Recalcati. Poi, perché si finisce per mettere in cattiva luce la pratica clinica di tanti professionisti, senza portare una sola valida testimonianza a favore dell’assunto. L’errore di Lolli risiede nella lettura di Telemaco, nel ritenerlo una sorta di figlioletto passivo in attesa del padre per ristabilire l’ordine perduto: “Il lamento del declino del padre contiene al proprio interno, più o meno esplicitata, la convinzione che solo il padre (e la sua rinnovata e rinvigorita azione nella realtà) possa ripristinare l’ordine simbolico (ritenuto) perduto. In termini clinici, tale convinzione favorisce l’identificazione dell’analista al padre, che si palesa, in costui, nell’affermazione (spesso inconsapevole) del proprio potere, rivendicato immaginariamente come unica possibilità di sostegno per i soggetti ‘smarriti’ dei quali egli si occupa. L’analista si trasforma, così, in un pastore d’anime sofferenti, ponendosi come il faro che illumina il mare in tempesta nel quale i suoi analizzanti annaspano”. Insomma, tanti Don Jacques, tanti preti a cura di pecorelle smarrite. Telemaco, in realtà, come spiega Recalcati in Le nuove melanconie, è l’anti-Edipo: “La forza del mio Telemaco non è quella di essere il figlio che attende nostalgicamente il ritorno del proprio padre. La sua è quella che manca a Amleto, il quale resta irretito dall’eredità – come è possibile ereditare la volontà di un Altro?”. Telemaco è attivo, non passivo: “Per questo egli è profondamente anti-edipico: diversamente dal figlio Edipo, Telemaco non vuole la morte del padre. Non è l’aggressività cieca che definisce il suo rapporto con Ulisse, ma la mancanza. Telemaco è una figura che interpreta correttamente l’eredità come trascendenza, spinta, inclinazione eretica. Al contrario, Edipo resta prigioniero del conflitto interminabile con il padre. La morte del padre getta la sua ombra imperitura e melanconica sulle spalle del figlio. Edipo resta legato al padre perché lo uccide, perché la sua eredità gli sfugge, perché non ha soggettivato il suo debito simbolico con la sua provenienza”.
Verrebbe da chiedersi: quanti analisti si mettono, magari inconsapevolmente, nelle vesti di Edipo, tentando di uccidere il padre, non avendo soggettivato il loro debito simbolico con la loro provenienza, e sviliscono il loro lavoro finendo per mortificarlo? Del padre, ricorda Lacan, se ne può fare a meno a condizione di servirsene. Continua Recalcati: “Diversamente, il fantasma edipico esige il parricidio del padre – la lotta a morte col padre – per poter affermare il desiderio ribelle del figlio e la sua libertà. All’opposto di Edipo, Telemaco invece invoca la ricostruzione del patto tra le generazioni. La sua non è inettitudine nel far valere la Legge senza il sostegno del padre, ma capacità di riconoscere che senza la ricostruzione di un nuovo patto generazionale non c’è possibilità di riportare la Legge a Itaca. Per questo l’orizzonte di Telemaco – diversamente da quello di Edipo e di Amleto – non è il passato ma il futuro, non ciò che si è già scritto – il destino tragico preconizzato dall’oracolo o il ritorno dello spettro del padre – ma l’avvenire, il non ancora avvenuto. Telemaco è una figura profonda dell’invocazione: non vuole porre la sua vita al riparo della vita del padre, ma invoca il ritorno del padre come possibilità di una vita nuova non tanto per sé stesso, ma per la sua gente e la sua città. Non cerca la custodia del padre, ma sa confrontarsi con il pericolo del viaggio, sa che l’eredità non è un lasciapassare, ma un viaggio tortuoso che implica un rischio mortale”.
Di grazia, dov’è il ritorno nostalgico del Padre? Dove sono, nella pratica clinica, il pastore e le pecorelle? Ciò invece che mi preoccupa è il declinismo della psicoanalisi e della figura dello psicoanalista. Lolli, nel secondo capitolo, il migliore dei tre, passa in rassegna le varie posture dell’analista utilizzando le tante definizioni di Lacan per approdare, nel terzo e ultimo, a indicare una nuova prospettiva: quella dello psicoanalista inattuale per una inattualità della psicoanalisi. Eppure, bisogna fare attenzione a minimizzare il ruolo dell'analista, la sua luce, il suo carisma e ricordarsi che quando si parla di carisma non necessariamente dobbiamo avvertire l’allusione al ritorno di qualche Führer. Quando l’ottimo Allegri dice che il solo compito dell'allenatore è di non fare danni, fa bene Sarri a replicargli: "Speriamo che i presidenti non ti ascoltino". Tradotto: se serviamo solo a non fare danni, perché dovrebbero darci 10 milioni di euro annui? Tradotto: il minimalismo psicoanalitico di Lolli non me lo farebbe scegliere come analista. Non perché io sia a caccia dell’analista padre, bensì perché a forza di picconare e di decostruire, il rischio è che non resti l’essenza dell’analista, ma soltanto la sua cenere.
Smontare i giocattoli è un gioco molto pericoloso, soprattutto se non sai come ricostruirli. Picconare la figura dell’analista, spolparlo di ogni evidenza del suo sapere, ricondurlo nella sua stanzetta, dietro il lettino, lontano dalla luce dei riflettori e dal pericoloso afflato della folla, poiché quello e soltanto quello sarebbe il suo posto, vuol dire privarlo di essere parte del mondo, di rispondere con il silenzio e la parola a vecchi e nuovi domandanti. Non avremmo una psicoanalisi inattuale, ma inutile. Non avremmo psicoanalisti inattuali, ma inutili. Lolli non è preoccupato soltanto di chi addebita al declino del Padre la responsabilità delle principali e più insidiose manifestazioni psicopatologiche contemporanee, ma anche del rischio che la psicoanalisi si conformi al discorso sociale dominante, “contribuendo a fare della psicoanalisi stessa un nuovo oggetto del mercato, il cui valore verrà misurato – come qualunque altro oggetto di consumo – in termini economici (vendita di libri, aumento di richieste di cure e di partecipazione al circo mediatico, organizzazioni di eventi culturali, ecc)”. Ma io mi auguro che questo libro di Lolli si venda, che apra un dibattito sereno e rigoroso, che faccia emergere con chiarezza il detto e il non detto, e Lolli, che si è formato sui testi di Lacan, sa che il Maestro (si può usare ancora la parola Maestro?), se fosse vivo, non avrebbe alcuna difficoltà a partecipare, tanto per dire, al Festival della Filosofia di Modena, non avrebbe alcuna difficoltà a relazionarsi con il pubblico, attraverso il sapere, senza nulla togliere alla psicoanalisi che, per restare attuale, deve avere la capacità di stare al mondo senza essere del mondo. Come i veri pastori di anime. Senza offesa, né per i pastori né per le anime.
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VEDI ANCHE LA RECENSIONE AL SAGGIO FRANCO LOLLI A FIRMA DI ROSSELLA VALDRE’ SEMPRE SU POL.it
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