Percorso: Home 9 Clinica 9 La fine della coscienza? Dalla mente bicamerale all’intelligenza artificiale. INTERVISTA AGLI AUTORI DEL SAGGIO

La fine della coscienza? Dalla mente bicamerale all’intelligenza artificiale. INTERVISTA AGLI AUTORI DEL SAGGIO

9 Nov 22

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A partire dal saggio Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza dello studioso Julian Jaynes, gli psicologi Gianluca Ciuffardi e Tommaso Perissi riprendono e sviluppano la teoria secondo cui la nascita della coscienza è un fenomeno che nella storia dell’essere umano sarebbe relativamente recente. La mente bicamerale sembra però essere ritornata: agli albori, secondo Jaynes, la mente era divisa in due parti, una soggetta alla voce del dio, e l’altra esecutiva degli ordini divini, la coscienza come la intendiamo oggi sarebbe invece apparsa intorno al 1000 a.C. e ciò che oggi chiamiamo psicosi o schizofrenia, per la mente bicamerale era la voce degli dei e degli spiriti, voce reale, carnale quasi, che dialogava con gli esseri umani. Secondo la teoria degli autori la coscienza sta tornando a essere bicamerale, ma il dio, le voci delle divinità, sostituite dal robot, dalla tecnologia e la coscienza, lentamente ma in modo inesorabile, sta diventando sempre più la voce impersonale dell’algoritmo. Gli autori, interrogandosi sul «perché la gente ha tanto bisogno di credere nel paranormale? Come mai sono in aumento le persone che affermano di aver assistito a fenomeni che in realtà non esistono? Cosa c’è di vero dietro ogni fenomeno paranormale?», tracciano un appassionato sentiero tra storia, letteratura clinica, arte e scienza, per farci riflettere sulla «necessità di ritornare a un nuovo Umanesimo» in cui la bellezza e la creatività possano sostituire lo sterile utilitarismo dell’algido algoritmo robotico. 

 



 

 

 

«Sulla base degli scritti tramandati dalla tradizione greca, la posizione di Jaynes consiste nel concepire la mente bicamerale, la prima forma di coscienza umana, come una facoltà che raggiunse il suo apice circa tremila anni fa con l’invenzione della scrittura in varie parti del mondo, per poi declinare in coincidenza con l’avvento delle prime città stato greche (polis) […] La nostra ipotesi è che la mente bicamerale, questa sorta di protocoscienza, abbia superato la soglia critica di cablatura nel cervello umano in coincidenza delle prime forme di espressione simbolica»: come si è evoluta la mente bicamerale dopo l’invenzione della scrittura? 
 

G.C.: Nel nostro libro avanziamo l'ipotesi che la coscienza non sia affatto un fenomeno biologico irreversibile e inevitabile, bensì che essa sia un prodotto dell'evoluzione piuttosto stravagante, emerso molto più tardi di quanto generalmente si pensi (intorno a tremila anni fa, in accordo con le idee di Jaynes) e che, al pari della forma del famoso becco dei fringuelli studiati da Darwin, potrebbe cambiare di nuovo status in un futuro prossimo, come accadde ai tempi del crollo della mente bicamerale più di 3000 anni fa, facendo piombare gli uomini in una sorta di mentalità sempre più robotica, in cui i margini di libertà di scelta risultano ridotti al minimo. Purtroppo, tracce di questo modo di pensare sono ravvisabili ovunque intorno a noi: sul lavoro, nelle relazioni interpersonali, nel modo di reagire agli eventi estremi. Sempre più persone agiscono o esprimono dei concetti non più sulla base di profonde introspezioni e ragionamenti logici, ma semplicemente in base a stereotipi oppure eseguendo ordini eterodiretti provenienti dall'alto. La vecchia forma mentis forgiata sull'introspezione e sull'elaborazione di idee personali, così a cara a certe tradizioni della psicologia, sembra essere entrata in un progressivo declino, perché non più funzionale al tipo di società di massa che stiamo sperimentando attualmente. 

T.P.: In un tipo di società del genere, sempre più atomizzata dove per poter sopravvivere è strettamente necessario fare quello che ci viene detto di fare, obbedendo a quanto suggerito dalle alte sfere senza mettere in dubbio nulla, in cui i margini per esprimere la propria libertà di pensiero sono ridotti al minimo, per non dire inesistenti il possedere una coscienza autonoma e indipendente dagli altri rischia di diventare un elemento destabilizzante per l'intero sistema, incapace di tollerare un valore troppo elevato di caos al suo interno, pena la disgregazione del tessuto sociale e l'accentuarsi di crisi sociali ed economiche. Così come la coscienza costituiva un intralcio ai tempi dei primi ominidi, quando l'eccesso di pensiero avrebbe indotto un consumo eccessivo di risorse cognitive rispetto a quelle disponibili, esponendo a un rischio maggiore di predazione (se scorgo un leone nella savana, la prima cosa che devo fare per mettermi in salvo consiste nello scappare correndo a gambe levate, non certo mettermi a disquisire amabilmente sui comportamenti etologici dei felini di taglia grossa), la medesima situazione si sta probabilmente verificando oggi, anche se in forma diversa. In una società in cui avere un proprio spazio mentale autonomo rischia di essere un ostacolo concreto nei confronti delle sovrastrutture culturali e delle direttive provenienti da tutto ciò che ci circonda. 

 

«Jaynes afferma che il crollo della mente bicamerale cambiò per sempre il modo che gli individui avevano di relazionarsi l’uno con l’altro: era appena cominciata l’era dell’individualismo, che si fondava sull’idea di avere una coscienza isolata e autonoma rispetto agli altri, un atteggiamento che raggiungerà il suo apice con le teorie sul cervello autistico nel ventesimo secolo.» Cosa è diventata oggi la mente bicamerale? 

 

G.C.: Forse, oggi, il pericolo più grande (esulando purtroppo da guerre, riscaldamento globale e pandemie) consiste proprio nella perdita di consapevolezza da parte dell'uomo: sebbene in genere siamo portati a considerare la coscienza come un fenomeno irreversibile, oltre che inevitabile, dell'evoluzione, noi siamo di tutt'altro avviso. La progressiva adesione a una serie di procedure meccanizzate, che è intrinseca al lavoro moderno e al vivere in una società di massa sempre più performante e competitiva, dove chi non è programmato per vincere e primeggiare tende ad essere discriminato e lasciato indietro, induce le persone a pensare in modo automatico pur di eseguire alla lettera gli ordini estremamente logici, ma disumani, impartiti da un algoritmo. Annullando così ogni occasione di riflessione circa sé stessi e il rapporto con l'ambiente. Le nuove tecnologie, implementate in ogni aspetto della vita moderna, stanno sempre di più schiacciando l'uomo, costringendolo a pensare secondo un codice binario simile nella forma ai bit di un computer, perdendo così le sottili sfumature di significato e rendendo di fatto impossibile la formulazione di enunciati ipotetici e contro-fattuali di aristotelica memoria. Accelerando un processo che era per altro già in atto da tempo: tanto più il progresso tecnologico procederà in avanti e la società di massa si estenderà all'intero pianeta, quanto più le coscienze individuali tenderanno a ricalcare schemi arcaici, che credevamo scomparsi da tempo perché collegati al pensiero magico e religioso che era tipico dei popoli antichi. 

 

T.P.: Nel celebre film Il pianeta delle scimmie, tratto dal romanzo omonimo, si descriveva un mondo distopico in cui gli uomini, dopo aver perso la facoltà del linguaggio, sono stati schiavizzati da scimmie erudite, che le costringevano a lavorare al posto loro. Un mondo alla rovescia, dove a comandare sono le scimmie, mentre l'umanità è stata degradata all'assenza di coscienza, addirittura priva di un linguaggio articolato e complesso per esprimere i propri pensieri, oltre che addomesticata per svolgere tutta una serie di movimenti unidirezionali, eternamente uguali a sé stessi e privi di un significato personale, non molto diversi da quelli richiesti non solo nella maggior parte delle aziende moderne, ma anche in altri ambiti più apparentemente più sofisticati. L'inquietante messaggio del film è che l'intelligenza umana e la coscienza non andrebbero mai date troppo per scontate, considerandole abilità ormai acquisite per sempre, perché si tratta di dimensioni fragili e temporanee, soggette alle leggi dell'evoluzione e come tali possono facilmente atrofizzarsi in qualsiasi momento, regredendo a uno stadio più primitivo. “Il sonno della ragione genera mostri”, ammoniva il grande pittore Francisco Goya in uno dei suoi dipinti più famosi, sulla possibilità che le conquiste della civilizzazione possano svanire per sempre da un momento all'altro. Un ammonimento quanto mai attuale, al giorno d'oggi, 

 

«La mente bicamerale funzionava in modo diametralmente opposto, proiettando tali conflitti verso l’esterno e facendo sentire le persone di volta in volta alleate oppure in lotta contro un dio particolare»: oggi, l’accadere ‘psichico’ di questi conflitti interiori è piuttosto letto in termini solipsistici e patologici: può una ‘metafora bicamerale’ orientare le diagnosi verso una lettura meno schematica e più creativa del sintomo? 

 

G.C.: Assolutamente sì. In fondo, se ci pensiamo bene, è un po' quello che accade ai personaggi del celebre romanzo Il Mago di Oz: ognuno di loro sembra aver perso qualcosa ed è alle prese con sintomi di vario tipo. Dorothy la strada per far ritorno a casa e si sente sola; lo spaventapasseri ha perso il cervello ed è di conseguenza diventato confuso; l'omino di latta è senza il cuore e con esso la capacità di provare emozioni, perché a torto le considera i parenti poveri della razionalità, mentre il leone percepisce di non avere più il coraggio che aveva un tempo di fronte alle minacce provenienti dall'esterno. E tutti noi possiamo rivederci in una o tutte queste manifestazioni sintomatiche. Siamo perennemente alla ricerca di qualcosa che pensiamo di aver perso, per cui prima o poi tutti noi siamo chiamati, in un modo o nell'altro, a intraprendere un viaggio nel fantastico mondo di Oz, il quale può essere visto come un luogo metaforico che rappresenta la coscienza umana, dove le persone fanno esperienza del loro essere nel mondo e del modo in cui entrano in relazione con gli altri, attribuendo così un significato alla propria vita. Ecco, la teoria della mente bicamerale applicata alla pratica clinica punta a recuperare la dimensione artistica e irrazionale dell'essere umano, che soprattutto di fronte alle emergenze e alle catastrofi viene sollecitata intensamente, anche se tali elementi sembrano essere ancora troppo poco riconosciuti e valorizzati dagli esperti. Quel che manca oggi è proprio l'elemento magico e irrazionale e anche per questo motivo, nelle pagine del nostro libro, ci siamo fatti guidare dalle citazioni tratte dai libri di Harry Potter. 

 

T.P.: È fondamentale riconciliarsi con la nostra parte mancante, la mente bicamerale, sviluppando così una maggiore auto-consapevolezza e auto-riflessività lungo il cammino che conduce alla ricerca di un sé più autentico e profondo. La mente bicamerale ci aiuta a comprendere che non si può fare a meno degli altri per vivere, altrimenti si rischierebbe di perdere una parte fondamentale della propria umanità. È soltanto grazie agli specchi riflettenti costituiti dalle coscienze altrui che diventa possibile riflettere su sé stessi e sulle proprie risorse, sviluppando capacità empatiche e creative. Senza le quali smetteremmo di essere umani, riducendoci alla caricatura di altrettanti robot eterodiretti da fonti di stimolazione esterna e in preda a tic nervosi e automatismi vari. Per recuperare la capacità di sentire e di provare emozioni autentiche, l'unica strada rimane allora quella di scrollarsi di dosso il giogo dei condizionamenti psicologici che la società ci sta imponendo a vari livelli. 

 

«Forse questa coscienza nuova dell’imperatore, da noi chiamata così in omaggio agli studi compiuti da Roger Penrose (2000) sul rapporto tra mente e computer, rappresenta l’autentico fenomeno paranormale dei nostri giorni […]»: in che modo il computer sta modificando la struttura neurologica e coscienziale? E la realtà virtuale può essere un’alleata della clinica neurologica? 

 

G.C.: La parola “algoritmo” deriva dalla trascrizione latina del nome del matematico persiano al-Khwarizmi, vissuto nel nono secolo d.C. e già all'epoca si riferiva a ipotetiche “regole di ripristino e riduzione”. Quindi ritengo che l'applicazione di tali regole all'esperienza soggettiva umana, che ritroviamo nella realtà virtuale e nel metaverso, non sia altro un tentativo di “riscrittura” del modo di pensare verso forme più semplificate. Che può avere una ricaduta anche positiva in alcuni settori della clinica, ad esempio il trattamento delle fobie, ma che in generale presenti elementi più negativi che positivi. Non è un caso che il cervello umano si sia ridotto di dimensione negli ultimi 3000 anni, perdendo l'equivalente di ben 4 palline da ping pong, secondo le ricerche condotte dall'antropologo DeSilva, a causa dell'eccessiva specializzazione e divisione del lavoro: in precedenza, gli uomini dovevano essere sia guerrieri che contadini, sia poeti che navigatori, mentre oggi a ognuno di noi viene richiesto di far bene una sola cosa e una soltanto, ignorando tutto il resto delle nostre potenzialità. È probabile che questa progressiva riduzione di funzioni cerebrali continuerà anche in futuro, a causa del fatto di delegare sempre più operazioni alle macchine e agli strumenti tecnologici di cui disponiamo e sempre più disporremmo. Un po' come avviene per le formiche o le api, che non necessitano di un cervello troppo grande, proprio perché vivono pure loro in una società complessa e di massa che ricorda da vicino quella umana. 

 

T.P.: Lang e la sua sceneggiatrice, nonché moglie Thea Von Arbou, autrice anche del libro da cui il film è tratto, immaginano qualcosa di simile nel film Metropolis, ambientato in un futuro distopico nel quale i leader se la spassano all’aria aperta e la città futuristica, da cui il titolo, è retta da schiere di lavoratori schiavi che faticano senza sosta nei sotterranei per far funzionare una macchina a vapore di vitale importanza per la città. Il regista austriaco si dimostra profetico nel descrivere molti degli aspetti che permeano la nostra società circa un secolo dopo l’uscita del suo capolavoro, targato 1927, nel quale appare pure un automa con le sembianze femminili dell’amata creduta morta dal protagonista Freder, un’antesignana di Sofia, l’androide che qualche anno è comparso negli studi televisivi anche in Italia, intervistato da Neri Marcorè. Secondo Lang, l’opposizione tra i lavoratori del sottosuolo di Metropolis e la classe dei privilegiati sarebbe irriducibile, tanto da disconoscere il finale conciliatorio ideato dalla stessa Von Arbou, nel quale le due classi sociali trovano un accordo che metta fine al conflitto che si era creato.

«In pratica, si ha più voglia di vivere e forse è proprio questo il vero fenomeno paranormale, l’autentico miracolo: una trasformazione interiore che porta queste persone a essere maggiormente in sintonia con sé stesse, gli altri e il mondo circostante.» Come nasce il vostro interesse per i fenomeni del paranormale e in che modo sono collegati all’evoluzione della mente bicamerale e della clinica? 

 

G.C.: Perché la scienza evolve non tanto dando risposte, ma cercando di formulare domande nuove, foriere di sviluppare l'innata curiosità umana, la stessa che in tempi remotissimi ci ha portati come specie a scendere dagli alberi per inoltrarci nella savana, alla scoperta di quel che poteva esserci di nuovo oltre quanto già conosciuto. Altrimenti staremmo ancora appollaiati sugli alberi, intenti a toglierci le pulci a vicenda… Come studiosi della mente umana, siamo attratti da tutto ciò che ancora non conosciamo e che si presenta come un'anomalia inspiegabile. Del resto, se ci fossero prove concrete circa la comparsa di uno pterodattilo in volo nel cielo di Parigi, gli etologi cercherebbero subito di capire come sia stata possibile una cosa del genere. 

 

T.P.: Noi facciamo di fare lo stesso con i fenomeni paranormali: ci poniamo delle domande, molte delle quali ancora senza risposta, anche se la teoria della mente bicamerale consente di guardare a questi eventi da una prospettiva diversa. Come scriviamo nel libro, l'essere umano che oggi sogna di raggiungere Marte, in fondo non è molto diverso, nelle sue pieghe più recondite, dal pastore miceneo o dal guerriero etrusco che guardavano il cielo pieni di meraviglia e stupore, nella speranza di scorgere qualche segno della volontà degli déi. 

 

«[…] il connubio tra follia e arte del resto è un topos della nostra cultura potremmo dire, pensiamo, tra gli altri, ai pittori Van Gogh, Ligabue e Francis Bacon e ai letterati Dino Campana ed Edgar Allan Poe.» L’arte e la bellezza sono le grandi assenti nella stragrande maggioranza delle cliniche psicofarmacologiche: il paradigma è quello utilitarista, manageriale, quasi. Il paziente psicotico, a esempio, deve essere normalizzato. A me sembra che la guarigione sia più una nevrotizzazione del sintomo. Perché e con quali conseguenze l’odierno paradigma curativo evita il discorso dell’arte e della soggettività desiderante, per dirla con Lacan, e preferisce un omologante appiattimento robotico? 

 

G.C.: Ai tempi della Grecia di Platone, la più grande paura della gente, compresi i medici dell'epoca, era costituita dall'improvvisa separazione dell'anima dal corpo. Per evitare un'eventualità simile, che avrebbe messo in pericolo la salute del corpo oltre che della mente, era necessario curare le persone con le parole e non solo con i farmaci, attraverso incantesimi”rappresentati da “bei discorsi, da cui nell'anima si genera la temperanza”, come ebbe a dire il re trace Zalmosside, nel Carmide di Platone. Recenti studi di brain imaging (Leuchter, Cook e altri, 2003) attestano senza ombra di dubbio che il dialogo e la relazione che s'instaura tra medico e paziente possa realmente produrre benefici molto rilevanti, questo in ambito medico, figuriamoci quindi all'importanza che le parole (che secondo un altro autore, de Shazer, “in origine erano addirittura magiche”) possa avere nell'ambito del sostegno psicologico alle persone. Quando si perde di vista questo elemento magico del linguaggio, ecco che sperimentiamo tutta una serie di sintomi: se ci riflettiamo un attimo, ad esempio, il disturbo ossessivo-compulsivo non è altro che l'implementazione a livello individuale di quel modo di pensare per algoritmi e comportamenti unidirezionali e privi di senso a cui accennavamo prima. 

 

 

T.P.: Sciamani e stregoni di tutte le epoche sono sempre stati perfettamente consapevoli della portata del fenomeno della mente bicamerale, così potente da provocare effetti fisiologici misurabili: fin dalla notte dei tempi, infatti, i rituali e le pratiche magiche funzionano in molti casi proprio perché riescono a esercitare un notevole potere di suggestione sulle persone sofferenti di una qualche malattia. Tale funzione sembra mediata a livello biochimico da una serie di neurotrasmettitori che agiscono direttamente sul cervello, come la serotonina e la dopamina, producendo evidenze misurabili a livello sperimentale che sono ancora in fase di studio. Per sfruttare a pieno questi fenomeni, però, occorre andare oltre le tecniche e le procedure iperprotocollate che si sono imposte di recente in psicologia clinica e che sono la conseguenza diretta di un modo di pensare robotico e fine a se stesso. Ribaltando quel che si diceva in negativo della psicoanalisi ai tempi di Lacan, le procedure robotiche a cui accennavo prima non sono altro che “la malattia che cerca di curare se stessa”. Forse, invece, la vera “cura” consiste nel ritornare a rivalutare gli aspetti artistici e creativi un'eredità diretta dell'antica mente bicamerale anche nella pratica clinica, rivalutando un modo di pensare che per definizione non può mai essere ridotto solo con protocolli e direttive. 

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