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Uno sguardo su Elfriede Jelinek…invito alla lettura

11 Feb 13

A cura di FRANCESCO BOLLORINO

In tempi non sospetti, ci siamo gia’ occupati di Elfriede Jelinek – indirettamente – con la recensione de "La pianista", film vincitore a Cannes che le ha dato la notorieta’ internazionale, prima che le fosse conferito il Premio Nobel per la Letteratura 2004.

Tuttavia un Nobel desta sempre curiosita’, e nel corso dell’estate ho deciso di leggere I suoi romanzi pubblicati in italiano (oltre al gia’ citato "La pianista", uscito una prima volta nel ’91 per Einaudi, nel 2002 per l’editore ES e nel 2005 nuovamente per Einaudi). I romanzi sono: "Le amanti (Die Liebhabernnen)", ed. Frassinelli 2004 e "La voglia (Lust)" sempre Frassinelli 2004.

Nata in Stiria, nell’Austria meridionale, nel ’46 da una famiglia ebraica dell’alta borghesia Viennese, Elfriede e’ figlia di un ingegnere che morira’ tragicamente nel ’68 in un Ospedale psichiatrico, e di una madre appassionata di musica che la iscrive fin da bambina nel prestigioso Conservatorio Viennese, dopo impara violoncello, viola e pianoforte. Ribellandosi dopo pochi anni all’ autorita’ famigliare, incontra un periodo di depressione e, nel ’67, esordisce con il suo primo libro di poesie. In seguito, saranno pero’ la narrativa e il teatro I suoi filoni privilegiati.

Femminista, iscritta al Partito Cominista Austriaco dal ’74, la Jelinek si colloca a pieno titolo nell’ambito degli scrittori ‘politici’, come lei stessa (in una delle rare interviste) non ha mai rinnegato di essere, e nella scrittura ‘femminile’. Tutta la sua opera, peraltro non molto conosciuta oltre I confini austriaci fino al Nobel, e’ opera civile, imperniata nel racconto e nella difesa di una causa civile: la difesa degli emarginati, dei poveri e degli oppressi. Negli anni ’70, escono I primi scritti dissacranti, che la rendono invisa a buona parte dell’opinione pubblica e dei governi conservaori austriaci, "Siamo zimbelli, baby!", una sorta di action reading, e "Un libro per giovani destinato alla societa’ infantile".

Tra le pieces teatrali piu’ riuscite, segnalo "Cosa succede quando Nora lascia suo marito" (1979),"Malattia" (1987) e "Autogrill" (1994). Su un versante piu’ squisitamente femminista, "Clara S." (1982) che vede nella figura di Clara Schumann il sacrificio della creativita’ femminile a favore di quella maschile, e "Totenauberg" (1991) in cui mette a confronto Heidegger con l’allieva degli anni giovanili Hannah Arendt.

Ma sono I romanzi a renderla maggiormente nota ad un pubblico piu’ vasto e a caratterizzarne la pienezza narrativa, appunto I gia’ menzionati Le amanti (uscito in Austria nel ’75), Gli esclusi (1980), La pianista(1983) che resta la sua opera piu’ nota, e La voglia (1989).

Si puo’ dire che la Jelinek si inserisca a pieno titolo nella corrente della recente letteratura austriaca che ha I suoi massimi esponenti in Ingeborg Bachmann e Thomas Bernhard, anche se secondo alcuni critici non ne condividerebbe la grandezza.

Noi pero’, esaurita questa breve carrelata biografica (difficile a reperirsi, poiche’ la Jelinek e’ persona molto riservata e parla di se’ praticamente solo nel suo sitowww.elfriedejelinek.com che e’ sfortunatamente quasi tutto in tedesco!) non siamo tanto interessati ad un giudizio strettamente letterario, o di scuola, o se ella meritasse il Nobel o meno (si’, a mio parere). Noi ce ne occupiamo in questa rubrica perche’ non e’ frequente trovare una scrittura femminile cosi’ dissacrante, cosi’ sincera, cosi’ argutamente metaforica, cosi’ violenta e cosi’ coraggiosa

. Verosimilmente molto ardua a tradursi, la Jelinek usa un linguaggio che pare volutamente sgradevole a tratti, e intensamente poetico in altri; mescola stili e generi, il moderno e l’antico, persino le diciture pubblicitarie.

L’effetto e’ una scrittura che non si dimentica, mai banale, talvolta non immediata, vastamente metaforica dove l’uso dell’immagine la fa da padrona, come in La voglia, o dove il linguaggio e’ povero e scarno come dev’essere veristicamente per le due protagoniste de Le amanti, ragazze operaie di fabbrica in cerca a tutti I costi di marito.

I protagonisti di questi tre romanzi sono le donne, l’odio coniugale, l’Austria di oggi.

Donne.non tanto in quanto esseri umani specifici, anche, ma il femminile nella storia e nel sociale, quell femminile che per la Jelinek fa parte degli oppressi, degli emerginati e degli ultimi che i movimenti femministi e i partiti comunisti hanno per oggetti da tutelare.

Insieme alle donne, il sesso e’ l’altro grande protagonista. "Sesso – scrive sul Corriere la Fedrigotti – come espressione di possesso, di forza e rapina e, parallelamente, di sottomissione, di dipendenza e schiavitu’. Sesso ripetitivo senza sentimento ne’ dolcezza, mai ragione di allegria ne’ di consolazione. In altre parole, brutale pornografia".

Mentre La pianista prende avvio da uno spunto autobiografico (la madre era pianista, e anche nel romanzo-film le due donne sono sole mentre il marito e’ in manicomio), del tutto lontane dall’ambiente borghese intellettuale della Jelinek sono invece Le amanti e il molto discusso La voglia.

Le amanti, come detto, sono due povere ragazze, Brigitte e Paula, operaie in una ditta di reggiseni delle valli austriache. Perdute dietro al sogno di farsi sposare a tutti I costi, Paula e Brigitte non hanno un destino proprio: hanno il destino dell’uomo che le sposa. In ironico contrasto con il titolo, Le amanti e’ una storia tetra, del tutto priva di amore: ne’ dell’uomo verso la donna (da li’ viene solo sopraffazione), ma neanche della donna verso l’uomo, o della donna verso le altre donne, o della madre verso la figlia ("….la mamma batte la figlia come un chiodo e la martella nel suolo, e tutti I figli che un tempo hanno gravato il ventre della mamma, sembra che adesso martellino con solerzia anche loro, tanta e’ la forza che all’improvviso ha la donna.").

Il rapporto madre-figlia ha un ruolo centrale non solo ne La pianista, di cui e’ il vero protagonista, ma anche negli altri romanzi.

"La bambina e’ l’idolo della madre, che in cambio pretende un ben misero compenso: la sua vita".

La maternita’, ugualmente debole e alienata, compare anche in La voglia, storia della coppia benestante di un direttore di cartiera con la moglie Gerti, sempre nelle amene valli austriache dove imperversa Heider, dove il marito ogni sera al rientro a casa sottopone la moglie a ogni forma di gioco sessuale e di violenza. Il bambino guarda la tivvu’ e si scarica nello sport; la moglie gode in cambio del fatto d’essere la piu’ ricca del paese e d’essere invidiata dalle altre,

"…Quando la donna va a aprirgli la porta, capisce che niente e’ troppo grande per il suo dominio, ma che non dovra’ essere neppure troppo piccolo o facile da aprire. La sua voglia e’ sincera e gli si adatta come il violino al mento del figlio. In casa gli amanti si incontrano spesso, dato che tutto sgorga dal loro cuore e viene manifestato alla luce del sole. Adesso l’uomo vorrebbe rimanere solo con la sua donna. I poveri devono pagare per distendersi sulla riva".

In una societa’ rigidamente divisa in classi, tra I ricchi e I poveri non vi e’ possibile incontro. "Quando nelle case piu’ piccole tutti sono gia’ a dormire, nelle case piu’ grandi il sesso e’ ancora ad uno stadio elettrico, vitale. (….) Si sono sottratti alla polvere e ogni giorno, I migliori si riconquistano il proprio diritto sull’altro, mentre li’ attorno I poveri muoiono."

Sono le donne e I poveri accomunati dal non avere un futuro proprio: hanno il futuro che l’altro, l’uomo o il padrone, pensano per loro. Ci si abitua cosi’ alla violenza, sembra dire la Jelinek, diventa cosi’ facile abitare I luoghi del sadismo e dell’odio (verso gli altri, se stessi, I figli) che alla fine questi luoghi ci divegono familiari, e persino bene accetti.

Ne’ le cose vanno meglio nel mondo borghese de La pianista, dove non c’e’ ugualmente posto per I sentimenti amorosi: quando il giovane studente Walter si innamora di Erika, lei non sa che presentargli il misero scenario del rituale sadomasochistico, nel quale ha sempre vissuto condividendolo con la madre.

Alcuni hanno contestato questo Nobel, ritenendolo ‘politico’. Come a dire: la si premia per le sue lotte civili (o presunte tali) e non per la qualita’ letteraria.

Le motivazioni espresse al momento della consegna, sembrano premiare l’una e l’altra cosa. I gruppi femministi hanno guardato con grande interesse e meraviglia a questo premio; I conservatori austriaci lo hanno contestato.

Resta il fatto, a me pare, che la prosa della Jalinek e’ insolitamente forte, pervasiva, e antisentimentalista pur suscitando molte emozioni e, forse, non poche identificazioni nelle lettrici. Se anche usciamo dalla grande metafora della sessualita’, troviamo ovunque prevaricazioni del forte sul debole, dell’uomo ricco sulla donna povera, della donna borghese su quella operaria, e via dicendo.

Un altro motivo di fascino nel leggere la Jelinek, a mio avviso, sta nel fatto che – se si eccettua la dotta filosofia di alcuni gruppi di donne – non e’ piu’ cosi’ frequente leggere narrativa ‘femminista’, dove cioe’ le donne pensano, scrivono, si relazionano cosi’ come hanno fatto gli uomini per secoli (occorre risalire alla prima Erica Jong per leggere delle buona e vivace narrativa senza cerniera). Prevale oggi nei romanzi scritti da donne (pur con notevoli ottimi esempi) un sottomesso ritorno all’idealizzazione dell’amore come riscatto, della subordinazione come scelta, e del femminile come oggetto di rivelazione estetica per l’uomo.

La verita’ della prevaricazione e della violenza tra I sessi, cosi’ come tra le classi sociali, lascia il passo a un buonismo para tetevisivo, lontano dalla realta’ e percio’ modello irragiungibile e frustrante per molte donne.

Per la Jelinek, invece, la prevaricazione anima la vita e fa si’ che

"…la vita per lo piu’ consiste in questo: che niente vuol rimanere dov’e’. E allora, che si cambi!".

Dalla prevaricazione e dalla lotta puo’ nasscere il cambiamento.

Concludendo: dalle rare interviste, ho tratto questo breve passo, che riporto e traduco:

"….mia madre mi aveva inviata ad una scuola molto austriaca, dove si insegna l’obbedienza, e lui (il padre) mi ha dato un’educazione diversa. Io non l’ho amato molto. Non del tutto. Soltanto, mi ha incoraggiata ad affermarmi tramite il linguaggio, a servirmene contro gli adulti. La fede nel potere della parola e’ una caratteristica della cultura ebrea. Mi domando se, seguendo l’esempio di mio padre, servendomi del linguaggio anziche’ calarmi nella musica, come avrebbe voluto mia madre, io non abbia cercato di salvarlo da lei, e io con lui. Non voglio dire che lei sia totalmente negativa: e’ molto intelligente, era molto potente, impressionante. Senza di lei, mio padre non sarebbe sopravissuto"

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