Questa rubrica, dedicata al "femminile" in generale e alle sue problematiche, ha prevalentemente utilizzato linguaggi e chiavi di lettura ispirate alla psicoanalisi o comunque alla psicologia del profondo. Questo mese proponiamo invece un testo che dibatte un tema a mio avviso interessantissimo, la sindrome femminile del troppo amore, raccontato attraverso la diretta partecipazione di donne ad un gruppo di aiuto-aiuto condotto dalla stessa autrice, Lia Inama.
Lia Inama, esperta di counseling individuale, di coppia e di gruppo, formatrice e consulente per le risorse umane, ha ideato e guidato a partire dal ’95 un gruppo aperto, da cui sono entrate ed uscite diverse donne, accomunate dal desiderio e dal bisogno di condividere quella piaga dell’anima, del corpo e della mente che e’ la dipendenza affettiva, quel circolo vizioso in cui si entra per bisogno di amore e da cui non si esce piu’, o si esce abbruttite e devastate. A partire dal celebre "Donne che amano troppo" della Norwood dell’89, libro che ebbe enorme successo ed ha, in qualche modo, inaugurato il filone della letteratura e delle esperienze autoaiutative in tema di dipendenza affettiva, sono in seguito cresciute, anche in Italia, le pubblicazioni scientifiche e divulgative intorno a questo soggetto, trattato finalmente, anche da noi, come una dipendenza alla stregua delle altre. E’stato infatti nella tradizione dei Paesi anglosassoni e degli Stati Uniti, soprattutto, che i gruppi di aiuto si sono maggiormente diffusi, cosi’ che la gente li pratica senza vergogna e per i problemi piu’ vari, senza limitarsi al ristretto ambito della dipendenza da sostanze.
Il libro presenta alcune sedute di gruppo non ordinate cronologicamente — gruppo dall’amblematico nome Amarsi per non amare troppo — cui prendono parte mediamente 10-15 persone, che fra loro non si conoscono, guidate dal tatto garbato e a sua volta partecipe della conduttrice, per poi raccogliere alcune riflessioni dopo ogni seduta.
A chi si rivolge questo libro? E’ possibile che ogni donna incontri, nel suo cammino, un amore rovinoso, ma sembrano maggiormente esposte le "donne autonome sul lavoro, capaci di cavarsela in tutte le situazioni senza attendere che un uomo le porti in salvo, in grado di difendere le proprie idee eppure accompagnate da un sottile senso di inadeguatezza, spesso cosi’ profondo da costringerle a cercare continue rassicurazioni, peraltro mai appaganti del tutto".
Sotto la coltre della pseudosicurezza, queste donne covano insidiosi bisogni infantili mai soddisfatti — di riconoscimento incondizionato, di amore per quello che si e’ e non per quello che si fa , di gioco e tenerezza — che proprio perche’ mascherati sotto aree personologiche di efficienza e autonomia vengono ancora piu’ misconosciuti, ancora piu’ trascurati. La trappola a livello profondo, potremmo di dire, sta proprio qui: l’Altro non vede nella donna che ama troppo la bambina bisognosa sottostante, e si rivolge solo agli aspetti consci e apparenti della maturita’ e dell’indipendenza. I bisogni di amore e di conferma restano cosi’ sempre piu’ inappagati, e la richiesta di amore sempre piu’ urgente, in un perpetuo e folle circolo vizioso.
Cio’ che la donna porta al gruppo non e’ tanto la dinamica profonda complessiva (sulla quale sarebbe interessante, in altra sede, indagare) ma la cocente punta dell’iceberg del suo dolore. "Gli ho mandato dei messaggi — racconta Iris — per fargli sapere che sto male e che sono disperata. Ma lui non mi ha nemmeno risposto. Perche’ fa cosi’? Perche’ non mi telefona almeno per sapere qualcosa?".
Sono molti i racconti di questo tipo: la donna insegue un uomo inevitabilmente sfuggente, qualche volta bevitore, sempre impegnato in altro di piu’ importante di lei, che la maltratta e non teme di perderla, e tanto piu’ lui esercita questa forma di trascuratezza e sadismo, tanto piu’ lei lo insegue. La rincorsa e’ senza requie, ma vana.
E’ tesi centrale del libro che la radice del troppo amore sia il disamore per stesse; "Amarci per non amare troppo — scrive l’Autrice — e’ il nostro obiettivo". La ricerca inesausta di conferme dall’Altro proviene dall’incapacita’ a darsele da se’, queste conferme. L’Altro diventa cosi’ lo specchio e il nutrimento dal quale finiamo col dipendere, anche — e soprattutto — se si tratta di qualcuno che non ci ama e non ci merita, ad ulteriore conferma del proprio disvalore.
Sebbene la carenza di autostima e l’insicurezza sul poprio valore abbia sempre perseguitato l’identita’ femminile, e interessante notare come questo nodo problematico non solo non sia stato risolto dall’emancipazione, ma per alcuni versi persino inasprito, come dimostra la vasta eco e il successo di questi libri. Cosa e’ dunque avvenuto, a prezzo della civilta’? Il libro prende in esame anche il delicato tema della differenza tra i sessi, cosi’ per come i comportamenti oggi ce la mostrano (donne sempre piu’ attente alla qualita’ relazionale e uomini sempre piu’ distanti), non omettendo il dato che viviamo in una societa’ in perenne evoluzione.
Scriveva gia’ Bertold Brecht:
"Un uomo, signora, ha sempre paura di una donna che l’ama troppo".
Altro elemento cardine del discorso terapeutico — questo comune a tutti gli assetti psicoterapici- e’l’idea di fondo del valore mutativo della sofferenza, spinta essenziale senza la quale, nella vita umana, non si opera alcun cambiamento. E’ il dolore personale che conduce alla crisi, ed e’ la crisi che porta ad una possibilita’ di rivisitazione di se’ e della propria vita, che diversamente avrebbe continuato a scorrere, magari penosamente, in un lungo fiume tranquillo.
Quali i rimedi, quali le risorse che il gruppo riesce a far germogliare?
Il gruppo e’ sede, primariamente, del raccontarsi, del narrare di se’ all’interno di una cornice sintonica e rispecchiante (tutte hanno lo stesso problema); questa narrativita’ e’ come noto terapeutica di per se’ e in quanto fattore di rottura con l’isolamento e con la vergogna, elementi non trascurabili in tutte le forme di dipendenza. Il gruppo invita la donna a dis-abituarsi non tanto da un certo uomo trascurante, ma da un certo modo d’amare che e’ sintomo di un malessere personale, e che come tutte le dis-abitudini comporta il dolore dell’astinenza ed il senso di essere perdute.
Il gruppo invita, implicitamente, a vivere nella realta’. L’ideale romantico della donna che ama troppo e’ esso stesso parte della malattia, una sorta di sogno che raccoglie le proiezioni di tutto cio’ che e’ frustrante nella vita, quasi che solo il bacio del principe debba salvare la principessa, pena la morte e la desolazione.
Scrive la Inama che "e’ opportuno tenere presente che le relazioni, come le persone, cambiano. Possono rafforzarsi, attenuarsi, finire. Va messo in conto che possono non essere per sempre".
La parte conclusiva fornisce un nutrito elenco di indirizzi di Associazioni a cui rivolgersi e di bibliografia sull’argomento. Segnalo fra tutte quella della stessa Autrice:
inamarsi@virgilio.it e http://www.inamarsi.it . Per incontrarsi.
Interessata dall’argomento ed incuriosita all’idea di poter contattare direttamente la persona che ha scritto il libro, io l’ho fatto: le ho scritto. Ne e’ nato uno scambio di idee ricco e, ci auguriamo, foriero di nuovi approfondimenti.
Delle nostre conversazioni, riporto direttamente le risposte di Lia Inama:
R.V. : Cosa ti ha spinta ad occuparti di dipendenze affettive?
L.I.: Penso che ad ognuna, ad un certo punto del suo percorso, succeda di fermarsi e di chiedersi il significato di quanto vive. Forse e’ stato questo, o forse un difficile momento personale, che mi ha spinta a domandarmi perche’ cosi’ tante persone, uomini ma soprattutto donne, incappino in storie cosi’ deludenti, che portano insicurezza e dolore. Anche per motivi professionali — lavoro sulle relazioni interpersonali, sulla comunicazione, sull’autostima — ho iniziato a chiedermi perche’, invece di accettare di vedere l’altro per quello che veramente e’, ci si innamori spesso di un "sogno", e di come risulti duro l’incontro con la realta’.Ho cominciato a documentarmi, ad appronfondire, a sperimentare. Accanto agli incontri individuali, ai Corsi e alla conferenze, ho cercato strade diverse. Il confronto vivo, diretto, con donne donne che vivono questa esperienza e che hanno voglia di camminare in maniera piu’ appagante, mi e’ sembrata una strada molto interessante.
Cosi’, nel 1995 e’ nato il gruppo di cui parlo nel libro.
R.V.: Che cos’e’ il counselor e fin dove arriva il suo intervento?
L.I. Nell’attivita’ di counseling, il counselor attraverso il suo intervento aiuta il cliente a ridefinire il problema che lo coinvolge — ad esempio come scegliere una scuola, come stare meglio sul lavoro, come affrontare una situazione affettiva — e a tornare consapevole dei propri punti di forza. A differenza di cio’ che avviene nella psicoterapia, nel counseling non avviene una ristrutturazione profonda della personalita’, non si fanno diagnosi ne’ si prescrivono terapie.
R.V. : Che cosa pensi del rapporto uomo-donna in questo momento? Che cosa avresti da dire alle donne, partendo dalla tua esperienza?
L.I. : Ad ogni nuovo Corso, ad ogni nuovo incontro vedo sempre piu’ che siamo — uomini e donne, ma io mi riferisco in primo luogo alle donne — in una interessante, inarrestabile fase di transizione: non piu’ come le nostre mamme, nemmeno spesso come le nostre amiche….Allora, come? Le relazioni vanno definite e "negoziate" ogni giorno, partendo dalla personalita’ unica e complessa dei due (solo due?) partners. I modelli di famiglia si stanno molto sfumando. Il gruppo mistro di amici o di sole amiche diventa spesso l’unico riferimento stabile di una vita costellata di incontri e distacchi. Come nel lavoro oggi e’ difficile trovare quello che dura-una-vita, anche nel campo degli affetti forse possiamo vivere con meno sofferenza le eventuali crisi. Possono essere momenti importanti di rilettura della coppia, portare ad una nuova fase costruttiva o a una chiusura, spesso tanto temuta. Anche quando costa davvero davvero troppo. Siamo infatti ancora programmate per cercare/volere/conservare la storia "per sempre". A volte puo’ davvero durare per sempre, se vi e’ la consapevolezza dei bisogni propri e del partner.
Inseguire leggiadri e ideali quadretti familiari non aiuta certo a gustare appieno quanto il reale ci offre.
R.V. : Grazie, Lia.
L.I.: Grazie a te, Rossella.
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