Leggevo un articolo di Andreoli (Corriere della sera 20 maggio) sul rapporto tra suicidio, aggressività e crisi economica, che giustamente rileva che pur tenendo conto dei riflessi che la crisi ha sulla vita quotidiana delle persone (rimando ancora una volta alla visione del film Giorni e nuvole) vi è una sproporzione del rapporto causa effetto, dal momento che la vita è fatta di continui delusioni, fallimenti e rimaneggiamenti. Andreoli introduce nel discorso l’immagine di “crisi nella testa” cioè mette in luce la paura che ormai accompagna la crisi e che può far perdere il senso alle persone. La paura genera meccanismi depressivi e paranoici in particolare se il nemico da abbattere è sfuggente e non cede. Quello che tutti abbiamo capito che nessuno sa prevedere quando la crisi finirà, a parte i soliti guru e i molti demagoghi. Consiglio la lettura di un racconto di De Lillo “ Falce e martello” che descrive una rubrica economica di grande successo, tenuta da due bambine che fanno le analisi a casaccio. ( DeLillo, L’angelo Esmeralda, Einaudi 2013). Ma torniamo ai meccanismi di difesa di fronte all’angoscia e l’aggressività e l’autodistruttività sono sicuramente compagni di viaggio più ricorrenti di questi momenti di perdita di senso.
Due aspetti volevo riprendere da questa analisi. Andreoli rileva con forza la dimensione prioritaria ormai imperante del denaro e ancora di più del consumo, non solo misura del valore di tutte le cose, ma sembra anche unico e incontrastato donatore di senso. Senza denaro e acquisti non esisti.
La mia rubrica parla di media e inizio una riflessione sull’influenza della televisione. Tanto per non restare nel vago prendo ad esempio il telegiornale de la7, perché inizialmente mi sembrava una boccata di buona informazione nel panorama desolato delle news. Tutte le sere un servizio è dedicato a ” I consumi diminuiscono dell’uno per cento, grave crisi” “ gli italiani mangiano meno carne ( o meno verdura, o meno pesce o consumano meno vestiti …) la crisi avanza, si prospettano proteste di piazza. Gli italiani non arrivano alla fine del mese”. È ovvio che questi servizi sono collegati con la perdita di lavoro e con la crisi economica, ma contemporaneamente mandano un messaggio di drammatizzazione delle limitazioni e delle rinunce che avrebbero conseguenze insopportabili per le persone. Non so se solo io noto una soddisfazione nemmeno troppo nascosta nel raccontare la crisi e in particolare la contrazione dei consumi. Tutto quello che comporta limiti viene enfatizzato con un atteggiamento compiaciuto. Non so come si potrà attivare il progetto di Andreoli, che giustamente ipotizza una “res pubblica che guardi alla serenità di tutti e non ai privilegi di chi la crisi non l’avverte.” Lungi da me recuperare l’ottimismo tronfio Berlusconiano, ma penso che parimenti nocivo sia questo pessimismo autoreferenziale e soddisfatto. Mi sembra che le due modalità di comunicazione abbiano in comune la superficialità . Ricordano entrambi lo stile cognitivo isterico descritto da Shapiro (Stili nevrotici ) caratterizzato da “percezioni globali e non dettagliate, da rappresentazioni perlopiù impressionistiche e da modalità di disattenzioni selettive …”. Questa forma di comunicazione non sarà collegata con la rabbia e la tristezza che domina ormai in tutti? Oppure dipenderà dal mangiare meno carne.
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