Riprendo le riflessioni che mi ha ispirato la visione di Angels in America. Questa serie è particolarmente interessante perché la vicenda è tutta interna alle dinamiche omosessuali, senza problemi di omofobia o persecuzione che appiattiscono le problematiche individuali e relazionali. Ovviamente non voglio negare la frequente violenza sociale, ma è evidente che con il nemico esterno mettiamo da parte i nostri conflitti e le nostre differenze. In aggiunta è ambientata nel periodo dell’AIDS, prima della scoperta di farmaci efficaci e quindi con la morte e la sofferenza come coprotagonisti. La conseguenza di queste presenze angoscianti provocate dalla malattia, la peste, è la colpa che si esprime in vari modi nel corso della storia. Un personaggio in preda a visioni mistiche diventa un profeta della sofferenza umana in contatto con un angelo dalle sembianze femminili. Un altro non riesce ad accudire il compagno malato e oscilla tra l’autodistruzione e la ricerca di un nuovo compagno, con cui instaura un rapporto rabbioso. L’omosessuale reaganiano è apparentemente così cinico e senza sensi di colpa, ma trova conforto dallo svelamento collerico e ironico della sua omosessualità. La malattia e la colpa diventano un stimolo di mutamento delle relazioni e del senso che ciascuno ha di se e della proprio passato. Contemporaneamente i lutti mettono in moto una peculiarità importante: il senso di comunità che è tanto più vero in quanto non è sostenuto da tematiche persecutorie. Forse per questo motivo negli Stati Uniti i gay sono diventati influenti, perché uniti non tanto da un generico attacco o dall’incomprensione della società, ma dall’aver vissuto un’esperienza così dolorosa e depressiva che ha indotto una forte coesione.
Il perdono: un altro tema che mi ha colpito in questa storia è la considerazione che tutti i personaggi sono inizialmente non credenti e critici nei confronti della religione o meglio verso qualsiasi forma di trascendenza. Nel corso della storia in modi differenti si riconciliano con “il sacro”, cristiano ed ebraico. La comprensione reciproca avviene attraverso il recupero di una dimensione religiosa che è contemporaneamente un contatto con la parte di sé rifiutata. Il reazionario Pacino muore consolato dalla presenza allucinatoria della comunista Ethel Rosemberg, che in gioventù aveva fatto condannare a morte. Il liberal ebreo laico recita a Pacino l’orazione funebre della torah. Una fondamentale mediazione tra il corpo martoriato e l’anima la compie una mamma casalinga che senza eroismi accetta la sua parte di comprensione. Il perdono ha senso unicamente quando ci riconciliamo con le parti degli altri e di noi stessi che riteniamo più estranee e che odiamo. La storia descrive quindi una possibile continuità tra colpa e perdono. Il personaggio più infelice è l’etero(omo)sessuale che non riesce a scegliere tra la moglie e l’amico e preferisce il successo professionale. Partendo da questo periodo di lutto e elaborazione cercherò di vedere come negli anni successivi vengono rappresentati i gay nei media.
Concludo con quanto mi ha scritto Stefano Sanzovo che tocca due punti fondamentali. In questi ultimi anni l’identità sessuale viene inserita nel sé e quindi nei meccanismi che strutturano nei primi anni di vita il bambino. Citando Lichtemberg l’identità sessuale va posta nei sistemi motivazionali punto di unione tra patrimonio biologico e sistema relazionale. Anni fa la psicoanalisi non era così. Mi sono riletto l’articolo di Morghentaler che cercava di capire l’omosessualità con dinamiche che collocava in fase edipica o durante il periodo dell’autoerotismo narcisista. Quando era uscito questo saggio aveva avuto un grande successo, adesso mi sembra farraginoso. Le ipotesi sulle dinamiche edipiche sono forzate, ma su questo ritornerò perché tocca un problema profondo della psicoanalisi. Quello che sostiene De Masi è in linea con le attuali linee della psicoterpia e ha come conseguenza di ritenere l’atteggiamento psicoterapeutico empatico come unico valido rifiutando qualsiasi velleità trasformativa. A questo proposito consiglio il libro “Curare i gay” di Rigliano, Ciliberto e Ferrari che danno botte da orbi all’ideologia riparativa dell’omosessualità.
Infine rispondendo all’obiezione sui limiti delle leggi che inevitabilmente debbono semplificare, confermo che il nostro compito è di evidenziare i pregiudizi, anche se rischiamo di essere minoritari.
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