E ugualmente forse non avrei granché piacere a sapere che l’enorme diffusione del gambling sia il classico esempio e l’ennesima prova provata che l’economia mafiosa ha totalmente colonizzato o soppiantato l’economia degli stati. Così come non ci vedrei molti significati nella riduzione dei proventi statali sui videopoker a dispetto di quelli sul superenalotto (0,6 contro 44,7 va all’erario).
Forse anche non mi sfiorerebbe molto sapere di essere diventato un classico pollo da spennare e che il gioco d’azzardo è stato definito “tassazione volontaria” di tipo regressivo (una tassa cioè che in Italia pagano molto più i ceti medio-bassi dei ceti alti), o peggio “tassazione su base psicopatologica”.
E non mi sconvolgerebbe sapere che secondo il DSM 5, il manuale diagnostico psichiatrico appena uscito, ha optato per definire il mio problema come “dependance” e non più come “addiction” (sfumatura apparentemente impalpabile, ma decisiva ai fini politici) anche per sottolineare che il mio cervello è neuro-biologicamente e neuro-psicologicamente particolarmente alterato e non mi assiste più nelle mie decisioni http://archpsyc.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1107403).
Forse non mi turberebbe troppo (ma chissa…) nemmeno la notizia che in quanto giocatore patologico all’ultimo stadio la mia condizione sia associata ad elevati tassi di ideazione suicidaria e di tentativi (talora riuisciti) di suicidio.
Ecco, tutto questo blaterare da esperti con terminologie angolofone e tecniche probabilmente non mi sposterebbe di un millimetro dal mio incrollabile “craving” (l’irrefrenabile compulsione al passaggio all’atto), anzi, e sempre con altissima probabilità confermerei e ripeterei pedissequamente la successione di fasi descritta di Robert Custer nel lontano 1982 (fase vincente, fase perdente, fase disperata) e dovrei quindi attendere di essermi definitivamente rovinato e depresso prima di avere solo il 10% di probabilità di essere intercettato da un sistema curante (è questa la probabilità attuale indicata http://www.aipsimed.org/gioco-d-azzardo-patologico/ ).
Per fenomeni ipercomplessi come questo delle ludopatie dove i piani di analisi, dal neuropsicologico al socio-politico, si intersecano senza soluzione di continuità, le chiavi di lettura mediche o psicologiche, spesso flesse sul mandato della cura dell’individuo e sulla vulnerabilità psicopatologica del caso singolo, rischiano facilmente di apparire elementari, fatalmente parziali e scarsamente euristiche. Non certo perché quel mandato e quella vulnerabilità soggettiva non siano reali ed effettive, ma semplicemente perché applicare cerotti per graffi in un campo di sterminio nazista ha solo il sapore della consolazione. Spesso anche una consolazione altamente collusiva.
Non ci può essere in questo caso, come del resto in altri casi similari, una prospettiva difensivamente parcellare ripiegata sul compitino. La salute mentale e la sua difesa assume qui il necessario clamore per diventare atto politico.
Ma questa affermazione, nonostante il suo involontario antico sapore antipsichiatrico, ha però un fondamento epidemiologico molto evidente.
Basta osservare l’andamento rapido e ascendente di tutti i valori statistici relativi all’economia del gioco d’azzardo e l’altrettanto rapido mutamento delle tipologie di giocatore. Ma andiamo con ordine.
Cultura e sostanza-comportamento si veicolano a vicenda
Il rapporto tra culture prevalenti e uso di sostanze o comportamenti psicotropi è materia che riguarda soprattutto gli antropologi. Essi sanno bene quale intreccio identitario tra pratiche religiose-rituali e gruppi rinsaldi l’appartenenza di un individuo alla sua comunità. La sostanza-comportamento diventa quindi allo stesso tempo sia veicolo di quelle pratiche identitarie sia portato della cultura che se ne fa garante attraverso i propri codici.
Chi lavora nei SERT e ha potuto osservare i macrofenomeni degli ultimi 40-50 anni relativi alle tossicodipendenze e all’uso di sostanze si è accorto ad esempio come sia radicalmente cambiato l’approccio e il comportamento dipendente col cambiare dei codici culturali prevalenti specie rispetto all’affermarsi dei codici ecomomico-politici iperconsumistici (le seguenti fasi sono tagliate grezzamente e c’è naturalmente una maggiore sovrapposizione e gradualità).
- Negli anni 60-70 prevaleva un approccio psichedelico, l’evasione dalla realtà, la fuoriuscita da sé, dal tempo, dall’ordine costituito.
- Negli anni 80-90 cambia del tutto il quadro, prevale l’uso anestetizzante, lo staccare il cervello, il rifugio, lo sballo.
- Negli anni 2000 arriva la cultura cocainomane con le sue esigenze narcisistiche, prestazionali, transtemporali, illimitatezza, smisuratezza.
- Da un approccio sociale al gioco d’azzardo ad un approccio prevalentemente solitario, si gioca con macchine invece che con persone
- La soglia di accesso al gioco s’è totalmente annullata. Si è passati da un accesso limitato a luoghi specifici e solo a maggiorenni a un accesso per tutti e in ogni luogo
- Da un approccio ritualizzato ad un approccio consumistico puro. Si gioca con ciò che di nuovo offre il mercato
- Da un approccio lento ad uno velocissimo che non consente alcuna pausa
- Da un approccio circoscritto a tempi precisi ad un approccio continuativo (specie quelli su internet).
(un ringraziamento speciale alle Dr.sse A. Pascucci e D. Pero della Rm/C, per il seminario tenuto al Laboratorio di Gruppoanalisi di Roma il 15 Giugno 2013 e da cui mi ispiro per questo paragrafo)
Classificazioni troppo estemporanee per realtà troppo mobili
La rapidità di questi cambiamenti suggerirebbe dunque una maggiore cautela nella classificazione di tipologie di gioco, di giocatori e di profili psicopatologici costanti nel tempo.
Ad esempio le distinzioni condivise tra gli addetti ai lavori tra giocatori sociali (abituali o occasionali) e giocatori patologici, con altre categorie intermedie, distinzione sostanziata fino a ieri da una diversa intensità di attrazione per il rischio e una diversa capacità di interrompersi nel giocare, oggi, a distanza di pochi anni, appare superata da quanto avviene sotto i nostri occhi laddove un’immensa area grigia intermedia problematica sta progressivamente ingrossando le fila dei giocatori conclamatamente patologici rendendo sempre più sfumato e mobile quel confine descrittivo.
Questa la situazione epidemiologica italiana:
La dimensione del fenomeno in Italia è difficilmente stimabile in quanto ad oggi non esistono studi accreditati, esaustivi e validamente rappresentativi che lo descrivano. Secondo il Ministero della Salute (2011), la popolazione italiana totale è stimata in circa 60 milioni di persone di cui il 54% sarebbero giocatori d’azzardo. La stima dei giocatori d’azzardo problematici varia dall’1,3% al 3,8% della popolazione generale (sottolineato mio, ndr) mentre la stima dei giocatori d’azzardo patologici varia dallo 0,5% al 2,2% (Serpelloni, Raimondo, Italian Journal on Addiction 2012 ).
La difficoltà a calcolare e fotografare con maggiore esattezza il fenomeno non è solo legata alla novità di esso (almeno in Italia), ma anche alla sua estrema mobilità. Mobilità a sua volta motivata dall’intreccio con i mutamenti culturali in atto.
Conclusioni
Occorre ridefinire con maggiore esattezza la natura del problema delle ludopatie emancipando la sua definizione dalle secche della manualistica biomedica e articolandola con ulteriori specificazioni. Si tratta certamente di una psicopatologia che ha innumerevoli correlati bio-psico-sociali la cui vulnerabilità individuale è però del tutto epifenomenica rispetto ad una concatenazione sociale degli elementi che ne determinano l’intreccio non compiutamente disvelato e testimoniato dalla rilevanza epidemica del problema. Situazione che farebbe supporre piuttosto una patologia sistemica e sociale (forse anti-sociale) e non solo individuale.
Occorre dunque disvelare maggiormente i nessi esistenti tra codici culturali, sostanza-comportamenti dipendenti, dinamiche sociali e famigliari, per poterne disarticolare i processi alla radice.
Ed allora, per tornare all’apertura di questo articolo, se io fossi quel giocatore patologico, forse potrei cominciare a interessarmi a tutte quelle notizie che mi fornisce il mio psicoterapeuta perché… mi riguardano.
Bibliografia:
- Billeri Margherita, Mario Centorrino e Pietro David Chi vince al gioco d’azzardo on line La Voce. Info 28, Maggio, 2013
-
Cavalli Giulio. Il Fattoquotidiano online, 11, feb. 2013 Azzardare sul gioco d’azzardo
- D’Elia Luigi Il Fattoquotidiano online 19 febbraio 2011, Lo Stato pusher
- Miedl Stephan F., PhD; Jan Peters, PhD; Christian Büchel, MD Altered Neural Reward Representations in Pathological Gamblers Revealed by Delay and Probability Discounting Jama Psychiatry, Feb 2012
-
Pascucci Annalisa, Pero Dina, Seminario Laboratorio di Gruppoanalisi Roma, Giugno 2013
-
Pomponi Massimiliano, Gioco d’azzardo patologico Associazione Italiana Psichiatri, 29 Ottobre 2011
- Roy, Alec MB; Bryon Adinoff, MD; Laurie Roehrich; Danuta Lamparski, PhD; Robert Custer, MD; Valerie Lorenz, PhD; Maria Barbaccia, MD; Alessandro Guidotti, MD; Erminio Costa, MD; Markku Linnoila, MD, PhD Pathological GamblingA Psychobiological Study Jama Psychiatry April 1988
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Sarti Simone e Moris Triventi Il gioco d’azzardo: l’iniquità di una “tassa volontaria” La Voce. Info, 29, Gennaio, 2013
- Serpelloni G., Raimondo C. Gioco d’azzardo problematico e patologico: inquadramento generale, meccanismi fisiopatologici,vulnerabilità, evidenze scientifiche per la prevenzione, cura e riabilitazione, Italian Journal on Addiction Vol 2, Numero 3-4, 2012
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