L’impulso *
di Angiolo Bandinelli, notizieradicali.it, 11 luglio 2013
Cosa è successo? Anzi, cosa mi è successo? Ci ho pensato su un po’ prima di rendermi conto che questo o quel cambiamento mi veniva dettato non da una scelta ragionata, pensata, ma accadeva a seguito di un impulso, di cui sul momento nemmeno mi ero reso conto. Lo avevo accettato passivamente, senza resistenza. Sono poi riuscito a dare un nome a quanto mi stava accadendo. L’impulso proveniva – mi esprimo grossolanamente – dalle viscere, dal fondo oscuro della psiche che gli analisti di scuola freudiana (credo) chiamano “es” e, secondo gli analisti di scuola jughiana, è essenziale al formarsi del “principo di individuazione”: un grumo di pulsioni sul quale non c’è controllo o governo della ragione. Pian piano, arrivai a rendermi conto che, nella solitudine degli ultimi tre anni, il senso, il significato dello spazio a me più familiare, quello della mia casa, era gradatamente mutato, gli equilibri di quando c’era mia moglie non avevano più ragione d’essere, dovevano modificarsi, anzi si erano insensibilmente modificati. Ripeto, non a seguito di decisioni o scelte razionali ma sotto la spinta di oscuri impulsi: a parlar difficile, dell’”es”.
Che c’entra tutto questo, direte voi, che c’entrano queste fantasticherie con una rubrica che dovrebbe occuparsi di laicità? Penso che c’entrino e nemmeno poco: accettando l’ineluttabilità di quanto stava accadendo mi arrendevo a Freud, a una diffusa e forse oggi dominante concezione antropologica decisamente “laica”, che la chiesa non ha mai accettato. È stato Freud a dare organicità a riflessioni che certo non erano mancate, singolarmente prese, anche prima di lui ma che grazie allo scienziato viennese definirono per la prima volta un concetto di uomo – una antropologia – che si distaccava significativanente e potentemente dall’insegnamento secolare, se non millenario, della chiesa: per la quale non c’è impulso che non possa e non debba essere governato e, se necessario, negato e respinto. L’uomo, secondo la chiesa, deve governare se stesso e i propri impulsi con la ragione o in ultima istanza grazie alla fede e con l’assistenza della chiesa salvifica. L’impulso è per la chiesa, in definitiva, il Male, la chiesa ne diffida anche quando dà origine a qualcosa di positivo. Nelle cattedreali romaniche e gotiche venivano rappresentate figurazioni del Male diabolico, orride bestie o mostri ghignanti, figli della notte e nemici della luce. Per Freud il fondo dell’”es” è costituito dalla libido. Ebbene, nei complicati, anche se di per sé insignificanti, impulsi che mi stavano (e mi stanno) guidando nella riorganizzazione della casa, c’è qualcosa di ineluttabile che ha le stesse origini di quel male diabolico. Tutto – ricordi, affetti, emozioni e rimpianti – mi solleciterebbe a rifiutare qualsiasi cambiamento che possa erodere il ricordo di mia moglie. Ho deciso invece di lasciarmi andare, di abbandonarmi ad evenienze piccole e di minima importanza che non mi sono dettate dal Male luciferino, non hanno certo la dignità del peccato, però forse provengono dalle stesse lontane sorgenti. Ho pensato che valesse la pena registrarlo in questa rubrica; mi perdoni – o mi mandi al diavolo – chi trova stupide e inutili le mie osservazioni.
*da “Il Foglio”
http://notizie.radicali.it/articolo/2013-07-11/editoriale/limpulso
Stato d’azzardo
di Sarantis Thanopulos, ilmanifesto.it, 13 luglio 2013
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/ricerca/nocache/1/manip2n1/20130713/manip2pg/14/manip2pz/343123/manip2r1/thanopulos/
Speciale Psicoanalisi da il manifesto – Alias, 14 luglio 2013
Qui sotto il link per consultare i pezzi usciti
http://issuu.com/segnalazioni.box/docs/alias_domenica_14.7.13_sulla_psicoa
Il sesso delle donne. “Il desiderio femminile è come quello dei maschi”
Sessant’anni fa Sigmund Freud scriveva all’amico e biografo Ernest Jones: «La vera domanda alla quale nessuno ha risposto, e alla quale io stesso non so dare una risposta nonostante i miei trent’anni di ricerca nell’animo femminile è: cosa vogliono le donne?». Sessant’anni dopo Daniel Bergner — giornalista del New York Times, già autore di un saggio sulle parafilie, Il lato oscuro del desiderio— risponde con un libro intitolato appunto What Do Women Want?, che uscirà in Italia, tra qualche mese, per Einaudi Stile libero (come il precedente). E contiene interviste a donne normali, ricerche sugli animali, teorie di psichiatri, scienziate, terapiste sessuali. Gli studi sul desiderio femminile sono in ritardo. Quando sono nate le scienze legate alla sessualità, si è dato per scontato che ci si dovesse occupare di disfunzioni/preoccupazioni/meraviglie dell’organo e dell’orgasmo maschile. Anche soltanto perché entrambi garantiscono la conservazione della specie. E quando Galeno sostenne, nel II secolo d. C., che senza il piacere femminile, mediante il quale immaginava che fosse rilasciato l’uovo da fecondare, non era data appunto fecondazione, fece assai peggio alle donne di quanto una teoria del genere farebbe presupporre.
Secondo Bergner infatti, l’idea imposta dal medico greco che i genitali femminili fossero uguali a quelli maschili ma nascosti e un po’ meno funzionali, ha condizionato la nostra visione del piacere. Questa genitalità femminile oscura e goffa, ha imposto per secoli l’idea che l’orgasmo delle donne, e quindi il desiderio, fossero una robetta insignificante, e soprattutto racchiusa in un istante e in un unico e impervio luogo: la vagina, appunto. Il primo passo per rivalutare intensità e potenza del piacere femminile è stato quindi allargare la zona preposta a un altro paio di robette là intorno, che, ben allertate, garantiscono un gran sollazzo. Tra queste il celeberrimo punto G, scoperto nel 1600 da un medico olandese, ma descritto per la prima volta nel 1950 da Ernst Grafenberg, ginecologo tedesco.
Il primo capitolo del libro di Bergner, uno dei motivi per cui all’uscita negli Stati Uniti e poi in Inghilterra si è scatenato un putiferio, si intitola “animali”. E non soltanto perché le protagoniste degli esperimenti di Meredith Chivers, dell’Università di Ontario, sono le scimmie. Chivers ha studiato a lungo, e raccontato in un documentario, una particolare razza di scimmie chiamate Bonobo, note al mondo per due motivi: la mitezza e la libertà dei costumi sessuali. Le Bonobo fanno sesso continuamente, e quindi soltanto in rari casi per riprodursi, in tutte le combinazioni possibili: maschi, femmine, adulti, anziani, giovani… Ma gli animali che danno il titolo al capitolo non sono le scimmie, bensì le femmine della nostra specie. Selezionate alcune volontarie (etero e omosessuali) la professoressa le prepara applicando nella loro vagina un apparecchietto, “plethysmographry”, che registri turbamenti e movimenti. Poi mostra loro una serie di video pornografici, etero, lesbo e gay — e tra questi anche il documentario che illustra gli allegri accoppiamenti delle scimmie Bonobo. Quindi chiede, alle donne non alle Bonobo, di raccontare che cosa hanno sentito durante la visione, se abbiamo provato eccitazione e per cosa.
Collazionando i risultati ottenuti dalla macchinetta con quanto dichiarato, Meredith Chivers ha scoperto che le donne mentono, mentono moltissimo. Che il loro livello di eccitazione è molto più alto di quello che riescono ad ammettere. Cosa che non accade quando ripete lo stesso esperimento coi maschi. Ne deduce che negli uomini il cervello e i genitali stanno dalla stessa parte, sono alleati, nelle donne spesso no. Cioè le donne si vergognano di quello che provano, o peggio neanche se ne accorgono, talmente sono vincolate a quello che pensano dovrebbero provare. Quindi: il desiderio femminile esiste, è potente animale e vivissimo, ma società e cultura lo osteggiano con forza. Le nostre strutture politiche e di convivenza sono fondate su quel minimo di ordine garantito dalla famiglia, la quale, da un certo punto in poi, ha avuto bisogno di trasformarsi da vincolo utilitario a consesso basato sull’amore.
È lì che, spiega Bergner, ci siamo dovuti inventare un paio di bugie cruciali: che le donne desiderano tutta la vita lo stesso maschio (nonostante la natura gridi il contrario) e che l’unico momento in cui desiderano accoppiarsi è durante il periodo fertile. Qualche anno fa, racconta ancora Bergner, la dottoressa Marta Meana dell’Università del Nevada pubblicò un lungo articolo a proposito delle “fantasie di stupro” o di sottomissione, o di sospensione della volontà. È difficile, spiega la dottoressa, trovare un’espressione che tenga conto del risultato dei miei colloqui, senza offendere nessuno. Alcune donne, spiega, ritennero allora insopportabile l’immagine che lei aveva proposto come esercizio: una donna di spalle, in un vicolo scuro, un uomo che la prende da dietro, uno sconosciuto. Eppure intorno a quella scena si agita, spesso, il desiderio femminile. Altro che monogamia, altro che riproduzione: sottomissione, cinquanta sfumature di qualsiasi cosa. Un po’ di rischio, la possibilità di non dover scegliere e tanto, tanto testosterone. Di questo si compone il nostro desiderio, il desiderio di uomini e donne. Purtroppo, quando la biochimica si inceppa, la faccenda delle donne si fa più complicata. Un Viagra femminile lo stanno ancora sperimentando. Ma già possiamo dire che in ogni caso si tratterà di un bel frullato di testosterone, dopamina, serotonina… cose così. Non un documentario sul Principe Azzurro.
IL SAGGIO: What Do Women Want? di Daniel Bergner (Ecco Pr, pagg. 205 euro 15,80) sarà tradotto in Italia da Einaudi Stile libero
http://www.zeroviolenzadonne.it/rassegna/pdfs/18Jul2013/18Jul2013233c77dcdafc7c51dc3db94da8b388fe.pdf
di Roberto Giardina, italiaoggi.it, 19 luglio 2013
Le squadre di calcio lo avevano già scoperto. Se le cose vanno male, e nessuno capisce il perché, si chiama uno psicoanalista da spogliatoio. Forse se il pallone finisce sempre contro i pali è colpa di un trauma infantile. E il portiere che fa autogol avrà un complesso edipico non risolto.
Anche le grandi aziende in Germania ricorrono alla psicoanalisi per risolvere i problemi dei manager e dei dipendenti. Le loro crisi esistenziali possono mettere in pericolo il profitto
Una volta l'ha chiamato un dirigente finanziario, sui 40 anni. «Ho paura che salti tutto fuori», si è confidato. Non aveva paura che venissero scoperti i suoi trucchi in bilancio, le manipolazioni, o gli errori. «No, gli spiegò, i miei collaboratori vengono da me per chiedere consiglio. Sono il loro referente, ed io invece non so semplicemente cosa fare. Hanno fiducia in me, e io fingo sicurezza». Uno stress che molti non riescono a reggere a lungo.
Becker, 64 anni, è cresciuto al Sud, sul lago di Costanza, ha dapprima studiato germanistica e storia, poi è passato a medicina ed è diventato psicoterapeuta. A 40 anni aprì uno studio a Francoforte, la città delle banche, e si specializzò nello stress sul posto di lavoro. Adesso ha oltre 80 dipendenti, tra cui psicologici, medici, avvocati e sociologi. Tra i clienti annovera la Continental, la Henkel, la Procter & Gamble, tanto per fare degli esempi. In tutto ricorrono a lui 43 aziende, tra cui alcune dell'indice Dax alla borsa di Francoforte, per complessivi 140mila dipendenti. Non si paga un tanto a visita o a paziente: l'azienda sottoscrive una specie di abbonamento a forfait, da 20 mila a 30 mila euro all'anno per ogni mille dipendenti. In media dal 3 al 5% degli assicurati ricorre poi alle cure del terapeuta.
Un tedesco su cinque lamenta eccessivo stress, che è diventato una sorta di malattia sociale. Burn out, il totale esaurimento, è un termine conosciuto dalle casalinghe e dagli studenti liceali. Il 40% dei tedeschi lamenta lo stress eccessivo sul posto di lavoro, e le giornate di malattia a causa dell'esaurimento sono aumentate in dieci anni del 1.400%.
Troppo stress in azienda significa un aumento dei costi del personale, e un alto rischio per la produzione. Chi vuol farsi curare a spese della mutua, o anche privatamente, deve aspettare anche sei mesi per ottenere un appuntamento. Gli specialisti rischiano, a loro volta, di essere stressati per eccesso di lavoro.
Chi ricorre a Becker e alla sua squadra sarà ricevuto invece al massimo entro una settimana: «La velocità è essenziale», ha detto, «bisogna intervenire appena si manifestano i primi sintomi di esaurimento, dopo è più difficile uscire dal tunnel». Un normale funzionario potrà andare in malattia e venire sostituito da un collega. Un manager no, e negherà di avere problemi perché teme per la carriera. Non può dire semplicemente: non ce la faccio più. Nel 2002, Becker intervenne anche in un evento drammatico: i terroristi ceceni avevano preso d'assalto un teatro a Mosca, e tra gli spettatori si trovavano sei dipendenti di una grande impresa chimica tedesca.
Gli specialisti di Becker furono spediti a Mosca, senza visto, e per due giorni assistettero i 30 dipendenti della filiale tedesca, in angoscia per i colleghi in mano dei terroristi. Ci furono 130 vittime, i tedeschi rimasero illesi, ma sotto shock. Per due anni, Becker continuò ad assisterli e oggi nessuno lamenta ancora effetti negativi.
L'assistenza è riservata a chi lamenta problemi a causa dello stress aziendale? No, assicura, non si può distinguere tra vita privata e professionale. Chi ha un figlio che beve o si droga potrà compiere una mossa sbagliata in ufficio, o, al contrario, se il bilancio va in rosso, magari litiga con la moglie, rischia il divorzio, e diventa un manager inaffidabile.
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1835216&codiciTestate=1
(Fonte: http://rassegnaflp.wordpress.it)
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