C’ era una volta un Capostazione.
Dirigeva, da tanti anni, una piccola stazione sperduta nel mezzo della grande pianura, lungo un’ importante linea internazionale.
La sua vita era molto monotona, scandita dallo squillare cronometrico e spaccatimpani del campanello che annunciava l’ imminente arrivo di un treno: ogni volta si ficcava in testa il berretto rosso con i fregi dorati, impugnava la paletta e sotto la pensilina ne attendeva l’ arrivo, battendo, nervosamente, il piede sull’ impiantito di mattonelle rosse e sbirciando l’ ora per controllare la puntualità del convoglio.
In realtà più che di un arrivo si trattava di un rapido passaggio dal momento che quasi mai i treni facevano sosta alla sua stazione, tanto era piccola e poco importante: c’ era il postale delle 5 e 03, che lasciava i giornali e scambiava la corrispondenza e un po’ di mercanzia con quell’ avamposto sperduto della civiltà meccanica; c’ era il diretto delle 6 e 27 che portava al lavoro i pendolari e infine il locale delle 20 e 19 che li riportava indietro; poi il nulla, solo noia e silenzio, sole a picco d’ estate e nebbia fitta e neve nel lungo inverno freddo.
Il nostro uomo viveva in un piccolo appartamento, messo a sua disposizione dalla amministrazione delle Ferrovie, sopra i locali della Stazione e riversava, come tanti, nella vita familiare tutte le frustrazioni della sua esistenza: era irascibile, scontroso, poco disposto al dialogo e ad assecondare le semplici esigenze della moglie e dei loro due bambini.
Ogni Dicembre, essi scrivevano una compita lettera a Babbo Natale chiedendogli, come tutti i bimbi del mondo, un mare di doni e promettendo, in cambio, studio e bontà. Ma, ogni volta, non arrivava mai niente poiché il loro papà ben si guardava dall’ aprire la letterina e dall’ andare a fare una scappata in città a comperare i regali.
Accadde, però, che un’ antivigilia mentre i bambini erano intenti alla scrittura dell’ ennesima inutile lettera, tanto fecero e tanto dissero da obbligare l’ irritatissimo genitore a scrivere anch’ egli una lettera a quel signore tanto recalcitrante e, evidentemente, tanto incontentabile per vedere se, almeno a lui, avrebbe dato ascolto.
Tra il lusco e il brusco il Capostazione si mise alla scrivania a comporre una letterina molto stringata:
«Caro Babbo Natale, – scrisse – tu non esisti, ma nella vita sarebbe bello poter sognare: fammi cambiare vita, dammi un po’ di felicità!».
Richiuse la lettera e la pose accanto a quella dei figli, finalmente soddisfatti, sopra il caminetto.
La vigilia, alzandosi come sempre di buon’ ora per il postale delle 5 e 03, passò prima in sala per prendere le lettere e distruggerle, come aveva sempre fatto al fine di simulare il passaggio del messaggero di Babbo Natale, ma, stranamente, non le trovò.
«Le avrà ritirate mia moglie» – si disse, con un’ alzata di spalle.
Arrivò la notte di Natale: l’ uomo se ne stava, annoiato accanto alla stufa, al suo posto di comando ad attendere l’ ultimo passaggio della notte, il rapido della 1 e 57, quando all’ improvviso il campanello cominciò a trillare interrompendo il silenzio ovattato e sonnolento di quella notte di neve.
Il Capostazione trasse dal panciotto il suo cipollone: ci doveva essere un errore, non c’ era a quell’ ora in previsione nessun arrivo di convogli; un po’ preoccupato si infilò il cappotto, si ficcò in testa il cappello rosso e uscì all’ aperto a attendere, in un valzer di fiocchi di neve, l’ arrivo di quel treno fuori orario.
Si udì un fischio nella notte e, in lontananza, si videro due fari fendere la tormenta.
Tra lo stridore dei freni e lo sferragliare degli stantuffi il treno si fermò sotto la pensilina.
Dirigeva, da tanti anni, una piccola stazione sperduta nel mezzo della grande pianura, lungo un’ importante linea internazionale.
La sua vita era molto monotona, scandita dallo squillare cronometrico e spaccatimpani del campanello che annunciava l’ imminente arrivo di un treno: ogni volta si ficcava in testa il berretto rosso con i fregi dorati, impugnava la paletta e sotto la pensilina ne attendeva l’ arrivo, battendo, nervosamente, il piede sull’ impiantito di mattonelle rosse e sbirciando l’ ora per controllare la puntualità del convoglio.
In realtà più che di un arrivo si trattava di un rapido passaggio dal momento che quasi mai i treni facevano sosta alla sua stazione, tanto era piccola e poco importante: c’ era il postale delle 5 e 03, che lasciava i giornali e scambiava la corrispondenza e un po’ di mercanzia con quell’ avamposto sperduto della civiltà meccanica; c’ era il diretto delle 6 e 27 che portava al lavoro i pendolari e infine il locale delle 20 e 19 che li riportava indietro; poi il nulla, solo noia e silenzio, sole a picco d’ estate e nebbia fitta e neve nel lungo inverno freddo.
Il nostro uomo viveva in un piccolo appartamento, messo a sua disposizione dalla amministrazione delle Ferrovie, sopra i locali della Stazione e riversava, come tanti, nella vita familiare tutte le frustrazioni della sua esistenza: era irascibile, scontroso, poco disposto al dialogo e ad assecondare le semplici esigenze della moglie e dei loro due bambini.
Ogni Dicembre, essi scrivevano una compita lettera a Babbo Natale chiedendogli, come tutti i bimbi del mondo, un mare di doni e promettendo, in cambio, studio e bontà. Ma, ogni volta, non arrivava mai niente poiché il loro papà ben si guardava dall’ aprire la letterina e dall’ andare a fare una scappata in città a comperare i regali.
Accadde, però, che un’ antivigilia mentre i bambini erano intenti alla scrittura dell’ ennesima inutile lettera, tanto fecero e tanto dissero da obbligare l’ irritatissimo genitore a scrivere anch’ egli una lettera a quel signore tanto recalcitrante e, evidentemente, tanto incontentabile per vedere se, almeno a lui, avrebbe dato ascolto.
Tra il lusco e il brusco il Capostazione si mise alla scrivania a comporre una letterina molto stringata:
«Caro Babbo Natale, – scrisse – tu non esisti, ma nella vita sarebbe bello poter sognare: fammi cambiare vita, dammi un po’ di felicità!».
Richiuse la lettera e la pose accanto a quella dei figli, finalmente soddisfatti, sopra il caminetto.
La vigilia, alzandosi come sempre di buon’ ora per il postale delle 5 e 03, passò prima in sala per prendere le lettere e distruggerle, come aveva sempre fatto al fine di simulare il passaggio del messaggero di Babbo Natale, ma, stranamente, non le trovò.
«Le avrà ritirate mia moglie» – si disse, con un’ alzata di spalle.
Arrivò la notte di Natale: l’ uomo se ne stava, annoiato accanto alla stufa, al suo posto di comando ad attendere l’ ultimo passaggio della notte, il rapido della 1 e 57, quando all’ improvviso il campanello cominciò a trillare interrompendo il silenzio ovattato e sonnolento di quella notte di neve.
Il Capostazione trasse dal panciotto il suo cipollone: ci doveva essere un errore, non c’ era a quell’ ora in previsione nessun arrivo di convogli; un po’ preoccupato si infilò il cappotto, si ficcò in testa il cappello rosso e uscì all’ aperto a attendere, in un valzer di fiocchi di neve, l’ arrivo di quel treno fuori orario.
Si udì un fischio nella notte e, in lontananza, si videro due fari fendere la tormenta.
Tra lo stridore dei freni e lo sferragliare degli stantuffi il treno si fermò sotto la pensilina.
Il Capostazione restò a bocca aperta a osservare la scena, non aveva mai visto una cosa del genere: il convoglio era formato da una vecchia locomotiva a vapore con un solo vagone attaccato, ma, anziché sporchi e consunti, i due veicoli risplendevano come se fossero appena usciti dalla fabbrica e, per giunta, non avevano i tipici colori anonimi dei treni, sembravano……erano completamente verniciati di uno smagliante rosso vermiglio.
Tra dense nuvole di vapore si spalancò il portello della carrozza e un’ ombra si precipitò giù, andando a stringere tra le braccia l’ uomo annichilito.
Egli si sottrasse all’ abbraccio e inquadrò l’ uomo che l’ aveva così vigorosamente stretto a sé: il vestito era rosso vivo, la barba era candida, la figura pacifica e corpulenta : assolutamente impossibile.
«Evidentemente sto sognando» – disse il Capostazione.
«Pizzicati, pizzicati, così vedrai che non stai dormendo» – gli rispose, ridendo, Babbo Natale.
«Tu non esisti, tu sei solo nella fantasia dei bambini!».
«In effetti, la maggior parte delle volte vengo egregiamente sostituito dalle mamme e dai papà; ma, quando si tratta di cose molto importanti, intervengo di persona. Sai, ho una sola notte all’ anno per fare il mio lavoro e devo scegliere con oculatezza.».
«Quale diamine sarebbe la questione importante che ti ha fatto fermare qui?Hai forse bisogno di carbone o di acqua per la caldaia, per giungere al più presto alla tua destinazione?».
«La mia destinazione sei tu.».
«Io?Cosa ho io di importante: vivo la mia vita, non faccio del male a nessuno, a nessuno importa di me e di nessuno ho nostalgia.».
«Ma non hai la felicità! Me lo hai scritto e sono venuto a esaudire il tuo desiderio.».
«Vuoi dire che mi renderai felice, Vecchio?».
«Certo che sì: troverai la tua felicità dentro la stazione quando sarò partito!» – rispose Babbo Natale, che subito dopo lo riabbracciò con dolce violenza e, risalito sul treno, ripartì, tra sbuffi e sussulti, urlando dal finestrino:
«Scusa se non posso fermarmi di più, ma ho ancora alcune consegne da fare!».
Il silenzio della notte riprese ben presto possesso della stazioncina e l’ uomo, ancora confuso, rientrò lentamente al coperto.
Accanto alle leve del pannello di controllo, illuminato dalle luci di allarme e di segnale, il Capostazione trovò un grosso sacco di iuta, pieno di scatole e, appoggiato al suo seggiolone di comando, un vestito rosso da Babbo Natale, un cappuccio col ponpon di lana bianca, una grande barba bianca con tanto di elastico.
L’ uomo guardò perplesso e un po’ stizzito tutto quell’ armamentario:
«Cosa ha a che fare questa roba con la mia felicità?» – si domandò.
Poi , preso dalla curiosità, provò davanti allo specchio il cappuccio e la barba finta, fece due smorfie e obiettivamente trovò che non stava male, si infilò i pantaloni e la giubba rossa: siccome erano piuttosto ampi («Dannato vecchio, pensi che al mondo esista soltanto la tua taglia!»), si aggiunse in vita un cuscino, dette due robuste manate al pancione e in tutta sincerità si piacque assai.
Allargò l’ apertura del sacco di iuta e tra pacchi e pacchetti avvolti in luccicante carta da regalo trovò un campanaccio; lo impugnò e messosi il sacco in spalla, col cuore ai piedi, prese a salire le scale che conducevano al suo appartamento, scampanellando all’ impazzata.
I bambini e la moglie scesero dal letto, svegliati di soprassalto da quel frastuono, e rimasero a bocca aperta a vedere, in sala, Babbo Natale disporre canticchiando i regali sotto l’ albero e poi togliersi il cappuccio, la barba, il cuscino e l’ abito; la moglie e i bambini, stropicciandosi gli occhi , rimasero ancor più a bocca aperta a vedere il Capostazione correre verso loro ad abbracciarli ridendo e piangendo come non aveva mai fatto in vita sua.
Tra dense nuvole di vapore si spalancò il portello della carrozza e un’ ombra si precipitò giù, andando a stringere tra le braccia l’ uomo annichilito.
Egli si sottrasse all’ abbraccio e inquadrò l’ uomo che l’ aveva così vigorosamente stretto a sé: il vestito era rosso vivo, la barba era candida, la figura pacifica e corpulenta : assolutamente impossibile.
«Evidentemente sto sognando» – disse il Capostazione.
«Pizzicati, pizzicati, così vedrai che non stai dormendo» – gli rispose, ridendo, Babbo Natale.
«Tu non esisti, tu sei solo nella fantasia dei bambini!».
«In effetti, la maggior parte delle volte vengo egregiamente sostituito dalle mamme e dai papà; ma, quando si tratta di cose molto importanti, intervengo di persona. Sai, ho una sola notte all’ anno per fare il mio lavoro e devo scegliere con oculatezza.».
«Quale diamine sarebbe la questione importante che ti ha fatto fermare qui?Hai forse bisogno di carbone o di acqua per la caldaia, per giungere al più presto alla tua destinazione?».
«La mia destinazione sei tu.».
«Io?Cosa ho io di importante: vivo la mia vita, non faccio del male a nessuno, a nessuno importa di me e di nessuno ho nostalgia.».
«Ma non hai la felicità! Me lo hai scritto e sono venuto a esaudire il tuo desiderio.».
«Vuoi dire che mi renderai felice, Vecchio?».
«Certo che sì: troverai la tua felicità dentro la stazione quando sarò partito!» – rispose Babbo Natale, che subito dopo lo riabbracciò con dolce violenza e, risalito sul treno, ripartì, tra sbuffi e sussulti, urlando dal finestrino:
«Scusa se non posso fermarmi di più, ma ho ancora alcune consegne da fare!».
Il silenzio della notte riprese ben presto possesso della stazioncina e l’ uomo, ancora confuso, rientrò lentamente al coperto.
Accanto alle leve del pannello di controllo, illuminato dalle luci di allarme e di segnale, il Capostazione trovò un grosso sacco di iuta, pieno di scatole e, appoggiato al suo seggiolone di comando, un vestito rosso da Babbo Natale, un cappuccio col ponpon di lana bianca, una grande barba bianca con tanto di elastico.
L’ uomo guardò perplesso e un po’ stizzito tutto quell’ armamentario:
«Cosa ha a che fare questa roba con la mia felicità?» – si domandò.
Poi , preso dalla curiosità, provò davanti allo specchio il cappuccio e la barba finta, fece due smorfie e obiettivamente trovò che non stava male, si infilò i pantaloni e la giubba rossa: siccome erano piuttosto ampi («Dannato vecchio, pensi che al mondo esista soltanto la tua taglia!»), si aggiunse in vita un cuscino, dette due robuste manate al pancione e in tutta sincerità si piacque assai.
Allargò l’ apertura del sacco di iuta e tra pacchi e pacchetti avvolti in luccicante carta da regalo trovò un campanaccio; lo impugnò e messosi il sacco in spalla, col cuore ai piedi, prese a salire le scale che conducevano al suo appartamento, scampanellando all’ impazzata.
I bambini e la moglie scesero dal letto, svegliati di soprassalto da quel frastuono, e rimasero a bocca aperta a vedere, in sala, Babbo Natale disporre canticchiando i regali sotto l’ albero e poi togliersi il cappuccio, la barba, il cuscino e l’ abito; la moglie e i bambini, stropicciandosi gli occhi , rimasero ancor più a bocca aperta a vedere il Capostazione correre verso loro ad abbracciarli ridendo e piangendo come non aveva mai fatto in vita sua.
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