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Una civiltà senza “Padre”

31 Gen 14

A cura di Redazione Psychiatry On Line Italia

Francesco, il Papa, si spera, dei poveri, rende esplicito il paradosso della Chiesa che ama i diseredati, perfino con abnegazione, in modo assistenziale, cioè come malati incurabili e senza una prospettiva di riscatto sulla terra.
Nello stesso identico modo la Chiesa ama le donne: come soggetti da proteggere e assistere, figure dell'emarginazione che tali devono rimanere, o come vergini da santificare. La ginecofobia delle religioni dominanti rende palese il vero disagio della civiltà: il corpo femminile fa scandalo, al punto che nelle società "avanzate" le donne devono nascondere o negare questo corpo (anche pervertendolo in oggetto eccitato e eccitante) se vogliono farsi strada.
L'interpretazione del disagio non può prescindere da ciò che è la forza propulsiva e, al tempo stesso, la perenne contraddizione della civiltà: l'incontro/antagonismo tra la sessualità femminile, che destruttura l'esperienza soggettiva aprendola all'inconsueto, e la sessualità maschile che la struttura e la definisce chiudendola in forme stabili e consuete di vita. Quando questo confronto tra le due forme costitutive della sessualità (nel singolo soggetto, nella coppia erotica, nella società) produce una domanda di apertura che la società non è in grado di accogliere, la soluzione è normativa: la sessualità maschile con il suo potere strutturante si fa canone e la regola comportamentale si sostituisce all'espressione libera del desiderio. Più rigida è la norma più grave è il disagio della civiltà. Il "Padre" è il mito fondante della civiltà normativa e se da una parte svolge una funzione stabilizzatrice nei confronti del disordine di cui la componente femminile della sessualità è foriera dall'altra rappresenta la censura più repressiva della soddisfazione del desiderio. La sua presenza sulla scena è direttamente proporzionale alla subalternità della posizione della donna rispetto a quella dell'uomo.
La subalternità della donna (a cui consegue l'impossibilità di un'espressione compiuta della componente femminile del desiderio) è il nodo irrisolto della nostra civiltà, che di questa subalternità ha fatto un suo pilastro, e anche la fonte principale delle catastrofi che periodicamente si abbattono su di essa. Il "Padre" saggio e carismatico  ("Buon pastore", "Uomo della provvidenza") o autoritario e minaccioso (incarnazione della "Legge") è un'estensione distorsiva della funzione paterna, un argine difensivo (e a lungo andare illusorio) contro il cambiamento quando esso incombe in modo tumultuoso.
Il padre vero è il garante dell'esteriorità dell'oggetto desiderato, della costituzione esogamica, non incestuosa, della coppia erotica: il compagno paritario che offre alla donna una sponda liberatoria verso la socializzazione del loro godimento e crea con lei non l'orizzonte della civiltà ma il suo più autentico significato.

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5 Commenti

  1. manlio.converti

    il padre è un mito!
    concetto

    il padre è un mito!
    concetto interessante in un discorso distorsivo ed eterosessista.
    per fortuna i limiti di bellezza e conoscenza sono spesso stati tracciati dai gay come pure l’idea stessa di poesia d’amore da saffo e banalità come il vostro apple e quello che indossate.
    le donne ovviamente sono quelle che organizzano la vita familiare e la struttura domestica, la montessori ci ha consegnato il metodo didattico e sempre le donne regolano la struttura di potere direttamente, come la regina Vittoria, cui si deve il codice di leggi che influenzò quello prussiano e quello albertino, quindi il nostro e di mezzo mondo.
    si aggiorni…
    E finitela con questo lutto per la vostra incapacità a convivere in modo paritario!

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    • galzigna

      Nietzsche, leggendovi
      Nietzsche, leggendovi entrambi – Sarantis e Manlio – direbbe che le vostre analisi rivelano, curiosamente, la stessa mancanza di “senso storico”: scendete dai vostri piedistalli, uscite dai vostri recinti protetti, misuratevi con la meravigliosa e inesauribile varietà dell’esperienza. “le donne sono quelle che organizzano la vita familiare e la struttura domestica”: peccato che l’esperienza quotidiana smentisca, molto spesso, la perentorietá di questo assunto.

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      • info_1

        Provai tempo fa a scriverne,
        Provai tempo fa a scriverne, ma da una prospettiva differente. (http://www.psychiatryonline.it/node/4493)
        Ora oggi , forse, troppo si indugia su questa questione teorica, ed interessante.

        Ma forse non tutto si può leggere alla luce di questa visione.
        La quotidianità, non solo clinica, insegna forme di paternità nuove e sorprendenti.

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  2. galzigna

    La concisa nota
    La concisa nota psicoanalitica di Sarantis Thanopulos potrebbe aprire uno spazio di riflessione critica sulla funzione paterna. Il Padre saggio e carismatico, da un lato – “buon pastore, uomo della provvidenza” – e il suo rovescio speculare, dall’altro lato (cioè il padre autoritario e minaccioso, “incarnazione della legge”), rappresentano per l’autore una “estensione distorsiva della funzione paterna”. Estraneo a questa distorsione rimane – vagheggiato, ma non presentato nella sua attuale fenomenologia – il cosiddetto “Padre vero”: il “compagno paritario”, garante della esteriorità dell’oggetto desiderato, garante della costituzione esogamica e non incestuosa della coppia erotica. Chi legge comprende senza troppa difficoltà il profilo concettuale di questa figura terza, estranea, come detto, alle logiche della ‘distorsione’. Ma non comprende, poiché nella nota non se ne parla, le possibili figure empiriche correlate a questo profilo concettuale. Evidente, qui – qui, come in tante altre comunicazioni psicoanalitiche -, il pericolo di chiudersi al mondo dei non addetti ai lavori, ovviamente interessati alla possibilità di correlare i profili concettuali allestiti dal sapere psicoanalitico ai loro concreti risvolti empirici, storici, sociali, culturali.

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    • marco.nicastro

      A mio avviso, la nota sul
      A mio avviso, la nota sul Padre risulta piena di apriori che derivano chiaramente da una teorizzazione ormai presente in tutti i testi di psicoanalisi, relativamente alla figura di padre o della figura femminile, ricalcando in modo piuttosto superficiale dei clichè di probabile ispirazione junghiana. E dico apriori, in questo caso, non perchè un’affermazione in psicoanalisi debba obbligatoriamente essere dimostrata, ma perchè dovrebbe quantomeno essere sufficientemente argomentata o chiarita, cosa che qui l’autore non si sforza di fare.

      Primo a priori: “la forza propulsiva e, al tempo stesso, la perenne contraddizione della civiltà: l’incontro/antagonismo tra la sessualità femminile, che destruttura l’esperienza soggettiva aprendola all’inconsueto, e la sessualità maschile che la struttura e la definisce chiudendola in forme stabili e consuete di vita”.
      Chi lo ha detto che la forza propulsiva della civintà sarebbe questa? E perchè? Perchè sarebbe tipico solo dell’esperienza della sessualità femminile aprirsi all’inconsueto, mentre quella maschile prediligerebbe le forme stabili di vita?

      Secondo a priori: chi lo dice che le due forme costitutive della sessualità, addirittura nella società, sono queste appena menzionate? sono solo due o ce ne possono essere altre? E perchè costitutive?

      Terzo a priori: perchè la componente sessuale femminile è apportatrice di disordine e quella maschile di ordine? non potrebbe essere l’inverso, oppure un’altra combinazione delle due?

      Quarto a priori: “[…] La sua presenza (del padre normativo) sulla scena è direttamente proporzionale alla subalternità della posizione della donna rispetto a quella dell’uomo.” Questo, oltre ad essere un a priori, mi pare anche chiaramente sconfessato dai fatti della società attuale, che soffre piuttosto, a mio avviso, di carenza normativa (in senso ampio del termine), nonostante il ruolo subalterno della donna in società, sotto molti aspetti.

      Dinnanzi a queste affermazioni, e parlo da un punto di vista psicoanalitico, mi verrebbe voglia, per reazione, di essere un riduzionista. Si offre ai seguaci del comportamentismo, del biologismo e simili l’opportunità di deridere certe teorizzazioni e ci si esclude dalla possibilità di dialogo con altri saperi, tanto è forte il carattere perentorio e la vaghezza di certe affermazioni. In esse manca il confornto con l’esperienza che, come dice bene Maurizio, mostra una variegata collezione di esempi di paternità possibile, ben al di là dei clichè.

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