È da alcuni anni che va diffondendosi, sulla scia della crisi economica, l’idea che i servizi della psicologia professionale e in particolare le psicoterapie siano accessibili ad una più vasta platea di cittadini. Da qui la nascita di numerose iniziative di psicoterapia “accessibile”, “sostenibile”, “low cost”, “sociale”, “popolare”, tutte definizioni per nulla omogeneizzabili in precise coordinate e, nel più tipico spirito nazionale, tutte esperienze quasi sempre estemporanee e difformi, nate dall’iniziativa di questo o quell’istituto o scuola di specializzazione se non addirittura dal singolo professionista che pur di stare su un mercato sempre più avaro si scopre pronto a sfoderare questi nuovi slogan.
Ma se è vero, come dimostrano le più recenti ricerche di effectiveness svolte finalmente anche sul territorio nazionale (su ben 423 pazienti) che:
La possibilità di avere una risposta terapeutica alla psicoterapia, rispetto all’assenza di un trattamento di questo tipo, è del 73%. Un’altissima percentuale di tasso di risposta, se si considera che la percentuale di risposta terapeutica al trattamento nella prevenzione dell’infarto grazie all’assunzione di aspirina è del 52%, e che tale trattamento viene, per questa già molto alta percentuale di risposta, considerato irrinunciabile e salva vita;
e che allo stesso tempo
“solo una percentuale compresa tra il 10% e il 14% dei pazienti utilizza questo tipo di trattamento”
(L’efficacia si valuta con gli esiti della psicoterapia di Daniel de Wet e Marzia Fratti, in Sole 24ore Toscana Versione Pdf del supplemento al n. 3 anno XVII del 28 gen.-3 feb. 2014 www. regione.Toscana. it)
dobbiamo pensare che mentre aumenta l’impoverimento generale della popolazione italiana, ci scontriamo tutti con il fallimento storico delle politiche pubbliche sulla salute psicologica: l’assenza di una vera e propria strategia economico-sanitaria sulle emergenze in ambito psicopatologico (come avviene in altri paesi europei come documentato dall’iniziativa inglese IAPT Improved Access to Psychological Therapies), e l’irraggiungibilità di fatto nella gran parte del territorio nazionale del servizio pubblico a causa delle lunghe liste di attesa.
Da qui la mobilitazione della comunità degli psicologi e psicoterapeuti libero-professionisti che tenta, forse ancora confusamente e come al solito in ordine sparso, di superare la propria crisi interna dopo la fine ingloriosa della miserevole bolla speculativa sulla formazione – di base e specialistica – alle spalle degli psicologi e la relativa crisi economica delle scuole di specializzazione in psicoterapia (ricordiamo, l’unica specializzazione privata). Crisi assolutamente prevedibile già da molti anni e che segnala ancora una volta la totale assenza di una politica e di una programmazione della demografia professionale degli psicologi in accordo tra ordini e accademie.
In questa cornice confusa e, in alcuni casi, opportunistica, cominciano a muoversi le prime lodevoli iniziative-pilota “miste” come questa del Comune di Milano in collaborazione con l’Ordine della Lombardia (qui l’indagine conoscitiva dell’Ordine Lombardo), o come quella dell’Opera Don Calabria di Roma, considerata la madre di tutte quelle a seguire.
Mancano però proposte di modelli unificanti riguardanti le coordinate di un servizio di psicoterapia sostenibile in ambito privato-sociale, dove il sostantivo “sostenibile” non sia soltanto una medaglietta su un prodotto in svendita, o peggio ancora opportunisticamente propagandistico, per il quale sia richiesto come al solito il volontariato sacrificale degli psicologi (cosa debbano mai ancora espiare non l’ho compreso), ma dove la sostenibilità corrisponda ad una autentica sussidiarietà tra un mondo libero-professionale e la cittadinanza.
In tal senso questa ultimissima iniziativa, il Progetto Plexus, nato a Roma, dallo sforzo elaborativo e organizzativo della sede locale del Laboratorio di Gruppoanalisi (di cui sono parte), tenta di realizzare un equilibrio nel quale da un lato si massimizza la qualità dell’intervento attraverso tutta una serie di garanzie per il cittadino che non si risolvano da parte del professionista nel semplice possesso di titoli, e dall’altro si realizza un intervento socialmente accessibile utilizzando per esso solo una percentuale massima di tempo del singolo professionista (il 20%) e una tariffa minima non inferiore a 30 €, per impedire l’autosfruttamento così diffuso nella categoria.
Il Progetto Plexus prevede dunque una carta dei servizi piuttosto articolata. Eccone le coordinate:
o Una Carta di Qualità ed Etica dei Servizi che mostri un assetto interno di alto profilo attento all’etica a garanzia dei cittadini
o Un Metodo di Lavoro condiviso di comprovata efficacia
o L’attenzione per la Ricerca e l’impegno costante per l’aggiornamento continuo e l’innovazione
o La condivisione open access di alcune Pubblicazioni dei membri del gruppo
o La Trasperenza delle Tariffe sia quelle di mercato che quelle “accessibili”
o Rintracciabilità dei Professionisti La possibilità di controllare l’iscrizione agli albi professionali
o Il riferimento costante al Codice Deontologico degli Psicologi
Ciò che di fatto questo progetto realizza è molto semplicemente un utilizzo intelligente dell’economia di scala e del concetto di rete: molti professionisti, molte competenze, molte aree d’intervento (anche non-cliniche o clinico-sociali), molte risorse economiche nella promozione e un sapiente uso dei social network, supervisioni/covisioni gratuite interne, molto scambio interno tra i sottogruppi, molte possibilità di formazione gratuita o a costi infinitesimi.
Non vogliamo essere di esempio a nessuno, ma ci piacerebbe attivare un confronto fertile con tutti a partire da queste coordinate.
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