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Un passo indietro per la grande bellezza

6 Mar 14

A cura di Luigi D'Elia

Non sono un esperto di cinema, né di scrittura cinematografica, ma un semplice fruitore che osserva e risponde alle sollecitazioni artistiche e mediatiche. Mi rendo conto che il fiume di parole che si sta spendendo su questo film, tra partiti opposti di ammiratori e critici, non è solo legato al fenomeno mediatico degli Oscar, ma al fatto che esso sta in qualche misura parlando di noi e dell’oggi. E non è un parlarne rassicurante. Mi è stato chiaro ieri, guardando la prima volta il film in tv e godendolo in totale solitudine.

Questo breve scritto non vuole aggiungersi alle varie critiche, ma limitarsi semplicemente ad estrarre solo uno solo degli aspetti del film, il finale. E provare a leggerlo in una chiave personale.

Dico subito che io sono tra coloro che il film lo ha largamente apprezzato in molte sue sfaccettature (tecniche, visive, narrative, artistiche, culturali), pur trovandolo in alcuni pur brevi passaggi ridondante, ma lo devo guardare almeno una seconda volta per farmene una opinione compiuta. Non riesco però a ricevere le critiche di chi lo ha trovato lento, noioso, banale in quanto mi è chiaro che un film del genere necessita di una disposizione d’animo particolare che non sempre è possibile attendersi da tutti ed in tutti i momenti.

Trovo invece ricevibili le critiche di chi, al contrario di me, lo ha trovato un film brutto, persino detestabile, proprio perché considero questo uno dei possibili modi nel quale questo film possa essere fruito. Voglio dire cioè che chi lo ha trovato brutto almeno lo ha visto e lo ha anche almeno in parte “com-preso” e se ne è distaccato.

Due brevi parole sulla trama per chi non ha visto il film: Jep è un critico e giornalista di costume di 65 anni, ha scritto un solo libro molto tempo prima quando era giovane diventato un cult letterario, ma poi più nulla. Vive una vita mondana romana tanto intensa quanto vuota, circondato da pochi amici e molti figuranti. Tutto il film gira intorno, senza una precisa storia, agli incontri mondani, alle esperienze, alle passeggiate di questo personaggio saggio, colto, disincantato, quasi anetico, quasi annoiato, ma anche con alcuni lampi di umanità. Un personaggio attualissimo, una sorta di icona della contemporaneità.

Ma veniamo alla scena madre del film, quella che a mio parere porta il discorso del film nel suo punto più “rivoluzionario”, cioè gli fa compiere il giro completo. Infatti accade proprio sul finale.

Ma per capire questo finale oltre a seguire il percorso del film occorre ricordare un’altra scena, al centro del film, che precede e prepara questo finale. Jep racconta a Ramona di un suo giovanile incontro amoroso che gli ha segnato la vita. Lui 18, lei 20 anni, un bacio tentato in riva al mare di sera, una testa che si sposta e la ragazza che fa un passo indietro. Jep si ferma nel raccontare, sembra dover svelare una verità importante, decisiva, ma succede qualcosa che lo distrae e la verità non arriva.

Fino alla scena finale.
Torna la giovane coppia in riva al mare di sera, si vede il bellissimo volto di una ragazza, lui è immobile ed incantato dalla sua bellezza, lei ha già fatto il passo indietro, e dice: “adesso voglio farti vedere una cosa”, dopodiché si sbottona la camicia e gli mostra il seno, ma solo per poco. Si riveste e si mette a sedere un po’ più in là e lo guarda da lontano con un’aria malinconica.

Jep a questo punto compare con la sua età attuale, è lì a rivivere con la memoria quella scena del passato (che non si sa come va a finire, ma non è importante) e ripensa alla sua vita ed è finalmente pronto a scrivere il suo secondo libro.

Immensa e poetica la nostalgia di questa scena. Sembra dirci che la bellezza è solo un attimo della vita che ti riempie e se ne va, che ti lascia in un immobile stupore, che ti lascia nella vana attesa del suo ritorno.
Perché, mi domando, un regista vuole raccontare il nostro presente attraverso questa vicenda e in particolare questo finale? Perché la grande bellezza della vita fa un passo indietro e si fa ricordare per così tanto tempo? Perché è fuggita? Perché la vita è sommersa “dal chiacchiericcio e il rumore”?

Gli sparuti e incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato dell’uomo miserabile, […] che questo romanzo abbia inizio, in fondo è solo un trucco. Si, è solo un trucco”. Con queste parole del monologo finale, Jep si congeda consegnandoci un misto di amarezza e struggente solitudine.
(guarda la scena finale in calce)

Perché lo squallore assedia la nostra vita e la nostra società, che fine ha fatto la bellezza? Musiche ed immagini fotograficamente perfette di Roma sullo sfondo e lo squallore in primo piano. Un amore puro e giovanile sullo sfondo della memoria e un sessantacinquenne decadente e apparentemente cinico in primo piano. Non più atti creativi, fine della generatività, il punto zero della civiltà. Tutto sembra irrimediabilmente vecchio e triste, la bellezza è solo nel passato. L’epopea di un nichilismo compiuto. Non c’è nemmeno più tempo e modo di proporre una posizione etica su quanto accade, la vana fuga della bellezza ci ha lasciati tutti orfani e ammutoliti.

Un film da fine del mondo, senza redenzione, senza consolazione, ma ugualmente poetico, di una poetica cruda, autoevidente, senza lacrime e senza rimpianto, ma con molto dolore e molta lontananza.

Una nuovo discorso sulla depressione legato all’assenza di bellezza, quale appare questo film, in fondo è un tentativo di elaborazione evoluto di una parte della condizione umana e sociale contemporanea, una ricerca di senso e una ri-narrazione di una condizione di post-umanesimo che mi appare necessaria per comprendere meglio il nostro presente.

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1 commento

  1. antonello.sciacchi16

    Bello questo commento di
    Bello questo commento di D’Elia al film “La grande bellezza”. Posso aggiungere aggiungere qualcosa di meno bello, di più quotidiano, di più prosaico, di meno sublime, ma anche di più scabroso delle riflessioni sulla caducità e sull’inutilità della bellezza?
    Il mio punto è “il passo indietro della donna”. Ancor prima di indietreggiare, “le pas retenu” è il trucco con cui la donna, non concedendosi al rapporto come lo concepisce il maschio, tenta di inventare un altro rapporto, più femminile, più autentico di quello violento che il portatore di pene (“Penisträger”, dice Freud) si augura. Detto volgarmente, “No, lì”. E talvolta l’uomo ci casca. Si innamora di quella negazione, a costo di inibirsi di vivere.
    (Prescindo completamente dalla giustificazione darwiniana della negazione femminile. La femmina DEVE poter dire di no ai maschi, in quanto si riserva la scelta del migliore procreatore, ai fini della conservazione della specie.)
    Antonello Sciacchitano

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