Percorso: Home 9 Rubriche 9 Il Poppante Saggio 9 VIA DELL’UMILTÀ

VIA DELL’UMILTÀ

4 Apr 14

A cura di Gianni Guasto

Ci fu un tempo in cui andavo in supervisione da una Collega che aveva fatto della modestia una vera e propria cifra personale. Era una professionista molto esperta e di età piuttosto avanzata, che aveva studiato e praticato all'estero per lunghi anni, lavorando nell'allora Germania Federale e negli Stati Uniti. Nel suo modo di concepire l'insegnamento della psicoanalisi c'era qualcosa di simile alla metodologia dei maestri zen: non si era mai abbastanza anziani per poter uscire dalla condizione di discepoli, perlomeno fintanto che qualcuno di più anziano avesse l'autorità per trattarci come giovani inesperti.
La signora in questione, dopo la laurea in medicina si era direttamente rivolta a un prestigioso istituto psicoanalitico per poter effettuare il proprio training, senza passare, come la maggior parte dei suoi colleghi, attraverso una specializzazione in Psichiatria o un Ph.D in materie psicologiche. Nonostante la maggior parte dei suoi analizzati fossero psichiatri o psicologi, lei non teneva in gran conto la preparazione psichiatrica, tanto che, quando le espressi l'intenzione di conseguire una seconda specialità in neuropsichiatria infantile, tentò di dissuadermi, per indirizzarmi a qualche più proficua formazione in psicoterapia infantile. 
Un giorno mi accadde di dover organizzare un convegno, e perciò pensai di invitarla a tenere una relazione. Accettò con entusiasmo, proponendo un tema interessante, e così si decise di dare alla sua relazione un rilievo particolare, in considerazione della sua statura scientifica.
Al momento di compilare la locandina del Convegno, le telefonai per concordare con lei i titoli attraverso i quali presentarla. A mio giudizio si trattava di un gesto puramente formale, perché le sue qualifiche mi erano perfettamente note, e tuttavia desideravo ugualmente ottenere il suo consenso. Con mia grande meraviglia, l'elenco di competenze che avevo previsto fu inesorabilmente bocciato. Io avrei voluto scrivere: "psicoanalista con funzioni di training dell'istituto tal dei tali del paese di", ma lei mi pregò di lasciar perdere. Pensai allora che, conformemente al suo abituale understatement, volesse scrivere soltanto "psicoanalista", ma continuavo a sbagliare. "Scriva psichiatra", tagliò corto. Io non replicai nulla, ma rimasi molto sorpreso. La Collega non era affatto psichiatra, titolo per il quale occorre un diploma post-universitario ottenibile dopo cinque anni di scuola di specialità. E per di più quello era, particolare non secondario, il titolo accademico di cui disponevo io, che tuttavia condividevo, assieme alla massa dei miei colleghi psichiatri in procinto di diventare psicoanalisti, l'idea che la qualifica di psichiatra fosse qualcosa di "minore" rispetto al titolo ben più ambito di psicoanalista. Ricordo che allora pensai: "è una fortuna che fra i relatori non ci sia alcuno psichiatra di orientamento non psicoanalitico: potrebbe offendersi!" Come a dire che io, e forse anche i miei colleghi, eravamo mitridatizzati rispetto a quella supponenza, che di certo ben presto avremmo potuto fare anche nostra. 
Tuttavia, pur nella cecità di allora, non potei fare a meno di notare che la Collega, il cui legalitarismo era diventato proverbiale (assolutamente esemplare era, per esempio, il suo rigore in materia fiscale), stava commettendo qualcosa di simile a un reato o a un'infrazione grave, essendo la dichiarazione dei titoli accademici strettamente disciplinata dai nostri Ordini professionali, in ottemperanza alle leggi vigenti in materia.
Ma non era questo il solo dettaglio che non tornava: anche nei miei confronti, la Collega aveva peccato, quantomeno, di indelicatezza, rappresentando il mio titolo di studio come un modesto saio, buono per i penitenti. Ma non se ne accorse neanche, perché del proprio narcisismo debordante e perciò così ben mascherato non aveva probabilmente alcuna consapevolezza.
È curioso come una persona tanto apparentemente modesta, non fosse in grado di esibire i titoli che legittimamente le spettavano. E la protervia celata sotto tanta ritrosia si manifestava nel considerare "inferiore" il sapere altrui, il che faceva a pugni con il basso profilo esibito. Ma questo è un problema che ha ben altre dimensioni che non quelle legate a una singola persona. È l'espressione di una regressiva "mentalità di gruppo", per troppo tempo trasmessa di generazione in generazione attraverso l'insegnamento.

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