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Maggio III – Dante, Kraus, Heidegger, Franzen… e Freud

26 Mag 14

A cura di Luca Ribolini

JONATHAN FRANZEN: “AMERICA DETESTO LA TUA IPOCRISIA”. Dalle analisi di Kraus alle crisi attuali: “Sul piano militare ed economico il momento glorioso degli Stati Uniti è alle nostre spalle. Sono le persone ‘perbene’ a rendere il nostro Paese uno dei più odiati in tutto il mondo

di Antonio Monda, repubblica.it, 14 maggio 2014
Jonathan Franzen ha scoperto la “rabbia come stile di vita” a ventidue anni, grazie alla lettura delle opere di Karl Kraus. Oggi, a più di trent’anni di distanza, dedica allo scrittore austriaco Il progetto Kraus (Einaudi, con traduzioni di Claudio Groff e Silvia Pareschi), nel quale analizza le intuizioni folgoranti e la personalità tormentata di colui che fu soprannominato “il grande odiatore”. Commentandone alcuni saggi, Franzen riflette con toni apocalittici sul parallelismo tra l’impero austro-ungarico e l’America di oggi. Ma sin dalle prime pagine il progetto assume una valenza personale: le proprie scelte, passioni ed idiosincrasie sono messe in parallelo con quelle dello scrittore che “passava molto tempo a leggere roba che odiava, in modo da poterla odiare con cognizione di causa”. La “diffidenza di Kraus verso la melodia della vita” viene attualizzata da Franzen parlando di Amazon, della miopia di fronte a cambiamenti epocali e dell’impoverimento della cultura contemporanea.
“Kraus ha rappresentato un punto di riferimento fondamentale nella mia formazione” mi spiega nel suo appartamento dell’Upper East Side, dove una chitarra e alcune sculture risaltano nell’arredamento scarno. “La sua influenza è evidente nel mio primo romanzo La ventisettesima città, ma per Kraus la letteratura era poesia ed epigramma. La rilettura mi ha consentito di ammirare alcuni elementi e distaccarmi da altri”.
Kraus accusa la stampa di ipocrisia: “Il disonesto abbinamento degli ideali illuministi con l’incessante e ingegnosa ricerca di profitto e potere”.
“Kraus era un giornalista, e conosceva quel mondo alla perfezione. Negli Usa c’è stata per quasi cento anni un’idea responsabile di giornalismo, nella quale non erano esenti tuttavia interessi e pressioni di ogni tipo. È stato il New York Times a cercare di affermare questa idea rispetto alle testate di Hearst, simili a quelle che Kraus combatteva in Austria. Non possiamo dimenticare che c’è chi è andato in prigione per difendere la libertà di stampa, ma oggi prevale chi urla più forte. Si tende a pubblicare prima le notizie e poi a verificarle”.
Lei in passato ha tradotto Wedekind: com’è nata questa passione per la cultura mitteleuropea?
“Da ragazzo ho studiato il tedesco e poi ho imparato ad amare quella cultura di quella regione europea. Ora ho in progetto di tradurre un classico di Kafka, sapendo che ogni traduzione è un’interpretazione”.
Non le sembra una forzatura il parallelo tra impero asburgico e Stati Uniti?
“Il potere degli Stati Uniti è superiore a quanto sia mai stato quello dell’impero austro-ungarico. A me sembra che il momento glorioso dell’America sia alle nostre spalle e stiamo retrocedendo sia sul piano militare che economico. Kraus, che nasce in una cultura umanista, è allarmato dall’abbraccio della tecnologia, della quale vede gli elementi antiumanistici: un argomento estremamente attuale”.
Era un benestante e pieno di privilegi: da dove nasceva la sua rabbia?
“Nella società in cui viveva c’erano molti motivi per cui essere infuriati, ma nel fondo della sua anima era arrabbiato proprio perché era privilegiato. È un sentimento che mi appartiene molto”.
Lei si scaglia contro la “tirannia della gentilezza”.
“Detesto l’ipocrisia della bontà esibita, e l’invito alla semplificazione morale. L’America è piena di persone perbene che hanno contribuito a rendere il paese uno dei più odiati del mondo. Per rimanere in campo letterario, è assurdo che non si possa dire che un libro è brutto per rispettare il lavoro dell’autore. Quando rifiutai di essere scelto da Oprah Winfrey mi reso conto che molti la pensavano come me ma nessuno lo aveva detto esplicitamente, con l’aggravante che facevo uno sgarbo a una persona che è donna ed anche di colore. C’è una grande differenza tra la bontà e la correttezza politica”.
Lei cita Nietzsche quando afferma che c’è una “mentalità da schiavo alla base del giudizio morale”.
“In questo caso c’è la differenza tra morale e moralismo, tipico di chi criminalizza le persone che giudica.
Kraus scrisse a proposito di Hitler “non mi viene in mente nulla”.
“Può apparire una battuta a effetto, ma è un giudizio tragico, avvalorato dalla chiarezza con cui predisse l’orrore del nazismo. Ebbe analoga lungimiranza con la prima guerra mondiale: fu l’unica voce autorevole ad opporsi, mentre tutti gli uomini di lettere si schieravano patriotticamente con l’impero”.
Come mai detestava Freud?
“Nell’intimo c’era un dato personale: Freud era l’altra grande personalità viennese in grado di raccogliere accoliti che lo veneravano in modo quasi religioso. E diffidava sinceramente della psicoanalisi”.
Ennio Flaiano la definiva “una pseudoscienza inventata da un ebreo per convincere i protestanti a comportarsi come cattolici”.
“È una battuta divertente, che minimizza tuttavia il rapporto degli ebrei con il senso di colpa, aspetto che i cattolici vivono in maniera troppo intermittente. L’aspetto meno interessante di Freud è proprio il tentativo di essere scientifico, mentre quello più interessante è il modo in cui descrive cosa significa essere una persona divisa”.
Lei si schiera con veemenza contro twitter.
“La gente tende a non leggere i testi, ma solo quello che è stato scritto sui testi, e questo è un grave impoverimento. Il link di 140 caratteri priva di responsabilità sia l’autore che il lettore. Mi spiace che alcuni scrittori che ammiro come Rushdie invece cedano a questa debolezza”.
Non crede che twitter sia soltanto un mezzo e come tale un’opportunità?
“Negli anni Trenta sono state costruite centinaia di dighe che sembravano un mezzo sicuro per assicurare l’energia. Ora si è visto che non è così e abbattere quelle dighe costa decine di volte più della costruzione. Non voglio neanche fare l’esempio della corsa al nucleare: quanti Chernobyl e Fukushima dobbiamo aspettare? Non tutto quello che è possibile è anche giusto”.
Non le sembra un atteggiamento conservatore?
“A me sembra di contrastare il trionfo del consumismo, in mano a chi ha interesse unicamente il profitto: rivendico il fatto di non essere affatto cool e di affermare che sono questi gli strumenti della vera conservazione “.
http://www.repubblica.it/cultura/2014/05/14/news/jonathan_franzen_america_detesto_la_tua_ipocrisia-86105102/

GLI STUDENTI CONTRO IL BULLISMO OMOFOBICO PER L’AMICO MORTO SUICIDA

di Elena Tebano (@elenatebano), 27esimaora.corriere.it, 15 maggio 2014
«Questo premio è dedicato a Roberto». È bastata una frase, detta sul palco del Teatro dell’Opera di Roma, per dare l’idea di come il progetto contro il bullismo omofobico lecosecambiano@roma, promosso in 24 scuole superiori della Capitale, fosse diverso dal solito. L’hanno detta i ragazzi dell’istituto tecnico Von Neumann, tre classi dalla prima alla terza, quando ieri hanno ritirato il premio per il video che hanno realizzato contro l’omofobia, girato proprio pensando a Roberto, un coetaneo morto suicida nel loro quartiere «perché non poteva essere se stesso», come recita la poesia-rap che apre il filmato. Segno che per una volta i banchi di scuola hanno incrociato in modo inaspettato la realtà degli adolescenti, a volte dolorosa e sempre pressante.
La premiazione concludeva infatti un percorso promosso dall’assessorato cittadino alla Scuola, Infanzia, Giovani e Pari opportunità e organizzato in collaborazione con la Sapienza e la casa editrice Isbn a partire da Le Cose cambiano, che ha coinvolto oltre duemila ragazzi romani in una serie di incontri formativi con esperti e testimonial (dagli scrittori Ivan Cotroneo e Melania Mazzucco, agli attori Fabio Morici, Andrea Rivera ai calciatori di Lazio e Roma, Federico Marchetti e Federico Balzaretti) per sensibilizzare gli studenti al rispetto delle differenze e contrastare così l’omofobia.
Termine astratto che per molti di questi studenti è invece una realtà assai concreta: più della metà dei ragazzi dichiara di aver almeno un amico o un’amica con orientamento non eterosessuale, il 47% ha detto di sentire molto spesso espressioni omofobiche dai compagni di scuola e il 25% ha ammesso di aver sentito le stesse espressioni dagli insegnanti. L’8% inoltre ha confessato di aver subito bullismo omofobico almeno una volta in classe, di fronte al quale la reazione diffusa è di voler abbandonare la scuola (è quanto emerge da un’indagine realizzata da La Sapienza sulle classi coinvolte, a cui hanno risposto 1745 studenti e studentesse, con età media di 16 anni). Molti di questi ragazzi infine non sanno a chi rivolgersi: solo il 32% si confida con gli insegnanti, ancora meno (il 19%) con i genitori, la maggioranza (58%) riesce solo a parlarne con i coetanei. Il progetto romano era anche un modo per rompere la solitudine degli adolescenti di fronte al bullismo: «È nostro dovere come amministrazione pubblica contrastare ogni forma di bullismo e promuovere il rispetto delle differenze — ha detto l’assessore Alessandra Cattoi — Nessun adolescente si deve sentire solo né diverso nella nostra città».
«Abbiamo visto che spesso i pregiudizi vanno di pari passo con la non conoscenza della realtà sociologica e psicologica delle minoranze — spiega Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista dell’Università La Sapienza e uno degli esperti che hanno seguito il progetto lecosecambiano@roma —. Sono un modo negativo di socializzare: i ragazzi si aggregano intorno a un pregiudizio e questo può dar luogo ad atti di bullismo. Di solito gli adolescenti ripetono stereotipi che la società veicola, quello che sentono a scuola o in tv. Ma sono anche molto attenti, partecipi, hanno una grande affettività e sono curiosi delle vite degli uni e degli altri: portano esperienze dove l’amicizia, cioè la dimensione positiva dell’aggregazione, diventa il vero fattore di protezione contro bullismo e omofobia», aggiunge. Facendo appello a questa generosità di sentimenti il sindaco di Roma Ignazio Marino, che ha partecipato agli incontri nelle scuole, si è rivolto agli studenti: «Dobbiamo considerarci tutti uguali e voi avete un ruolo importantissimo perché gli educatori degli adulti siete voi», ha sintetizzato.
Il prossimo passo è proprio coinvolgere gli adulti e far sì che il progetto romano (nato dall’appello di intellettuali e artisti con Le cose cambiano pubblicato a ottobre sul Corriere della Sera) non resti un percorso isolato: «Il lavoro sull’omofobia serve ed è efficace se coinvolge tutte le anime della scuola: per questo sarebbe importante anche programmare incontri con genitori e insegnanti — spiega Lingiardi —. Serve perché costruisce fattori protettivi per i ragazzi, che rimangono e si “trasmettono” tra pari, come l’effetto di una palla di neve che cresce man mano che si muove».
http://27esimaora.corriere.it/articolo/gli-studenti-contro-il-bullismo-omofobico-per-lamico-morto-suicida/
 

LA RELIGIONE DEL SILENZIO. I Quaderni neri di Heidegger sono un innegabile manifesto di razzismo. Ma gli intellettuali italiani che, nel ’68 e negli anni del pensiero debole, si sono lasciati abbagliare dal suo pensiero, ancora tacciono

di Gianfranco De Simone, left.it, 16 maggio 2014
E’ stato lo stesso Martin Heidegger a dare una svolta alla discussione che va avanti dal dopoguerra a oggi sul carattere nazista della sua filosofia e sulla presenza nei suoi scritti di tesi razziste e antiebraiche.
Egli stesso ha deciso negli anni Settanta di graduare lo svelamento (aletheia?) del suo volto autentico (veterocattolico, razzista, nazista) prima con la pubblicazione postuma dei corsi tenuti sotto il nazismo ed ora con quella dei Quaderni neri, il suo diario filosofico segreto da lui stesso destinato a fare da chiusa alla sua opera omnia.
Scorrendo i primi tre volumi di questi Schwarzen Hefte (Quaderni neri) da due mesi in libreria nell’edizione tedesca (per quella italiana bisognerà aspettare la fine del 2016!) risulta evidente la “svolta” predisposta da Heidegger.
Dopo aver passato gli anni dalla disfatta nazista a ripulire dai suoi scritti soprattutto i riferimenti che provavano il suo razzismo, Heidegger aveva stabilito, con la pubblicazione postuma dei Quaderni neri, che non sarebbe stato più necessario, con i neologismi del suo linguaggio metafisico, coprire il substrato ideologico antisemita, antidemocratico, ultranazionalista e veterocattolico che sosteneva la sua filosofia. Nei Quaderni neri il più esplicito e sprezzante linguaggio dell’odio razziale nazista vuole dare legittimità filosofica al «principio della razza», alla necessità di combattere con la violenza il complotto dell’«ebraismo mondiale» che minaccia lo «spirito del popolo» (Volkgeist) che deve tornare alla sua dimora tedesca. L’incitamento a «sradicare ogni parte dell’essere», scritto in piena caccia hitleriana agli ebrei, è legato al pensiero (al delirio?) che gli ebrei sono senza Dasein, senza terra, immondi, dotati di pensiero razionale calcolante che “non è pensiero”.
Essi avrebbero inventato l’universalismo e l’uguaglianza di tutti gli esseri umani per essere riconosciuti come uguali loro stessi e congiurare meglio contro la razza diversa e superiore. L’inferiorità razziale degli ebrei avrebbe provocato entrambi i sistemi del capitalismo liberale e del comunismo.
Ecco la “svolta”dei Quaderni neri, la volontà di Heidegger di renderli pubblici ha voluto sostituire al silenzio negazionista tenuto ostinatamente durante la sua vita, un lugubre affermazionismo post mortem che incita all’«annientamento dell’epoca nuova» e spera ancora nella «realizzazione della fantasia filosofica di un nuovo inizio della storia dell’Essere».
Ecco perché questi primi tre Quaderni neri, pur nel silenzio che vorrebbe inghiottirli, segnano un punto di non ritorno per i cantori di Heidegger. Seppelliscono per sempre la menzogna che non c’erano prove scritte di suo pugno sul suo razzismo confermando che quel razzismo è militante perché è un fondamento del suo modo di pensare.
Ed è su questo che è calata la nebbia del silenzio di filosofi, intellettuali e giornalisti, perché rende manifesto che è il suo pensiero filosofico a essere malato di razzismo.
Un cardine del suo pensiero, la differenza ontologica tra essere ed ente, viene pensata a livello di una differenza tra esseri umani: quelli per nascita privi di essere, cioè gli “sradicati”, gli ebrei, non sono la stessa cosa di quelli “radicati” nella terra dell’Essere tedesco. E qui l’orrore del silenzio su queste riflessioni dei Diari si aggrava del paradosso di tutti i giornali che hanno messo in grande risalto le riflessioni di Bergoglio sulla differenza tra essere umani: «I bambini battezzati non sono la stessa cosa di quelli non battezzati; col battesimo veniamo immessi in quella sorgente di vita che è la morte di Gesù». Il battesimo rende il neonato un essere umano autentico, radicandolo nella comunità cattolica e sancisce la differenza ontologica con i non battezzati che costituiscono un’umanità difettosa, con la sola nascita fisica, pericolosa diversità portatrice del male, priva di Essere perché priva dell’essere per la morte di Gesù. Questi veloci passaggi, inadeguati all’importanza del tema, solo per sottolineare, da una parte la matrice cattolica dell’essere per la morte di Heidegger e dall’altra la diffusione e l’influenza del suo metodo di pensiero e del suo gergo negli ambiti più (apparentemente) diversi, dalla teologia, alla nuova destra e soprattutto, ahimé, alla cultura di sinistra, tutti abbagliati dall’illusione di un nuovo modo di pensare.
I teologi di oggi assumono elementi della filosofia di Heidegger per combattere la tradizione nella Chiesa. L’apertura di Bergoglio ai non credenti, l’idea della Chiesa come ospedale di campo, è ispirata da K. Rahner, gesuita di Friburgo, il teologo più influente del Concilio vaticano II, che considerava Heidegger suo unico maestro. Per la sua teologia, definita una «svolta antropologica», bisogna indagare Dio cercandolo nelle profondità dell’uomo. La sua idea – che per comprendere l’esperienza religiosa bisogna rivolgersi all’inconscio e non alla razionalità – è stata ripresa dal teologo Bruno Forte sul Sole 24 Ore del 4 maggio scorso. Il maggior teologo argentino, il gesuita Scannone, maestro di Bergoglio, è allievo di Rahner ed esponente di quella teologia del popolo inteso come entità mistica molto diffusa in Argentina e antagonista della teologia della liberazione ispirata all’analisi marxista della società. Esponenti di quest’ultima hanno apertamente paragonato il silenzio delle alte gerarchie sui desaparecidos al silenzio di Heidegger sullo sterminio degli ebrei. Oggi il silenzio della “cultura” dopo due mesi dalla pubblicazione dei Quaderni neri è spregevole perché si vuole tacere su ciò che essi dimostrano: il suo “pensiero della razza” a) fornisce la giustificazione filosofica di ciò che i nazisti stavano mettendo in atto; b) deve essere diffuso post mortem perché il «complotto ebraico mondiale» con i suoi annessi di democrazia, socialismo, progresso tecnico-scientifico continua a debilitare le radici tedesche e perché l’opera di Hitler non è stata sufficiente a sconfiggerlo in quanto affidata alla tecnica e ad un’«incolta dottrina della razza».
Questi Quaderni tolgono il velo all’inquietante programma heideggeriano, confermando la coraggiosa denuncia di Emmanuel Faye sull’introduzione del nazismo in filosofia. Al contempo gettano un’ombra sul silenzio abietto dei tanti intellettuali che hanno messo Heidegger su un altare e ne hanno fatto un punto di riferimento per la sinistra. Orfana di Marx, lo hanno cooptato con l’abbaglio di rivitalizzare la esaurita verve rivoluzionaria, utilizzando la parola d’ordine heideggeriana della Destruktion per demolire ogni pensiero forte, ogni ricerca di verità, ogni idea di identità e di rapporto col diverso. Così i temi di Martin Heidegger fondati su derivazioni cristiane settarie, hanno nutrito la psichiatria fenomenologica e quella antistituzionale di Franco Basaglia, il pensiero debole, il ’68.
è emblematico che gli irriducibili heideggeriani italiani, tutti di matrice cattolica, hanno in un certo senso seguito il percorso del maestro, di una formazione cattolica poi rinnegata, senza mai distaccarsene, vestendo panni rivoluzionari per poi riaccoglierla (Gianni Vattimo, Massimo Cacciari, ecc.) e voler convincerci del fallimento e dell’inutilità di una sinistra laica. Die Zeit ha scritto che i Quaderni segnano una disfatta della filosofia francese del dopoguerra. Molti proteggono Heidegger per proteggere i loro interessi di bottega (accademica), molti sono stati accecati dalla sua religione travestita da pensiero. Tutti lo hanno seguito sulla idea che solo qualcosa che precede l’umano può dare senso all’umano. L’idea di una struttura che ci determina ha ingabbiato il pensiero di Foucault, l’idea della scrittura come qualcosa che precede la parola ha portato Derrida lontano dalla realtà.
Il nucleo centrale del pensiero di Heidegger è che l’essere umano nel suo venire al mondo (Dasein), «è l’ente gettato che è in quanto è se stesso». Il sé si conosce come originariamente affetto da un non, come portatore di una mancanza originaria che è alla base del suo agire.
Jacques Lacan dopo la visita ad Heidegger e una rilettura dell’istinto di morte freudiano teorizzò il «manque-a-être», la mancanza originaria che sancisce il nichilismo terapeutico. Dopo aver letto Essere e Tempo, Jean-Paul Sartre nel 1943 scrisse che «il desiderio testimonia l’esistenza della mancanza nell’essere della realtà umana». Ludwig Binswanger rimase folgorato dall’assunto heideggeriano che anche la schizofrenia rientrava nel «senso dell’essere», aprendo così alla comprensione dei filosofi e togliendo senso all’intervento di cura e alla ricerca degli psichiatri. Anche  Franco Basaglia partì dall’idea che la psicosi è un Dasein mancato e si convinse che quelli etichettati come psicotici andavano lasciati liberi di non essere.
Se a questo si aggiunge il giudizio di Heidegger sull’inconscio – è incomprensibile e non può essere la chiave d’ingresso alla psiche – si può vedere fino a che punto il suo pensiero, osannato come l’unico che andava oltre la razionalità occidentale, abbia bloccato la ricerca sulla realtà umana. Pochi hanno avuto le idee per rifiutare in profondità il suo pensiero, uno solo, Massimo Fagioli, ha individuato il nucleo religioso e nazista di un modo di pensare che al di là del linguaggio ipnotico, si dimostra banale oltre che violento.
Un passo essenziale del pensiero è stato compiuto quando, indagando la mente non cosciente, è stata pensata la nascita umana. L’organismo umano, cercando di essere nel mondo, reagisce di fronte alla natura non umana con la pulsione come fantasia di sparizione ma anche, un tempo infinitesimo dopo, con la memoria del rapporto con la realtà biologica. Per questa memoria non si nasce “nazista”, c’è l’uguaglianza di tutti, con la certezza dell’esistenza di un essere umano come se stesso.
è stata questa teorizzazione a sostenere lo scontro teorico con Heidegger fin dal secondo capitolo d’Istinto (seconda edizione 1976) in cui parlando della memoria-fantasia Fagioli precisa «l’assoluta ignoranza di Heidegger del fenomeno separazione-nascita». Il Geworfenheit è parto fisico animale. L’essere che si aggiunge per “presentimento” non può essere che spirito, innato non, che all’interno dell’uomo costituisce l’identità umana come essere per la distruzione e l’annientamento del diverso che sarebbe non umano.
Senza la memoria-fantasia non c’è rapporto con la realtà non materiale, non c’è rapporto col diverso da sé, c’è l’uomo senza evoluzione senza divenire, che ha perduto la fantasia della nascita per poter ricreare il suo passato e pensa banalmente, pensa credendo che basti regredire alla vita arcaica contadina, lontano dalla modernità, per avere accesso all’originario.
http://www.left.it/2014/05/16/la-religione-del-silenzio/16247/
 

VERBA WOLAND: “FREUD, L’INCONSCIO E LE NEUROSCIENZE”
di Luigi Bruschi, bruschi.blogautore.espresso.repubblica.it, 18 maggio 2014
 
Dal Prof. Woland per La città invisibile
Il 6 maggio di questo mese ricorreva il 158° anniversario della nascita di Sigmund Freud. La psicanalisi, una delle principali branche della psicologia, è stata negli ultimi anni molto discussa. Non entrerò nel merito di questa diatriba, certo è che il concetto di inconscio (Unbewusste) è il cardine della teoria psicoanalitica e si deve a Freud la diffusione a livelli mai raggiunti prima di questo importantissimo concetto.
Mi sembra possa essere di qualche interesse ripubblicare un mio post sull’argomento. Abbiamo già parlato di David Eagleman, uno dei più brillanti e celebri neuroscienziati americani. Il suo ultimo libro Incognito: The Secret Lives of the Brain (Pantheon, 31 maggio 2011) merita davvero di essere letto. Non è facile riassumere le suggestive teorie di questo saggio: ci limiteremo ad alcuni flash. La teoria portante è la seguente: la maggior parte delle operazioni del cervello sono inaccessibili alla “consapevolezza“. Secondo una brillante metafora la mente cosciente:
È come un clandestino su un transatlantico a vapore che pensa di potersi prendere il merito del viaggio ignorando completamente l’intera ingegneria che si nasconde sotto i suoi piedi.
Ne consegue che il mondo così come lo conosciamo – e qui non può non tornare alla mente la dicotomia kantiana tra fenomeno noumeno (Ding an sich) – non è altro che una costruzione del nostro inconscio. Per spiegare la cosa Eagleman ricorre ad un’altra metafora.
Consideriamo le attività che caratterizzano una nazione: fattorie, fabbriche, telecomunicazioni, business.  La gente mangia in continuazione. I poliziotti arrestano i delinquenti. Gli amanti si incontrano. I medici operano. I professori insegnano e così via. Quando apriamo un giornale noi leggiamo solo alcune notizie, ma restiamo completamente ignari di tutto il lavoro frenetico che si svolge nella nazione. Ora se tu vuoi sapere cosa accade nella tua nazione leggi un quotidiano. Naturalmente non vi cercherai né vi troverai nel dettaglio tutte le azioni che avvengono nel Paese ma solo le cose più importanti, i fatti salienti come, per esempio, se il Congresso ha introdotto una nuova tassa. Bene, dice Eagleman, la tua mente conscia è quel giornale. Il tuo cervello gira a mille tutto il giorno ma, come per la nazione, solo piccole questioni appariranno sul giornale. Il cervello lavora in segreto come in un tremendo rituale magico. “The brain runs its show incognito“.
L’inconscio, dice ancora Eagleman, gira a nostra insaputa un film, e noi riusciamo a comprendere solo ciò che si inquadra, che è compatibile – il confronto avviene nel talamo – con quel film. “Our brains run mostly on autopilot“, i nostri cervelli sono guidati da un pilota automatico, sostiene Eagleman e “ la mente cosciente ha scarso accesso alla grande e  misteriosa fabbrica che lavora di sotto“.
Un esempio per capire quanto le nostre scelte dipendano dall’inconscio: dovendo scegliere tra due marche di tè di nome Tomeva e Lauler, Tommy sceglierà Tomeva ma Laura sceglirà Lauler. Questo perché – è un esperimento dello psicologo John Jones – il nostro inconscio ci spingerà ad acquistare prodotti i cui nome iniziano con la stesse lettera del nostro nome. Molte delle nostre preferenze, pensieri e intenzioni sono dunque inconsapevoli: non sono nostri prodotti, per così dire, ma del cervello. Viene così confermata una della più straordinarie intuizione di Sigmund Freud. E il problema si complica perché ricorda Eagleman “all brains are not created equal“.
Le neuroscienze potranno in futuro aiutarci a capire il comportamento umano e si dovrà sempre più accettare che “i cervelli non sono tutti uguali“, il che dovrà avere, secondo il nostro neuroscienziato, implicazioni anche sul profilo giudiziario (Egli parla di  uno “shift from blame to biology“, uno spostamento dalla colpa alla biologia). Insomma, come si può intuire, c’è tanta strada da fare per realizzare il motto Γνῶθι σαυτόν (Conosci te stesso) che ben riassume l’insegnamento di Socrate.
http://bruschi.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/05/18/inconscio-freud-eagleman/
 

“PSICOANALISI ALLO SPECCHIO. Le neuroscienze sono oggi imprescindibili per capire la psiche”
di Vittorio Lingiardi, Il Sole 24 Ore, 18 maggio 2014
All’origine dell’esperienza psichica: divenire soggetti è il titolo del diciassettesimo congresso della Società Psicoanalitica Italiana (SPI). Si svolgerà presso l’Università degli Studi di Milano dal 22 al 25 maggio e a giudicare dal programma molte relazioni affronteranno il tema, che più freudiano non si può, della formazione delle strutture psichiche. Come sappiamo, le psicoanalisi sono molte, ma nessuna può sottrarsi all’arduo compito di definire che cosa intende per “struttura psichica”. Per questo ci sembra appropriata l’idea di inserire nel titolo quel “divenire soggetti” che sembra richiamare il complicato divenire se stessi in tempi di identità, psichiche e sociali, indefinite e a volte fragili. Ma, soprattutto, che sembra interrogarsi sugli ingredienti del processo di soggettivazione.
«L’incontro tra gli elementi idiomatici e le qualità dell’accudimento – dice Tiziana Bastianini, segretaria scientifica della SPI – dà luogo a una relazione in cui si sviluppa la nostra soggettività. Un processo che la teoria psicoanalitica ha raccontato con diverse metafore: contenimento, holding, riconoscimento, sintonizzazione affettiva». E che, aggiungerei, vive della tensione tra unico e molteplice e della capacità, direbbe Bromberg, di stare tra gli spazi. Infine, continuando a circumnavigare il titolo del convegno, nelle parole “origine” e “soggetto” ravvisiamo l’intenzione di riportare la psicoanalisi alla centralità della funzione materna senza consegnarsi alla nostalgia di un patriarcato perduto.
Temi che non possono più essere affrontati dalla posizione di «(non troppo) splendido isolamento», per usare la nota espressione di Fonagy, in cui a lungo parte della psicoanalisi si era rifugiata. Il dialogo con altri saperi disciplinari, in particolare le neuroscienze cognitive e l’infant research, si rivela necessario per qualunque ipotesi sul funzionamento psichico. Sembra dunque intersoggettività la parola chiave di questo convegno, come anche dimostra la scelta di conferire il Premio Musatti a Vittorio Gallese, neuroscienziato dell’Università di Parma, autore, con Rizzolatti e altri, della scoperta dei “neuroni specchio” (una classe di neuroni che si attiva quando compiamo un’azione e anche quando solamente osserviamo un altro che compie quell’azione) e ideatore della teoria intersoggettiva della “simulazione incarnata” (uno specifico meccanismo mediante il quale il nostro sistema cervello/corpo modella le proprie interazioni con il mondo, processo non metarappresentazionale dove l’intercorporeità descrive un aspetto cruciale dell’intersoggettività). «Rispetto alle teorie dello sviluppo infantile – leggiamo nelle motivazioni al Premio – si comprende oggi che il processo di graduale riconoscimento dell’oggetto come soggetto indipendente, dotato di una propria realtà psichica, non passa solo per le vie della mentalizzazione e della rappresentazione simbolica, attraverso le quali egli formula inferenze cognitive sulle intenzioni proprie e altrui, ma anche attraverso accessi mimetici preriflessivi, molto più diretti e automatici, la cui mediazione è corporea».
La scelta di un esecutivo psicoanalitico di premiare l’ingegno scientifico di Gallese vuole sottolineare la centralità del dialogo tra discipline biologiche e psicologiche. «Un approccio neurobiologico alla comprensione dei processi mentali – scrive del resto Gallese – non può limitarsi a indagare la relazione tra i concetti con cui li descriviamo e le aree cerebrali che si attivano durante l’applicazione di tali concetti, ma deve studiare come dal sistema cervello-corpo nelle sue situate relazioni mondane scaturisca l’attività mentale e venga recepita quando espressa dagli altri. Detto altrimenti, il livello di descrizione offerto dalle neuroscienze cognitive è necessario ma non sufficiente. Dobbiamo partire dal tema dell’esperienza degli individui, decostruirla, naturalizzarla studiandola con l’indagine sub-personale propria delle neuroscienze, e utilizzare i risultati così ottenuti per ridiscutere il livello personale da cui eravamo partiti, instaurando così un virtuoso circolo conoscitivo».
In un momento in cui è forte il rischio di polarizzare il confronto (come la formula neuromania vs neurofobia ci vuole ricordare) è importante affermare, e questo premio sembra farlo, che discipline diverse possono e devono mantenere la loro autonomia senza per questo rinunciare a un’inevitabile interdipendenza. Evitiamo così di imboccare le scorciatoie che pretendono di utilizzare, spesso opportunisticamente, le grandi conquiste delle neuroscienze per spiegare ogni complessità della vita psicologica e psicopatologica. E di abbracciare semplificazioni pseudocliniche che pretendono di riassumere le vicissitudini del processo terapeutico (dall’incontro diagnostico al momento della separazione) nella comoda raccomandazione, suggellata dall’inevitabile riferimento ai mirror neurons, di essere “empatici e relazionali” (peraltro riesce difficile pensare a una relazione terapeutica senza empatia e senza relazione).
Quello intersoggettivo è un orientamento che vanta una lunga tradizione clinica e teorica e oggi informa, con sfumature diverse, molte correnti di pensiero psicoanalitico. Una tradizione che si è sviluppata e rinforzata grazie all’incontro tra teoria dell’attaccamento, studio dei sistemi motivazionali, infant research, neuroscienze cognitive e ricerca empirica sulle specifiche componenti della relazione psicoterapeutica (tra cui l’alleanza e il ritmo delle rotture e delle riparazioni). Grazie al contributo di autori come Daniel Stern e molti altri è stato finalmente messo a fuoco come le manifestazioni delle caratteristiche temperamentali del bambino interagiscano in processi di regolazione reciproca bambino-caregiver. Sul piano clinico l’intersoggettività, può essere definita un processo in gran parte implicito di comunicazione e creazione di senso tra i due mondi intrapsichici di paziente e terapeuta. Un’esperienza che produce cambiamento in entrambi e nella loro relazione. E inevitabilmente ci porta a ridisegnare l’idea di psicoanalista. 
Pensando al convegno SPI penso a Luciana Sica che ne avrebbe scritto su Repubblica. Ma Luciana non è più con noi. Amava la psicoanalisi e proprio l’anno scorso aveva ricevuto il premio Musatti.
 
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-05-18/psicoanalisi-specchio-081317.shtml?uuid=AB8LAAJB
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-05-18/psicoanalisi-specchio-081317.shtml?uuid=AB8LAAJB&p=2
 

IL SOGGETTO MOTORE DELL’INCONSCIO. LA VIA CHE RILANCIA GLI EREDI DI FREUD

di Silvia Vegetti Finzi, Corriere della Sera – Milano, 20 maggio 2014
L’insieme delle relazioni che saranno presentate, dal 22 al 25 maggio, durante il XVII Congresso della Società Psicoanalitica Italiana a Milano, costituisce la più aggiornata radiografia del nostro stato d’animo durante un periodo di crisi talmente grave che sembra cancellare il futuro. L’imperativo del titolo: All’origine dell’esperienza psichica. Divenire soggetti contiene, al tempo stesso, il problema e una possibile via d’uscita. Il termine «soggetto», subiectum, nel contradditorio significato di «sottoposto» e di «protagonista», percorre tutta la tradizione filosofica. Ma negli ultimi decenni si propone con particolare urgenza per l’espandersi, nella nostra vita, di dimensioni impersonali, derive incontrollabili, esiti imprevedibili. Negli scambi cifrati della finanza mondiale, come nella galassia di internet, il soggetto si disperde nel proliferare d’interazioni senza referenti, comunicazioni anonime, che non consentono di rispondere alla domanda «chi parla?». Mentre, nel campo dell’ingegneria genetica, complesse combinazioni scompongono la trama identitaria della parentela. Di fronte a questa dispersione di consapevolezza e intenzionalità, la psicoanalisi, forte del suo sapere e di una plurisecolare pratica di ascolto, si trova in una posizione privilegiata per cogliere il problema e cercare soluzioni. Il suo oggetto, l’Inconscio, rappresenta infatti quella dimensione atemporale che, attraversando individuo, società e cultura, proietta un’ombra sulla soggettività razionale e cosciente. L’interpretazione dei sogni costituisce, in questa prospettiva, un’esperienza che riconsegna alla narrazione del giorno i fantasmi della notte. Porre l’Io là dove dominano esperienze anonime e impersonali aiuta a superare l’alienazione dell’estraneità senza volto. In questo senso, l’estensione dell’atteggiamento psicoanalitico all’intero ambito delle esperienze umane potrebbe consentire di passare dalla passività del soggetto che subisce, all’attività del soggetto che responsabilmente agisce. L’indagine psicoanalitica risale alle origini dell’esperienza psichica per coglierne tutte le potenzialità. Non da sola però, ma cercando sinergie con altre conoscenze. Cito, come esempi di questa nuova, straordinaria apertura: la collocazione del Congresso nell’Università Statale di Milano, il commento di produzioni musicali, la lettura di brani letterari, la lezione magistrale di Antonino Ferro Da Freud a Francis Bacon, l’attribuzione del Premio Musatti allo scienziato Vittorio Gallese, coscopritore dei «neuroni a specchio», la progressiva introduzione di articoli in inglese nella storica «Rivista di Psicoanalisi». Sull’insieme spira l’aria di una stagione nuova che sembra smentire chi vorrebbe relegare il sapere dell’inconscio nell’archivio del passato.
http://www.usl12.toscana.it/wp-content/uploads/2014/05/rassegnastampa200514.pdf
 

L’INFERNO A ORVIETO: TRA DANTE E FREUD

di Redazione, orvietosi.it, 20 maggio 2014
La casa editrice emuse ha dato un’interpretazione del tutto particolare alla campagna nazionale Il Maggio dei Libri, presentando a Orvieto i primi due volumi della collana Psicologia: Freud va all’Inferno di Mario Pigazzini, nei quali l’autore propone una lettura in chiave psicoanalitica della Divina Commedia. “La Divina Commedia è infatti un’opera dal valore universale che, rivista in chiave attuale, aiuta le persone a prendersi cura di sé” spiega Pigazzini “per questo sono partito da Dante per percorrere le strade dell’uomo, le sue passioni violente e le sue paure”.
La presentazione del libro, nella splendida cornice orvietana, è stata preceduta dalla visita al Giudizio Universale di Luca Signorelli, luogo ideale per ricostruire corrispondenze e suggestioni tra le parole di Dante, le immagini di Luca Signorelli e le ricerche di Freud, profondamente ispirato durante i suoi soggiorni nella città umbra.
Aprire l’incontro dedicato a quest’opera con la visita del Giudizio Universale è stato anche un modo per predisporre il pubblico a vedere e ascoltare le proprie emozioni. Perché è di quelle che si parla nelle opere di Mario Pigazzini. Ma Freud va all’Inferno è anche di più: la ricerca di una soluzione al tema del disagio individuale e sociale dell’uomo contemporaneo, accompagnati da quello che le opere classiche riescono ancora a dirci con il linguaggio universale dell’arte.
Il dialogo con l’autore è proseguito presso la libreria Parole Ribelli, alla presenza di Grazia Dell’Oro, direttore editoriale, Manuela Del Turco, ebook designer e Maddalena Ceino, storica dell’arte, contributo video di Tiziana Barcaroli con musiche di Stefano Zazzera.
“Il compito della casa editrice emuse è quello di trasmettere attraverso gli strumenti della contemporaneità digitale, tutta la profondità della tradizione storico-culturale: Dante, il Rinascimento, Freud e la psicoanalisi. Una storia di secoli che sta alla base
del nostro vivere oggi. Per non dimenticarci del passato e stare al passo con i tempi”, dichiara l’editrice Grazia Dell’Oro. Freud va all’Inferno strizza l’occhio al passato e al presente ed è disponibile in versione cartacea e digitale. Sul sito www.emusebooks.com tutte le informazioni per l’acquisto dell’opera.

Sono 5 le collane di emuse: Psicologia, Portfolio, Impronte. Monografie d’arte digitali, Migrazioni, Mosaico. I temi affrontati dalle collane sono molto diversi tra loro ma hanno in comune il desiderio di fornire spunti di riflessione sul mondo contemporaneo attraverso l’originale, rigoroso e autentico approccio alle diverse discipline degli autori che la casa editrice sta incontrando nel suo cammino. Per conoscerle. 

http://www.emusebooks.com
http://orvietosi.it/2014/05/linferno-a-orvieto-tra-dante-e-freud/

AUDIO
AMICI ANIMALI, INTERSOGGETTIVITÀ, CLEPTOMANIA

da radio24.ilsole24ore.com, 17 maggio 2014 
A 26′ parte l’intervista a Massimo Ammaniti e Vittorio Gallese sul tema della intersoggettività: “E’ comprensibile che ognuno di noi si senta IO, ma in realtà siamo inesorabilmente NOI, fin dai primi mesi di vita, nella pancia della mamma. E’ la nuova frontiera della ricerca nel campo della intersoggettività”.
Vai al link e clicca su riascolta
http://www.radio24.ilsole24ore.com/player.php?channel=2&idprogramma=moebius&date=2014-05-17&idpuntata=gSLANAdig
http://www.radio24.ilsole24ore.com/programma/moebius/

 

(Fonte: http://rassegnaflp.wordpress.com)

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