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Uomo di paglia

16 Lug 14

A cura di Maurizio Montanari

Questo post riguarda essenzialmente la clinica psicoanalitica lacaniana, che su un punto non ha dubbi: la sola posizione per mettere in moto la bobina di un soggetto ingarbugliata, è quella di non possedere soluzioni, verità precostituite, saperi, supposizioni. Insomma, un luogo di non sapere verso il quale l'analista ha il compito di dirigersi. J.A Miller ha scritto che'  il solo portare una sofferenza, un enigma, è sufficiente a istituire il soggetto supposto sapere'.  Un' immagine che si ritiene  depositaria di un sapere, capace di innescare il meccanismo transferale. Colui che può interloquire con la sofferenza enigmatica del paziente.  Il supposto sapere non è l'analista, bensì 'il fatto che qualcuno si situi nella condizione di chi non conosce la causa della sofferenza del paziente'. Insomma, un silenzio assordante e produttivo.   Ecco allora le impasse del fare l’analista, oggi.
E’ sempre più difficile assumere una posizione di silenzio e ignoranza, in una società dispensatrice di verità e formule. Tutti sanno, tutti conoscono le verità altrui, meglio delle proprie. Nasciamo in un mondo di ‘problem solving’ e di consouler che forniscono indicazioni per la nascita, la crescita. Per fare il genitore, per non farlo. Ecco allora che un giovane che si dedica alla pratica analitica, deve sapere che la posizione silenziosa e cieca di sapere, oggi è desueta, un brutto posto che non buca le pagine. Difficile da sostenere. Il rischio di accodarsi alla soluzioni precostituite del dsm, inserendosi nel gran calderone delle risposte per tutti è insidioso.Dove possiamo porre il limite tra un ascolto analitico, una buona psicoterapia ed un ascolto amichevole ? Scrive ancora Miller: ' si va dall'analista quando si soffre nel corpo o nel pensiero, e si sospetta che il dolore non saturi tutta la verità.(…) ma che anzi la verità sia distinta dal dolore' . Il pericolo è quello di scambiare il posto assente dell'analista, gravido di silenzi e straordinarie aperture, con quello del dispensatore di benessere, formulario loquace di indicazioni e buoni consigli ( 'Per avvicinare i figli ai genitori, spegnete i computers' tuonava la somma esperta al congresso sulla dipendenza da internet). 'La psicoterapia', continua Miller, ' ha a che fare essenzialmente con questo, ossia col fatto che la persona si senta compresa e a volte il benessere dipende solo dai consigli, dalla compassione, dalla comprensione. In passato, la famiglia o gli amici assicuravano al soggetto un certo benessere, ma nel mondo attuale è necessario cercarlo dallo psicoterapeuta, poiché anche i nonni, oggi, non sono così importanti ed efficaci come lo erano in passato. (…) la funzione della compassione, della comprensione e del calore umano può essere assicurata dai nonni nelle società a lenta evoluzione, dagli amici, dagli psicoterapeuti e dai farmaci in quelle a rapida evoluzione' . Ecco il rischio insidioso, la comoda trappola nella quale è bene non cadere: quella di scambiare un posto per un altro poiché, investito della 'luce del supposto sapere' l'analista ' può pensare che l'abito che gli è affibbiato dal paziente sia veramente il suo, quando in realtà è soltanto in affitto'. Il facile e comodo  calore che assicura quel posto di dispensatore di formule del ben essere del ben vivere, corroborate da spruzzature qua e la di buone direttive paternali-paternalistiche, possono far si che l'analista si prenda davvero sul serio, dimenticando di essere solo : ' un uomo di paglia con funzione di supposto sapere'.

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