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Che cosa significa insegnare?

16 Lug 14

A cura di Fabio Milazzo

Al termine  dell’anno scolastico, con il personale ancora impegnato in corsi di recupero, scrutini, debiti ed esami di stato, ecco scoppiare la solita bomba estiva, di quelle  che fanno rumore perché lanciate con la pretesa di cambiare lo stato di cose in un Paese, l’Italia, notoriamente conservatore, anche e soprattutto nelle sue istanze dichiaratamente progressiste. Il sottosegretario all’istruzione Roberto Reggi lancia il piano per la scuola[1] che prevede un nuovo contratto di lavoro basato sulla seguente formula: più ore per tutti i docenti -fino a 36 a settimana senza variazione retributiva- e aumenti di stipendio a chi decidesse di ricoprire incarichi di responsabilità e offrisse competenze specifiche. «La scuola italiana non potrà più essere – "e non sarà più" – un ammortizzatore sociale»[2].
Questa e simili dichiarazioni vengono sbandierate per annunciare un piano che, nelle intenzioni dei tecnici, dovrebbe rivoluzionare la scuola italiana garantendo maggiore equilibrio tra «chi fa zero e chi fa troppo. Il Miur di Giannini-Reggi chiede invece una disponibilità doppia e certa: 36 ore per tutti»[3]. Le dichiarazioni scatenano la rabbia del corpo docenti italiano, ancora una volta implicitamente accusato di lavorare poco e di essere  una casta di privilegiati con tre mesi all’anno di ferie. Qualche giorno dopo, a Terrasini, Sicilia, il Sottosegretario Reggi, al "Cantiere scuola" del Partito Democratico, rettifica il senso delle dichiarazioni fatte: «Mai mi son sognato di dire di aumentare il tempo dell'insegnamento. So cosa vuol dire stare in trincea con alunni che spostano a scuola i problemi che non trovano riscontro a casa. Nella mia intenzione c'era di dire "valorizziamo il tempo che si sta a scuola". Tanti ci stanno già 36 ore e vengono valorizzati come quelli che non ci stanno e questo non va bene»[4]. La bomba, però, è stata lanciata e le rettifiche non bastano per placare gli animi. Un elemento sembra dare più fastidio degli altri: l’atavica e abusata retorica su un mestiere dipinto come privilegiato «perché i nostri professori sono quelli che in Europa lavorano meno ore»[5]. L’accusa non viene digerita dai docenti italiani in quanto, oltre ad essere palesemente falsa come mostra il dossier Eurydice sull'universo insegnamento in Europa[6], viene pronunciata non dalla casalinga di Vigevano ma da chi dovrebbe farsi garante dei docenti italiani perché informato sul reale stato delle cose. E’ vero che nell’affermazione sopra riportata il Sottosegretario aggiunge che gli insegnanti italiani hanno anche «gli stipendi più bassi» ma ciò non basta a sfumare il peso della prima parte della dichiarazione.

L’attuale contratto della scuola prevede, infatti, per medie e superiori 18 ore di lezioni  “frontali” e 80 ore annuali fra consigli di classe, collegi e altre attività. In questo monte ore non sono incluse le ore di lavoro necessarie alla preparazione delle lezioni, alla correzione delle verifiche, alla programmazione, l’approfondimento delle tematiche, la ricerca delle strategie didattiche e il necessario adattamento delle stesse alle diverse tipologie di classi e di alunni all’interno della stessa classe: tempi indispensabili ad ogni docente per fare il proprio mestiere con la dovuta professionalità, senza scadere nell’improvvisazione o nell’intrattenimento. Quasi tutti gli italiani non docenti considerano questa parte del lavoro degli insegnanti puramente facoltativa, mostrando di aver introiettato una credenza che ha assunto valore di verità. Queste credenze sono veri e propri inquinanti e servono a facilitare svariate politiche governamentali che, però, hanno un fine chiaro: la valutazione del mestiere di insegnante in base a criteri di presunta produttività, da misurarsi nelle forme più diverse: in base al numero di giorni o di ore lavorative, in base al risultato che gli alunni conseguono agli Esami di Stato o nei Test Invalsi, comunque sulla base di rigidi criteri quantitativi ritenuti gli unici idonei per misurare il rendimento e il valore di un ambito di prestazioni. Sullo sfondo rimane celata la natura di un mestiere che Freud definiva impossibile, anche perché soggetto ad innumerevoli variabili, quali quelle legate ai processi di soggettivazione e di costruzione identitaria che vi sono implicati. Il processo di apprendimento è un evento che nessuna retorica sulle competenze potrà mai rendere calcolabile, poiché interessa le singole esistenze degli alunni e dei docenti nel loro inter-relazionarsi. Non è l’aumento del numero di ore in classe a determinare il costituirsi di un ambiente di apprendimento funzionale: già 18 ore in aula richiedono –perché la lezione sia efficace-  un carico di lavoro aggiuntivo pari ad almeno il doppio del tempo considerato. Il problema di fondo, però, è che tutte queste proposte, che formalmente vengono fatte per rendere la scuola all’altezza del suo compito, che dovrebbe essere quello di formare delle soggettività in grado di esercitare il diritto alla democrazia, non tengono in dovuta considerazione proprio questo fine.
La domanda inevasa che dovrebbe essere posta al centro di una seria riforma è di tipo ontologico: che cosa significa insegnare? Come tutti gli interrogativi fondamentali, se non adeguatamente posta la questione rischia di obnubilare ciò che dovrebbe restare al centro, lasciando spazio a tutti quegli elementi che dell’interrogativo centrale si servono per veicolare una certa «ragione del mondo»[7]. Heidegger, con lucidità, sosteneva che «insegnare è più difficile dell’imparare […] perché insegnare significa: far imparare. Chi propriamente insegna non fa imparare nient’altro che questo imparare»[8].  Insegnare significa «fare un segno (signum) dentro qualcuno»[9], produrre delle soggettività, in questo senso è foucaultianamente una tecnica di governo che definisce l’oggetto su cui si esercita. Perché questo segno impresso non equivalga a semplice violenza sul corpo dell’alunno, imposizione, soggettivazione nel senso di deleterio di dare una forma voluta, insegnare dovrebbe divenire sinonimo di insegnare a pensare, ad avere a che fare con la propria particolare condizione sintomale. Una scuola di questo tipo non produce soggetti ma libera soggettività divenienti, «perciò nel rapporto tra insegnante e allievo, quando è un vero rapporto, non entrano mai in gioco né l’autorità di chi sa molto, né l’influenza autoritaria di chi occupa una posizione ufficiale»[10]. Insegnare dovrebbe equivalere a insegnare a  vivere il proprio particolare posto rispetto all’esercizio della democrazia. Per far questo è necessario maturare quelle risorse utili per liberarsi dalle nuove ragioni del mondo che hanno il fine di organizzare l’orizzonte trascendentale entro cui si danno le relazioni sociali.
La condizione perché questo compito politico possa essere sviluppato è porre al centro di ogni possibile piano per la scuola le domande fondamentali, ontologiche diremmo, quelle che vengono eluse quando si gettano sul tavolo le proposte di riforma: Cosa significa insegnare? Cosa significa produrre soggettività? Quali competenze socio-affettive devono maturare nell’alunno? Quali competenze cognitive l’alunno deve sviluppare? Cosa significa pensare? C’è un accordo preliminare su delle definizioni di massima? A chi deve essere assegnato il compito di rispondere a questi interrogativi? Come risulterà chiaro, secondo noi, nessuna riforma è possibile se prima non si sarà provveduto ad una seria definizione ontologica del «cosa significa insegnare», questione che compendia gli interrogativi sopra esposti. Questo lavoro dovrebbe essere svolto in nome di quel mestiere impossibile che «rimane una cosa elevata, ben diversa dall’essere un famoso docente. Presumibilmente dipende da questa cosa elevata e dalla sua elevatezza il fatto che oggi, mentre tutto viene misurato soltanto guardando al basso e a partire dal basso, per esempio a partire dall’affare, nessuno voglia più diventare insegnante»[11]. Fortunatamente, nonostante i tentativi di delegittimazione e le pessime condizioni d’esercizio del mestiere, la conclusione di Heidegger, almeno per l’Italia, non vale: «Il corpo docente del nostro Paese appare, al confronto con quello dei principali sistemi educativi industrializzati, vecchio e precario. Ma, stranamente, non troppo demotivato come sarebbe lecito pensare. Insomma, nonostante le tante batoste subite negli ultimi anni, gli insegnanti italiani resistono»[12]. Forse, è proprio da questo dato che bisognerebbe ripartire.



[1] Cfr. C.Zunino, Patto sulla scuola: "Un premio ai prof ma dovranno lavorare di più" in «La Repubblica», 02/07/2014
[2] Ibidem
[3] Ibidem.
[4] Cfr. 36 ore, Reggi aggiusta il tiro: "saranno riconosciute attività fino a 36 ore", niente di obbligatorio. Mai sognato di dire di aumentare tempo di insegnamento «Orizzonte Scuola», 06/07/2014, http://www.orizzontescuola.it/news/36-ore-reggi-aggiusta-tiro-saranno-riconosciute-attivit-fino-36-ore-niente-obbligatorio-mai-sog
[5] Cfr. P.Almirante, Reggi: “I professori saranno valutati e il loro contratto diventerà flessibile” in «La Tecnica della scuola», 03/07/2014
[6] Cfr. Eurydice – INDIRE, INSEGNANTI IN EUROPA. Formazione, status, condizioni di servizio, http://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/eurydice///bollettino_insegnanti_UE_2013.pdf
[7] Cfr. P.Dardot-C.Laval, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, trad.it. di Antoniucci- Lapenna, Derive Approdi, Roma 2013.
[8] Cfr. M. Heidegger, Che cosa significa pensare?, pref. di G. Vattimo, trad. it. di U. Ugazio e G. Vattimo, Sugarco, Carnago 1996, pp. 107-108.
[9] Cfr.E.De Conciliis, Che cosa significa insegnare? Cronopio, Napoli 2014, p.10.
[10] Cfr. M. Heidegger, Che cosa significa pensare…cit., pp.107-108.
[11] Ibidem.
[12] Cfr. S.Intravaia, L'Ocse fotografa i docenti italiani: sono i più anziani ma ancora motivati. E tra i presidi sorpasso delle donne, «La Repubblica», 26/06/2014.
 

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2 Commenti

  1. aglaja.g

    Ottimo articolo, che
    Ottimo articolo, che condivido pienamente. Grazie!

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    • mzfabio

      Ringrazio te per l’attenzione
      Ringrazio te per l’attenzione e il riconoscimento. Se ti andasse di leggerlo ti segnalo che è appena stato pubblicato in EBOOK “Non fate i bravi. Educare e normalizzare in Italia oggi”, un volume a più voci che si interroga sulla multiforme esperienza dell’insegnamento e dell’educazione oggi. Il libro (consultabile gratuitamente qui: http://www.psychiatryonline.it/node/5111 ) vuole essere un laboratorio aperto di stimoli per la riflessione e la critica.
      Nel volume è presente un mio contributo: “Bisogna difendere la scuola! Biopolitica e istruzione in Italia”
      (consultabile sempre gratuitamente a questo indirizzo:http://www.psychiatryonline.it/sites/default/files/Risorse/Milazzo.pdf)

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