Il tono dei commenti in Italia oscilla tra l’indignazione per l’inflazione di uso di armi in America, la rabbia verso quei genitori incoscienti e irresponsabili, la compassione per la vittima e soprattutto per la bambina che porterà a vita un fardello psicologico enorme a causa di questo fatto. Molti, qui da noi, i commenti disfattisti del genere “ben gli sta a questi imbecilli di americani, se la vanno proprio a cercare”.
Personalmente ho capito che di fronte a fatti del genere la prima cosa da fare, almeno nel ruolo di osservatore di fenomeni psicosociali, è quello di sospendere momentaneamente le risposte emotive, specie quelle di indignazione. L’indignazione, diversamente da quanto sostenuto da molti, è un sentimento di inconcludenza e impotenza e non è per nulla trasformativo. Per questo è così diffuso e a buon mercato.
Diverso è tentare di comprendere. Comprendere ad esempio la catena di atti, pensieri, significati, senso, che conduce un genitore a pensare come attività educativa o semplicemente ludica quella di condurre la figliola di soli 9 anni a sparare proiettili veri in un poligono. Proviamo anche ad accantonare per un attimo tutte le griglie interpretative anch’esse facilmente preda del pensiero morale o moralistico: l’assenza di confini tra le generazioni con bambini adultizzati e adulti infantilizzati, l’escalation del mercato delle armi e il primato del commercio sul buon senso, l’assenza della funzione paterna, e così via. Sospendiamo tutto almeno per un attimo.
Capisco che per noi in Italia la cosa sia davvero difficile da comprendere o solo ammettere come plausibile che un padre porti la figlia di 9 anni a giocare al poligono invece di accontentarsi di sparare alla consolle del videogioco, ma leggendo i primi 4-5 articoli (trovati su google) relativi a questa funesta notizia nei principali network americani (CNN, NYT, etc.) mi si è spalancata tutt’altra realtà.
Nel riportare la notizia questi organi di informazione sottolineano poco, se non per nulla, la questione dell’opportunità che una bambina così piccola svolga un’attività del genere e ancora meno sottolineano il ruolo di responsabilità dei genitori in tutta la vicenda. Si soffermano molto invece sugli aspetti tecnici dell’ “incidente” intervistando esperti di armi che si limitano a rimproverare l’imprudenza e l’imperizia dell’istruttore nel governare quella sessione di tiro. Casomai l’errore è stato quello di non usare armi proporzionate con l’età (che in America le industrie di armi dispensano abbondantemente con accattivanti colori e gadget di supporto).
Grande il mio stupore iniziale di fronte a questo festival dell’irresponsabilità, ma presto mi viene in soccorso questo altro articolo del Time che mi fa capire il nesso. Esso si domanda infatti: “Come si può ad una persona così giovane consentire di sparare con un'arma ad alta potenza? La risposta: Perché lei è stata accompagnata da un adulto”. La legge federale lo consente, la presenza dell’adulto è la garanzia, gli americani devono poter godere liberamente della possibilità di usare le armi a scopi ludici e difensivi come, quando e quanto desiderano, senza vincoli di sorta. Ogni possibile restrizione di questa libertà sancita costituzionalmente è una forma di repressione.
La domanda quindi non è “come consentire ad una bambina di sparare” tout court, ma “come consentire di sparare con quell’arma inadatta”. Sembra pazzesco ma è così.
Certo, anche in America esiste un fronte contrario alla pervasività delle armi e che magari punta il dito verso quel padre incosciente, fronte la cui presenza si nota soprattutto nei commenti su Facebook e forse in organi di controinformazione. Io credo però, che per come la questione viene presentata, raccontata, rappresentata nel mainstream quel genitore si limiterà forse a dispiacersi della morte dell’istruttore Charles Vacca, ma non si porrà minimamente il dubbio dell’inopportunità della sua scelta a monte.
La legge lo consente, i media lo consentono e non lo criticano, i valori educativi lo prevedono, per quale motivo mettere in discussione questa libertà? Nessun motivo.
Chi avesse ancora dubbi su quali siano i meccanismi di obnubilamento, dispercezione, manipolazione dei piani sociali e mediatici nella società odierna su ogni piega della nostra psiche e su come essi incidano profondamente su ogni atteggiamento, comportamento quotidiano, morale, educativo, relazionale, credo che dopo episodi come questo probabilmente ne avrà qualcuno di meno.
Ed allora, dismesse e depositate in terra tutte le armi interpretative psicologiche, sociologiche e filosofiche a mia disposizione non mi resta che appellarmi all’unica fonte attendibile per comprendere episodi del genere, e cioè la serie cartoon dei Simpson che meglio di ogni altro tentativo di comprensione, descrizione e narrazione, rappresenta il non-sense della cultura americana.
Buona visione a tutti.
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