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La fine dell’ipertesto nell’era di Facebook

11 Set 14

A cura di FRANCESCO BOLLORINO


Anche se in realtà è nata ben prima, figlia legittima della Guerra Fredda, la Rete Internet per tutti s’identifica col web o per meglio dire con la nascita/rilascio del linguaggio di programmazione HTML e con la conseguente diffusione planetaria di un sistema di comunicazione prima riservato a una ristretta cerchia di smanettoni e scienziati per la sua difficoltà di utilizzo per i non addetti ai lavori.

Un’utile lettura al riguardo è rappresentata dal primo capitolo del mio saggio “ASCESA E CADUTA DEL TERZO STATO DIGITALE” a cui rimando per brevità.
Il linguaggio HTML è stato “inventato” al CERN di Ginevra dall’informatico inglese Tim Berners-Lee e dal belga Robert Cailliau nel 1989.
I due arrivarono separatamente a interessarsi d’ipertesti e poi collaborarono insieme allo sviluppo del primo browser web (1991) chiamato NEXUS in onore della piattaforma NeXT (progetto poi defunto del compianto Steve Job da cui per altro discendono i Mac di oggi) su cui era stato sviluppato.

Ho avuto la fortuna di poter provare, anni fa, la versione (oggi introvabile) per Macintosh di tale Browser, si chiamava SAMBA e aveva una funzione molto interessante ora non più disponibile: accanto alla finestra dove comparivano i contenuti (rigidamente solo testuali) vi era un’altra finestra che consentiva di vedere in diretta il “dialogo” tra il nostro computer/terminale/client e il server dove i contenuti erano depositati.
Un flusso di query/reply basate sul protocollo FTP che sta alla base tuttora di tutto ciò che viaggia attraverso la rete.

Solo con l’arrivo del primo browser, Mosaic, che supportava anche la grafica, la diffusione del web ha avuto il suo vero inizio.
Siamo alla fine del 1994 e il resto della storia è nota e credo non debba essere ripetuta per l’ennesima volta.
Negli intenti dei suoi inventori il web doveva essenzialmente servire alla condivisione di documenti e alla loro interlacciatura creando connessioni ipertestuali tramite il link verso altri documenti  in una “nuvola” incrementale di connessioni e rimandi.
Vi è da dire che all’inizio questa epistemologia del link” per usare una fortunata immagine di Mario Galzigna ha dominato la scena: le pagine web erano piene di parole o frasi in blu sottolineato che divenivano rosse, ogni qual volta si selezionava col mouse la possibilità connessa e intrinseca di uscire dal testo ed entrare in un nuovo testo correlato.

Anzi, era un pregio e un vanto ricercato dagli autori, la realizzazione di pagine ricche d’ipertestualità al punto che si svilupparono in rete anche progetti “artistici” di uso creativo del web per la realizzazione di contenuti letterari in cui i percorsi possibili erano decisi dall’utente e non dall’autore che costruiva così una narrazione aperta.
Molta acqua è passata sotto i ponti e tra le onde del web e sono qui oggi ad annunciare un po’ mestamente la prematura morte dell’ipertesto.

Tranne qualche isola felice come WIKIPEDIA o siti di nicchia dedicati alla ricerca ed essenzialmente indirizzati ad addetti ai lavori, il link ipertestuale sembra sempre aver meno spazio nella “scrittura di rete di massa” frutto si potrebbe dire del “narcisismo sociale” che sembra permeare gran parte della comunicazione off e on line?

Credo di sì accanto a fatti inequivocabili dal punto di vista della struttura della comunicazione in cui i grandi player di internet a partire da Facebook passando per i colossi dell’informazione tendono sempre più a voler mantenere “dentro” i loro spazi gli utenti per ovvie ragioni commerciali, limitando al massimo la presenza di link verso altre risorse di rete. Al tempo stesso il dominio incontrastato di GOOGLE ha determinato nel tempo la fine dell'approfondimento individuale in favore di una ricerca demandata ad algoritmi raffinati ma certamente non scevri da limiti: "se non sono su GOOGLE in pratica NON ESISTO!!!". Non è un caso che la maggior parte degli accessi ai contenuti della rivista avvenga, sono le statistiche a dirlo, tramite una query a GOOGLE e si costituiscano spesso come letture "uniche" (ancorchè notevoli in termini numerici per fortuna) senza che il lettore sia attratto nè dalla ricerca personale all'interno del sito nè dalla lettura dei contenuti correlati che proponiamo sotto ogni articolo di Psychiatry on line Italia.

L’esempio più fulgido ce lo da proprio Facebook che sempre più si sta caratterizzando come un “Matrix Virtuale” inglobante, una sorta di vera “second life” da cui non uscire mai con una sua dialettica e un suo linguaggio includente e coinvolgente probabilmente a causa della sua voluta insaturatezza (leggi semplicità di sviluppo grafico) che consente lo sviluppo di  fantasie  da parte di un’utenza sempre più addicted.
Ma come, molti potrebbero dire, fai a dire questo? Facebook è tutto un link , è l’apoteosi dello share?
E’ vero, ma lo share NON E’ vera ipertestualità che contiene al suo interno una logica del tutto diversa dall’ammasso di segnalazioni che popolano le pagine e gli account del Social Network non in attesa di un click ma in attesa di un “mi piace” che farà tanto gruppo ma che se si ferma come accade nel 99% dei casi al titolo lascia francamente il tempo che trova. Non è un caso per me che il medium di maggior successo sulla rete sia la fotografia che consente all’utente una fruizione senza uscire dal contesto social in cui si trova.

Siamo davvero dentro la società dell’informazione, “radically connected” con le nostre divices sempre più efficienti e sempre più potenti ma siamo soprattutto dentro il postmoderno fatto di simulacri di realtà che sostituiscono sempre più la realtà vera che non smette di essere vera anche se non ci piace e spesso a ragione non ci piace.

Se la “natura” del nostro mondo è fatta anche delle memorie di massa dei computer non lasciamo che i server ci colonizzino la mente e proviamo ad usare al meglio le nostre potenzialità di client: a volte accade e ce ne stupiamo disabituati quali siamo ad essere REALMENTE gli artefici dei nostri futuri virtuali o reali che siano anche perché questa “natura” la stiamo lasciando in mano ai nuovi padroni del mondo senza pensare al potere che potrebbe essere ancora nelle nostre mani se solo lo volessimo usare.

Il grande sogno della rete nuova inesauribile Biblioteca di Alessandria alla portata di un click sul proprio mouse sembra una occasione perduta a livello planetario in favore di quell'aspetto di "più grande chiacchera nella storia dell'uomo" che la rete è sempre ANCHE MA NON SOLO stata.
Questione di ipertestualità? Beh non solo, di anima soprattutto ma anche…
 
PS ho infarcito questo pezzo di link un po’ per gioco un po’ per volontà di dimostrare il mio assunto

 

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5 Commenti

  1. aglaja.g

    Se volessimo cercare una
    Se volessimo cercare una estrema semplificazione, una formula che racchiuda il significato ultimo di “ipertesto”, parlerei di “mappa concettuale organizzata”, un filo logico che unisce e sviluppa (o meglio, permette di sviluppare) spunti e connessioni a supporto di una tesi, di un ragionamento. Tu sostieni, se ho ben compreso, che i social – ove la condivisione e la segnalazione di link pare essere l’essenza di tale socializzazione – in realtà spezzano questo filo, perché le informazioni condivise non sono parte di un ragionamento logico, bensì frutto di un’estrema compulsione a raccogliere consensi (“like”), senza magari poi approfondire il tema proposto, o (r)accogliere le riflessioni suscitate (in termini confutativi o assertivi), o integrare l’informazione offerta con altre eventuali, ad essa collegate. A mio avviso, ciò è dovuto, almeno in parte, all’utenza che anima i social e all’uso basico che si è scelto di farne. Per una grande percentuale, il social è semplicemente una sorta di diario personale, uno “sfogatoio” sentimentale e/o politico, un “acchiappa consensi” che gratifica chi spesso raccoglie frustrazioni in real life. Da qui l’imposizione definitiva del parere proprio o del guru seguito acriticamente, il flame, gli insulti, le adesioni cieche a questa o quella crociata (cose che un tempo sarebbero stati oggetto di risse da Bar dello Sport), oppure la sfilza di foto di ambito personale (che un tempo si sarebbero mostrate sì e no agli zii e ai cognati). Ho fatto questa lunga digressione per arrivare al mio punto di vista. L’ipertesto (nel senso cui accennavo all’inizio) esiste ancora, ma occorre andarselo a cercare, più che sui social, sui blog e sui siti di approfondimento, oppure in pagine dedicate (o nei gruppi), dove sia ben chiaro lo scopo esplorativo del percorso tematico, e dove il commento diventi fonte di ulteriori connessioni e spunti. Da prof, e concludo, rilevo come ancora oggi le tesine e gli approfondimenti svolti dai ragazzi del triennio superiore, partano tutti da ipertesti (anche se, magari, neppure sanno che si chiamavano così). E’ il modo migliore per visualizzare e concretizzare i processi di collegamento tra gli argomenti.

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    • admin

      una nota solo sull’uso
      una nota solo sull’uso basico: credo come ho scritto che la “semplicità” insatura di Facebook rappresenti la spiegazione profonda del suo successo. Per esempio SECOND LIFE a parte la lentezza era saturo e dava poco spazio alle fantasie degli utenti che invece a parer mio dominano su FB. Quindi l’uso basico non è una scelta ma una precisa strategia di successo cercato

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      • aglaja.g

        Concordo, e allora – non mi
        Concordo, e allora – non mi si tacci di snobismo, visto che anch’io spesso e volentieri, uso il social “basicamente”, con fotine e battute sceme – la riflessione potrebbe abbracciare anche il concetto stesso di “successo” che, come accade sovente, si distacca da quello di qualità. Ma questa, in fondo, è un’altra storia. O, forse, un ulteriore link da cliccare 😉

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  2. admin

    Qualche numero statistico sui
    Qualche numero statistico sui nostri post sulla pagina Facebook della rivista:
    in media sul totale delle persone “raggiunte” da un post di pagina, la cosiddetta “portata”, la percentuale dei “mi piace” oscilla tra il 3 e il 7%: fin qui nulla di strano visto che la visibilità dei post è abbastanza “generica” come audience potenziale correlata come è alla somma delle audience (numero di amici) dei singoli “amici di pagina” corretta presumibilmente da un algoritmo di controllo.
    Ciò che colpisce di più è che solo il 20% di coloro che mettono un “mi piace” clicca poi il link proposto.
    E’ un segnale un po’ inqueitante per chi, come noi, faticosamente produce contenuti rispetto alla “visibilità reale” e soprattutto alla capacità di generare fruizione da parte dei social network, specie se parliamo di piccoli numeri.
    Ma nel nostro caso si tratta di una nicchia necessaria presumibilmente frequentata da persone interessate, si spera, a tale nicchia.
    Da qui discende la necessità di arrivare ad una audience potenziale molto vasta per avere risposte e interazioni numericamente in assoluto significative.
    In questo senso i social network si confermano un medium maistream più simile alla fruizione televisiva che alla fruizione partecipativa.
    Le eccezioni stanno nella rilevanza assoluta di un contenuto o nel suo essere emotivamente coinvolgente a partire probabilmente dal titolo…
    Che ne pensate?

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  3. admin

    Contribuire ai beni che si
    Contribuire ai beni che si usano non è un’obbligo è un’oppotunità e un segno per me di civiltà.
    Se la vostra risposta è la seconda e non avete ancora fatto una donazione è il momento di valutare di dare davvero una mano a Psychiatry on line Italia.
    Vi è un solo modo per farlo:
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    Grazie per ciò che farete, grazie dell’attenzione.

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