Essere nonni ed essere nonne oggi rappresentano due profili non perfettamente sovrapponibili all’essere nonni e nonne ieri. I profondi cambiamenti avvenuti all'interno della società e della famiglia, così come hanno condotto ad un profondo mutamento nei rapporti fra genitori e figli, allo stesso modo hanno dato vita a nuove immagini della nonnità.
Oggi, in uno scenario caratterizzato dall'eclisse degli ideali politici, dalla precarietà del lavoro, dalla crisi della coppia e della scuola, nonne e nonni, seppure in modo diverso, molto spesso sembrano costituire una delle poche, se non l'unica solida architrave sulla quale di regge la cellula familiare.
Fortificati dalle nuove dimensioni che la salute va sempre più garantendo ai soggetti della terza età, e custodi delle ultime vere tutele offerte dal welfare che fu, i nonni spesso garantiscono ai figli precari e malpagati quell’aiuto economico di cui hanno bisogno e molto spesso suppliscono alla sempre più grave carenza di servizi per la prima e la seconda infanzia prendendosi cura dei nipoti, e quindi svolgendo una funzione educativa che si somma dinamicamente all’azione educativa di nidi e scuole per l’infanzia, e in molti casi si sostituisce ad essa.
Inutile dire che attraverso quest’azione i nuovi nonni “parlano” anche a se stessi e si collocano all’interno di una nuova narrazione, che è un po’ il rovescio dell’immagine tradizionale della nonnità: poiché li consegna a se stessi ed alla società in cui vivono non più come invalidi di cui le generazioni emergenti devono prendersi cura, ma come soggetti in prima linea nell’azione di cura dei minori.
Ciò che sta emergendo quindi è qualcosa di molto complesso che va analizzato a fondo e che per ora possiamo inquadrare in questo modo:
– Nella vecchia società il passaggio dall’età adulta alla vecchiaia – come c’insegnava Erikson – comportava una ulteriore ultima (!) scommessa: mantenimento dell’integrità dell’Io o cedimento alla disperazione. Ciò comportava un ulteriore (e sempre ultimo) rimaneggiamento del mondo interno dell’anziano. Una vita trascorsa nel benessere ed i progressi della medicina hanno permesso di potere distinguere all’interno della vecchiaia due “stagioni”: la terza e la quarta età, che richiedono due tipi di rimaneggiamento diverso.
Il secondo ed ultimo rimaneggiamento è sempre quello in base al quale risolvere personalmente e socialmente l’ormai “antico” dilemma eriksoniano (mantenimento dell’integrità dell’Io o cedimento alla disperazione); mentre il passaggio alla terza età richiede un rimaneggiamento di tipo nuovo le cui caratteristiche sono tutte da studiare. Un rimaneggiamento che senz’altro va declinato al maschile (il neononno) ed al femminile (la neononna), e che somiglia – in termini rovesciati – a quello tipico dell’adolescenza: entrambi hanno alla base un ideale “megalomanico” che li fa sentire più capaci di quello che effettivamente sono, ma che: nel caso dell’adolescente prelude ad una immagine adulta in cui all’ideale megalomanico si sostituisce un ideale adulto più realistico e riparativo; nel caso del soggetto che vive la propria terza età prelude ad una convivenza con la propria crescente penuria di vigore.
– da un punto di vista economico è nato un nuovo welfare: un welfare familiare, che in Italia prima della crisi equivaleva a circa 82 miliardi di euro l’anno, che sicuramente è presente anche oggi, sia pure in termini quantitativamente ridotti (ma occorrerebbe studiare se alla prevedibile contrazione in valore assoluto corrisponde o meno una contrazione in termini relativi).
Il limite del welfare familiare è nel fatto che sul piano redistributivo esso non incide sul rapporto fra le varie classi sociali, se non nei termini di fare da ammortizzatore nei confronti di una mobilità verticale che in tempi di crisi è generalmente discendente. Ciò non toglie che – come abbiamo già visto – il welfare familiare rappresenti in ambito familiare un importante fattore di tutela che va nel senso di una salvaguardia dei livelli di benessere raggiunti all’interno della famiglia (mobilità intergenerazionale).
– il mantenimento di un’immagine di sé come di un soggetto ancora in salute, l’aiuto economico alla generazione dei figli, l’impegno nella cura dei nipoti, rappresentano da una parte i terreni sui quali dapprima ci si allena e poi si sperimenta il passaggio alla terza età (il rimaneggiamento); dall’altra un segnale che dal neononno va verso i figli ed i nipoti, così come verso la società. Ciò crea una serie di problemi ai neononni stessi ed agli altri.
I nonni possono vivere male il passaggio, per ragioni di salute, per non aver saputo “vedere” che la nonnità di oggi è diversa da quella di ieri, etc. (con la messa in campo di varie strategie difensive spesso inadeguate). I contesti familiare e sociale possono esprimere richieste che rendono la quotidianità troppo carica di aspettative, di pressioni e di ricatti affettivi difficili da governare.
Poiché non esistono modelli con cui confrontarsi, la nuova dimensione della "nonnità" richiede atteggiamenti e comportamenti nuovi. Le funzioni che i nonni devono assumere oggi non corrispondono affatto all'immagine di nonnità che essi hanno assimilato nella propria esperienza di figli e di nipoti. Ciò può creare notevoli difficoltà di adattamento alla realtà attuale. Insomma oggi molto più di ieri nonni “non si nasce” ma si diventa, e ciò comporta uno sforzo di vera e propria reinvenzione da parte di tutti.
Oggi, in uno scenario caratterizzato dall'eclisse degli ideali politici, dalla precarietà del lavoro, dalla crisi della coppia e della scuola, nonne e nonni, seppure in modo diverso, molto spesso sembrano costituire una delle poche, se non l'unica solida architrave sulla quale di regge la cellula familiare.
Fortificati dalle nuove dimensioni che la salute va sempre più garantendo ai soggetti della terza età, e custodi delle ultime vere tutele offerte dal welfare che fu, i nonni spesso garantiscono ai figli precari e malpagati quell’aiuto economico di cui hanno bisogno e molto spesso suppliscono alla sempre più grave carenza di servizi per la prima e la seconda infanzia prendendosi cura dei nipoti, e quindi svolgendo una funzione educativa che si somma dinamicamente all’azione educativa di nidi e scuole per l’infanzia, e in molti casi si sostituisce ad essa.
Inutile dire che attraverso quest’azione i nuovi nonni “parlano” anche a se stessi e si collocano all’interno di una nuova narrazione, che è un po’ il rovescio dell’immagine tradizionale della nonnità: poiché li consegna a se stessi ed alla società in cui vivono non più come invalidi di cui le generazioni emergenti devono prendersi cura, ma come soggetti in prima linea nell’azione di cura dei minori.
Ciò che sta emergendo quindi è qualcosa di molto complesso che va analizzato a fondo e che per ora possiamo inquadrare in questo modo:
– Nella vecchia società il passaggio dall’età adulta alla vecchiaia – come c’insegnava Erikson – comportava una ulteriore ultima (!) scommessa: mantenimento dell’integrità dell’Io o cedimento alla disperazione. Ciò comportava un ulteriore (e sempre ultimo) rimaneggiamento del mondo interno dell’anziano. Una vita trascorsa nel benessere ed i progressi della medicina hanno permesso di potere distinguere all’interno della vecchiaia due “stagioni”: la terza e la quarta età, che richiedono due tipi di rimaneggiamento diverso.
Il secondo ed ultimo rimaneggiamento è sempre quello in base al quale risolvere personalmente e socialmente l’ormai “antico” dilemma eriksoniano (mantenimento dell’integrità dell’Io o cedimento alla disperazione); mentre il passaggio alla terza età richiede un rimaneggiamento di tipo nuovo le cui caratteristiche sono tutte da studiare. Un rimaneggiamento che senz’altro va declinato al maschile (il neononno) ed al femminile (la neononna), e che somiglia – in termini rovesciati – a quello tipico dell’adolescenza: entrambi hanno alla base un ideale “megalomanico” che li fa sentire più capaci di quello che effettivamente sono, ma che: nel caso dell’adolescente prelude ad una immagine adulta in cui all’ideale megalomanico si sostituisce un ideale adulto più realistico e riparativo; nel caso del soggetto che vive la propria terza età prelude ad una convivenza con la propria crescente penuria di vigore.
– da un punto di vista economico è nato un nuovo welfare: un welfare familiare, che in Italia prima della crisi equivaleva a circa 82 miliardi di euro l’anno, che sicuramente è presente anche oggi, sia pure in termini quantitativamente ridotti (ma occorrerebbe studiare se alla prevedibile contrazione in valore assoluto corrisponde o meno una contrazione in termini relativi).
Il limite del welfare familiare è nel fatto che sul piano redistributivo esso non incide sul rapporto fra le varie classi sociali, se non nei termini di fare da ammortizzatore nei confronti di una mobilità verticale che in tempi di crisi è generalmente discendente. Ciò non toglie che – come abbiamo già visto – il welfare familiare rappresenti in ambito familiare un importante fattore di tutela che va nel senso di una salvaguardia dei livelli di benessere raggiunti all’interno della famiglia (mobilità intergenerazionale).
– il mantenimento di un’immagine di sé come di un soggetto ancora in salute, l’aiuto economico alla generazione dei figli, l’impegno nella cura dei nipoti, rappresentano da una parte i terreni sui quali dapprima ci si allena e poi si sperimenta il passaggio alla terza età (il rimaneggiamento); dall’altra un segnale che dal neononno va verso i figli ed i nipoti, così come verso la società. Ciò crea una serie di problemi ai neononni stessi ed agli altri.
I nonni possono vivere male il passaggio, per ragioni di salute, per non aver saputo “vedere” che la nonnità di oggi è diversa da quella di ieri, etc. (con la messa in campo di varie strategie difensive spesso inadeguate). I contesti familiare e sociale possono esprimere richieste che rendono la quotidianità troppo carica di aspettative, di pressioni e di ricatti affettivi difficili da governare.
Poiché non esistono modelli con cui confrontarsi, la nuova dimensione della "nonnità" richiede atteggiamenti e comportamenti nuovi. Le funzioni che i nonni devono assumere oggi non corrispondono affatto all'immagine di nonnità che essi hanno assimilato nella propria esperienza di figli e di nipoti. Ciò può creare notevoli difficoltà di adattamento alla realtà attuale. Insomma oggi molto più di ieri nonni “non si nasce” ma si diventa, e ciò comporta uno sforzo di vera e propria reinvenzione da parte di tutti.
Reggio Emilia, 27.09.2014
0 commenti