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Il fenomeno dell’omicidio-suicidio tra disperazione e patologia

1 Gen 15

A cura di Maurizio Pompili

Una morte “doppia”, in cui due eventi, l’omicidio ed il suicidio, vanno ad intrecciare un complesso rapporto che imprime un significato che trascende la specificità dei due presi singolarmente e che, se anche comportamenti fenomenologicamente contrari, per Freud condividono una stessa matrice, da ricercare nell’aggressività o nel desiderio di eliminare la tensione ad essa sottostante.
Il fenomeno dell’omicidio-suicidio è stato sottoposto a diversi tentativi di classificazione, tra i quali quello di Marzuk (1992) è considerato il più esaustivo e maggiormente utilizzato.
Applicando la matrice esplicativa dell’aggressione-aggressività di Dollard (1939), si può sostenere che coloro che con l’omicidio si privano di una fonte primaria di gratificazione, possono decidere di suicidarsi a causa di questa perdita. Il suicidio successivo all’omicidio, pertanto, sarebbe indicatore dell’importanza del legame con la vittima. Alcuni autori hanno dato adito alla tesi riscontrando che un forte attaccamento tra l’assassino e la vittima aumenta le possibilità di suicidio. Tra le forme più diffuse vi è l’omicidio-suicidio “per gelosia”, che è stato il movente del 24% di tutti i casi di omicidio-suicidio avvenuti in Italia tra il 1985 ed il 2008 (Roma et al., 2012). Il quadro più comune vede un vero e proprio delirio di gelosia, all’interno di una relazione fusionale e simbiotica, spesso definita da abusi e maltrattamenti, dal timore del tradimento e della perdita nei confronti di un oggetto che sfugge ad ogni tentativo di possederlo; in molti casi, alla distruzione dell’oggetto tramite il delitto segue l’auto-annientamento.
Assieme alla forma appena descritta, la cronaca è spesso impegnata nella narrazione di fatti di omicidio-suicidio “tra coniugi”, in cui un calderone di sentimenti, tra senso di impotenza di fronte ad una grave malattia, senso di fallimento in seguito a problemi economici o sociali, uno stato depressivo, possono far si che la coppia premediti la fine congiunta delle proprie vite o che si inneschi l’impulso omicida seguito dal suicidio del partner che l’ha commesso. Anche in questo caso la relazione molto spesso ha qualità simbiotiche o di forte senso di responsabilità nei confronti del partner più fragile.
Nel caso di delitti commessi dal coniuge si tratta per la maggior parte di persone anziane, non in grado di sostenere, psicologicamente ed emotivamente, l’onere della cura e dell’assistenza, soprattutto in assenza di prospettive di recupero o di guarigione della persona cara. L’elevata incidenza di coloro che, successivamente al delitto, realizzano o tentano il suicidio, denota l’incapacità di sopravvivere all’atto stesso e conferma l’alto grado di sofferenza che comporta la scelta di uccidere una persona amata, nei confronti della quale vi era sicuramente un forte legame affettivo, ma spesso la condivisione di un isolamento sociale e la poca propensione ad attività extrafamiliari.
Un significato salvifico, quindi, che sembra essere in comune con il figlicidio-suicidio, in cui, tipicamente, una struttura di personalità depressiva, caratterizzata spesso da spunti psicotici e dall’idea del proprio bambino come un prolungamento del sé, ostacolano l’idea che il piccolo possa avere una vita felice ed adattata, diversa da quella del genitore.
Ma non sempre e non necessariamente il fenomeno dell’omicidio-suicidio è epifenomeno di malattia mentale.  Anche se sembra che tutte le forme di omicidio-suicidio non di rado si associno a depressione, motivata da diversi contesti di vita, più che di “depressione” come patologia, si potrebbe definirla disperazione o hopelessness, un costrutto psicologico che si riferisce a quegli schemi cognitivi nei quali il comune denominatore è l'aspettativa negativa verso il futuro; gli individui ritengono che nulla si rivelerà a loro favore, che non avranno mai successo nel corso della vita, che i loro obiettivi importanti non saranno raggiunti e che i loro problemi non verranno risolti. Al senso di hopelessness si accompagna spesso il senso di helplessness, la convinzione di non poter essere aiutato e soprattutto di non potere aiutarsi, di non avere il controllo sugli eventi, che contribuisce alla difficoltà di cogliere i segnali di allarme ai familiari, alle forze dell’ordine e agli esperti della salute.
La più riconosciuta spiegazione psico-dinamica del fenomeno dell’omicidio-suicidio parte dal un presupposto kleniano che scaturisce dalle dinamiche profonde preedipiche avvenute nei primi mesi di vita del bambino rimaste irrisolte e sollecitate, probabilmente da un trauma affettivo.
Nonostante negli ultimi decenni si sia assistito ad un notevole aumento del fenomeno, i casi di omicidio-suicidio sono fortunatamente rari, rispetto a forme meno estreme di violenza domestica e abusi. Tuttavia, le strategie di prevenzione del fenomeno risultano rare o non contemplate, oltre che complesse. Le ricerche, però, sono unanimi nell’identificare dei fattori di rischio. In primo luogo, in un recente seminario intitolato “Men Who Murder Their Families: What the Research Tells Us”, si è discusso di 408 casi di omicidio-suicidio familiare, dei quali, ben nel 70% di essi le relazioni tra i membri erano caratterizzate da violenza; la violenza domestica, dunque, può essere considerata il primo dei fattori di rischio, seguito dal facile accesso ad armi da fuoco, utilizzate nell’88% dei casi prima descritti. Negli ultimi tempi, in concomitanza con la crisi economica mondiale, le difficoltà finanziarie o la perdita del lavoro sono considerati da giornalisti e commentatori il capro espiatorio; in realtà, gli esperti affermano che questi non sono fattori di rischio di per sé, ma solo se associati a preesistenti violenze domestiche. Leggermente differente la visione di Durkheim, secondo il quale il “suicidio anomico”, caratteristico della società moderna, tenderebbe ad aumentare la sua frequenza in periodi di crisi economica o, al contrario, in periodi particolarmente prosperi, con le delusioni e le frustrazioni generate dai rapporti sociali e da una società che nega all’individuo riferimenti, norme e valori condivisi, che viene meno al suo ruolo disciplinante. In questo caso l’omicidio-suicidio non avverrebbe a causa di perdite economiche, ma a causa del cambiamento delle “regole del gioco”, perché la vita non è più quella per cui ci si era preparati e la società non merita più fiducia.

Riferimenti bibliografici:
Dollard J, Doob LW, Miller NE, Mowrer OH, Sears RR (1939). Frustration and Aggression. New Haven, CT: Yale University Press.
Marzuk PM, Tardiff K, Hirsch CS. The epidemiology of murder-suicide. J Am Med Assoc 1992;267:3179-83.
Roma P, Spacca A, Pompili M, et al. the epidemiology of homicide-suicide in Italy: a newspaper study from 1985 to 2008. Forensic Sci Int 2012;214:1-5.

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