Percorso: Home 9 Rubriche 9 GALASSIA FREUD 9 Febbraio 2015 II – Parole: nutrimento e racconto

Febbraio 2015 II – Parole: nutrimento e racconto

16 Feb 15

A cura di Luca Ribolini

JACQUELINE RISSET E IL PROFUMO DELLE PAROLE
di Virginia Zullo, daringtodo, 10 febbraio 2015 

Parole mie che per lo mondo siete, (…) Quando trovate donna di valore, gittatevi a’ piedi umilmente, dicendo: “A voi dovem noi far onore” 
Rime, Dante Alighieri 

Ebbi modo di conoscere Jacqueline Risset a Piazza Campitelli al Centro Studi italo-francesi di Roma durante una delle tante conferenze animate da Muriel Drazien, psicanalista, allieva di Jaques Lacan e grande amica di Jacqueline Risset. Jacqueline Risset è una delle figure di maggiore prestigio nel panorama letterario italiano e francese, se infatti i francesi possono leggere e nutrirsi del sommo poeta Dante Alighieri lo devono a lei che ha tradotto buona parte delle opere di Dante. Non vi sono dubbi che la sua traduzione dall’italiano al francese della Divina Commedia è una delle migliori che oggi circolano in Francia. L’ultima sua fatica prima di andarsene a settant’otto anni, il 3 settembre del 2014, è stata la traduzione delle Rime di Dante Alighieri, Rimes, Dante. Une traduction de Jacqueline Risset, edito da Flammarion. La lettura delle Rime di Dante è ardua, anche se, quando tra le parole e il senso si riesce a ricostruire l’armonia del canto dantesco ci pare in un istante di toccare l’Amore. 

Per continuare: 
http://www.daringtodo.com/lang/it/2015/02/10/jaqueline-risset-e-il-profumo-delle-parole/

AMARE LEI E L’ALTRA, L’ETERNA INDECISIONE MASCHILE 
di Roberta Scorranese, 6 febbraio 2015

È casuale che un romanzo sull’infedeltà maschile si apra con l’inciso: «Non voglio invecchiare»? Forse no, se a scriverlo è una donna. In prima persona. Diane Brasseur, classe 1980, franco-svizzera che per Sonzogno firma Le fedeltà.
Al plurale, perché (forse), mettendosi nei panni di un uomo, coglie un aspetto cruciale dell’adulterio di lui tanto semplice quando inconfessato: spesso le ama tutte e due. Lei e l’altra. 
Non riesce a dire: sono fedele a mia moglie e infedele a quella che chiamano “amante”. Se potesse, vivrebbe con entrambe. Sogna che le due finiscano per essere amiche. Su tutto, però, grava la forza di quell’inciso, la paura di non essere più giovane. Di perdere qualcosa. Proprio come il protagonista del romanzo (traduzione di Jacopo De Michelis, pp. 121, € 15 libro, € 9,99 e-book): lui ha cinquantaquattro anni e seziona la sua vita in due parti. Una a Parigi, dove lavora e ama Alix, di 23 anni più giovane e una a Marsiglia, dove vive con la moglie coetanea e la figlia.
Si apre qui il baratro della mascolina infedeltà infedele: sta bene con la giovane amante e con la solida moglie.
«Faccio l’amore con Alix, faccio l’amore con mia moglie. Non so più chi tradisco con chi». Se a Marsiglia si addormenta sul divano domestico con il telecomando in mano, vorrebbe essere a Parigi e mangiare una pizza con Alix sul pavimento, prima di fare l’amore. Ma se è a Parigi con il mento appoggiato sul giovane ventre della ragazza pensa alla moglie e al calore domestico.
È in questa costante, tormentata indecisione che si consumano molte infedeltà maschili, come conferma la psicanalista Silvia Vegetti Finzi: «La fantasia più ricorrente in molti uomini, peraltro citata anche da Freud, è quella di avere almeno due donne. Una sul calco della madre, dunque accudente, affettuosa e protettiva. E un’altra, invece, trasgressiva e appassionata, ovvero l’amante».
Questa doppia fedeltà (non sempre è corretto definirla infedeltà, non sempre è giusto) scorre dunque su un terreno doppiamente friabile: il desiderio di tenerle entrambe e la paura di perderle. Scrive il protagonista di Le fedeltà: «E se mentre sono via Alix incontrasse qualcuno? Un uomo sui trentacinque, quarant’anni, un tipo a posto perché si tratta di lei (…)». Al tempo stesso, pensa con orrore al momento in cui la consorte dovesse scoprire questa doppia regolarità (anche qui: non è giusto chiamarlo tradimento, è una vita parallela, che ha la stessa legittimità sentimentale della vita ammiraglia).
Vegetti Finzi osserva: «Se ci pensiamo bene, il vero piacere dell’adulterio sta nel rivivere una vita, nel poter raccontare ex novo un’esistenza diversa, come se si rinascesse». Come non invecchiare mai. Ecco perché l’incipit di questo romanzo («Non voglio invecchiare») vale l’intero libro.

http://27esimaora.corriere.it/articolo/amare-lei-e-laltra-leterna-indecisione-maschile/

NELLA POVERTÀ DELLA PAROLA, INTERVISTA A IDA TRAVI 
A cura di Evangelia Polymou, tellusfolio.it, 7 febbraio 2015

“Datemi il nastro rosso 
e poi… seguite il fiume, e poi… 
Fino al ramo nell’acqua 
fino al ceppo bruciato, più avanti
più avanti… fino all’ultima siepe di rovo 
Usciremo da questa storia 
– credetemi –”

In L’aspetto orale della poesia e in molti altri suoi testi è evidente lo studio e l’amore per la storia della filosofia. Se ne avverte un lontano richiamo e a tratti sembra che strani nessi si vengano a creare tra la contemporaneità della sua poesia e certe forme della poesia epica antica. Quali sono, e quanto sono stretti, questi nessi? 
Mi sono occupata di filosofia per molti anni ma in maniera assolutamente irregolare, disordinata. Me ne sono occupata perché la filosofia mi sorreggesse in poesia, non per altro. Volevo che mi sorreggesse in poesia anche se per poco, anche se solo per un grammo: parlo della filosofia greca antica, in particolare, ma anche della filosofia del novecento. Su questa base, negli anni, si sono inserite alcune voci della filosofia orientale e s’è creato uno strano intreccio. C’è voluta una vita… prima per creare e poi per dimenticare questo strano intreccio. Dico filosofia, ma in realtà s’è trattato d'altro e alla fine tutto ciò che sapevo l’ho sepolto in poesia. Ho sepolto tutto ciò che sapevo in poesia perché la conoscenza potesse avere una nuova nascita in una ritrovata povertà della parola… Si tratta di una povertà della parola in se stessa, ma si tratta anche di una mia povertà di parola perché, in verità, mi sono convinta di una cosa: il troppo linguaggio prima complica poi azzera. Nel linguaggio ci sono dei vuoti, ma i vuoti del linguaggio sono la nostra ricchezza: nulla si limita al presente, non è mai tutto qui. E sì, in poesia si apre un tempo in cui le cose lontane sono vicinissime. È una distanza/vicinanza che perdura, è un orizzonte a ritroso, un frammento di forme più grandi e perdute. Non so, forse nella mia poesia s’intravedono frammenti, residui di poesia antica, eppure certo, la distanza è abissale, incolmabile. In comune con la poesia antica ci sono, forse, un uomo, una donna, una vecchia, un bambino… l’agire, i conflitti, il vivere sempre appresso al morire. Il campo, la casa. La minaccia, il fato, i comuni mortali, l’incomprensibile incombere di qualche divinità. I luoghi comuni, il ritorno. Le formule, le ripetizioni. E quell’attitudine a ricordare… quel ricordare qualcosa da raccontare a qualcuno… quel sistema paratattico, quel ritmo arcaico, senza fine che si interrompe continuamente per poter essere ripreso, ripetuto, un’altra volta, e un’altra volta ancora. Fino al teatro, fino alla tragedia greca, fino allo spettacolo del nostro stare nel tempo. Fino all’hairesis, la scelta, il riconoscimento. Sul sostrato tragico ed epico poggiano anche le cose piccole e quotidiane, come le cantilene d’ogni tempo, le prove del fuoco, le ninnenanne, le conte dei bambini nelle piazze. E cose misteriose come il dondolio di una culla, l’incrocio dei destini sulle porte, sulle foglie… I nessi tra la mia poesia e la poesia greca antica, se ci sono, finiscono qui. Non so, probabilmente il lontano eco greco non è rintracciabile oggettivamente, forse sta solo nella mia disposizione, nell’ orientamento del mio sguardo su quel tempo: quanto vorrei poter scrutare fin là!
Ha parlato spesso di quell’antica relazione tra “oralità e poesia” da un lato e “prosa filosofica e scrittura” dall’altro, in particolare nel saggio L’aspetto orale della poesia: “Quando in Grecia la civiltà orale cominciò a trasformarsi in civiltà della scrittura la parola piano piano smise di essere un’eco e diventò un manufatto”. Come si è formata la sua disposizione all’oralità della poesia?
Stiamo parlando di passaggi enormi e non ne so abbastanza ma là, in L’aspetto orale della poesia, intendevo sottolineare che la nascita della scrittura nel tempo ha portato inevitabilmente a una perdita di memoria: dal momento in cui le cose potevano essere scritte potevano anche venir dimenticate. Ne sarebbe comunque rimasta traccia. E intendevo dire che se nella tradizione orale la voce andava dalla bocca di uno all’orecchio di un altro nella dimensione dell’ascolto, con la nascita della scrittura il segno passava dalla mano dell’uno sotto gli occhi di un altro nella dimensione del vedere… Mi riferivo alla scrittura come a un manufatto, in quanto opera della mano. Poesia e filosofia sono nate orali, e all’inizio andavano insieme. Nei secoli che hanno accompagnato il passaggio dalla tradizione orale alla scrittura la parola filosofica ha scoperto che d’ogni pensiero era possibile lasciare visibile traccia… In questa permanenza e visibilità per la filosofia s’è aperta la strada della forma scritta e in prosa, entrerà nei Dialoghi di Platone in forma scritta, sì, ma ancora calata nella dimensione orale del dialogo, mentre la poesia percorrerà la sua strada orale e popolare tra mito e rito fino a evolvere nella forma della Tragedia con le opere dei grandi tragici greci. In quelle opere la poesia viene scritta, sì, per essere detta a gran voce, là, nel teatro… Aristotele con la sua Poetica, ce ne dà le coordinate. Parola e alfabeto sono questioni che riguardano i popoli prima che la letteratura… io ne accenno a partire dall’interno della poesia all’inizio del secondo millennio dopo Cristo, e da qui viene il capogiro… sì, la relazione oralità – scrittura è una vertigine del tempo, è cosa infinitamente complessa, su cui solo per un attimo e poeticamente posso gettare lo sguardo, per subito ritrarmi, rifuggirne… Oralità e scrittura: potenze ancora in atto, un intreccio millenario che ci avvolge, che mi avvolge ancora, un intreccio colossale nel quale personalmente mi dibatto e mi smarrisco ancora.
Facendo distinzione fra voce silenziosa e mentale del lettore solitario e voce “pubblica” della lettura ad alta voce, sostiene che una voce autenticamente poetica non può essere una voce recitante. Nell’antichità la poesia orale aveva sempre “una voce” udibile, un narratore: il poeta epico, oppure l’oratore oppure la nutrice con il suo canto. Che importanza ha per lei la lettura della poesia ad alta voce?
Poesia orale non significa certo poesia letta ad alta voce. Per quel che mi riguarda la dimensione orale è già impressa nelle strutture compositive del testo. E la poesia ad alta voce, letta da chi l’ha scritta, non può essere una recita. Ogni poeta sa quel che dice, parla per sé, traendo ogni volta da sé… Altra cosa è l’attore o l’attrice che dice versi non suoi. Credo che la dimensione orale della poesia è qualcosa che forse abbiamo dimenticato ma ci costituisce… è un rapporto stretto con la parola, è una fedeltà alla propria voce. In questa fedeltà non c’è gara, non c’è spettacolo. Per questo non mi ritrovo nella poesia performativa, negli slam poetry… La dimensione orale tiene vivo pubblicamente il profondo rapporto del poeta con la sua scrittura… ad esempio, a me non serve aver davanti la pagina stampata, il libro… So quel che ho scritto e questo basta, e ho un rapporto vivo con la memoria, non ho bisogno di rileggere ogni volta. Sì, molto di quel che ho scritto s’è impresso in me e lì rimane, non so perché… Ricordo versi di tantissimi anni fa, li ricordo, senza averli mai davvero mandati a memoria… mandare a memoria cambierebbe il senso, il tono… E infatti ogni tanto, nel ricordo, nel verso, nella voce entra una parola imprevista e un’altra si perde …e non importa, per me è naturale… So che tutto questo non basta a fare regola, e non importa se non fa regola: il fatto è che in me serbo un modo d’essere antico. È solo questo, solo questo, l’ho detto, la poesia non è mai tutta qui.
“Per amore della verità abbiamo rinunciato a ogni abbellimento”, è una frase tratta dal Suo libro Tà. Poesia dello spiraglio e della neve che ho tradotto in greco e fa parte della poetica mitologia contemporanea [Tà (2011), Il mio nome è Inna (2012), Katrin (2013)]. Quanta verità può contenere una mitologia poetica?
Luigi Bosco nel suo portale poesia 2.0, e in alcuni articoli successivi, ha definito la poetica di questi tre libri poetica mitologia contemporanea. Con questa definizione Luigi Bosco in  indica una poetica comunità, rintracciabile anche nei libri successivi. In effetti si tratta di esseri umani chiamati Tolki, i parlanti. Penso a un Tolki come a un parlêtre, un essere marchiato dal linguaggio. Parlêtre è un neologismo di Lacan che fonde l’essere al linguaggio nell’atto della pronuncia. I Tolki sono esseri sacri e miserabili, misteriosi e semplici. Alcuni ricompaiono da un libro all’altro, a volte sono solo un lampo. Se tornano sono loro, ma sono differenti. Importante per la comprensione di tutto ciò la postfazione di Alessandra Pigliaru ai libri. “Per amore della verità abbiamo rinunciato a ogni abbellimento” era scritta nei titoli d’apertura del film di Robert Bresson Un condannato a morte è fuggito. Probabilmente era anche in forma un po’ diversa perchè l’ho ritrascritta così come la ricordavo. Era, credo, una dichiarazione di poetica di Bresson stesso, e l’ho riconosciuta subito perchè era anche la mia: in Tà poesia dello spiraglio e della neve, e nei due libri successivi Il mio nome è Inna e Katrin. Saluti dalla casa di nessuno, è stato davvero così: la rinuncia riguardava la parola. In questi libri si consumano tanti sacrifici, rispetto alla parola, sì, c’è una spoliazione in atto. Come se nella parola che s’innalza in bellezza si nascondesse una colpa. O meglio: solo la parola coi piedi per terra può essere davvero compresa, e solo là dove c’è comprensione può esserci trasformazione nell’anima. Le poesie di questi libri sono poesie brevissime, cose minime… sono frammenti. Nella lettura ad alta voce poi monto questi frammenti uno sull’altro secondo un ordine sempre differente, come se si trattasse di sola lunga poesia che là, nel libro, rimane fatta a pezzi. Dico lettura, ma non è vero, perchè non leggo mai… ma non ho ancora trovato la parola giusta per esprimere quel che faccio: dire no, leggere no, recitare no… insomma non so. I libri, per ora, sono tre, ma ci tengo a dire che non è una trilogia, nè una quadrilogia… o cose del genere. Non mi piacciono le trilogie. E poi una trilogia è qualcosa che si chiude. Qui la questione non si chiude, anzi, si apre. In ogni caso il lontano eco greco si avvertiva anche nei libri precedenti, forse di più: in La corsa dei fuochi, in apertura e sullo sfondo, per un attimo si intravede la reggia degli Atridi, la sentinella accucciata sugli spalti. In Neo/Alcesti canto delle quattro mura, l’eco è nel titolo stesso.
“La cosa più incredibile dei miracoli è che accadono” diceva lo scrittore inglese Gilbert K. Chesterton. Leggendo la sua raccolta Katrin. Saluti dalla casa di nessuno, sembra che lei ai miracoli ci creda. Qual è il miracolo che vorrebbe veder compiuto in terra?
Questa è la domanda più difficile del mondo. Certo per fare miracoli o anche solo per riconoscerli bisogna prima crederci. Miracolosa è la nostra parola. La parola di tutti e la parola di ciascuno. Chiama le cose a sé. Lancia un ponte tra visibile e invisibile. Getta sul mondo un manto di neve. Eppure non basta mai, mai…
“Il poetare, forse anche il sognare, del «corpomente» femminile svela fisionomie dell’essere segnate da differenze così remote che finiscono col confondersi con le stesse ombre cui sono sfuggite”. Quali sono le figure femminili che con la loro opera hanno contribuito alla sua formazione?
Sono figure femminili illuminate e illuminanti sfuggite in tempi brevi all’oscurità dei secoli. Mi riferisco alle figure delle grandi pensatrici e filosofe del ‘900 che nominavo prima e che è impossibile non amare: Simone Weil, Marie Zambrano, Hannah Harendt… Le ineludibili, insomma, ma non solo. I tratti fondamentali del loro pensiero si staccano da scuole e maestri per fondare una statuto proprio. Una cosa così s’è intravista a intermittenza nei secoli. Figure eccentriche diventate centrali. Penso a Hildegarda di Bingen, a Margherita Porete, ad esempio… ai salotti e alle opere delle Dame francesi del ‘600, alle Preziose, alla vita assai complicata di Olympe de Gouges che scrisse a fine ‘700 la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Scrisse unaDichiarazione dei diritti della donna e della cittadina e finì ghigliottinata, pare, per ordine dello stesso Robespierre. In poesia illuminante per prima fu per me Emily Dickinson… Ma scolpite in me ci sono anche figure femminili inventate ritratte nel cinema: Mouchette, ritratta da Robert Bresson, ad esempio, Anna in Dies Irae e Inge in Ordet, ritratte da Karl Theodor Dreyer. E la sposa che sogna in L’Atalante di Jean Vigo. Penso a Nana di Questa è la mia vita, ritratta da Godard. Il cinema ha fortemente influenzato la mia scrittura. Parlo del cinema dei registi nominati qui e di una manciata d’altri. Poi, come dicevo, scrivendo in poesia tutto si fonde, svanisce, sembra che io non ricordi più niente, ma qualcosa qualcuno è entrato e continua a vivere dentro, non se va.
Lei dice: “La mano della donna che scrive è la mano che si è ritratta dalla farina così come dal sangue. Prende la penna, preme il tasto, sfiora il monitor, traccia ancora la sua anamnesi, ricorda”. Cosa significa per lei essere una donna poetessa? La poesia femminile si differenzia da quella maschile?
La frase si trova in L’aspetto orale della poesia, un libro che ho scritto a fine anni ’90. La mano che scrive come ritraendosi dalla farina e dal sangue è una mano femminile. Farina e sangue sono elementi dell’oikos… sono elementi che tratteggiano una speciale oikonomia in cui il sangue non è sinonimo di violenza ma è generante vita. E la farina è ciò che si trasforma in nutrimento. Anche il linguaggio è una farina e può farsi nutrimento. Rispetto alla questione della poesia femminile, ho imparato una cosa da Luce Irigaray molti anni fa: il linguaggio non è mai neutro, volge sempre al maschile. Celebre è l’assunto ‘l’uomo’ inteso come categoria filosofica che include anche la donna. È proprio questo il punto. Perché la include, cioè la esclude? Difficile per una donna esprimersi in una lingua che la esclude. Non lo so, parlo per me ma probabilmente la prima differenza tra poesia scritta da un uomo e poesia scritta da una donna si radica proprio in questa difficoltà a dirsi in una lingua che mantiene in sé rimozioni di questo tipo. Le cose lentamente stanno cambiando ma per millenni l’uomo, e qui l’uomo va inteso alla lettera… per millenni l’uomo si è espresso in una lingua di cui era padrone. E la padronanzadella lingua, lo sanno tutti, non è cosa da poco… L’incredibile però è che alla fine tutto ciò non occupa direttamente la poesia, perché la poesia è più grande. Se mai la poesia se ne preoccupa, cioè se ne occupa prima… Sì, la poesia è più grande perché, nonostante tutto, è capace di tracciare al suo interno il suo campo libero.
Diotima e la suonatrice del flauto è un libro pubblicato nel 2004 che ha avuto un notevole successo. Un testo poetico e tragico insieme, ambientato ad Atene nel V secolo a. C., nato dalla “rilettura” del Simposio di Platone che dà voce a due donne dimenticate dalla storia, Diotima (maestra di Socrate) ed Anna (la suonatrice del flauto). Come è nato questo scritto?
Diotima e la suonatrice di flauto è un atto tragico pubblicato da La Tartaruga-Baldini Castoldi Dalai. L’introduzione è di Luisa Muraro. L’atto tragico è stato messo in scena con mia regia a Verona in più occasioni, e a Milano alla Casa della Poesia, presentato da Giancarlo Majorino. L’atto è ambientato nell’Atene del V secolo a.C. e la storia è questa: nel Simposio di Platone la suonatrice di flauto chiamata ad allietare la serata viene allontanata per consentire a Socrate e agli altri uomini lì riuniti di riflettere liberamente sull’amore… dunque la giovane donna esce dalla stanza della filosofia, cioè dalla celebre casa di Agatone… e scompare dal Simposio. Scompare per sempre nel nulla. Il mio atto tragico comincia proprio nel momento in cui la donna esce da quella stanza. Ed è naturalmente opera d’invenzione. Che accade? Sul sentiero tra gli ulivi la suonatrice di flauto incontra Diotima, l’altra grande presente/assente dal Simposio… ma non dico di più altrimenti racconto tutto… Dirò solo che l’atto è tragico… ahimè, sì, è una tragedia a tutti gli effetti. Diotima e la suonatrice di flauto è un piccolo libro che racconta di un’esclusione, dalSimposio e dalla Storia… Quanti secoli ci sono voluti, quanti ce ne vorranno ancora per tornare vive e vegete là dentro?
Diotima dice ad Anna: “Loro, ti hanno mandata via sul più bello e hanno parlato tra uomini dell’Amore. Io invece volevo parlarne con te”. E io qui chiedo a lei: potrebbe parlarmi dell’Amore? Che posto occupa l’amore nella poesia e nella sua vita?
È una domanda immensa: dovrei inventare un altro dialogo sull’Amore per mettere a punto qualcosa di sensato… Ma è questione importante. È importante che chi chiede osi mettere l’Amore in domanda e chi risponde accetti di parlarne… Spesso si fugge di fronte alle questioni enormi per non dire delle banalità, ma qui rispondo… Nei luoghi comuni sull’Amore c’è anche un margine di verità… Uomini e donne… Spesso gli uomini tendono a pensare l’amore da un lato e a fare l’amore dall’altro. In mezzo c’è una frattura… un vuoto, una mancanza. Là nel Simposio, ad esempio, 2500 anni fa, gli uomini si trovavano a parlare dell’amore tra uomini, ed erano uomini che amavano altri uomini. Così dal Simposio le donne erano escluse due volte, anzi, a priori… Io sono una donna che ama gli uomini, ho avuto due figli… e c’è l’amore per i figli. C’è il tempo passato e c’è l’amore per il tempo passato, c’è il tempo a venire… C’è la poesia e c’è l’amore per la poesia… L’amore, l’amore… l’amore si dà in forme d’infinito, non se ne viene a capo. Potrei mettermi qui e recuperare qualche aforisma, qualche citazione folgorante, ma no, non lo faccio! Sarebbe una scorciatoia, sarebbe come dare la parola a chi non c’è… in amore non funziona… se poi togli la citazione tutto crolla! So per certo che l’amore è uno sbilanciamento verso l’altro, è uno squilibrio cieco, pericoloso: non sai mai se quello sbilanciamento è l’inizio d’un volo o d’una caduta. Lì, in bilico, non sai neppure se sei tu quella che salva, o se invece sarai salvata… eppure… Sì, l’amore ricade anche in poesia, senza un tonfo… ricade con un canto, un lamento, un mormorio… A volte è un alleluia, a volte è un sussurro e lo sentono tutti, a volte un allarme e non lo sente nessuno… Poi c’è l’amore del mondo, quello sì, è chiaro.
Quale o quali versi desidera dedicare ai nostri lettori? 
Se sono pochi versi, li riporto qui a memoria, da Il mio nome è Inna:
“Ho poche parole e m’arrangio con quelle
non voglio far torto a nessuno
non voglio incantare nessuno
volevo solo imparare dalla rondine”.

http://www.tellusfolio.it/index.php?prec=%2Findex.php&cmd=v&id=18292

«LA MENTE DEL CORPO»: NEL VOLUME DI GIAN PAOLO SCANO UN’INDAGINE SUL PRESENTE E SUL FUTURO DELLA PSICOANALISI 
di Si. Spe, ilsole24ore.com, 7 febbraio 2015

L’inconscio esiste davvero? La mente funziona realmente secondo il modello disegnato da Freud più di cento anni fa? La psicoanalisi, oltre al suo luminoso passato, ha anche un presente? E soprattutto avrà un futuro? Quale? Come? Perché? Se, scivolando via come il genio della lampada dal vaso greco che ne conserva le ceneri, Freud potesse tornare tra noi, ripeterebbe ancora i suoi asserti sull’inconscio, la pulsione, la libido, la rimozione, gli affetti, le relazioni? O esaminando l’enorme mole di conoscenze offerte dalle neuroscienze e respirando un’aria nuova e diversa rispetto a quella della sua vecchia Vienna positivista, riconoscerebbe che i suoi rudimentali, appena intravisti neuroni sono assai diversi da quelli che conosciamo?

Per continuare:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2015-02-07/-la-mente-corpo-volume-gian-paolo-scano-un-indagine-presente-e-futuro-psicoanalisi-175134.shtml?uuid=AB3FrBrC
Gian Paolo Scano, La mente del corpo: intenzionalità e inconscio della coscienza, Franco Angeli, pagg.314, 38,00 euro

CRIMINI SU INTERNET COSÌ GLI ADOLESCENTI DIVENTANO VITTIME 
Il professor Maiolo: «Serve un’educazione ai nativi digitali» L’incontro con genitori ed educatori organizzato dal Coisp 
di Redazione, altoadige.gelocal.it, 7 febbraio 2015

C’era una sala piena di genitori ed educatori, mercoledì scorso, ad ascoltare gli interventi degli esperti convocati dal Coisp per trattare l’argomento, quantomai attuale e spinoso, dei pericoli e delle insidie che si nascondono dietro internet. Soprattutto per i giovani. «Ci sono persone – spiegava il professor Giuseppe Maiolo, psicoanalista ed esperto di dinamiche giovanili – che hanno un forte potere di persuasione, e che sono in grado di portare i ragazzi a fare delle cose difficili da immaginare». Il riferimento, ma in quell’occasione il caso specifico non è stato citato, è a quello che è avvenuto alle due ragazzine adescate dall’orco su Facebook.

Per continuare:
http://altoadige.gelocal.it/bolzano/cronaca/2015/02/07/news/crimini-su-internet-cosi-gli-adolescenti-diventano-vittime-1.10822454

I NEONATI SOGNANO? Fanno piccole smorfie, sorrisi e simulano la suzione. Il tutto mentre dormono. Ma tutto ciò nasconde anche un’attività onirica? di Redazione, tgcom24.mediaset.it, 9 febbraio 2015

Di notte, tutti i neonati, esattamente come i bambini più grandi e come gli adulti, hanno una intensa attività cerebrale. Il loro piccolo cervello rielabora le emozioni (sia di disagio come quella di avere il pannolino sporco, sia di piacere come quella legata all’allattamento) avvertite durante le ore in cui erano svegli. Pertanto i neonati sognano ma ovviamente a causa dell’impossibilità dei bambini di raccontare l’esperienza, non è possibile avere informazioni sui contenuti di questa attività onirica.
Alcuni studi scientifici hanno dimostrato che i neonati sognano da quando erano nel grembo materno e avevano solo poco più di 23 settimane e in utero, quando sognano, presentano comportamenti molto simili a quelli degli adulti. I piccolissimi iniziano a sognare subito dopo l’addormentamento e non attraversano tutte le varie fasi di sonno profondo che caratterizzano l’attività cerebrale notturna degli adulti.
Sebbene non possiamo conoscere i sogni dei neonati, attraverso le espressioni del volto possiamo capire quali emozioni stanno provando: tristezza, paura, stupore, collera, disgusto e gioia. Si tratta sempre di spezzoni di realtà ma mai di storie complete. Nonostante il modo di dormire e di sognare sia diverso, i sogni dei neonati sono uguali a quelli degli adulti: spezzoni di vita vissuta, di cose viste sul serio, mescolati con prodotti della fantasia, come nel caso degli incubi spaventosi.
Proprio gli incubi possono essere più frequenti nei neonati che, non sapendo che le cose che non si vedono possono esistere lo stesso, vivono particolari situazioni di ansia quando la mamma è fuori dal loro campo visivo, che si trasformano in brutti sogni durante le ore di sonno.
Secondo gli scritti di Freud i sogni infantili sono molto chiari, brevi e coerenti con il loro vissuto precedente. Avere un’attività onirica è molto importante sia per il bimbo che per il feto perché attraverso il sogno, il bambino crea una realtà virtuale che lo prepara a comprendere la sua realtà in stato di veglia anticipandone le immagini, i suoni e le emozioni. Secondo molti studiosi, inoltre, il sogno potrebbe contribuire a consolidare la memoria visiva e linguistica garantendo così una serie di apprendimenti per la crescita.

http://www.tgcom24.mediaset.it/donne/famiglia/i-neonati-sognano-_2093245-201502a.shtml

PROSTITUZIONE: IL DIRITTO MASCHILE ALLA “SCARICA”. E TUTTO IL RESTO. COME STIAMO TORNANDO INDIETRO, INCAPACI DI REAGIRE 
di Marina Terragni, blog.iodonna.it 9 febbraio 2015

Meno male che c’è quel bravo ragazzo di Carlo Verdone, che intervenendo nel dibattito sulla prostituzione all’Eur e zona a luci rosse, la butta lì, quasi scusandosi: “è una mossa viziata da un errore etico di base, ammettere che il corpo femminile possa essere messo in vendita. Sarò all’antica e sarò ingenuo, ma non posso accettare una cosa simile”.
Intanto ci sono donne in Parlamento, come la senatrice Pd Maria Spilabotte, che progettano la legalizzazione della prostituzione: il mestiere “più antico del mondo” diventerebbe a tutti gli effetti “una professione come un’altra”, benché di “professioniste” autogestite si possa parlare a dir tanto nel 20 per cento dei casi, visto che per il restante 80 per cento si tratta di schiave sessuali. Sempre più giovani: Lolita, mica la Gradisca. Una pseudo-pedofilia. Come le ragazzine vendute con tanto di pezzo di marciapiede dai rumeni a Milano, o le “massaggiatrici” dei bordelli cinesi che infestano le nostre città. Un bel quartierino ordinato a luci rosse, con tanto di controlli sanitari e dichiarazione dei redditi, e tutte le altre, 8 su 10, spesso prive di permesso di soggiorno, che continueranno a battere nascoste nel resto della città, reiette tra le reiette. Come se bastasse una decisione amministrativa a fare ordine in quel grande disordine simbolico che è lo sfruttamento sessuale.
Certo: spiacevole entrare nell’androne di casa tua e scoprire cliente e prostituta che si accoppiano, o affacciarti alla finestra e vedere auto in sosta che sobbalzano: ma che cosa ci preoccupa di più? il decoro dello stabile o la riduzione a povere cose di decine di migliaia di donne? Che cosa pensiamo di ottenere rivendicando di non vedere?
Il diritto maschile alla “scarica” è il grande indiscusso: la sessualità degli uomini è questo, non ci si può fare niente. C’è stato un tempo in cui si provava a parlarne, ma a quanto pare quel tempo è finito. Le cronache ci parlano degli aguzzini che sfruttano le ragazzine, ma mai una parola sugli uomini che di quella carne in schiavitù godono (rimozione assoluta del godimento femminile, la donna definitivamente Altra) e senza i quali il business non esisterebbe. Che gli uomini comprino carne di donna in vendita è un dato di natura immodificabile. Forse, anzi, si potrebbe mutuare dall’Islam l’istituto del matrimonio temporaneo o nikah al mutah (letteralmente: matrimonio di godimento), che consente ad un uomo di contrarre matrimonio per un periodo limitato nel tempo, qualche ora, qualche giorno: la prostituzione secondo il Profeta e la Sharia, nel caso 4 mogli non bastassero. Senz’altro più ordinato e decoroso che i copertoni per strada.
La grande normalizzazione, o backlash, prevede tra le altre cose anche il ritorno all’aborto clandestino, in assenza di qualunque discorso pubblico: se ne riparlerà a marzo al Parlamento Europeo, ma grandi mobilitazioni non se ne vedono, diciamo la verità. Quasi nessuna fa un plissé. Non vogliamo vedere, non vogliamo sapere, il femminismo di Stato va alla grande, 50/50 anche nelle assemblee di condominio, ma sottomissione” è una parolina molto up to date, l’illuminismo un vecchio arnese, l’ormai inevitabile civilization change prevede che si abbassi un bel po’ la cresta.
Recensendo il romanzo di Michel Houellebecq Marco del Coronasostiene che forse l’autore “vuole offrirci, dopo tanto scoramento, un barlume di speranza: se c’è un argine alla sottomissione romanzesca prefigurata da Sottomissione, può venire solo dalle donne”.
E lo psicoanalista Fethi Beslama, sottolineando che “l’assioma che soggioga la soggettività maschile è godere delle donne e odiare il loro desiderio”, (Dichiarazione di non sottomissione – Poiesis) e inscrivendo nell’agonia del patriarcato la violenza del fondamentalismo islamico, sostiene che “la catena della schiavitù e della politica disumana non può essere spezzata se le donne rimangono asservite a questa configurazione del femminile, chiuse sotto chiave dalla sovranità dispotica dell’uomo stallone”.
Cito due uomini, non due femministe. Non sarebbe il momento di discuterne?

http://blog.iodonna.it/marina-terragni/2015/02/09/prostituzione-il-diritto-maschile-alla-scarica-e-tutto-il-resto-come-stiamo-tornando-indietro-incapaci-di-reagire/

RELAZIONI EXTRACONIUGALI: DALLA RETE ALLA REALTÀ. Meetic, Badoo, OkCupid e Match.com sono solo alcuni degli dating websites in cui milioni di single partono per portare poi il tradimento dalla rete alla real life 
di Guy Pizzinelli, style.it, 9 febbraio 2015

Le nuove campagne pubblicitarie all’ultima moda invitano chi usa internet alla trasgressione e al tradimento, addirittura ammonendo che “la vita è breve, tanto vale…”
L’infedeltà non viene più nascosta, anzi si insinua nel mondo virtuale con dei sirti di incontri interamente dedicati a questa tematica.
«Laddove in precedenza la promessa di una relazione si accompagnava alle tempeste ormonali e ai fremiti della trasgressione, qui l’incontro avviene su un sito e consente di mostrare il proprio vero volto via chat o via mail,» spiega Pascal Couderc, psicanalista, autore del libro “L’amore dietro uno schermo“, e aggiunge: «Quando ci si relazione in modo virtuale si ha un sentimento di impunità, perché non c’è alcun incontro reale né un passaggio ai fatti. Se ci si muove all’interno di un desiderio che passa poi al livello di vita vissuta, il discorso si fa ben più serio.».
Nell’elenco delle cause che scatenano la crisi del matrimonio, le infedeltà coniugali si collocano tra le più ricorrenti: rappresentano il casus belli nel 40% dei casi di separazione e divorzio. E, secondo l’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, il 60% delle infedeltà coniugali che si consuma nel nostro Paese avviene sul luogo di lavoro, secondo le recenti statistiche elaborate dal Centro Studi AMI confermate dalla società Robert Half Executive Search.
I numeri parlano chiaro: Milano è la città in cui si consuma il maggior numero di tradimenti, seguita a ruota da Roma, Bologna, Torino. Nel sud la città in cui si registrano maggiori infedeltà coniugali è Napoli.
L’Italia è il Paese che detiene in Europa il record di relazioni amorose sul luogo di lavoro; seguono nell’ordine Germania, Francia ed Inghilterra.
Da alcune ricerche, emerge che le donne sono diventate negli ultimi anni le attrici più intraprendenti per quanto riguarda il prendere l’iniziativa che porta poi a una relazione extraconiugale. Siamo quindi di fronte a una nuova frontiera della rivoluzione sessuale in atto? Non è detto: alcune cose non cambiano. Un esempio? «Gli uomini che tradiscono restano con le loro mogli, ma non sempre accade il contrario: quando una donna tradisce, per lei spesso questo è un segno di profondo malessere che non scompare e il primo passo di una rottura» approfondisce Pascal Couderc. 75 % dei divorzi nascono da un’iniziativa della donna.
Coniugi che affermano che i loro matrimoni sono più importanti di qualunque relazione, scoprono di voler lasciare la casa e la famiglia proprio in presenza di una relazione extraconiugale. Altri sono sicuri di aver finalmente scoperto la “relazione perfetta”, per la quale desiderano abbandonare il matrimonio, salvo rimanere poi disillusi, pieni d’ansia e con un intenso desiderio di “ritorno a casa”.

http://www.style.it/sex/news/2015/02/09/relazioni-extraconiugali-dalla-rete-alla-realta.aspx

SPAZIO TADINI INAUGURA UN GRUPPO DI MOSTRE DAL TEMA: DAL SURREALISMO ALLA STREET ART. Un percorso alla scoperta della relazione tra l’uomo e l’ambiente contemporaneo partendo dalle opere di Haiek e Pizzorno fino alla collettiva di Street Artist e i collage dell’artista colombiano Coronado con la Pubblicittà

IVANA HAIEK– MORFOLOGIE DELL’ADATTAMENTO
MARILISA PIZZORNO – L’IDENTITA’ DEI CORPI E DEGLI SPAZI
LA STREET ART VINCE LA METROPOLI – artisti: Atomo, Rossi, Flycat, Oddo, Compagnoni, Lurgo, Ivan, Piger, Limosani
RAFAEL CORONADO – LA PUBBLICITTÀ
di Melina Scalise, 9 febbraio 2015

L’arte tra Novecento e Duemila ha abbandonato sempre più l’impegno della raffigurazione del reale per diventare espressione della contaminazione tra mondo esteriore e mondo interiore dando vita all’astrattismo e ad altre correnti pittoriche che hanno fatto la storia dell’arte di fine Novecento. La scoperta dell’inconscio e l’applicazione della psicoanalisi furono determinanti in questo cambiamento tanto quanto, in misura diversa, lo fu la diffusione della fotografia. Il movimento surrealista è il risultato più evidente dell’influenza della psicoanalisi nel mondo dell’arte e ha visto tra i suoi esponenti più interessanti Andrè Breton, Joan Mirò, Marx Ernest, Magritte. In ognuno di loro si trova l’esternazione di un mondo interiore fatto di segni, di forme, di personaggi, di situazioni al confine tra la realtà e il sogno. Il tema ricorrente è il rapporto tra interno ed esterno, tra soggettivo e oggettivo, tra fantasia e realtà, tra mondo interiore ed esteriore. Anche i cambiamenti sociali ed economici del Novecento hanno portato ad una profonda riflessione sull’identità individuale e sociale fino ai giorni nostri (vedasi per esempio la letteratura di Pirandello: Uno nessuno e centomila). La metà del Novecento si connota per uno straordinario stravolgimento dell’economia e delle abitudini di vita con migliaia di persone che abbandonano le campagne per trasferirsi nei centri urbani inseguendo benessere e sviluppo tecnologico. Le città crescono a ritmi vertiginosi trascurando l’estetica e la qualità della vita. Luoghi sempre più anonimi e inospitali dove l’uomo perde radici, identità. L’ambiente circostante perde le forme e i colori della Natura, perde il vuoto degli orizzonti dove è possibile liberare la fantasia per riempirsi di muri e cemento interrotti solo dal colore dei cartelloni pubblicitari.
L’arte racconta di questo scenario con opere sempre più incentrate sulla città, ma non c’è più la dinamicità futurista alla Boccioni, ma la sconfinata anomia alla Guaitamacchi.
Solo la fine del Novecento svela l’illusione dell’eterno benessere e del potere tecnologico dell’Uomo sulla Natura, vede la crisi della grande industria, porta le conseguenze dello sradicamento territoriale e sociale e inventa un nuovo modo di comunicare e “vivere” attraverso lo sviluppo delle telecomunicazioni e del web. Le città diventano metropoli e queste sembrano tutte uguali per problematiche, servizi e territorio: sono un prodotto della globalizzazione. In questi luoghi dove domina l’entropia urbanistica e l’individuo si sente un estraneo a casa propria nasce il Graffitismo e poi la Street Art. Un segno che è innanzitutto ribellione, un’azione di forza per riprendersi l’identità tant’è che il Graffitismo è spesso una firma, una sorta di marchiatura del territorio. La Street Art compie un passo avanti importante verso la sottrazione di spazi pubblici alla cartellonistica pubblicitaria. Cambia la visione del quotidiano restituendo spazi alla fantasia, alla creatività, all’ironia. L’arte, attraverso la Street Art, diventa, ancora una volta, il gesto che scaturisce da un bisogno, da un’urgenza: restituire all’uomo una casa in cui riconoscersi. Un’azione di recupero dell’identità e, con essa, di tutto il mondo onirico e ludico che gli appartiene.
Le mostre che Spazio Tadini propone dal 10 febbraio al 7 marzo ripercorrono queste tappe. Nella mostra di Ivana Haiek, a cura di Miroslava Hajek troviamo il dramma della perdita delle proprie radici (l’artista scappa dal suo Paese la Cecoslovacchia in piena guerra Fredda) e della riscoperta dell’equilibrio interiore in Italia dove trova una nuova casa. Nelle opere di Marilisa Pizzorno, il curatore, Giorgio Seveso dice: “le… figure giocano con l’ambiente, con gli elementi architettonici di una sorta di spazio vitale surreale, comunque antropizzato, che segna la definitiva precarietà identitaria delle relazioni tra l’uomo contemporaneo e l’ambiente della sua vita”.
Nella collettiva di Street Artists a cura di Caterina Seri e Luciana Pastori con Spazio Tadini, si è raccolto un gruppo vario di artisti che oggi lavorano anche per il design e l’arredo urbano. L’artista colombiano Rafael Coronado, invece, attraverso i suoi collage, usa il linguaggio e le immagini della pubblicità con disincanto ed ironia sottolineando che fotografie, parole, significati e significanti, segni e forme, ormai formano un linguaggio comune condiviso tra diverse culture.

http://www.artribune.com/dettaglio/evento/42235/dal-surrealismo-alla-street-art/ 

I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:

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