Sulla scia del primo argomento scelto per inaugurare la mia rubrica, ovvero quello del “raptus”, torno a proporre il discorso dell’incapacità di intendere e di volere, questa volta però, all’interno di una cornice psicopatologica. In questo articolo metto in luce quali sono i confini sottili tra l’esacerbarsi dei sintomi positivi della schizofrenia, tali da far saltare completamente l’esame di realtà del soggetto, e la volontarietà omicida. A tal proposito, voglio citare il caso di Adam Kabobo il quale ha aggredito a picconate sei persone, uccidendone tre, a Milano nel Maggio 2013. Nella sentenza di primo grado “il pm ha chiesto riconoscersi la penale responsabilità dell’imputato con : riconoscimento dell’attenuante della seminfermità mentale […] e la diminuente prevista dal rito, pronunciarsi nei confronti dello stesso, sentenza di condanna alla pena finale di anni venti di reclusione e, considerata la pericolosità sociale dell’imputato, l’assegnazione a casa di cura e custodia per la durata di anni sei a pena espiata” (Sentenza all’esito di giudizio abbreviato art.442 c.p.p) .
Cosa vuol significare questa sentenza?
Secondo la giurisprudenza, Kabobo non avrebbe commesso gli omicidi in una condizione di totale assenza di coscienza completamente travolto dalla malattia, poiché ha messo in atto comportamenti predatori lucidi, modulando la propria condotta nelle differenti situazioni; infatti, si appropria dei cellulari delle vittime e fugge alla vista delle pistole delle FFOO. Anche se nel determinismo degli atti la patologia ha avuto un ruolo importante, non si potrebbe dire, però, che la malattia abbia agito al suo posto: infatti, Kabobo “al fine di procurarsi ingiusto profitto, con violenza consistita nel colpire con un piccone […]al capo e all’addome, si impossessava di un cellulare modello L5 di proprietà del…”). La sentenza è motivata da una perizia psichiatrica che “evidenzia la presenza di una tematica delirante, elementare, scarsamente strutturata, a contenuto a tratti persecutorio a tratti megalomanico, che gli fa pensare di essere il creatore del mondo, tematica rispetto alla quale evidenzia perplessità” “non è emersa traccia di sindromi culturalmente caratterizzate (quali amok et alia) mentre il profilo, delineato sia dai sintomi che dai segni, appare compatibile con una malattia dello spettro schizofrenico, caratterizzata dalla compresenza di sintomi cosiddetti positivi (delirio, allucinazioni) e sintomi negativi (ridotta espressività emotiva, alogia, avolizione, asocialità). Inoltre, la perizia riporta che al momento della commissione dei fatti di reato, il soggetto era imputabile e la sua capacità di intendere e di volere era conservata, seppur grandemente scemata, data l’immediatezza e la consequenzialità tra l’aggressione fisica e l’azione di sottrazione dei beni personali delle vittime. In base a queste constatazioni, Kabobo è stato condannato 1) alla pena di venti anni di reclusione 2) al pagamento delle spese processuali 3) al risarcimento delle parti civili per tutti i reati a lui contestati 4) gli è stata applicata “la misura di sicurezza detentiva del ricovero in casa di cura e di custodia per un tempo non inferiore ai tre anni come indicato dall’art. 219 co.2. c.p” ).
In qualità di Psicologa-Psicoterapeuta mi domando il senso di questa “riabilitazione” di sei anni a pena espiata: e poi cosa accadrà? Sembra che tale provvedimento sia stato preso in merito alla valutazione della “pericolosità sociale” del Kabobo, ritenuta “presente ed elevata alla luce del quadro clinico riscontrato e dell’anamnesi psicopatologica prossima e remota”; sono stati presi in considerazione, inoltre, anche i principi espressi dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 253 del 18/07/2003 in relazione all’individuazione da parte del giudice, della misura di sicurezza più idonea e adeguata a garantire la collettività dal pericolo di reiterazione delle condotte criminose dell’imputato e, nel contempo, ad assicurare le cure opportune allo stesso. Mi chiedo,però, cosa accadrà quando questi sei anni saranno trascorsi. Si potrebbe ipotizzare un riesame della sua pericolosità sociale e magari, Kabobo sarà trattenuto per altri 6 anni in ambiente protetto o forse, nella peggiore e poco “basagliana” delle ipotesi, non uscirà più dalla riabilitazione.
Ora invito il lettore ad alcune riflessioni su come mai la sentenza abbia fatto leva proprio sugli aspetti di lucidità e pianificazione del Kabobo, prima, dopo e durante gli atti omicidari. Per rispondere al quesito con argomentazioni il più possibile verosimili alla realtà, è’ necessario, tenere presente che “le allucinazioni nell’ambito di una patologia psicotica, anche allo stato iniziale, queste possono scomparire; però ciò avviene solo secondariamente una terapia farmacologica, che non consente la completa scomparsa degli altri sintomi psicotici, se non con residuo di difettualità, ossia di deterioramento psichico” (U, Fornari, 2012) . Kabobo era scoperto da una farmacoterapia: come è possibile che i sintomi si siano attenuati durante l’esecuzione dei degli atti omicidari, tali da permettere al Kabobo di sottrarre oggetti personali appartenenti alle vittime e di darsi alla fuga?
Alla luce di quanto afferma Fornari, se Kabobo fosse stato giudicato totalmente, e non parzialmente , incapace di intendere e di volere, cosa avrebbe pensato l’opinione pubblica? Cosa avrebbero fatto le famiglie delle vittime, costituite parte civile, se il reo fosse stato rinchiuso in ambiente protetto bypassando il carcere? Lascio a lettore il beneficio del dubbio. Pour parler, ricordo, inoltre, che la giurisprudenza non coincide mai con la morale e l’etica personale; potremmo, dunque, non accogliere l’ipotesi di chi vede Kabobo completamente schizofrenico, in una sorta di solidarietà verso la malattia mentale o proiezione di sé. Kabobo è stato giudicato, in primo grado, responsabile in ordine a sei delitti, in base a comportamenti predatori lucidi e ben testimoniati e questo vale per la giurisprudenza fino al secondo grado d’Appello. Rimando la discussione della sentenza di Appello a uno dei miei prossimi articoli.
Cosa vuol significare questa sentenza?
Secondo la giurisprudenza, Kabobo non avrebbe commesso gli omicidi in una condizione di totale assenza di coscienza completamente travolto dalla malattia, poiché ha messo in atto comportamenti predatori lucidi, modulando la propria condotta nelle differenti situazioni; infatti, si appropria dei cellulari delle vittime e fugge alla vista delle pistole delle FFOO. Anche se nel determinismo degli atti la patologia ha avuto un ruolo importante, non si potrebbe dire, però, che la malattia abbia agito al suo posto: infatti, Kabobo “al fine di procurarsi ingiusto profitto, con violenza consistita nel colpire con un piccone […]al capo e all’addome, si impossessava di un cellulare modello L5 di proprietà del…”). La sentenza è motivata da una perizia psichiatrica che “evidenzia la presenza di una tematica delirante, elementare, scarsamente strutturata, a contenuto a tratti persecutorio a tratti megalomanico, che gli fa pensare di essere il creatore del mondo, tematica rispetto alla quale evidenzia perplessità” “non è emersa traccia di sindromi culturalmente caratterizzate (quali amok et alia) mentre il profilo, delineato sia dai sintomi che dai segni, appare compatibile con una malattia dello spettro schizofrenico, caratterizzata dalla compresenza di sintomi cosiddetti positivi (delirio, allucinazioni) e sintomi negativi (ridotta espressività emotiva, alogia, avolizione, asocialità). Inoltre, la perizia riporta che al momento della commissione dei fatti di reato, il soggetto era imputabile e la sua capacità di intendere e di volere era conservata, seppur grandemente scemata, data l’immediatezza e la consequenzialità tra l’aggressione fisica e l’azione di sottrazione dei beni personali delle vittime. In base a queste constatazioni, Kabobo è stato condannato 1) alla pena di venti anni di reclusione 2) al pagamento delle spese processuali 3) al risarcimento delle parti civili per tutti i reati a lui contestati 4) gli è stata applicata “la misura di sicurezza detentiva del ricovero in casa di cura e di custodia per un tempo non inferiore ai tre anni come indicato dall’art. 219 co.2. c.p” ).
In qualità di Psicologa-Psicoterapeuta mi domando il senso di questa “riabilitazione” di sei anni a pena espiata: e poi cosa accadrà? Sembra che tale provvedimento sia stato preso in merito alla valutazione della “pericolosità sociale” del Kabobo, ritenuta “presente ed elevata alla luce del quadro clinico riscontrato e dell’anamnesi psicopatologica prossima e remota”; sono stati presi in considerazione, inoltre, anche i principi espressi dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 253 del 18/07/2003 in relazione all’individuazione da parte del giudice, della misura di sicurezza più idonea e adeguata a garantire la collettività dal pericolo di reiterazione delle condotte criminose dell’imputato e, nel contempo, ad assicurare le cure opportune allo stesso. Mi chiedo,però, cosa accadrà quando questi sei anni saranno trascorsi. Si potrebbe ipotizzare un riesame della sua pericolosità sociale e magari, Kabobo sarà trattenuto per altri 6 anni in ambiente protetto o forse, nella peggiore e poco “basagliana” delle ipotesi, non uscirà più dalla riabilitazione.
Ora invito il lettore ad alcune riflessioni su come mai la sentenza abbia fatto leva proprio sugli aspetti di lucidità e pianificazione del Kabobo, prima, dopo e durante gli atti omicidari. Per rispondere al quesito con argomentazioni il più possibile verosimili alla realtà, è’ necessario, tenere presente che “le allucinazioni nell’ambito di una patologia psicotica, anche allo stato iniziale, queste possono scomparire; però ciò avviene solo secondariamente una terapia farmacologica, che non consente la completa scomparsa degli altri sintomi psicotici, se non con residuo di difettualità, ossia di deterioramento psichico” (U, Fornari, 2012) . Kabobo era scoperto da una farmacoterapia: come è possibile che i sintomi si siano attenuati durante l’esecuzione dei degli atti omicidari, tali da permettere al Kabobo di sottrarre oggetti personali appartenenti alle vittime e di darsi alla fuga?
Alla luce di quanto afferma Fornari, se Kabobo fosse stato giudicato totalmente, e non parzialmente , incapace di intendere e di volere, cosa avrebbe pensato l’opinione pubblica? Cosa avrebbero fatto le famiglie delle vittime, costituite parte civile, se il reo fosse stato rinchiuso in ambiente protetto bypassando il carcere? Lascio a lettore il beneficio del dubbio. Pour parler, ricordo, inoltre, che la giurisprudenza non coincide mai con la morale e l’etica personale; potremmo, dunque, non accogliere l’ipotesi di chi vede Kabobo completamente schizofrenico, in una sorta di solidarietà verso la malattia mentale o proiezione di sé. Kabobo è stato giudicato, in primo grado, responsabile in ordine a sei delitti, in base a comportamenti predatori lucidi e ben testimoniati e questo vale per la giurisprudenza fino al secondo grado d’Appello. Rimando la discussione della sentenza di Appello a uno dei miei prossimi articoli.
“Che si tratti di delitti folli o di delitti di folli, tutti hanno messo in atto un comportamento distruttivo”
(U, Fornari, 2012)
(U, Fornari, 2012)
Bibliografia
Tribunale di Milano, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, “Sentenza all’esito di Giudizio Abbreviato art.442 c.p.p” , Milano, 2014
Fornari, U, “Delitti folli, delitti di folli” , Espress Edizioni srl, Torino, 2012
Mi pare importante
Mi pare importante sottolineare un aspetto critico innovativo che origina dal DL 31marzo 2014, n. 52 “disposizioni urgenti in materia di superamento degli O.P.G.”, art. 1-quater :
“Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima. Per la determinazione della pena a tali effetti si applica l’articolo 278 del codice di procedura penale.”
In base alla legge quindi, la pena detentiva, comprensiva della misura di sicurezza, non puo’ superare il massimo della pena edittale per il delitto in questione.
E’ questa una delle problematiche scottanti che si porta la chiusura degli OPG che, indifferentemente venga o meno riconosciuta la capacita’ di intendere e volere e la pericolosita’ sociale, impedisce che il giudicato non esca piu’ dalla riabilitazione.
Ovviamente questo e’ il problema in cui siamo incartonati, e del quale non sappiamo al momento trovare soluzione se non in una profonda revisione del codice penale per quanto riguarda la norma, ed un profondo ripensamento da parte delle competenze forensi e cliniche.
Gent.le Gianmaria,
La
Gent.le Gianmaria,
La ringrazio per il suo commento. Praticamente ha dato una risposta a tutti i quesiti! Non avevo riflettuto sulla chiusura degli OPG.Secondo me, anzichè chiuderli perchè fatiscenti dovrebbero provvedere alla manutenzione…ma chi vuoi che spenda i soldi per quei poveracci? A mio avviso, il superamento degli OPG ha altri scopi che non hanno a che vedere con i diritti umani. Ho visto pero’ dei documentari in cui persone che avrebbero dovuto uscire prima vengono dimenticate li perchè nessuno richiede la revisione della incapacità di intendere e di volere. Il primo OPG che è ho visto è quello di Pozzo di Gotto a Messina. Ho visitato uno schizofrenico che non avrebbe dovuto essere la in virtù dei reati cosi banali che ha commesso. Ridevo nella lettura dei verbali. Non conosco la casistica ma immagino che molte persone affette da psicopatologie gravi siano rinchiuse li senza aver commesso nessun reato di rilievo.Ci vuole, senza dubbio, un provvedimento al provvedimento.
Interessante e approfondito
Interessante e approfondito articolo, che fa luce su questioni ‘tecniche’ spesso banalizzate dai media, che tengono conto quasi esclusivamante della risonanza del fatto.
A margine mi chiedo se, come ho spesso avuto modo di scrivere ( anche su Pol.it) alla fine le sentenze non siano influenzate piu’ del dovuto dall’opionione pubblica, sempre piu’ incline a graziare il consimile, attribuendogli stati alterati di coscienza quando commette un reato, opportunità non concessa al ‘diverso’.
Mi spiego. La sentenza appare motivata. Quello che a volte lascia interdetti è l’uso facilone di categorie diagnostiche attestanti stati deliranti o semideliranti , dettato piu’ dal momento contingente che non dalla reale presenza di elementi inquadrabili secondo la nosografia clinica
Gent.le Maurizio,
La
Gent.le Maurizio,
La ringrazio per il suo commento e il suo gradimento.Le persone, in genere, pensano che tale sentenza sia stata emessa proprio in previsione dell’opinione pubblica ma sappiamo tutti che alla Giurirpudenza poco interessa. Sono stati applicati pedissequamente i criteri per l’incapacità di intendere e di volere. Per quanto riguarda le etichette non mi pare che kabobo sia stato trattato da “schizofrenico” tranne per qualche anno di riabilitazione però come ci dicono nel commento successivo il problema è a Monte. Si va verso la chiusura degli OPG, non c’è un luogo dove ritenere queste persone. Comunque ho discusso con diversi psichiatri, molti ritengono che Kabobo sia semplicemente una persona affetta da una psicopatologia grave e che non debba meritare il carcere.