di Pietro Barbetta, doppiozero.com, 1 aprile 2015
Cosa nascondeva nell’anima Andreas Lubitz? Perché ha commesso quel gesto? Non lo sapremo mai. Ciò che possiamo conoscere è la storia dei discorsi che il gesto di Lubitz ha suscitato. Molte ripetizioni, poche differenze. La storia del pilota suicida/omicida ha fatto il giro delle opinioni, delle valutazioni, dei confronti. La maggioranza ha decretato che era matto, nel senso delle categorie diagnostiche. Ha vinto la “depressione”, soprattutto qui da noi, poi il “burn-out”, che è prevalso presso l’opinione pubblica tedesca. Germania, paese così arretrato da non avere ancora digitalizzato il sistema sanitario nazionale, per cui, cosa che in un paese moderno non potrebbe accadere, a uno basta stracciare una diagnosi per far sparire la malattia. L’episodio clinico di Lubitz getta una luce sinistra sul paese che ha fatto, dal 1875 in poi, dell’efficienza il proprio vanto.
Lubitz era consapevole che il suo gesto avrebbe soppresso le vite umane che viaggiavano da Barcellona a Düsseldorf? Se si risponde positivamente, allora dobbiamo spezzare una lancia contro la consapevolezza, contro il mito cognitivista che la consapevolezza è sempre positiva. Se invece non era consapevole, se si è trattato di un raptus, di un uscir fuori di sé, allora non serve andare a cercare le patologie pregresse del giovane pilota. Un tempo si chiamava nichilismo, gesto politico indecente. I nichilisti lo facevano per convinzione, oggi accade più spesso al loro contrario, i fondamentalisti. Altrimenti si parlava di gesto inusitato. Oggi invece la maggioranza risolve tutto a suon di categorie diagnostiche. La politica, la società, la cultura non c’entrano più.
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È SOLO IL DESIDERIO DELLA META A RENDERE BELLA LA FATICA
di Donatella De Tommaso, Luigi Ballerini, avvenire.it, 1 aprile 2015
I nostri ragazzi si dimostrano spesso impazienti e non hanno voglia di fare fatica. Come “convincerli” che a volte occorre aspettare e occorre giocarsi per qualcosa di bello che si vuole e che magari è standoci che si arriva poi a gustare fino in fondo un’esperienza di cui all’inizio si vede solo l’aspetto faticoso?
Donatella De Tommaso
La fatica. Di lei, a volte noi adulti, facciamo apologia. Ovviamente con i ragazzi, perché quando ne parliamo fra noi, liberi da intenti pedagogici, i toni cambiano. I nostri ragazzi non hanno voglia di fare fatica, si dice. Ma, pensiamoci: chi ha davvero voglia di fare fatica? Un masochista, forse. Non una persona che sta bene.
Fare apologia della fatica è propagandarla come se avesse valore in sé. Esistono però fatiche inutili che è meglio risparmiarsi. Ci sono ceste che conviene portare in due, piuttosto che sostenerne il peso da soli. Si ravvisa del merito nel farsi aiutare. E ci sono anche fatiche che non dovrebbero essere tali. Sappiamo come a volte diventa difficile persino fare una telefonata o scegliere un paio di scarpe. Se guardiamo nella nostra giornata potremmo trovare alcune fatiche di questo tipo, non necessarie, che abbassano lo sguardo e curvano le spalle nonostante il loro peso immateriale. Per fortuna, i ragazzi, se stanno ancora bene, vogliono tenersene lontani.
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LACAN POLITICO. Politica o non politica
di Vincenzo Cuomo, doppiozero.com, 2 aprile 2015
Che cosa può insegnare la psicoanalisi alla politica? In che cosa il pensiero di Lacan può contribuire alla definizione di una pratica di democrazia radicale? Sono queste le domande alle quali il nuovo libro di Bruno Moroncini (Lacan politico, Cronopio, Napoli 2014) dedicato a Lacan tenta di dare risposta. E lo fa sottraendo il filosofo francese alla vulgata che lo ha considerato un liberale moderato in politica, in fondo, per quanto illuminato, un conservatore.
Il libro è in effetti una raccolta di quattro saggi di cui solo il primo inedito, i quali, in maniera a volte circolare e con apparenti digressioni, ritornano sulle stesse domande, cercando di mostrare come la psicoanalisi lacaniana possa dare un contributo, proprio in quantopratica analitica, ad una politica radicale capace di essere emancipativa senza essere illusoriamente “progressista”. Due sono a mio avviso i punti di snodo della proposta interpretativa di Moroncini: l’atto analitico e il sintomo. Attraverso questi problemi l’autore discute le posizioni di Badiou e di Žižek innanzitutto, ma risponde, anche se un po’ tra le righe (e tra le note), anche ad alcune tesi sostenute negli ultimi anni in Italia da Massimo Recalcati.
Il primo saggio del libro è un’ampia discussione dell’interpretazione e delle critiche che Badiou ha rivolto a Lacan, in particolare ne Le Séminaire del 1994-95, dedicato all’anti-filosofia di quest’ultimo. Secondo Badiou, Lacan non è stato in grado di pensare il ruolo dell’evento, inteso come quell’elemento soprannumerario che irrompe nella situazione e che in fin dei conti produce il soggetto rivoluzionario. Lacan resta fermo al principio secondo il quale il soggetto è il prodotto della verità dell’inconscio, quindi c’è sempre, senza dipendere dall’evento; c’è sempre, anche se non là dove si pensa, perché c’è sempre la verità (inconscia) di cui è l’effetto. Ma se questo è vero, allora non è possibile la “politica” se questa ha il suo movimento inaugurale nell’evento soprannumerario. Questa è la grave lacuna che Badiou riscontra in Lacan, che in tal modo viene confinato in qualche modo nella dimensione dell’impolitica.
Tuttavia, in Badiou, il soggetto rivoluzionario, marxianamente prodotto dalla situazione, deve, da un lato, in qualche modo (aporeticamente) preesistere alla situazione, dall’altro deve assumere su di sé la responsabilità di rilanciare l’evento “dandogli durata e consistenza” (p. 37). Secondo Badiou, il soggetto rivoluzionario è quell’istanza “che forza la situazione ad andare al di là di se stessa” (ivi). Ma in tal modo è come se, prodotto dell’insorgenza dell’evento, il soggetto rivoluzionario dovesse assumere su di sé “anche” un compito diverso (e forse opposto) da quello della politica, vale a dire quello del governo, istanza necessariamente implicita nello sforzo di trasformare l’evento rivoluzionario in società comunista.
Ora è proprio rispetto alla eterogeneità tra “politica” e “governo” – se interpretiamo bene la proposta di Moroncini – che, invece, Lacan potrebbe esserci utile. È qui che l’atto analitico trova la sua importanza. Se l’atto analitico, nel suo senso autentico e radicale, è la destituzione di qualunque sapere e, quindi, di qualsiasi soggetto supposto sapere, compreso l’analista, ciò significa che esso “pone il soggetto davanti ad un bivio, lo costringe ad un aut-aut, o continuare a ingannarsi e credersi un soggetto del sapere o destituirsi come soggetto del sapere e accedere a quella verità incarnata nell’oggetto acome oggetto causa del suo essere desiderante” (p. 55). Per tale ragione, Moroncini si domanda se l’atto analitico in quanto tale non sia anche un atto politico o almeno un modello per la politica. Ovviamente modello per una politica concepita come destituzione e distruzione del legame sociale, ogni qual volta questo si opponga al desiderio. Il modello dell’atto analitico si rivelerebbe utile ad una politica dell’insurrezione e dello scioglimento: “si insorge contro il legame sociale, si insorge per scioglierlo, per disincollarsi, per riaffermare la singolarità del desiderio contro le morali conformiste, i comandi superegoici. Contro il godimento coatto e il desiderio raggelato” (pp. 66-67). Che cos’è in fondo la democrazia se non quella forma di governo in perenne auto-scioglimento e in perenne auto-decostruzione, si domanda Moroncini?
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PASQUA: FEDE E FIDUCIA. «La fede contiene il mistero della rinascita oltre il confine della ragione, la fiducia è una piattaforma senza la quale sarebbe impossibile partire e crescere»
di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 5 aprile 2015
La Pasqua ha mille significati e infinite valenze religiose ma anche molte assolutamente laiche. Certamente la valenza psicologica più significativa è quella che rimanda alla parola «fede». Impossibile avvicinarsi al significato profondo della Pasqua cristiana senza questa parola. Per i credenti infatti la Resurrezione del Cristo-uomo è comprensibile solo con la «fede» che può contenere il mistero della rinascita e permettere di contenere il concetto di risurrezione fisica del corpo nel limitato confine della nostra ragione.
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NIENTE HUMOR, SIAMO ROBOT
di Giuseppe. O. Longo, avvenire.it, 7 aprile 2015
Si potrà mai costruire un robot che racconti barzellette e rida alle nostre? Secondo Aristotele nulla esiste di più umano del riso e se qualcosa riesce a ridere, si tratta di un uomo. Il riso, insomma, sarebbe condizione necessaria e sufficiente per l’umanità, e se si vuol comprendere l’uomo bisogna riflettere sul riso. Nel Dizionario filosoficoVoltaire sostiene che «l’uomo è il solo animale che piange e che ride». E Kant, della cui serietà non possiamo certo dubitare, sosteneva che il riso ha funzione terapeutica, e «si origina dalla scoperta di un’incongruità, da una realtà che ci appare affatto diversa dalla nostra aspettativa».
Il riso ha spesso un effetto liberatorio: si pensi al motto di spirito, alla battuta, al cosiddetto Witz, di cui si occupò Freud nella sua ricerca epocale del 1905 su Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio:l’uomo ridendo si libera, anche se solo per breve tempo, da inibizioni e rimozioni, si dischiude in modo giocoso a nuove fonti di piacere e mette temporaneamente a tacere l’istanza della censura presente nel suo intimo.
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http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/HUMOR-.aspx
GLI ADOLESCENTI E IL LORO UNIVERSO, ISTRUZIONI PER CAPIRLI
di Redazione, laprovinciapavese.gelocal.it, 7 aprile 2015
Ruota attorno al concetto di “immedesimazione”, l’analisi sull’adolescenza che Pietro Roberto Goisis, psichiatra, psicoanalista e docente all’Università Cattolica di Milano, espone nel suo libro “Costruire l’adolescenza. Tra immedesimazione e bisogni”(Mimesis) che sarà presentato sabato alle 18 alla libreria Feltrinelli (via XX Settembre 21). Insieme all’autore interverranno Angelo Moroni e Franca Porciani, giornalista del Corriere della Sera.
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E CAPPUCCETTO ROSSO ROTTAMÒ LA NONNA. Tra implicazioni psicanalitiche e valenze rituali l’indagine di Yvonne Verdier alla ricerca delle versioni più antiche e dimenticate della fiaba
di Massimiliano Panarari La Stampa 7 aprile 2015
Le fiabe possiedono implicazioni psicanalitiche e valenze rituali «toste». Gli analisti, che si erano parecchio dedicati fin da subito a illuminarne i dark side, potrebbero sbizzarrirsi nuovamente intorno al racconto diCappuccetto Rosso, visto che ne esistono alcune versioni dimenticate. Nel libro L’ago e la spilla (che esce ora in italiano per le Edizioni Dehoniane Bologna, pp. 106, € 10; prefazione di Augusto Palmonari), l’etnologa e sociologa Yvonne Verdier (1941-1989) compie un autentico lavoro di genealogia, riportando alla luce le varianti misconosciute di una delle fiabe europee universalmente più famose, la cui funzione era quella di comunicare nel tempo una serie di preoccupazioni «pedagogiche» (sulle quali si potrebbe oggi eccepire ampiamente) delle comunità in cui circolavano.
La variante hard
L’innalzamento letterario ha quindi edulcorato e trasfigurato il contenuto vero (e sottaciuto) della tradizione orale che veicolava la storia di Cappuccetto Rosso. Che coincide per noi con due versioni soltanto: quella di Charles Perrault (1697), in cui la malcapitata protagonista viene sbranata dal lupo, o, in alternativa, quella ancora più nota e diffusa, e a lieto fine, dei fratelli (Jacob e Wilhelm) Grimm, nella quale «arrivano i nostri», vale a dire il cacciatore che squarta il lupo cattivo e ne estrae sane e salve nonna e nipotina. La prima più hard e cruda, la seconda fantastica – e, appunto, favolistica – anche nell’happy ending, ma entrambe differenti dalle antiche tradizioni orali delle province francesi da cui questa narrazione ha tratto origine ed è stata perpetuata. La studiosa transalpina aveva deciso di andare «alla sorgente», e si mise così a passare al setaccio le versioni popolari e folcloriche raccolte presso varie fonti orali dagli etnografi di fine Ottocento specialmente in alcune aree (bacino della Loira, Nivernese, Velay, Forez, regione settentrionale delle Alpi), finendo per arrivare a contarne ben 34. Mentre, per contro, non esisteva una tradizione orale di trasmissione della favola in Germania, con l’eccezione di una porzione del Tirolo italiano.
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http://materialismostorico.blogspot.it/2015/04/genealogia-di-cappuccetto-rosso.html
MICHEL FOUCAULT, L’INVENZIONE DELLA CONOSCENZA. «Lezioni sulla volontà di sapere», uscito per Feltrinelli, propone i testi del primo corso svolto al Collège de France nel 1970. Conflitto tra verità e potere e la confutazione delle teorie di Freud sono alcuni «cavalli di battaglia» dello studioso
di Roberto Ciccarelli, ilmanifesto.info, 7 aprile 2015
n angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari, c’era una volta un astro su cui animali intelligenti inventarono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della storia universale». È uno dei passaggi folgoranti, dall’ironia crudele e maestosa, di Nietzsche che riflette Su verità e menzogna in senso extra-morale. Il filosofo tedesco, a cavallo di un’iperbole, ci porta all’altezza del Big Bang. Nella finzione così concepita scrive un romanzo sarcastico contro una delle verità tramandate della nostra cultura: l’Uomo esiste per conoscere. Tutto questo è falso.
Un’amicizia stellare
Per rendere il tono usato da Michel Foucault nelle Lezioni sulla volontà di sapere, tradotte da Carla Troilo e Massimiliano Nicoli (Feltrinelli, a cura di Pier Aldo Rovatti, pp. 352, 35 euro) bisogna andare a pagina 219 di questo libro e leggere la lezione su Nietzsche. È un testo contenuto in una delle ampie appendici riprodotte nel volume insieme ai testi ricostruiti del primo corso svolto al Collège de France nel 1970.
Quella su Nietzsche è una lezione fondamentale, scritta nervosamente, quasi scalettata, frusta. Gli argomenti sono esposti per punti, pronti per essere pronunciati davanti ad un pubblico. Sono i mesi in cui più intenso procede il corpo a corpo con il filosofo tedesco. Foucault ha fatto il suo ingresso al Collège de France, il pantheon dell’accademia di Francia, introdotto dal matematico epistemologo e filosofo analitico Jules Vuillemin, titolare della cattedra di «filosofia della conoscenza». Lui, invece, scelse per sé l’insegnamento di «storia dei sistemi di pensiero», come spiegò nella lezione inaugurale L’ordine del discorso, pubblicata in Italia da Einaudi.
L’amicizia stellare con Nietzsche, per usare un’espressione amata da questo filosofo, viene rinsaldata sin dalle prime pagine dei corsi che dureranno fino al 1984, l’anno della morte di Foucault. Con Gilles Deleuze, Pierre Klossowski, l’autore di Le parole e le cose o Sorvegliare e Punire è stato tra i promotori e interpreti della Nietzsche-renaissance che, negli anni Sessanta, pose al centro dell’attenzione un Nietzsche riletto alla luce del pensiero della differenza. Un approccio che lo sottrasse dalla morsa della filosofia dell’Essere di Heidegger, come del pensiero negativo, per non parlare delle letture alla György Lukács che aveva ridotto il filosofo tedesco, e le sue contraddizioni, ad un anticipatore dell’irrazionalismo e del fascismo europeo. Libri come Nietzsche e il circolo vizioso (Klossowski), Differenza e Ripetizione (Deleuze) e un saggio come Nietzsche, la genealogia e la storia cambiarono radicalmente il piano della discussione. Ancora oggi sono un giacimento unico per la riflessione filosofica e per quella politica sull’immanenza.
Le Lezioni sulla volontà di sapere nascono in questa temperie che ha segnato a fondo il pensiero critico e radicale negli ultimi 40 anni. E segneranno anche quell’immensa opera, oggi emersa e pubblicata, che è la ricerca contenuta nei tredici corsi al Collège de France.
Segue qui:
http://ilmanifesto.info/michel-foucault-linvenzione-della-conoscenza
L’AMORE QUANDO FIORISCONO LE RUGHE
di Laura Ballio, 27esimaora.corriere.it, 7 aprile 2015
Premessa. Nell’estate del 2012 Paolo Conti, poliedrico giornalista del Corriere della Sera, fece un outing sulle pagine del giornale dichiarando che«a 58 anni non mi voglio innamorare più» (leggi anche questo). Seguì dibattito. E siccome si parlava anche (soprattutto?) di uomini oltre la cinquantina, affetti da quella malattia infettiva delforever green, che prevede come cura palliativa contro l’invecchiamento una fidanzata di almeno vent’anni più giovane, io risposi con la sindrome del Vetril, che superati i sempre fatidici cinquanta, comincia a trasformare (anche) bellissime donne in vetri trasparenti agli occhi dei coetanei.
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http://27esimaora.corriere.it/articolo/lamore-quando-fioriscono-le-rughe/
SUL DESIDERIO, IL SUO REALIZZARSI E LE GIOIE DELLA LETTURA. Con i libri si può conoscere meglio se stessi e il proprio tempo
di Eleonora Tassoni, primapaginaonline.it, 7 aprile 2015
Oggi parliamo del desiderio. Voi non lo sapete ma sono un campione internazionale di placcaggio scrittori ai festival letterari. Grazie alla mia instancabile caccia e alla mia sfacciataggine qualche mese fa, nel corso del festival Pordenone Legge ho incontrato Massimo Recalcati. Questo incontro per me è stata una grande gioia sia a livello personale che professionale. Oltre ad essere un’appassionata lettrice dei suoi saggi sempre profondi, complessi ma allo stesso tempo accessibili anche a un “non addetto ai lavori” avevo il desiderio di riuscire a realizzare un incontro dedicato ai suoi libri nella nostra bella libreria Rinascita. Grazie ad una coincidenza di date, incontri e altre buone stelle, siamo riusciti, alla fine, a organizzare una presentazione che si svolgerà venerdì 10 aprile dalle 19 proprio qui in libreria. Al centro della serata ci sarà proprio l’ultimo lavoro dello psicoanalista: “L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento”. Il titolo, lo vedete, è già una dichiarazione d’amore nei confronti del mestiere di insegnante che, come sappiamo, oltre ad essere il più difficile e misconosciuto del mondo, è tuttavia anche quello che decide il destino di una società.
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http://www.primapaginaonline.it/2015/04/07/sul-desiderio/
Video
LUIGI ZOJA A “SCALA MERCALLI”
da rai.tv, 4 aprile 2015
Tra gli argomenti affrontati, la siccità e la scarsità di risorse idriche e il problema dello smaltimento dei rifiuti. Ospiti di Luca Mercalli: Roberto Cavallo, esperto di tematiche ambientali e Luigi Zoja, psicoanalista e autore di “Utopie Minimaliste”. Ci sarà anche, come in ogni puntata, il contributo di diversi documentari originali, questa volta dalla California, per parlare di siccità; dall’ Honduras, il paese dove la percentuale di riciclo dei rifiuti è tra le più basse del mondo; dal Nepal, per conoscere il movimento dei “ Green Soldiers” impegnati a ripulire tutto il suolo di Kathmandu e dintorni; e, infine, dall’Italia, esattamente da Treviso, una città virtuosa che ha un sistema di riciclo vicino al 100% . Oltre a raccontare i diversi gradi della crisi del nostro pianeta, Luca Mercalli si propone infatti anche di informare il pubblico delle possibili soluzioni tecnologiche e delle risorse culturali che già esistono per potere invertire questa tendenza.
L’intervento di Luigi Zoja è a 1 e 43′ circa dall’inizio della trasmissione.
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-6b29fc51-47cf-4b4d-8baa-61bebaec999a.html
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